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L’Europa secondo Cuperlo: dove rimane qualcosa di dignitoso @fattoquotidiano @giannicuperlo #RinascimentoEuropeo @ilSaggiatoreEd

Va preso alla lettera il sottotitolo del libro di Gianni Cuperlo, Rinascimento europeo (Milano, ilSaggiatore 2022). L’autore ha voluto scrivere “il libro dell’Europa che siamo stati, che siamo e che dobbiamo diventare”. Lo ha fatto in maniera elegante e accattivante, talvolta eccedendo nel brio della scrittura, sempre offrendo materiale e interpretazioni degne di essere discusse. La mia premessa è che l’Europa qui e ora, vale a dire l’Unione Europea, è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. Riduttivamente, Cuperlo afferma che è lo spazio “dove la vita di milioni di noi resta qualcosa di dignitoso” (19). Porrei l’accento sulle opportunità che la UE, anche in tempi di crisi economica e sanitaria, ha saputo offrire agli europei, e continuerà a farlo. Condivido appieno l’osservazione del grande storico francese delle Annales, Lucien Febvre, sintetizzata da Cuperlo: “L’Europa è una civiltà. E niente sulla terra è più in movimento di una civiltà” (41). Dunque, l’Europa non è una “utopia” poiché ha un luogo. Non è una mera espressione geografica poiché è fatta di cultura condivisa. Non è neppure un sogno poiché la sua esistenza è facilmente accertabile. La migliore definizione è che l’Europa, come fermamente volle Altiero Spinelli, con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, è un progetto politico: unificazione federale di Stati altrimenti bellicosi.

   Il libro di Cuperlo non può ovviamente tenere conto dell’aggressione russa all’Ucraina né questo recensore può trattare il fatto in poche righe. Credo, però, legittimo ritenere che se l’Ucraina fosse stata un paese membro dell’Unione Europea, la Russia di Putin non l’avrebbe attaccata. Nel suo ambito l’Unione Europea, nata per porre fine ai conflitti Francia/Germania, ha garantito la pace, offrendo anche nel corso del tempo prosperità. Qualsiasi civiltà in movimento deve affrontare problemi. Cuperlo non li sottace, ma li analizza con critiche ai comportamenti passati e soluzioni per le sfide presenti e future. L’obiettivo dichiarato è “abbattere la povertà”. Altrove, però, si esprime a favore della “difesa del continente politico” con “una lotta senza quartiere alle disuguaglianze” (184). I due obiettivi, strettamente collegati, non stanno in contraddizione. Semmai, sono le ricette per l’abbattimento che divergono. Per i liberisti soltanto un mercato totalmente aperto, “deregolamentato”, davvero e sempre competitivo potrebbe abbattere la povertà, fermo restando che chi rimarrà povero lo sarà per colpa sua.

   Cuperlo trae la sua proposta di soluzione dai keynesiani, post-keynesiani, neo-keynesiani: “una cura massiccia di welfare, nel senso di risorse aggiuntive per via fiscale” (123), combinando “lo sviluppo delle forze del mercato con le tutele sociali in capo a un’autorità espressa dalla sovranità del popolo” (144). Qui, inevitabilmente, fa la sua comparsa l’Europa politica, vale a dire le istituzioni dell’UE, la loro legittimità, funzionalità, democraticità. L’autore sembra talvolta propendere dalla parte di coloro che denunciano un, per me inesistente, deficit di democrazia nell’Unione e ne chiede una riformulazione “dove sulla frontiera dei diritti umani, a partire da quelli delle donne, si imbastisca la prossima stagione della nostra civiltà” (31), e dell’Unione stessa “da rifondare nella visione e anche nei trattati” (133). Più volte in più luoghi per quasi tutti i problemi l’autore chiama in causa il suo campo (largo?): la sinistra. Degna del suo nome, la sinistra dovrebbe impegnarsi in “pratiche redistributive”, costruire un “impianto di società”, formulare “un altro modo pensare” anche perché “l’Europa ha sete di una lingua dei fini” (197). Pur personalmente più preoccupato dai mezzi, concludo che Cuperlo ha scritto un racconto utilissimo, anche quando non condivisibile, impegnativo e di affascinante lettura.

Pubblicato il 12 marzo 2022 su Il Fatto Quotidiano


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