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Le “interferenze” straniere sono un omaggio all’importanza dell’Italia

Sarebbe assolutamente sorprendente se i miei amici che vivono in Inghilterra e hanno apprezzato il cordoglio manifestato dagli italiani per la morte della Regina Elisabetta, che vivono negli USA e si ricordano delle mie preoccupazioni per il tentato colpo di Stato di Trump, che stanno in Germania e a suo tempo ricevettero le mie congratulazioni per la vittoria dei socialdemocratici di Olaf Scholz, non fossero interessati alle elezioni italiane. Con loro, anche in molti altri paesi dell’Unione Europea, in Ucraina e in Russia, i governanti e l’opinione pubblica avvertita stanno riflettendo sulla campagna elettorale italiana e sul grado di attendibilità dei sondaggi, ponendosi più di un interrogativo sulle conseguenze prossime del voto italiano e, naturalmente, sulle caratteristiche politiche e personali di chi andrà al governo in Italia. Tutto questo è inevitabile poiché nell’Unione Europea e nelle organizzazioni internazionali quel governo avrà regolarmente la possibilità di orientare le discussioni e di influenzare le decisioni.

   Non serve a nulla lamentarsi del sostegno dato a Enrico Letta dal socialdemocratico tedesco Scholz e, par condicio, degli auguri fatti da Marine Le Pen a Matteo Salvini che, a suo tempo, si espresse a favore di una sua vittoria nelle elezioni presidenziali francesi. Invece, piuttosto importanti sono altri fenomeni. Da un lato, se provate, stanno le interferenze russe forse anche con finanziamenti a qualche partito italiano. Poiché esistono dei precedenti, quando i russi agirono con successo contro Hillary Clinton, di queste interferenze gli organi preposti e gli stessi partiti, a cominciare da chi ripete “prima gli italiani” dovrebbero preoccuparsi e respingerle. Dall’altro, i rapporti fra leader e partiti, stranieri e italiani, segnalano qualcosa di cui tenere conto per gli elettori interessati che si apprestano a scegliere.     “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” non è soltanto la saggezza in pillole di un proverbio. È anche un invito a valutare con chi i partiti e i dirigenti italiani si rapportano su scala europea (e mondiale). Aggiungo che è altresì la prospettiva alla quale la Commissione Europea non potrà non ricorrere quando si saranno contati i voti e si sarà formato il nuovo governo italiano. Nel Consiglio dei capi di governo europei che deve confermare le sanzioni contro l’Ungheria decise dall’80 per cento degli europarlamentari si troverà Giorgia Meloni, amica del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán? Il nuovo Ministro degli Esteri italiano sarà Matteo Salvini le cui posizioni nei confronti della Russia sono quantomeno ambigue? Altri esempi, per esempio, riguardo al Ministro dell’Economia, si potrebbero fare per chiarire quanto significative sono le elezioni italiane per il futuro dell’Europa e dell’Italia in Europa. In un certo senso, la grande attenzione riservata all’Italia può essere considerata un gradevole, gradito omaggio all’importanza del nostro paese. Spetta agli elettori non sciupare questo omaggio.

Pubblicato AGL il 22 settembre 2022

Il modello Orbán sarà la bussola del futuro governo di centro-destra @DomaniGiornale

Davvero qualcuno può pensare che i risultati delle elezioni politiche italiane non interessino al di là delle Alpi e sull’altra sponda del Mediterraneo? L’espressione “la pacchia è finita” fu usata, se ricordo bene, la prima volta (tragedia) dal Ministro degli Interni Matteo Salvini. Annunciava ai migranti che l’accesso all’Italia sarebbe stato loro sbarrato. Non portò bene a Salvini che qualche mese dopo fu estromesso dal governo. La pacchia che starebbe per finire adesso (farsa) è quella di cui, secondo Giorgia Meloni, l’Unione Europea avrebbe goduto a spese dell’Italia. Vale a dire che, secondo Meloni, l’UE avrebbe imposto ai governi e ai cittadini italiani politiche costosissime, evidentemente molto più dei 230 miliardi di Euro concessi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, controproducenti, addirittura umilianti. Per porre fine a questa pacchia, il prossimo governo di destra si riapproprierà di molti pezzi di sovranità ceduta, strappata, perduta. Il modello, senza esagerare, potrebbe essere Orbán il quale, però, vuole “soltanto” continuare nelle sue politiche illiberali, restringimento dei diritti dei cittadini, dell’opposizione, della magistratura, dei mass media e rigetto della superiorità del diritto dell’Unione sul diritto nazionale. Questa è la “sovranità” che conta per mantenere il potere all’interno dell’Ungheria. Pertanto, è corretto pensare e temere che chi, come Meloni e Salvini, ritiene inopportuno e sbagliato sanzionare il capo del governo ungherese, abbia in mente comportamenti simili. In un certo senso, la questione Orbán è un più o meno involontario intervento a gamba tesa nella campagna elettorale italiana. Allo stesso modo, ma con minore impatto mediatico, l’affettuoso messaggio di auguri di Marine Le Pen a “mon cher Matteo” è assimilabile a un’interferenza, a mio modo di vedere, del tutto comprensibile e nient’affatto riprovevole.

   La risposta dei “principali esponenti dello schieramento avversario” (uso parole di venerabile conio veltroniano) non si è fatta attendere. Il cancelliere tedesco, dall’autorevolezza non ancora molto consolidata, ha ricevuto a Berlino il segretario del PD Enrico Letta esprimendo il suo auspicio per un buon esito elettorale. Ci sta, eccome. Dal canto suo, con maggiore autorevolezza, Mario Draghi ha meritatamente ricevuto a New York il Premio Statista dell’Anno, indirettamente il riconoscimento che la sua opera di governo è stata molto apprezzata (peraltro, anche, come hanno rilevato tutti i sondaggi, dall’opinione pubblica italiana) e altrettanto indirettamente segnalando preoccupazione per quel che potrebbe venire.

Tutti i governi democratici acquisiscono legittimazione politica attraverso le elezioni (mi sono a fatica trattenuto dallo scrivere i mussoliniani “ludi cartacei”). Poi, però, debbono mantenere quella legittimazione con appropriati comportamenti nazionali e internazionali. Alcuni governi (e governanti) già sperimentati e già visti all’opera partono avvantaggiati poiché le loro controparti ne conoscono i lati positivi e quelli negativi. Altri, invece, sono oggetti largamente sconosciuti, come Fratelli d’Italia, totalmente priva di esperienze di governo nazionale e con amici europei dal governo ungherese a Vox non propriamente rassicuranti. Quel grande popolo che sono gli inglesi e, con l’omaggio alla regina Elisabetta, hanno ancora una volta dimostrato di essere, sosterrebbero che la prova del budino consiste nel mangiarlo. Però, non biasimerebbero i commensali europei per la loro visibile diffidenza.

Pubblicato il 21 settembre 2022 su Domani

Soltanto il PD si oppone davvero alle destre @DomaniGiornale

Non deve essere così grave il pericolo fascista rappresentato da Giorgia Meloni se, da un lato, Calenda-Renzi, dall’altro, il ringalluzzito Conte sembrano impegnarsi soprattutto nell’erosione del Partito Democratico di Enrico Letta. In verità, contrariamente all’opinione di molti commentatori per i quali le parole e le impressioni contano più dei numeri e delle percentuali, non sembra in atto nessuna erosione. Anzi, i sondaggi più credibili indicano e documentano che da almeno un mese o poco più il Partito Democratico è, se non stabile intorno al 22 per cento, addirittura in leggera, forse impercettibile, crescita. Non solo, ma non si vede nessun effetto positivo della presunta erosione del PD sugli abusivi del Terzo Polo che rimangono bloccati su percentuali che sono quasi la metà di quelle dei veri Terzisti guidati da Conte. Il recupero dei Cinque Stelle che stanno inseguendo, forse raggiungendo Matteo Salvini, irrequieto leader della Lega, non sembra dovuto alla sottrazione di consensi a Letta, ma al possibile, probabile, rientro di elettori già pentastellati che si stanno ricredendo. D’altronde, il menu dell’offerta partitica non può sembrare maggiormente appetibile per chi aveva nutrito speranze di un reale cambiamento di sistema, certo, poi, disatteso, ma non senza esiti apprezzabili: reddito di cittadinanza e taglio dei parlamentari. Incuriosisce, però, che gli Azionisti e i Pentastellati mirino in particolar modo più a ricavarsi uno spazietto a spese del PD piuttosto che giocare a tutto campo anche con spirito repubblicano per impedire alla destra di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi e forse più mettendola nelle condizioni di riformare la Costituzione repubblicana evitando l’eventuale sfida referendaria. Preoccupante sarebbe poi se Calenda-Renzi e Conte pensassero che il messaggio da mandare all’elettorato è che l’avversario principale è il Partito Democratico e non il trio delle meraviglie Meloni, Salvini, Berlusconi, le loro proposte programmatiche e valoriali, le loro collocazioni internazionali, le loro amicizie europee. Serenamente opposto a Giorgia Meloni, mi pare che Enrico Letta sia sostanzialmente uno dei pochi, unitamente a +Europa, a ritenere che la destra è per l’appunto l’avversario principale. Continuare a fare dell’ironia sul campo largo non soltanto non serve a nulla, neanche all’erosione immaginaria, ma significa non avere capito che, in effetti, l’avversario principale esiste e che, lui/lei sì, è da mesi il/la front runner. Non si fermerà quella corsa di testa proponendole, a quale titolo mai?, l’inserimento in un governo di unità nazionale che lo stesso proponente Calenda avrebbe in altri tempi carinamente definito accozzaglia e ammucchiata. Prima si contano i voti e i seggi. Poi si fanno i governi. Questa è la democrazia competitiva. Il resto non è “erosione”, ma confusione.  

Pubblicato il 7 settembre 2022 su Domani

Letta, il Pd e gli elettori indecisi da conquistare @DomaniGiornale

Quel quaranta percento di elettori indecisi qualcuno dovrà pure cercarli, parlare loro, convincerli. Certo, almeno la metà di loro alla fine deciderà che non può o non vuole votare, ma quelli che andranno alle urne sono potenzialmente decisivi. Potrebbero allargare il campetto sul quale gioca la sua partita, spero non della vita, Enrico Letta. Difficile, però, che per farli affluire alle urne, se non entusiasticamente, almeno fortemente consapevoli della posta in gioco, sia sufficiente il pur doveroso richiamo all’antifascismo. Sarebbe come giocare in difesa tutta la partita, spettacolo mai esaltante per gli spettatori, in attesa del contropiede vincente, e poi chi sarebbe il contropiedista capace di segnare? Allora, farebbero meglio Letta e i suoi compagni/e, chiedo scusa, alleati a definire meglio il campo di gioco e a cercare le giocate giuste. L’Europa, quella che c’è e quella che vorremmo, è il campo di gioco della nostra vita, retoricamente, del destino nostro, dei figli e delle nipoti. L’Europa che ci rilancia con il PNRR, che ci darà un gas sostenibile, che ci difende dalle aggressioni, che estende la democrazia. L’Europa che non cancella affatto l’identità degli italiani, ma che la considera parte integrante dell’identità che stiamo costruendoci come europei. Agli elettori, dunque, diremo che fare gli scettici, i furbi, i sovranisti con l’Europa significa non rafforzare l’Italiani e gli italiani, ma indebolirla fino a metterla tristemente ai margini (nella metafora “a bordo campo”). Non basterà, ma ce n’est qu’un début. Da lì si inizia, lì si deve innovare e progredire.

Periodicamente, c’è qualcuno che afferma in maniera saccente che le crisi sono opportunità, possono sprigionare creatività. Cominciamo dai fatti, prima delle innovazioni. Bene ha fatto Letta a insistere su una risposta europea (price cap) al prezzo del gas. Europea è stata, e deve continuare a essere, la risposta all’aggressione russa alla Ucraina. Europea bisogna che sia la risposta all’immigrazione, una risorsa, non solo demografica, ma da guidare e regolamentare. Agli elettori indecisi interessa sicuramente il quadro complessivo nel quale si muoverà l’Italia nei prossimi cinque anni, ma ciascuno di loro/noi desidera ascoltare dai candidati, dai partiti, dai dirigenti promesse credibili di rapida realizzazione. Qualche volta la destra le spara grosse: tassa piatta e bassa e blocco navale. Qualche volta è ripetitiva: le pillole scrostate di Berlusconi. Proposte nuove e realizzabili sarebbero decisive per gli elettori indecisi (bisticcio voluto). La vita è lavoro, meglio se gratificante e adeguatamente remunerato, a partire dal reddito di cittadinanza. Questa è un’idea di sinistra, di progresso, di potenziale successo. Attendo la “declinazione” sintetica e allettante da giocatori e allenatori del campetto/campolargo.

Pubblicato il 31 agosto 2022 su Domani

Liste calate dall’alto? Non vale per tutti i partiti #intervista @ilriformista

Il politologo: «Cassese dice che le forze politiche sono diventate oligarchie? Sbagliato generalizzare. Realtà come il Pd hanno scelto i candidati anche in base a competenze importanti. Giudicherà chi vota» Intervista raccolta da Umberto De Giovannangeli

Tra gli scienziati della politica italiani, Gianfranco Pasquino è tra i più accreditati. Professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna, dal 2005 socio dell’Accademia dei Lincei. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo la più recente: Tra scienza e politica. Una autobiografia (Utet, 2002).

“Il modo in cui si sono formate le liste è un’ulteriore dimostrazione del carattere oligarchico del nostro sistema politico”. Così Sabino Cassese in una intervista a questo giornale. Lei come la vede?

Le liste vengono formate in maniera molto diversa da partito a partito. Non sono in grado di generalizzare e non vado alla ricerca di modalità democratiche, modalità oligarchiche etc. Parlerei piuttosto di modalità funzionali. Ciascun partito decide cos’è meglio per la sua organizzazione, per i suoi militanti che poi dovranno fare anche un po’ di campagna elettorale, per i candidati che deve scegliere. Non possiamo dire che il Partito democratico abbia scelto i suoi candidati allo stesso modo con il quale li ha scelti Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia. E sappiamo da tempo immemorabile che i candidati di Forza Italia vengono scelti da Silvio Berlusconi e abbiamo visto che i 5Stelle utilizzano anche le cosiddette “parlamentarie”. Di tanto in tanto il Pd fa anche delle primarie che purtroppo i commentatori sbeffeggiano, sbagliando.

Perché, professor Pasquino?

Perché se condotto con metodi decenti, rappresenta un metodo democratico. Quindi non generalizzo, le scelte dei candidati sono state fatte in un certo modo e sono in grado di criticare di volta in volta le modalità e le scelte effettive. Mi chiedo, ad esempio, che senso ha paracadutare Elisabetta Casellati in Basilicata quando era eletta e ambita in Veneto, mentre al suo posto c’è Anna Maria Bernini che notoriamente è una bolognese. Naturalmente ho molto da dire sul fatto che Piero Fassino va a fare il parlamentare del Veneto dopo aver fatto il parlamentare del collegio di Modena e Sassuolo. Questo riguarda anche la forza del candidato. Fassino è un uomo molto forte nel suo partito e sceglie dove andare. Nel caso della Casellati, Berlusconi e Tajani preferiscono candidarla in Basilicata. Però non si può generalizzare. Possiamo dire che il metodo comunque non ci convince, dopodiché affidiamo il resto agli elettori. Saranno loro a valutare se sono buoni candidati oppure no, se fanno campagna elettorale, se rappresentano il territorio, se non sanno solo ascoltare ma come dico io anche interloquire con i loro elettori, oppure se è semplicemente un’operazione nel segno di rieleggetemi e buona fortuna.

Nel dibattito aperto da Il Riformista, Sergio Fabbrini, altro autorevole scienziato della politica e dei sistemi istituzionali, ha sostenuto: “Gli eletti sono diventati degli imprenditori di se stessi e quindi si comportano sulla base dei vantaggi immediati che possono conquistare nel mercato politico”. Concorda ?

No, anche se ne apprezzo il rigore e la nettezza. Non sono d’accordo perché, di nuovo, occorre differenziare tra i vari partiti. Nel Partito democratico ci sono le carriere. Persone che hanno iniziato a fare politica prima che ci fosse il Partito democratico e che proseguono nella loro carriera. Non sono degli “imprenditori di se stessi”, come li definisce Fabbrini. Secondo me sono semplicemente dei professionisti, qualche volta anche perché hanno acquisito delle competenze vere. Per non restare nel vago. Non si può fare a meno di uno come Franceschini, perché è bravo, ha delle competenze. Ed è sbagliato respingere la candidatura di Casini, perché anche lui è bravo e ha delle competenze. Siamo di fronte a professionisti, a semi professionisti e come una volta mi disse Domenico Fisichella a “gentleman in politics”. Naturalmente si riferiva a se stesso, cioè a persone che hanno una biografia professionale tale da permettere loro di fare un po’ di politica e poi tornare alla loro professione senza nessuna preoccupazione. Questo vale per il Partito democratico come anche, sul versante opposto, per Fratelli d’Italia, perché è l’unico altro partito rimasto vivo. Il Msi era un partito organizzato sul territorio. E non vale invece in altri casi. Come quello di Forza Italia Ha ragione Berlusconi: i suoi candidati vengono effettivamente dalla società civile. Di errato c’è semmai il verbo. I candidati non “vengono” dalla società civile, è lui che li ha “prelevati” dalla società civile ed è lui che li “ricaccia” nella società civile quando non gli servono più. Nessuna generalizzazione è possibile, insisto su questo, ma analizzare caso per caso, e sul singolo caso costruire una spiegazione, soprattutto quando certe scelte suscitano polemiche non sempre pretestuose.

Venendo ai “campi” che si fronteggiano. Cosa teme di più del destra-centro: la leadership Meloni?

Io temo l’inesperienza di una parte non marginale di quella classe dirigente. Temo l’eccessiva gioiosità per aver vinto le elezioni, e l’incapacità di capire che cosa vuole l’Europa da noi. E soprattutto temo gesti eclatanti volti a dimostrare che quello a cui daranno vita è un Governo “nuovo”, che siamo entrati in un’era “nuova”. Tutto questo temo. E ne temo l’insieme. E che Giorgia Meloni si lasci trascinare dall’entusiasmo. Mi è rimasta negli occhi, e in parte anche nelle orecchie, la sua performance al congresso di Vox. Non vorrei mai più vedere una Giorgia Meloni così. Certo è che se lei va in Europa con quella grinta la cacciano subito via.

Passando al centrosinistra. Cosa resta del “campo largo” su cui aveva puntato Enrico Letta?

Purtroppo questi politici non hanno studiato la scienza politica. Ne sono proprio digiuni e non sanno proprio di cosa parlano. Non mi riferisco solo alla legge elettorale, di cui non sanno nulla se non tutelare i propri interessi. Davvero non sanno di cosa parlano. “Campo largo” non c’era proprio bisogno di dirlo. Perché se uno avesse acquisito i rudimenti, non dico di più, della scienza politica, saprebbe che in politica si fanno le coalizioni. Questo è il principio dominante. In tutti i sistemi politico si fanno coalizioni. Persino in Gran Bretagna, dal 2010 al 2015 c’è stata una coalizione tra conservatori e liberali. Hanno addirittura stilato le regole della coalizione. Macchè “campo largo”, parliamo di coalizioni. E le coalizioni – c’è una letteratura splendida in proposito – si fanno fra partiti che sono vicini, geograficamente vicini, ideologicamente compatibili, programmaticamente in grado di convergere su quelle che ritengono essere le priorità del Paese. Letta ci ha provato ma evidentemente non conosce la teoria delle coalizioni. Dopodiché ha fatto del suo meglio, anche perché ha dovuto fare i conti con individui che sono molto ambiziosi, ingiustificatamente ambiziosi, immeritatamente ambiziosi, che hanno, come ho avuto modo di dire e scrivere, il loro ego in perenne erezione. Con quella gente è difficile trattare. Chi riesce a fare meglio le coalizioni meglio riesce ad ottenere il consenso. Giuliano Urbani, che è uno scienziato della politica, disse a suo tempo a Berlusconi “fai due coalizioni: una che si chiama Polo del buongoverno e l’altra Polo delle libertà. E in questo modo riesci a mettere insieme sia gli ex missini sia la Lega”. Questo è quello che è successo nel ’94. È il prodotto delle competenze politiche del professore di Scienza politica Giuliano Urbani. Mi lasci aggiungere un consiglio che non vuol essere “professorale”: si dovrebbe sempre chiedere a chi parla/ scrive di tematiche istituzionali-elettorali quali libri/articoli scientifici abbia letto, quali sono gli autori a sostegno delle sue analisi e valutazioni. Per non alimentare una confusione già così diffusa e grande sarebbe cosa alquanto opportuna fare pulizia terminologica per riportare il dibattito sui binari solidi e rigorosi della Scienza politica.

In Italia c’è ancora chi sostiene che si vince occupando il centro.

La Scienza politica racconta un’altra storia…

Quale?

Il centro è un luogo geografico. Non sappiamo quanti elettori stanno al centro, ma soprattutto sappiamo che vi sono elettori che stanno all’estrema sinistra e all’estrema destra. Non possiamo perderli. Dobbiamo andarli a cercare. Sapendo, innanzitutto, che dobbiamo motivare gli elettori a venirci a votare. In Italia vincerebbero alla grande le elezioni coloro che sapessero motivare gli astensionisti, quantomeno trovando la chiave per raggiungerne alcuni settori. Non c’è un “partito degli astensionisti”. Anche qui, evitiamo dannose, oltreché erronee, generalizzazioni. Quegli astensionisti non sappiamo di dove sono, se sono di centro, di destra, di sinistra. C’è di tutto, coprono l’intero arco politico. Si tratta di andare a cercare gli elettori su tematiche specifiche. La scienza politica indica che ci sono tematiche valoriali che sono politiche: le famose issues. Devi trovare la issue giusta e devi sapere anche quali sono i valori condivisi di quegli elettori che cerchi. Quel valore condiviso potrebbe essere, per esempio, molto semplicemente la democrazia in Europa, o qualcos’altro, magari di segno opposto. Ad esempio, manteniamo un alto livello di diseguaglianze perché noi elettori siamo bravi e quindi riusciremmo a trarne profitto. Operazioni che richiedono intelligenza politica a cui abbinare la capacità di un politico di stare sul territorio. Come può Fassino mobilitare gli elettori del Veneto che non l’hanno visto mai se non in televisione? Casini mobilita gli elettori bolognesi perché qui ci abita da quando è nato, perché ha fatto campagna elettorale, perché è notissimo. Ed è per questo che lui è un valore aggiunto.

Pubblicato il 27 agosto 2022 su Il Riformista

La rappresentanza politica non cade dal cielo

Le candidature al parlamento sono il volto e le gambe di un partito/coalizione. Sono il volto perché, politici di lungo corso e esperti provenienti dalla società “civile”, donne espressione di associazioni, giovani all’inizio della carriera, offrono l’immagine che il partito vuole dare di se stesso agli elettori. Le candidature sono le gambe del partito poiché tocca a loro portare il programma alle organizzazioni sociali, economiche, culturali e religiose, alle iniziative con gruppi di elettori, nei salotti televisivi. La disponibilità e la capacità dei candidati di “spendersi” sul territorio delle circoscrizioni elettorali, diventate molto ampie in seguito alla riduzione del numero dei parlamentari, sono qualità importanti che possono fare la differenza e che, pertanto, meritano di essere prese in seria considerazione e premiate.

   Le tensioni e le critiche che hanno accompagnato la formazione delle liste dei candidati del Partito Democratico sono, da un lato, inevitabili, dall’altro, istruttive. Il PD è un partito piuttosto grande e diversificato. Nel 2018 la maggioranza dei suoi parlamentari era stata scelta da Renzi. Inevitabile che il nuovo segretario Letta volesse procedere ad un rinnovamento. Per qualcuno/a di loro la non-ricandidatura o l’essere collocato/a in posizione di difficilissima eleggibilità può significare la fine della carriera. Tuttavia, chi fa politica “per passione” dovrebbe comunque impegnarsi pancia a terra per il suo partito/coalizione.

   In seguito alla riduzione del numero dei parlamentari, comunque vada il PD perderà un terzo dei suoi parlamentari. L’unico partito certo di guadagnare parlamentari, quasi triplicandone il numero, è Fratelli d’Italia che, dunque, dovrebbe riuscire a sfuggire a tensioni, conflitti, recriminazioni. Non soltanto Giorgia Meloni potrà permettersi di riconfermare tutti i parlamentari uscenti, ma sarà in grado di reclutare i nuovi in un ambito affollato di ambiziosi e pretendenti. Probabilmente, cercherà anche qualche colpo ad effetto: candidature inaspettate e prestigiose e sarà generosa con gli alleati.

   In chiave più ampia, anche perché le elezioni del 25 settembre saranno importantissime per il governo del paese, è mia opinione che gli elettori dovranno valutare le candidature con riferimento ad un criterio sovrastante: se eletto/a quel(la) parlamentare vorrà e saprà interpretare e rappresentare le mie preferenze, i miei interessi, le mie necessità in maniera “fedele” e efficace? Questo criterio implica che quanti più sono i paracadutati tanto più difficile e rara sarà una buona rappresentanza politica. Parlamentari che non vivono nel collegio nel quale vengono eletti non riusciranno, neppure con il più intenso degli impegni, a offrire quella rappresentanza politica che solo chi conosce un territorio e i suoi abitanti può dare. Se i cittadini si sentiranno poco e male rappresentati aumenterà tristemente la loro distanza dalla politica con conseguenze negative sia sull’opposizione sia sullo stesso governo.

Pubblicato AGL il 18 agosto 2022

La disfida delle agende di fronte agli elettori @DomaniGiornale

Le coalizioni (elettorali, politiche, di governo) si fanno fra contraenti che si fidano, su programmi concordati, per obiettivi condivisibili e condivisi. La pessima legge elettorale Rosato (stretto compagno d’armi del Presidente Renzi) obbliga a fare tutte le coalizioni immaginabili sotto forma di accozzaglie e ammucchiate e le premia. Certo, l’omogeneità iniziale è auspicabile, ma non necessariamente utile quando il problema consiste nell’attrarre il maggior numero di elettori. Ripetutamente Calenda ha affermato che l’Agenda Draghi, ovvero quanto impostato e lasciato in eredità dal Presidente del Consiglio uscente, è il suo programma, la sua agenda. Molto generosamente, se Draghi non potrà essere richiamato, Calenda si è messo a disposizione per guidare il prossimo governo. Poi, però, ha dimostrato di non avere quel coraggio che costituisce una virtù politica per eccellenza rifiutandosi di fare parte di una coalizione che includa Fratoianni (e Bonelli) poiché il leader di Sinistra Italiana ha votato 56 volte contro la fiducia a Draghi, poi anche pervicacemente contro l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato. Calenda ha, dunque, avuto paura che nel campo largo di Letta le sue idee, la sua interpretazione dell’Agenda Draghi sarebbero state sconfitte dalle idee di Fratoianni e Bonelli. Di conseguenza, è logico dedurne che ritiene, o semplicemente spera, che la sua agenda troverà maggiore spazio se corre da solo o, a giudicare da ipotesi che circolano, in coalizione con Matteo Renzi (più affidabile di Letta?).

Un’agenda elettorale, politica, di governo è destinata a camminare sulle gambe dei suoi portatori. Farà molta più strada se i portatori sono numerosi e autorevoli. Un embrione di “terzo polo” non soddisfa questa esigenza che, al contrario di quel che sembra avere in mente Letta, può essere conseguita candidando nei collegi uninominali tutte le personalità più autorevoli del Partito Democratico, di +Europa, di Sinistra Italiana e dei Verdi. In quei collegi i candidati dispiegheranno la loro forza propulsiva con l’obiettivo di attrarre e convincere quei molti elettori indecisi persino se votare. In coalizione Calenda avrebbe potuto dimostrare di stare selezionando o di avere già un pacchetto di classe dirigente nuova, all’altezza della sfida.

Infine, già di per se un’agenda di governo contiene una presa di distanza e una critica a tutte le proposte diverse e alternative, più o meno coerentemente impacchettate. Non vedo grande coerenza in molte proposte e posizioni della destra. Sarà importante per Letta e, se lo vorrà, per Calenda ricorrere puntualmente e puntigliosamente a quanto hanno messo nelle rispettive agende per marcare le distanze dalla destra e l’originalità concreta di quanto promettono di fare. A mio parere questo è il modo migliore per sanare lo strappo di Calenda e per consentire agli elettori di pronunciarsi a ragion, pardon, a agenda veduta.

Pubblicato il 10 agosto 2022 su Domani

Il giorno della rottura tra Carlo Calenda & Enrico Letta @RadioRadicale intervista Gianfranco Pasquino

Controcorrente, puntata di lunedì 8 agosto 2022 , intervista condotta da Lanfranco Palazzolo

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Patto per una buona campagna elettorale e un buongoverno

Nel molto frammentato panorama partiti(ni)co italiano qualsiasi accordo che conduca a aggregazioni politiche ampie è da salutare con favore. Il patto elettorale e politico stilato da Partito Democratico, da Azione e da +Europa va nel senso giusto. Anche qualora non riuscisse a sconfiggere le destre, tutta avanti nei sondaggi, lo schieramento di sinistra e centro avrà una presenza numerica e politica importante nel ridimensionato Parlamento italiano. Sarà in grado di svolgere un’opera efficace di controllo su quanto farà il governo (a guida Meloni?), di controproporre sulla base delle sue proposte programmatiche, di mantenere utili legami di rappresentanza con l’elettorato, non soltanto il suo. Comprensibilmente criticato, perché temuto, dalle destre, il Patto fortemente voluto da Enrico Letta non è pienamente apprezzato neppure nella sua area di riferimento, quel campo largo nel quale il segretario del PD avrebbe voluto impegnare più giocatori. Ambizioni personali e vecchi e nuovi rancori continuano a essere presenti e dannosi non solo per i dirigenti che li nutrono, ma soprattutto per l’elettorato una parte del quale non è disponibile ad affidarsi a chi non garantisce stabilità politica e convergenza programmatica, ma si esibisce in distinguo e litigi permanenti, spesso l’unico modo per farsi notare.

In quanto ai programmi, alle cose da fare per l’Italia, il Patto ha una caratterizzazione abbastanza precisa. Lo sfondo è dato dall’europeismo e dall’atlantismo, mai così rilevanti per fare fronte all’aggressione russa in Ucraina e alle sue pesanti conseguenze politiche e economiche. Poi, praticamente su tutte le materie più importanti, Letta, Calenda e Bonino hanno opportunamente scelto di fare riferimento a quella che viene chiamata Agenda Draghi, ovvero a quanto il governo di ampia coalizione guidato da Mario Draghi stava facendo e aveva progettato di portare a compimento. Naturalmente, quell’Agenda non deve essere intesa come esaustiva e immodificabile. Lo stesso Presidente del Consiglio avrebbe introdotto modifiche e variazioni derivanti da mutate situazioni. D’altronde, anche a fini nient’affatto criticabili di accrescimento del suo consenso elettorale, il Partito Democratico ha assoluta necessità di potenziare gli interventi sociali che sintetizzerò nell’espressione “riduzione delle diseguaglianze”, anche economiche. Però, molti sanno che la ricetta migliore per ridurre le diseguaglianze è costituita dalla crescita economica, ambito nel quale toccherà a Calenda sprigionare il suo tasso di innovazione finora più declamato che tradotto in indicazioni concrete.

Fuori da accuse, recriminazioni, diffusione di notizie manipolate o semplicemente false, senza ipocrisie e senza illusioni, sembra arrivato il tempo del confronto, anche aspro, fra le destre e il Patto fra centro e sinistra, non soltanto sulle cose da fare, ma anche sulla competenza e sulla credibilità di chi si candida a farle. Potrebbe ancora scaturirne una campagna elettorale apprezzabile.

Pubblicato AGL il 4 agosto 2022

I candidati devono essere il volto della coalizione @DomaniGiornale

Se sia meglio procedere ad alleanze forzate da una pessima legge elettorale o correre liberi e leggeri in un campo largo verso una sicura sconfitta? This is the question alla quale Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, invece di sognare ha dato una risposta realistica e costosa. Ai saccenti commentatori che per mesi si sono affannati a comunicare la loro preoccupazione, addirittra indignazione per il “ritorno alla proporzionale” è imperativo fare notare che la fin troppo vigente legge Rosato, un terzo maggioritari, due terzi proporzionale con la possibilità di candidature multiple salvaseggio (poltrona?), fra i suoi molti guasti, impone alleanze preventive inevitabilmente tendenti a ammucchiate. Una legge proporzionale avrebbe consentito a tutti di contarsi e agli elettori di valutare con maggiore chiarezza partiti e candidati, poi a ciascuno il suo.

   Nei collegi uninominali, le candidature sono il volto della coalizione che le esprime e le sostiene. Sono il veicolo dell’accordo programmatico. Agli elettori debbono offrire la garanzia che l’azione della coalizione, se vincente, si tradurrà nell’attuazione di quel programma. Il resto, emergenze e nuove tematiche, dovrà continuare a essere oggetto di discussione fra tutti coloro che compongono la coalizione. Se questa è l’interpretazione plausibile dell’accordo raggiuto fra PD, +Europa e Azione, i contraenti hanno di che rallegrarsi e i loro potenziali elettori sono messi in grado di esprimere una valutazione fondata su elementi chiari, il più evidente essendo quello dell’impegno a proseguire, con opportuni adattamenti, aggiunte e correzioni, l’agenda del governo Draghi. Forse dal punto di vista numerico il Partito Democratico è stato fin troppo generoso nei confronti dei suoi due comunque indispensabili alleati. Tuttavia, se l’alleanza avrà lo sperato effetto moltiplicatore i conti dovranno e potranno essere fatti meglio ad elezioni avvenute.

   Adesso l’attenzione deve necessariamente spostarsi e focalizzarsi sulle candidature, sulla loro qualità, sulla loro capacità di combinare esperienza e competenza, sul tasso di entusiasmo (“occhi di tigre”) che sapranno portare nella campagna elettorale. Dalle notizie estraibili da alcune, importanti, situazioni locali del PD sembra che il criterio dominante sia rappresentato dalla continuità della carriera, non dalle new entries che sembrano praticamente inesistenti. La mannaia del limite a due mandati quasi azzererebbe non solo i dirigenti del PD, ma i tre quarti e più degli attuali parlamentari e dei ricandidabili. A mio avviso sarebbe una scelta sbagliata, ma altrettanto sbagliata è la strada del ritorno di parlamentari, anche donne, di lungo e non proprio brillantissimo corso. Agli uomini e alle donne del PD non sarà sufficiente offrire la rassicurante rappresentanza in quanto usato sicuro. Le elezioni del 25 settembre 2022 non saranno in nessun modo simili a elezioni che abbiamo conosciuto nel passato. Si sprecheranno i paragoni (e non voglio suggerirne nessuno). Un punto deve essere sottolineato con forza: il 25 settembre si decidono collocazione e ruolo dell’Italia nell’Unione Europea e nella politica internazionale. Le candidature, non soltanto quelle del Partito Democratico, meritano di essere proposte e valutate con l’osservanza di questo criterio dominante, cruciale anche in caso di una sconfitta che rischia di segnare tristemente l’autunno del nostro scontento.

Pubblicato il 3 agosto 2022 su Domani