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Le (sottovalutate) virtù dell’Europa “presbite” @Testimonianze

in “Testimonianze”, Settembre-Ottobre 2022, n. 545 “Dove va la «Terra del tramonto»? Riflessioni sull’Occidente”, pp. 61-66

Le (sottovalutate) virtù dell’Europa “presbite”

Gianfranco Pasquino*

in “Testimonianze”, Settembre-Ottobre 2022, n. 545, pp. 61-66

Mi sono sempre fatto una certa idea di Europa. De Gaulle sarebbe molto contento della parafrasi della sua idea di Francia: la grandeur. La prima pietra l’ha posta Dante mettendo in bocca a Ulisse, sicuramente consapevole dell’esistenza dell’Europa (termine greco), le famose parole:

Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza

Da allora mi sono interrogato sulle modalità con le quali gli europei hanno (per)seguito la virtù e la conoscenza e come virtù e conoscenza hanno plasmato la storia dell’idea d’Europa tanto brillantemente descritta da Federico Chabod, e la storia dell’Europa reale, realizzabile, realizzata. Consapevoli che la virtù deve essere costantemente messa alla prova e che, a loro volta, è opportuno che le conoscenze siano regolarmente sottoposte a verifica, eventualmente falsificate, talvolta rinfrescate, talaltra aggiornate, gli europei si sono incontrati n e scontrati in nome di alcuni valori e hanno dato vita alla scienza come la conosciamo. Hanno anche sempre lasciato spazio ai conflitti su quei valori e ai confronti sulle conoscenze. Una ricognizione esaustiva di tutto questo va al di là delle mie competenze e delle mie forze. Probabilmente, non è fattibile, ma molti storici di valore hanno prodotto analisi eccellenti delle quali, soprattutto coloro che altezzosamente criticano l’Unione Europea che c’è e quella che non c’è, in nome di una loro Europa che non sanno delineare, dovrebbero tenere conto. Qui mi propongo di contrastare i ricorrenti annunci del declino e del tramonto dell’Occidente di cui l’Europa è parte costitutiva essenziale. Lo farò elaborando la mia idea di Europa intorno a tre principi/valori che complessivamente ne hanno (in)formato la storia e che sono le stelle polari del suo/nostro futuro: l’Europa è pluralista, progressista, presbite.

Europa pluralista

Il pluralismo in Europa è stato una conquista faticosa e dolorosa, ma importantissima e non più cancellabile. Spesso penso che uno dei punti di forza dei greci antichi sia stato il pluralismo delle loro divinità. Il cristianesimo fu, al contrario, l’imposizione del monismo religioso che venne sfidato con successo da Martin Lutero che aprì un periodo difficile, ma importante di diversificazione dei credi religiosi. L’accettazione del pluralismo religioso, a cominciare da tutti coloro che per praticare la loro fede furono costretti a emigrare negli USA, aprì la strada al pluralismo politico, la premessa fondante delle pratiche della democrazia. Laddove, come nel mondo islamico, nessun pluralismo religioso è neppure lontanamente pensabile, ne consegue una pressione pesantissima, coronata da successo, al monismo politico, quindi a forme di dominazione autoritaria, di controllo sociale e culturale, di repressione con modalità caratterizzate dalla crudeltà (la più illiberale dei vizi come ha scritto memorabilmente Judith Shklar (1928-1992), grande filosofa politica: Vizi comuni, il Mulino, 1986).

    Il pluralismo politico si è accompagnato al pluralismo istituzionale, anche grazie a Montesquieu (1689-1755), L’esprit des lois (1748), variamente declinato nelle forme di parlamentarismo e presidenzialismo, esportate, imitate, emulate un po’ dappertutto nel mondo con la drammatica eccezione delle teocrazie islamiche, con al vertice la Repubblica islamica dell’Iran. Altrove, come in troppi casi africani, riscontriamo frammentazione oppure pluralità, che non è pluralismo, di etnie. Certamente, il contrario lampante del pluralismo politico è il totalitarismo del partito unico della Cina e, in misura inferiore, ma non per questo meno deplorevole e criticabile, il regime dispotico di Vladimir Putin in Russia.

    Il pluralismo politico e quello istituzionale sono conquiste sperabilmente e sostanzialmente irreversibili dell’Occidente e dell’Europa, qualche volta esportate con successo in diverse parti del mondo, meglio se popolate da Europei di prima, seconda, … quinta generazione. Entrambi i pluralismi stanno anche a tutela del tema dei diritti che sembra appassionare un po’ tutti, in special modo coloro che non sanno che istituzioni, associazioni e diritti stanno insieme e che il liberalismo è la cornice nella quale da circa tre secoli si incontrano e si scontrano le idee dei liberali e dei non liberali. Peraltro, gli illiberali sono facilmente riconoscibili in quanto non intendono sottoporre a nessun dibattito le loro poche, mal formulate, rozze asserzioni.

Ho già accennato al contributo che il pluralismo religioso ha dato al pluralismo politico. Nel corso del tempo abbiamo variamente imparato che esistono altri pluralismi di grande importanza e significato: pluralismo economico, pluralismo sociale, pluralismo culturale.

Sono tutti pluralismi che merita mettere in evidenza, difendere e promuovere e che trovano poco o punto riscontro fuori dell’Occidente tranne che fra gli oppositori, uomini e donne, dei regimi variamente autoritari. Intendiamoci sugli aspetti più rilevanti. Pluralismo economico significa che, da un lato, uomini e donne hanno il diritto di godere delle proprietà che spesso costituiscono il baluardo della loro autonomia e indipendenza. Dall’altro, che situazioni monopolistiche e oligopolistiche sono una sfida e talvolta uno sfregio al liberalismo. Altrettanto grande e forse persino più pericolosa è la sfida del liberismo che si oppone alla regolamentazione del mercato. Infatti, un mercato sregolato si trasforma rapidamente in un luogo di straordinaria produzione di posizioni dominanti e di distribuzione di privilegi che vanno ad impattare negativamente sul pluralismo politico e sulla competizione democratica. La regolamentazione del mercato è continuamente e continuativamente esposta alla valutazione dell’efficienza e dell’equità (fairness) nonché costantemente suscettibile di variazioni, adattamenti, aggiornamenti derivanti dalla mutazione delle preferenze dei cittadini. Keynes era un liberale; Hayek un liberista. Nell’Occidente hanno entrambi la loro cittadinanza scientifica, culturale, politica. Entrambi hanno argomentato da par loro che il capitalismo può essere coniugato con la democrazia liberal-costituzionale, ma Hayek sembra volerci dire che soltanto il liberismo può dare ospitalità alla democrazia capitalistica, mentre Keynes coglie tutti gli squilibri di quel rapporto e li raddrizza attraverso il ruolo e l’intervento dello Stato democratico. Da nessuna altra parte al mondo è stato sviluppato un pensiero democratico e economico altrettanto articolato quanto quello prodotto in Europa, applicato, raffinato e riveduto. In progress, tuttora.

   Qualsiasi discorso sul pluralismo deve inevitabilmente e giustamente fare i conti con la/le società. Troppo spesso i teorici del terzomondismo contrappongono alle società occidentali, caratterizzate da differenze e solcate da conflitti, l’esistenza di leggendarie comunità di villaggi e di stili di vita con uomini (le donne sono quasi sempre esclusi) che in conversazioni pubbliche raggiungono decisioni collettive soddisfacenti per tutti. In verità, quel che sappiamo è che quei villaggi e quelle comunità sono spesso oppressive, bocciano le diversità, impongono uniformità raramente condivise. Paradossalmente, le loro esperienze maggiormente “comunitarie” fanno parte della storia del mondo occidentale: la democrazia diretta a Atene, i town hall meetings delle cittadine USA delle origini a cavallo fra il 1700 e la metà dell’Ottocento. Però a Salem, Massachusetts, sicuramente i Puritani (come scritto da Arthur Miller, Il crogiuolo; Jean-Paul Sartre, Hius clos; Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta) imponevano cupo conformismo e assoluta ortodossia non pluralismo competitivo, non democrazia.

Nelle comunità si nasce. Per molti è difficile uscirne. Chi ci riesce racconta della fine di un senso di soffocamento, di acquisita libertà, non solo di scelta. Le società sono costruzioni variegate e mutevoli di uomini e donne che sono liberi nello scegliere i loro comportamenti. Sono l’esito delle decisioni individuali di mettersi insieme e di collaborare più o meno continuativamente, con un minimo di obbligazioni reciproche. Nelle democrazie europee l’associazionismo è diffusissimo, consustanziale. Costituisce anche un effettivo contrappeso al potere politico. Nel mondo non occidentale, si nasce, si vive, si muore in comunità di sangue, di etnia, di credi religiosi spesso non in competizione, ma in conflitto fino a vere e proprie guerre civili: Nigeria, Congo, Ruanda, Kenya, Sri Lanka.

Lo status delle donne non appartiene propriamente al discorso sul pluralismo, ma certo fa parte integrale di qualsiasi analisi che sappia, come dovrebbe, combinare diversità con equità (al limite, eguaglianza che preferisco coniugare al plurale). Se un paese non consente, anzi, impedisce alla metà circa della sua popolazione di acquisire e esercitare le sue capacità e conoscenze e di partecipare alla vita economica, sociale e politica, l’effetto negativo si abbatterà sull’intero sistema socio-economico e politico. Ruolo e status delle donne sono un potente indicatore del grado di civiltà conseguita in qualsiasi sistema politico.

Sappiamo che sono i talebani che negano qualsiasi diritto alle donne. Esistono talebani un po’ dappertutto e tuttora combattono violente battaglie di retroguardia, ma con il passare del tempo sono stati ampiamente ridimensionati in Europa tanto che possiamo dire con fiducia che i talebani non abitano più qui.

Europa progressista

Nel corso della storia l’Europa si è venuta caratterizzando, ovviamente con alti e bassi e con differenze fra i vari paesi, come continente del cambiamento, del miglioramento, del, oso ricorrere ad una parola oggi quasi bandita, progresso. Tutti i dati disponibili lo manifestano e lo dimostrano senza possibilità di smentite. Farò riferimento unicamente all’Indice dello Sviluppo Umano elaborato dalle Nazioni Unite e utilizzato a partire dall’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo. Si basa su tre indicatori compositi: aspettativa di vita, istruzione, reddito pro capite. Nei primi venti posti della graduatori fanno la loro comparsa soltanto sei paesi non europei: Hong Kong, Singapore, Australia, USA, Giappone, Israele, uno solo dei quali, Singapore, non è una democrazia.  

   In termini di progresso, l’Europa si caratterizza per avere costruito deliberatamente e gradualmente il più grande esperimento di efficace supporto alla vita delle donne e degli uomini: lo stato del benessere, il Welfare state, e per continuare a estenderlo, migliorarlo e perfezionarlo a fronte delle frequenti sfide economiche e sociali come demografia e immigrazione. Da nessuna altra parte al mondo come nell’Unione Europea le persone si sentono e sono altrettanto protette, come nell’espressione delle socialdemocrazie scandinave, “dalla culla alla tomba”. I cittadini degli USA, almeno quelli che guardano fuori dai loro confini, invidiano quanto in termini di protezione della salute e delle condizioni dei lavoratori è un’acquisizione sostanzialmente irreversibile in praticamente tutti gli Stati-membri dell’Unione.

L’Unione Europea è anche il migliore esempio della validità dell’affermazione: “le democrazie non si fanno la guerra”. Nasce per porre termine al conflitto fra Francia e Germania. Si espande aggregando paesi che la ritengono uno spazio di pace e prosperità. Continua la sua azione pacificatrice come i conflittuali Stati dei Balcani possono confermare con la loro adesione e con le domande in corso. Pur consapevole del giudizio che può sembrare tranchant, la Russia di Putin non avrebbe aggredito l’Ucraina se questo paese avesse fatto parte dell’Unione Europea.

Considerando la pace giusta, non quella imposta con le armi, ma quella che fa seguito alla concordanza di vedute e alla composizione dei dissidi, l’Unione Europea è certamente un ottimo esempio delle modalità con le quali si può e potrà giungere alla pace perpetua nella concezione di Immanuel Kant: attraverso la formazione di una Federazione di Repubbliche democratiche. Il processo cominciato nel fatidico 18 aprile 1951 con la formazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) non ha affatto esaurito la sua spinta propulsiva. Qualcuno potrebbe anche volere ricordare la risposta del Presidente della Francia François Mitterrand (1981-1995) a chi gli chiedeva quale estensione dovesse/potesse avere l’Europa politica: “dall’Atlantico agli Urali”. Non è affatto da escludere che questo sia un obiettivo da perseguire. Di tanto in tanto anche i Latinoamericani si interrogano sulla possibilità di fare sì che il Mercosur vada oltre la sua attuale configurazione di area di libero scambio economico. Il progresso conseguito dall’Europa rimane oggetto di emulazione.

Europa presbite

Prendo l’aggettivo presbite a prestito dal grande costituzionalista e costituente Piero Calamandrei (1889-1956) il quale così definiva la Costituzione italiana. Oggi sappiamo, a fronte di maldestri (sic) tentativi di riformarla a pezzi che, in effetti, la Costituzione ha saputo guardare lontano, e continua ad avere uno sguardo apprezzabilmente lungo. Anche l’Unione Europea, fin dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli (ex-comunista poi azionista), Ernesto Rossi (radicale) e Eugenio Colorni (socialista) si caratterizza per una prospettiva proiettata nel futuro che vuole costruire. Gli alti (vedere molto lontano: il Trattato di Maastricht 1992) si combinano con i bassi (sguardo corto: la celebrazione sottotono nel 2017 del 60esimo anniversario del Trattato di Roma, ma pur sempre orientato in avanti). Non è ancora possibile valutare quanto la Conferenza sul Futuro dell’Europa abbia indicato nuove vie da percorrere. Personalmente, sono rimasto affezionato alla triade: allargare, approfondire, accelerare. Gli allargamenti si sono succeduti e non sono affatto cessati. Gli approfondimenti risultano più difficili da delineare e da attuare anche se ricorrente è la suggestione di un’Europa a più velocità che, a mio modo di vedere, solleciterebbe molti governi a cercare davvero di correre dietro coloro che sappiano indicare strade e traguardi di ulteriore più stretta integrazione politica, sociale, di difesa, di intervento umanitario. Accelerare è quanto è stato imposto ad alcuni processi decisionali fin dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina. Ne valuteremo la persistenza ad alta velocità e i frutti al termine dell’aggressione. 

   Un’Europa che sa guardare lontano, che sa fare progetti, che s’impegna a camminare su strade anche impervie (quella della difesa e quella dell’energia) può essere criticata, motivatamente. Non può, e non deve, essere criticata per mancanza di progettualità. La vecchiaia, mi disse Norberto Bobbio alla soglia dei suoi novant’anni, è non potere più fare progetti. L’Unione Europea fa progetti. Non cessa di esplorare le alternative. Di interrogarsi e di chiamare in causa e coinvolgere gli europei. Di essere un polo di attrazione dall’Atlantico agli Urali e dall’Artico a Gerusalemme (si parla anche dell’adesione di Israele). Dipingerla come un insieme di istituzioni inadeguate e inefficaci, ripiegate su se stesse, affermare che l’Europa è in declino mi pare semplicemente sbagliato.

Chiudo. Ho elaborato molto sinteticamente alcuni punti. Sono consapevole che si può fare di più e di meglio. Ciascuno di quei punti, isolatamente e in un quadro d’insieme, può essere approfondito e ampliato. Il quadro ne risulterebbe persino più convincente. Another time another place. Nel frattempo, ai declinisti lascio l’onere della confutazione, sui fatti.

Gianfranco Pasquino è Professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna e socio dell’Accademia dei Lincei. Il suo libro più recente è Tra scienza e politica. Una autobiografia (UTET 2022).

Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei #trascrizioneintegrale Lecture Altiero Spinelli 2022 @CSFederalismo @CollegioCA

Lecture Altiero Spinelli 2022

Gianfranco Pasquino

Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei

Il Centro Studi sul Federalismo organizza, dal 2005, una Lecture intitolata ad Altiero Spinelli, uno dei Padri fondatori dell’Europa unita, autore con Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene.

La Lecture 2022 è stata organizzata insieme con la Fondazione Collegio Carlo Alberto

VIDEO Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei – Lecture Altiero Spinelli 2022 @CSFederalismo

Lecture Altiero Spinelli 2022

Gianfranco Pasquino

Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei

Il Centro Studi sul Federalismo organizza, dal 2005, una Lecture intitolata ad Altiero Spinelli, uno dei Padri fondatori dell’Europa unita, autore con Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene.

La Lecture 2022 è organizzata insieme con la Fondazione Collegio Carlo Alberto.

L’allargamento è coerente con il sogno europeo @DomaniGiornale

L’Europa non è e non è mai stata (solo) una espressione geografica. Sarebbe sufficiente leggere il libro del grande storico Federico Chabod, Storia dell’idea di Europa (Laterza 1961) per rendersene pienamente conto.

L’Unione Europea non è né un sogno né un’utopia. Gli autori del Manifesto di Ventotene (1941), soprattutto Altiero Spinelli, ma anche Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, non avrebbero esitazioni a respingere l’etichetta di sognatori, e la loro storia personale e politica testimonia impegno e concretezza.

Geograficamente, forse l’Europa non va dall’Atlantico agli Urali, come disse il Presidente francese François Mitterrand. Certamente, però, gli europei orientali, a cominciare dagli spesso molto criticati polacchi e ungheresi, lo dimostrano la loro storia e la loro cultura, i loro intellettuali e i loro dirigenti politici, anche quando è possibile e opportuno obiettare alle loro scelte, sono europei. Fanno parte a pieno titolo della storia e della politica, persino delle aspirazioni, degli (altri) europei. Debbo aggiungere “occidentali”? Ma, allora, dove sta la linea divisoria?

Il confine fra europei occidentali e europei orientali si colloca là dove cadde, prontamente denunciata da Winston Churchill, la cortina di ferro? Smantellata quella cortina, l’Unione degli europei occidentali avrebbe dovuto tenere a bada tutti coloro che nell’Europa orientale volevano, vollero produrre i requisiti socio-economici e anche politici necessari a soddisfare le condizioni per diventare Stati-membri dell’Unione? Oppure, come più volte, a mio parere in maniera convincente, ha sostenuto l’allora Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, l’allargamento fu, al tempo stesso, il riconoscimento della “europeità” di quelle donne e di quegli uomini, dei loro rappresentanti e dei loro governanti, ma anche la mano tesa per favorirne la crescita e la stabilizzazione democratica?

Questa motivazione vale ancora e anche per gli Stati che dai Balcani si trovano in uno stadio avanzato di paesi candidati e per l’Ucraina che sta iniziando una procedura inevitabilmente lunga, ma con la prospettiva di un esito positivo. Spinelli non si pose mai il problema dei confini dell’Europa federale che bisognava costruire per superare gli Stati nazionali portatori inevitabili di spinte alla guerra e per conquistare pace (giusta) e prosperità. Qualsiasi obiezione nei confronti dei cittadini e dei sistemi politici “orientali” che si fondi sulla inadeguatezza insuperabile di alcuni di loro alla democrazia e ai suoi (nostri) valori, non soltanto non trova nessuna traccia nel pensiero di tutti coloro che hanno contribuito a dare vita, a ampliare, a migliorare l’Unione Europea, ma contiene elementi di intollerabile etnocentrismo, al limite del razzismo, che certamente cozzano con i valori degli Europei.

Pubblicato il 10 maggio 2022 su Domani

INVITO Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei – Lecture Altiero Spinelli 2022 #Torino #5maggio @CSFederalismo @CollegioCA

Giovedì 5 maggio 2022 ore 17
Auditorium Castellino – Fondazione Collegio Carlo Alberto
Piazza Arbarello, 8 Torino

Lecture Altiero Spinelli 2022

Gianfranco Pasquino

Per una robusta e vibrante democrazia: ruolo e prospettive dei partiti europei

Il Centro Studi sul Federalismo organizza, dal 2005, una Lecture intitolata ad Altiero Spinelli, uno dei Padri fondatori dell’Europa unita, autore con Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene.

La Lecture 2022 è organizzata insieme con la Fondazione Collegio Carlo Alberto. Si svolgerà in presenza presso l’Auditorium della Fondazione Collegio Carlo Alberto.

In presenza: https://bit.ly/3DDRZcA Online: https://bit.ly/3r6k1s3 @CSP_live @MOVFEDEUROPEO

LOCANDINA INTERATTIVA

L’Europa secondo Cuperlo: dove rimane qualcosa di dignitoso @fattoquotidiano @giannicuperlo #RinascimentoEuropeo @ilSaggiatoreEd

Va preso alla lettera il sottotitolo del libro di Gianni Cuperlo, Rinascimento europeo (Milano, ilSaggiatore 2022). L’autore ha voluto scrivere “il libro dell’Europa che siamo stati, che siamo e che dobbiamo diventare”. Lo ha fatto in maniera elegante e accattivante, talvolta eccedendo nel brio della scrittura, sempre offrendo materiale e interpretazioni degne di essere discusse. La mia premessa è che l’Europa qui e ora, vale a dire l’Unione Europea, è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. Riduttivamente, Cuperlo afferma che è lo spazio “dove la vita di milioni di noi resta qualcosa di dignitoso” (19). Porrei l’accento sulle opportunità che la UE, anche in tempi di crisi economica e sanitaria, ha saputo offrire agli europei, e continuerà a farlo. Condivido appieno l’osservazione del grande storico francese delle Annales, Lucien Febvre, sintetizzata da Cuperlo: “L’Europa è una civiltà. E niente sulla terra è più in movimento di una civiltà” (41). Dunque, l’Europa non è una “utopia” poiché ha un luogo. Non è una mera espressione geografica poiché è fatta di cultura condivisa. Non è neppure un sogno poiché la sua esistenza è facilmente accertabile. La migliore definizione è che l’Europa, come fermamente volle Altiero Spinelli, con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, è un progetto politico: unificazione federale di Stati altrimenti bellicosi.

   Il libro di Cuperlo non può ovviamente tenere conto dell’aggressione russa all’Ucraina né questo recensore può trattare il fatto in poche righe. Credo, però, legittimo ritenere che se l’Ucraina fosse stata un paese membro dell’Unione Europea, la Russia di Putin non l’avrebbe attaccata. Nel suo ambito l’Unione Europea, nata per porre fine ai conflitti Francia/Germania, ha garantito la pace, offrendo anche nel corso del tempo prosperità. Qualsiasi civiltà in movimento deve affrontare problemi. Cuperlo non li sottace, ma li analizza con critiche ai comportamenti passati e soluzioni per le sfide presenti e future. L’obiettivo dichiarato è “abbattere la povertà”. Altrove, però, si esprime a favore della “difesa del continente politico” con “una lotta senza quartiere alle disuguaglianze” (184). I due obiettivi, strettamente collegati, non stanno in contraddizione. Semmai, sono le ricette per l’abbattimento che divergono. Per i liberisti soltanto un mercato totalmente aperto, “deregolamentato”, davvero e sempre competitivo potrebbe abbattere la povertà, fermo restando che chi rimarrà povero lo sarà per colpa sua.

   Cuperlo trae la sua proposta di soluzione dai keynesiani, post-keynesiani, neo-keynesiani: “una cura massiccia di welfare, nel senso di risorse aggiuntive per via fiscale” (123), combinando “lo sviluppo delle forze del mercato con le tutele sociali in capo a un’autorità espressa dalla sovranità del popolo” (144). Qui, inevitabilmente, fa la sua comparsa l’Europa politica, vale a dire le istituzioni dell’UE, la loro legittimità, funzionalità, democraticità. L’autore sembra talvolta propendere dalla parte di coloro che denunciano un, per me inesistente, deficit di democrazia nell’Unione e ne chiede una riformulazione “dove sulla frontiera dei diritti umani, a partire da quelli delle donne, si imbastisca la prossima stagione della nostra civiltà” (31), e dell’Unione stessa “da rifondare nella visione e anche nei trattati” (133). Più volte in più luoghi per quasi tutti i problemi l’autore chiama in causa il suo campo (largo?): la sinistra. Degna del suo nome, la sinistra dovrebbe impegnarsi in “pratiche redistributive”, costruire un “impianto di società”, formulare “un altro modo pensare” anche perché “l’Europa ha sete di una lingua dei fini” (197). Pur personalmente più preoccupato dai mezzi, concludo che Cuperlo ha scritto un racconto utilissimo, anche quando non condivisibile, impegnativo e di affascinante lettura.

Pubblicato il 12 marzo 2022 su Il Fatto Quotidiano

IL CASTORO | Gianfranco Pasquino sugli 80 anni del Manifesto di Ventotene #intervista

Intervista raccolta da Beatrice Gagliani

Compie 80 anni ma non si direbbe. Scritto al confino da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, il manifesto di Ventotene è considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna.
Perché Il Manifesto di Ventotene è considerato uno dei testi fondativi dell’Unione europea?
«Perché individua il problema e suggerisce soluzioni: il problema è l’esistenza degli stati nazionali che si sono combattuti devastando l’Europa e loro stessi e la soluzione è superare la loro suddivisione e andare nella direzione di uno stato sovranazionale, che si sarebbe chiamato prima Europa e poi Unione Europea. L’Ue è l’unica in grado di porre fine alle guerre intestine, attraverso la messa in comune di sovranità e di tutta una serie di altri strumenti per la prosperità comune».
Nel ‘41 Spinelli e Rossi scrivevano: «Gli spiriti sono ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federalista dell’Europa». Che ne è oggi di quella prospettiva?
«Nel ‘41 Spinelli e Rossi erano sorprendentemente ottimisti, perché allora infuriava la guerra. Era tutt’altro che scomparso il pericolo che il nazismo riuscisse a vincere anche contro l’Unione Sovietica. Oggi quella prospettiva rimane assolutamente viva, anzi ha fatto molti passi avanti, siamo nella direzione giusta, pur sapendo che gli egoismi nazionali continuano a esserci e si traducono in visioni sovraniste ormai assolutamente fuori luogo. Abbiamo fatto dei passi avanti, infatti l’Unione europea oggi, nonostante le politiche ungheresi e polacche, è il più grande spazio di diritti civili e politici e di libertà mai esistito al mondo».
 Cosa manca agli Stati Uniti d’Europa? Ci arriveremo?
«Manca ad esempio una politica fiscale comune, manca la possibilità di decidere con il voto a maggioranza su certe tematiche importanti. Su alcune, cruciali, bisogna decidere all’unanimità e ciò non rappresenta paradossalmente una procedura democratica, perché consente a uno stato di bloccare una decisione, sulla quale convergono gli altri 26. L’Europa ha già una cultura comune grazie a scienziati, letterati, pittori, scultori e musicisti, ma le manca ancora la convinzione di poter condividere una politica comune. È solo questione di tempo».
Sempre dal Manifesto: «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita». A suo parere, nell’attuale economia neoliberista e di mercato, l’Europa ha saputo garantire la giustizia sociale?
«Spinelli era un ex comunista, non credeva ancora che fosse possibile arrivare al socialismo. Oggi sappiamo che paesi come Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia attuano politiche socialdemocratiche e occupano i primi posti in tutte le classifiche riguardo al livello di benessere e di giustizia sociale. È giusto sostenere che un’Europa federale unificata garantirebbe meglio i diritti dei lavoratori? La risposta probabilmente è sì. Non è detto che la via sarà quella del socialismo, ma deve essere prioritaria la lotta contro le disuguaglianze e la battaglia per una società giusta».
Alla luce dell’evoluzione storico-sociale degli ultimi decenni, ritiene che gli autori abbiano intuìto come si sarebbero modificati i rapporti economici tra i Paesi del globo?  
«Non bisogna leggere quello che è stato scritto nel 1941 con gli occhi di oggi, ma cercare di capire quali erano i problemi che gli autori intendevano risolvere. Probabilmente con la loro intelligenza oggi sarebbero in grado di trovare alcune soluzioni a ciò che non funziona della globalizzazione, che di per sé non è un problema, ma un’opportunità».
Il Manifesto di Ventotene ha rappresentato un sogno utopico o si è fatto latore di un progetto politico realizzabile?
«Abitualmente combatto l’idea che l’Europa sia un’utopia. È piuttosto un progetto politico che si realizza con la capacità di coinvolgere i cittadini e le classi dirigenti, spingendoli nella direzione giusta».
Che cosa manca all’Europa attuale, rispetto a come l’avrebbero voluta gli estensori del testo?
«Manca una politica fiscale ed economica comune, la vera priorità della Ue. Al momento ci sono “disuguaglianze cattive”, come le chiama il presidente del Consiglio Mario Draghi, che devono essere sanate, mentre devono essere valorizzate le caratteristiche peculiari di ognuno, come avere più tempo libero da dedicare alla cultura, più spazio per l’immaginazione personale. Bisogna essere capaci di offrire opportunità adeguate in ogni momento della vita dei cittadini europei».

Pubblicata il 20 dicembre 2021 su settesere.it

L’ideologia democratica dell’UE alla prova più dura @DomaniGiornale 

 “Senza ideologie che strutturano le opinioni i populisti trovano spazio”. Questa affermazione di François Hollande, socialista, Presidente della Quinta Repubblica francese (2012-2017), coglie in pieno la situazione nella quale si trovano molti Stati-membri dell’Unione Europea e, in una certa misura, la stessa Unione. Nel caso italiano, se fosse rimasto qualcosa delle vecchie ideologie non vi sarebbero tanti elettori che si astengono dall’andare alle urne, che cambiano voto da un’elezione all’altra (più del 30 per cento), che decidono uno o due giorni prima del voto, se non la mattina stessa. I populisti si sono fatti largo quasi dappertutto in Europa, ma di più proprio dove non è più possibile parlare di “ideologie” che organizzano le opinioni. Per ovvie motivazioni legate all’Unione Europea, in Ungheria prima e di più, ma oggi molto anche in Polonia, si sono affermati leader, partiti e comportamenti populisti. In parte per opportunismo (Orbán contribuiva con i suoi voti e seggi alla vittoria dei Popolari Europei), in parte per malposta accondiscendenza nei confronti dei polacchi, troppo a lungo i capi degli altri Stati-membri e la stessa Commissione hanno tollerato violazioni più o meno palesi degli impegni che tutti gli Stati hanno assunto proprio per fare parte dell’Europa e per godere dei vantaggi, non solo economici, della loro appartenenza.

   A fondamento del Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli pose la sua convinzione, che era anche un ambizioso progetto politico, condivisa da Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, che i partiti europei non si sarebbero più distinti in destra e sinistra, ma fra quelli favorevoli all’unificazione politica dell’Europa e quelli che vi si sarebbero opposti. In una certa misura, l’europeismo è un insieme di idee, politiche e sociali, che potremmo assimilare ad una ideologia. Al sovranismo al momento è difficile, forse anche prematuro, attribuire la stessa qualifica. Però, esiste un punto che ha acquisito crescente rilievo. Quel complesso di idee europeiste posto a fondamento dell’Unione e dei suoi Trattati è sicuramente caratterizzato dalla piena accettazione dei principi democratici. L’Unione Europea è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. Le sue istituzioni, compresa la Corte Europea di Giustizia, proteggono e promuovono i diritti dei cittadini anche contro i rispettivi Stati nazionali. La violazione dei diritti dei cittadini in qualsiasi Stato nazionale ferisce l’Unione.

   Porre il diritto nazionale al di sopra del diritto dell’Unione fa cadere uno dei cardini dell’europeismo. L’Unione Europea ha una ideologia democratica, che, applicando le parole di Hollande, struttura (o dovrebbe strutturare) le opinioni e i comportamenti dei governanti, dei rappresentanti, dei cittadini. Quanto i governanti ungheresi e polacchi hanno fatto nei confronti dei mass media, delle università, del sistema giudiziario, delle opposizioni colpisce i principi democratici fondamentali sui quali l’Unione è stata costruita e che l’Unione ha promosso e ampliato. Più volte, il Parlamento europeo ha ribadito la centralità di quei principi e dell’ideologia democratica a loro sottostante. In gioco nello scontro fra Commissione e Polonia non c’è un pugno di Euro, anche se i populisti sono spesso molto sensibili al valore del denaro e dei benefici economici. Quello che l’Unione deve difendere e imporre richiedendo il rispetto delle leggi e degli accordi è “semplicemente” l’ideologica democratica. Quanto più la Commissione metterà in evidenza che la posta in gioco sono i valori democratici tanto più riuscirà a restringere lo spazio dei populisti.

Pubblicato il 2 novembre 2021 su Domani

A GESTIRE IL RECOVERY FUND DEVE ESSERE IL GOVERNO CONTE @stati_generali #intervista

Intervista raccolta da Valentina Saini

Professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna e Accademico dei Lincei, tra i politologi italiani più ascoltati, Gianfranco Pasquino è un attento osservatore della complessa (quando non convulsa) politica nostrana. Lo abbiamo intervistato per tirare le fila sugli equilibri politici del post-fiducia al Conte bis, e sulle certezze e le incognite dello scenario delicatissimo che a tutto questo fa da cornice: la pandemia da sconfiggere, il Recovery Plan da inviare a Bruxelles, il populismo, i rapporti con l’Unione Europea.

Professore, questo governo Conte è davvero un governo di minoranza come dicono alcuni?

I governi di minoranza sono i famosi “governi balneari”, e ce ne sono stati molti, fanno parte della storia italiana. Poco prima delle elezioni e poco dopo le elezioni c’erano governi che non avevano la maggioranza, ma che sapevano di poter contare sulla benevolenza degli alleati che prima o poi sarebbero entrati nella coalizione di governo.

Ma in merito a questo governo si tratta di una discussione fuori luogo, l’espressione fa parte di un lessico giornalistico che trovo assai fuorviante. Parlare di governo di minoranza significa che si potrebbe anche parlare di governo di maggioranza, il che è una stupidaggine: un governo è tale quando può contare sulla fiducia delle due camere, come sancisce l’articolo 94 della Costituzione. Ciò detto, basta guardare i numeri per accorgersi che attualmente non esiste una maggioranza superiore a quella ottenuta dal governo al Senato.

C’è chi ha fatto notare che “governo di minoranza” è un’espressione che rischia di delegittimare un governo già oggetto di forti attacchi populisti, anche sui social media; è così?

Sì, e infatti la usano tutti gli oppositori del governo. Cercano di delegittimarlo presentandolo come un governo che non rappresenta la maggior parte degli italiani. È un epiteto di cui si può fare decisamente a meno. Vorrei che i commentatori politici facessero un po’ più attenzione alle parole che usano e alle definizioni che affibbiano. Praticamente trovo le stesse parole su giornali diversi, il Corriere non ha parole diverse da Repubblica e qualche volta Repubblica non ha parole diverse da quelle del Giornale. Questo non va bene. Anche perché sono parole sbagliate, tutte incentrate sull’idea che questo non sia un governo eletto dalla gente. Ma non c’è nessun governo che esce dalle urne nelle democrazie parlamentari: i governi sono quelli di coalizione, si formano in Parlamento.

Non c’è dubbio però che il governo esca cambiato da questa crisi. È un governo debole a suo avviso?

Non dimentichiamo che [il vice-presidente della Commissione europea] Dombrovskis, notoriamente un falco, in pratica ha detto: fate attenzione, è questo il governo che deve fare le cose, cioè preparare il piano di ripresa e combattere la pandemia. E siccome Conte è quello che ha ottenuto i fondi, quei fondi li deve gestire un governo guidato appunto da Conte, non da qualcuno che non è in grado di avere dei buoni rapporti con l’Unione Europea.

Si parla moltissimo del tema delle commissioni parlamentari, del fatto che il governo potrebbe trovarsi in difficoltà. In realtà avrà delle difficoltà nelle commissioni solo se Italia Viva voterà con l’opposizione, o no?

Esattamente. Bisogna osservare bene gli elenchi dei componenti delle commissioni e vedere dove Italia Viva può essere decisiva. Stiamo poi parlando solo delle commissioni del Senato, perché alla Camera non dovrebbero esserci problemi. Inoltre io domando: in commissione Italia Viva è disposta a votare regolarmente con il centrodestra? Francamente mi parrebbe esiziale, e comunque inconciliabile con le loro dichiarazioni. Pertanto è un’ipotesi di scuola, come si suol dire, quella per cui il governo avrà dei problemi nelle commissioni, perché 98 volte su 100 Italia Viva o non voterà contro il governo oppure voterà a favore.

A suo avviso qual era l’obiettivo di Matteo Renzi? Perché ha fatto tutto ciò?

Prima di tutto perché pur essendo stato ridotto a più miti consigli non vuole rassegnarsi. Del resto è stato a capo di un partito che ha avuto il 40% dei voti alle elezioni europee del 2014, mentre ora si ritrova con il 2,8%, immagino che ne soffra e che il suo ego megalomaniaco sia in grande difficoltà.

Inoltre tutti o quasi i sondaggi danno Conte al di sopra del 50% del livello di approvazione, cosa che Renzi non ha mai avuto. L’attacco perciò era diretto al presidente del Consiglio, che per di più ricambiava snobbandolo, considerandolo poco più di una puntura di spillo. Questo riguarda i rapporti personali, è vero, ma dobbiamo ricordare a tutti che la politica è un fatto tra persone, per cui il modo in cui le persone si comportano e si valutano è importante.

E a livello politico?

Un primo intento era senz’altro cambiare presidente del Consiglio. Se fosse accaduto Renzi ne sarebbe stato molto soddisfatto. Ma Renzi aveva un obiettivo molto più significativo: scompaginare il PD, la cui maggioranza dei parlamentari, lo sottolineo, sono stati scelti da lui per le elezioni del 2018, quando era ancora segretario del PD. Voleva richiamarli all’ordine, ricordando loro chi li ha candidati e quindi a chi devono essere ancora riconoscenti in qualche modo. E voleva anche scompaginare il Movimento 5 Stelle, non a caso continua a tornare sul Mes sanitario. I 5 Stelle hanno risposto di no al Mes, ma al loro interno qualcuno è disponibile, perché il M5S si sta muovendo verso una piena accettazione dell’Europa. Renzi voleva scompaginare queste due forze e acquisire automaticamente una posizione più rilevante. Un obiettivo che mi pare non abbia conseguito.

Aggiungerei che forse, se lui remasse davvero contro anche nelle commissioni, una parte dei suoi parlamentari non lo seguirebbe più.

Che idea si è fatto di Giuseppe Conte?

Ha dimostrato di essere capace di tenere insieme due coalizioni molto diverse, un pregio non marginale, ed è stato piuttosto vigoroso nel contrastare Salvini, un altro pregio. Nel corso del tempo ha anche dimostrato di avere imparato molto e di continuare a imparare, il che mi pare un ulteriore grande pregio. Siamo in una situazione in cui difficilmente sarei in grado di suggerire un nome diverso, migliore di lui, nel Parlamento italiano o anche nei dintorni.

Il nome di Draghi circola parecchio.

Mario Draghi è certamente una persona di grande intelligenza e grandi capacità, ma di politica, a mio avviso, sa molto poco. Quindi avrebbe la necessità di un periodo di apprendistato, un anno, un anno e mezzo, e non ce lo possiamo permettere. Draghi potrebbe invece essere il commissario alla ricostruzione, potrebbe essere un gande presidente della Repubblica, perché darebbe un’immagine europeista dell’Italia all’estero, ma non è un capo di governo.

L’azione di governo esce ostacolata da questa crisi?

Io credo che i partiti che sostengono il governo sanno che adesso devono essere ancora più attivi, ancora più vigili, incisivi e dinamici. La lezione è questa: dovete saper andare avanti con maggior rapidità. A quel punto anche i parlamentari europeisti di Forza Italia e gli altri sparsi, probabilmente, appoggeranno il governo. Se pensano alle sorti dell’Italia, ma qualche volta anche legittimamente alle loro sorti, è meglio che appoggino questo governo e che dimostrino il loro europeismo anche con il voto. Devo dire che mi ha preoccupato molto il no di Emma Bonino [al voto di martedì sulla fiducia al governo].

Secondo lei in tutto questo quanto conta che a fine luglio inizia il semestre bianco?

Il semestre bianco impedisce di sciogliere il Parlamento, ma se il governo entra in una fase di caos può comunque essere sostituito, anche nel semestre bianco. Peraltro, non vedo l’alternativa, per quanto Giorgetti dica a Salvini che deve essere meno antieuropeista. Questo non basta certo a far cambiare idea a Salvini, e credo che non basterebbe a far cambiare idea neanche alla maggior parte dei leghisti. Che, non dobbiamo dimenticarlo, nascono come indipendentisti, quindi non riusciranno mai a diventare europeisti.

Certo, l’elezione del capo di Stato è una partita cruciale.

Assolutamente sì perché il capo dello Stato viene eletto per sette anni, quindi è la persona che sovrintenderà all’ultimo anno della legislatura in corso, e che darà l’incarico al prossimo Presidente del Consiglio. È davvero uno snodo fondamentale. Fra l’altro perché è necessaria la maggioranza assoluta per eleggere il capo dello Stato e in queste condizioni, visto che contano anche i delegati delle regioni, la maggioranza assoluta non sarà affatto facile da raggiungere.

La posizione sull’Europa dei vari partiti sarà una variabile importante?

Io ho l’impressione che stia per arrivare il momento che Alfiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni indicarono nel Manifesto di Ventotene. Che la linea divisiva non sarà più fra progressisti e reazionari bensì fra coloro che sono a favore dell’unificazione politica dell’Europa e coloro che sono contrari. Non sono sicuro che gli europeisti nel Parlamento italiano ne siano consapevoli, ma se lo sono o lo diventano, allora dovrebbero intraprendere una battaglia vera per spiegare che cos’è l’Europa, quali compiti ha già svolto e quali può ancora svolgere, anche con un’attiva partecipazione italiana. Vorrei che si sviluppasse un’azione culturale intensa, mi piacerebbe anche sentire dagli intellettuali italiani cosa pensano dell’Europa. Vorrei capire se hanno imparato la vera lezione: che fuori dall’Europa non c’è salvezza. Extra Europam nulla salus.

Pubblicato il 22 gennaio 2021 su glistatigenerali.com

Svolta europeista per salvare il governo Conte

La ricerca di una maggioranza più solida a sostegno del governo Conte, quello esistente, ma, eventualmente, anche quello futuro, si presenta tutt’altro che facile. Deve evitare di dare vita a una situazione “raffazzonata” e “raccogliticcia”, vale a dire, senza principi condivisi e con parlamentari di varia provenienza tenuti insieme soltanto dal desiderio, pur legittimo, di non andare a elezioni anticipate e non perdere il seggio. Inoltre, quel gruppo/gruppetto ha bisogno, a norma di regolamento, del nome di un partito presentatosi alle elezioni del marzo 2018. La scoperta che l’on Cesa, capo dell’UDC, potrebbe essere coinvolto in attività della ‘ndrangheta in Calabria rende improbabile l’utilizzazione di quel nome e simbolo anche se, forse, potrebbe facilitare la migrazione di senatori che vi si siano identificati.

Uno dei punti di forza del discorso e del governo Conte è il richiamo all’Unione Europea. Grazie all’impegno e alla credibilità del Presidente del Consiglio l’Italia potrà disporre di 209 miliardi di Euro, 129 sotto forma di prestiti a bassissimi tassi di interesse e 80 come sussidi da non restituire. Questa massa di soldi arriveranno all’Italia una volta valutati i programmi di investimenti in alcune aree privilegiate, dall’economia verde alle infrastrutture, dalla digitalizzazione alla coesione sociale, i loro tempi, la loro fattibilità. Vi si possono aggiungere 36-37 miliardi di Euro del MES esclusivamente per spese sanitarie dirette e indirette. Finora il Movimento 5 Stelle ha opposto un rigido rifiuto e, non casualmente, Renzi ha posto l’accento sull’utilità di un ricorso immediato al MES che è anche la posizione del Partito Democratico e di Forza Italia. Dunque, dire sì al MES può significare inserire un’utile contraddizione nello schieramento di centro-destra e mandare un messaggio positivo ai senatori/senatrici di Forza Italia in condizione di disagio.

Il nucleo portante della rinnovata azione di governo, quella che giustificherebbe anche una maggioranza più coesa e indispensabilmente allargata è proprio costituito da una decisa svolta europeista. Conte potrebbe sfidare ItaliaViva ad essere coerente su questo terreno e incoraggiare la formazione di un gruppo di parlamentari di diverse provenienza, ma tutti orientati a mettere in evidenza la loro comune posizione europeista. Lì potrebbe trovarsi il sen. Nencini, socialista; lì potrebbe giungere la sen. Bonino della lista Più-Europa; lì finirebbero anche gli ex-democristiani che sempre furono europeisti nonché gli europeisti di Forza Italia. Un gruppo di questo genere darebbe un contributo positivo essenziale al rafforzamento numerico, ma anche politico del governo.

Nel 1941 l’ex-comunista Altiero Spinelli, il radicale Ernesto Rossi, il socialista Eugenio Colorni scrissero che sarebbe venuto il tempo di sostituire alla declinante differenziazione “destra/sinistra” quella fra i contrari all’unificazione politica dell’Europa e i favorevoli. Ottanta anni dopo a Conte si presenta l’opportunità di contribuire alla realizzazione di questa profezia.

Pubblicato AGL il 22 gennaio 2021