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Avanti con l’Unione Europea #introduzione a Massimo Riva, L’Europa che non c’è, Pisa University Press
Avanti con l’Unione Europea
L’Unione Europea è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. Non ha una Costituzione, come le rimprovera amaramente Massimo Riva, ma neppure la vecchia Gran Bretagna, vero, inimitabile modello politico per tutti i sinceri democratici, ha una costituzione scritta. Laddove i britannici fanno riferimento agli Atti del Parlamento, alle sentenze della magistratura e alle loro tradizioni, gli europei sanno di potere contare sui Trattati approvati nel corso di 75 anni di vita, in particolare sull’ultimo, il Trattato di Lisbona (2007), che nei suoi articoli ha certamente rango costituzionale.
Quello spazio ha garantito ad almeno oramai tre generazioni di europei quello di cui i Padri Fondatori e i loro predecessori, nonni e bisnonni, non avevano potuto mai godere: pace, e prosperità. Nessuna guerra ha avuto luogo fra potenze che avevano causato due guerre mondiali e tutti i paesi che hanno aderito nelle diverse fasi all’Unione sono oggi più prosperi. Sono anche democratici essendo la democrazia uno dei requisiti essenziali per l’adesione e la permanenza. In seguito all’aggressione russa all’Ucraina gli europei si sono resi dolorosamente conto che la pace e la prosperità vanno difese oggi, e domani, con una politica armata comune. Riva ha parole giustamente sprezzanti nei confronti dei pacifisti. Le condivido poiché, fra l’altro, ritengo che i pacifisti indeboliscono l’Unione Europea, sono nemici del processo di unificazione che deve essere protetto anche da sistemi di difesa comune, e perché un’Unione indifesa non sarebbe in grado di svolgere nessuna attività di pace.
Mi pare molto importante ricordare a tutti, non solo ai cosiddetti “sovranisti”, più o meno orgogliosi, e agli euroscettici, più o meno ignoranti, che il sistema politico-istituzionale dell’Unione Europea configura una democrazia di buona qualità. Ha un tutt’altro che inutile e non debole Parlamento che offre efficace rappresentanza ai cittadini dei ventisette Stati-membri grazie ai parlamentari da loro eletti e contribuisce notevolmente alle attività della Commissione Europea. A sua volta la Commissione, che può essere considerata il braccio esecutivo, il motore dell’Europa, è un organismo che esprime al meglio, con un commissario per Stato membro, le preferenze e gli interessi degli Stati-membri, portandoli al livello superiore, cioè quello europeo.
Condivido con Riva l’insoddisfazione nei confronti della Commissione attuale e soprattutto della Presidente in carica, che mi pare fin troppo appagata dal suo essere oramai entrata nella storia. Ma se il convento, ovvero i governi degli Stati-membri, non ha passato di meglio, non è giusto criticare l’Unione Europea. Piuttosto dobbiamo interrogarci sul declino della qualità del personale politico europeo a tutti i livelli. Certo, però, gli USA dimostrano che è possibile fare peggio, molto peggio.
Chi critica la democrazia nella e della Unione Europea abitualmente ha due (facili) bersagli: il Consiglio dei capi di Stato e di governo e il voto all’unanimità. Quanto al Consiglio bisogna volere e sapere distinguere. La sua composizione è sicuramente democratica. Ciascuno dei capi di governo è espressione della maggioranza elettorale e politica del suo paese. Se perde la maggioranza lui/lei sarà sostituito da chi ha conquistato la maggioranza. Meglio di così francamente non si può. Preoccupante, piuttosto, è il funzionamento del Consiglio, in particolare, il fatto che su determinate materie, ad esempio, la politica estera e di difesa e la politica fiscale, per decidere è indispensabile l’unanimità.
Tantissimi anni fa ho imparato da Norberto Bobbio che l’unanimità non è una procedura democratica di voto. In pratica serve a difendere lo status quo, gli interessi acquisiti. Con grande generosità potremmo sostenere che l’unanimità è l’arma che consente ai piccoli di non venire schiacciati dai potenti. Poiché, però, ne sappiamo di più dobbiamo subito aggiungere che, politicamente, troppo spesso la procedura di voto unanime contiene deplorevoli possibilità di manipolazione e ricatto e consente di metterle in atto.
C’è manipolazione, a monte, quando, per lo più informalmente, un capo di governo fa sapere che quella specifica decisione sarà da lui bloccata a meno che venga (ri)scritta seguendo le sue preferenze. C’è vero e proprio ricatto quando, di fronte ad una proposta elaborata dalla Commissione, un capo di governo fa sapere, più o meno trasparentemente, che non la voterà a meno che gli venga dato qualcosa in cambio. L’ungherese Viktor Orbán ha frequentemente, cinicamente fatto ricorso sia alla manipolazione sia al ricatto, spesso ottenendo quel che voleva oppure bloccando quel che non gradisce. Naturalmente, è molo probabile che, informalmente e riservatamente, anche altri capi di governo abbiano tratto vantaggio dalla loro indispensabilità con qualche scambio improprio.
Da qualche tempo esiste un accordo diffuso sulla opportunità di abolire del tutto il voto all’unanimità, ma, al proposito, il gatto si morde la coda. Infatti, per abolire l’unanimità è necessario un voto all’unanimità! Comunque, sono convinto che è solo questione di tempo (ma anche di insondabili volontà politiche). Succederà.
Peraltro, si potrebbe procedere anche altrimenti, ad esempio, come suggerisce Riva e come condiviso da molti, me compreso, progettando e ponendo in essere una Europa a più velocità. Più materie importanti decise da chi ci sta perché vuole avanzare verso maggiore integrazione più rapidamente è una soluzione sulla quale saggiare la convergenza di quanti e quali Stati membri. Disponiamo già di un esempio più che positivo: l’Euro moneta comune di 20 dei 27 Stati membri. Quel che si è fatto per l’Euro potrebbe essere fatto anche per altri ambiti: banche, fisco, tassazione dei colossi del web, difesa, immigrazione? Non partiamo da zero e sulla scorta delle preziose indicazioni contenute nell’importante Rapporto Draghi, l’Unione Europea potrebbe fare passi da gigante, proprio come vorrebbe Massimo Riva.
Aggiungo quella che a mio modo di vedere è molto più che una postilla. Le decine di milioni di migranti che rischiano la vita per approdare in Europa fanno giorno dopo giorno un omaggio incommensurabile all’Unione Europea e, naturalmente, anche all’Italia. Non è soltanto un omaggio alle opportunità di lavoro, ma anche alle condizioni e alle prospettive di vita per loro e i loro figli. Non sottovalutiamo queste motivazioni.
Cosa manca, dunque, per procedere e che cosa sarebbe necessario? Fermo restando che i sovranisti, che chiedono a gran voce che la loro Nazione si riappropri della sovranità, si badi, non perduta, ma consapevolmente ceduta ieri e condivisa oggi a livello europeo, praticano un balordo gioco di interdizione, quel che è indispensabile è una leadership all’altezza. E allora, mi esibisco nel wishful thinking, nel rendere pubblici i miei pii desideri nella aspettativa più che fondata che l’autore di questo libro li condivida.
Vedo due carenze, entrambe significative entrambe rimediabili nessuna delle due adeguatamente discussa nel dibattito pubblico e solo sfiorate da Massimo Riva. La prima carenza è stata ampiamente evidenziata dal Rapporto stilato da Enrico Letta (Molto più di un mercato, Bologna, il Mulino, 2024). Consiste nel mancato completamento del Mercato Unico. La strada rimane tracciata, ma troppi governanti europei e troppi alti burocrati a Bruxelles e dintorni non sembrano particolarmente dinamici e innovativi. C’è molto che si può e si deve fare, forse, a questo punto, costretti ad agire anche per dare risposte efficaci ai dazi scelleratamente (im)posti dal Presidente Trump. La seconda carenza riguarda la leadership.
Tutt’altro che priva di capacità e qualità, Ursula von der Leyen ha iniziato il suo secondo mandato (2024-2029) forse troppo preoccupata dalla consapevolezza che la maggioranza che la ha rieletta e la sostiene è meno coesa e meno convintamente europeista. Di conseguenza, la Presidente non si spinge avanti, non cerca di innovare, non vuole rischiare contraccolpi e indebolimenti. Comportamento comprensibile, ma, soprattutto nell’attuale situazione internazionale che richiede iniziative, dannoso.
Quello della leadership politica e democratica è sempre stato, solo da ultimo a livello delle istituzioni europee, un problema molto complesso. In quanto professore di Scienza politica mi sento autorizzato a sostenere che le grandi leadership, quelle che fanno la differenza, emergono in tempi di crisi gravi e in seguito a conflitti seri e profondi. Anche se non ci troviamo in un periodo brillante, l’Unione europea non è a questo stadio. Se, però, crediamo che il problema della leadership esiste, personalmente ne sono convinto, allora bisognerà pensare a modalità elettive della Presidenza che siano in grado di dare una risposta in termini di coinvolgimento dei cittadini europei, di maggiore partecipazione, di effettiva influenza. Con qualche nostalgia vorrei discuterne con Jean Monnet (1888-1979) e con Altiero Spinelli (1907-1986) le capacità e le energie dei quali si sommarono molto positivamente. Suscitata la vostra curiosità, non svelo le mie carte. Attendo per farlo che Riva voglia andare oltre quanto ha qui utilmente scritto fra passione e delusione. Si può; si deve. Buona lettura.
Bologna (Europa), agosto 2025 Gianfranco Pasquino
Introduzione a
Massimo Riva, L’Europa che non c’è, Pisa University Press, 2025,
PP- 7-11

PP- 7-11
INVITO Quale Europa per gli scenari attuali? #26aprile #Borgomanero (NO)
Sabato 26 Aprile 2025 ore 21
Casa della Carità, Piazza XXV Aprile, 18
Borgomanero (NO)
Incontro con Gianfranco Pasquino parlando di attualità da Ventotene a oggi a partire dai suoi libri
IN NOME DEL POPOLO SOVRANO
POTERE E AMBIGUITÀ DELLE RIFORME IN DEMOCRAZIA
Interviene Giovanni Cerutti, Direttore Biblioteca Marazza

Quelli che l’Europa di Ventotene #ParadoXaforum

“L’Europa di Ventotene”, ha affermato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, “non è la mia Europa”. Non avrebbe certamente potuto esserlo poiché lei non si sarebbe mai trovata fra i confinati a Ventotene, ma certamente a Roma fra i confinatori fascisti. Perché gli alleati del regime fascista che metteva in galera e confinava i suoi oppositori erano proprio i nemici dell’Europa di Ventotene. A nome del Führer sovranista, Adolf Hitler: Deutschland über alles (traduzione MAGA, Make Alemania Great Again), il suo ministro degli Esteri von Ribbentrop firmava un patto di non belligeranza e di spartizione della Polonia con il ministro degli Esteri sovietico, Molotov che agiva in nome del suo capo sovranista (“socialismo in un solo paese”) Josif Stalin. Allontanatosi del PCI e critico severissimo di quel Patto, Spinelli veniva evitato dai comunisti persino nelle passeggiate quotidiane nella piccola isola.
No, Meloni non avrebbe mai potuto condividere un Manifesto scritto da esponenti delle culture politiche impegnate con il pensiero e le azioni in una verticale opposizione al fascismo e al suo nazionalismo aggressivo: Ernesto Rossi, radicale della componente di Giustizia e Libertà. Eugenio Colorni socialista nel solco tracciato da Giacomo Matteotti. Altiero Spinelli, es-comunista, poi azionista, infine, battitore libero, enfasi su entrambe le parole, di sinistra. Sono tre culture minoritarie nell’Europa di oggi e ancor più nell’Italia di Meloni che, comunque, non è culturalmente in grado di contrapporre nessun Manifesto alternativo. Certo, Spinelli, Rossi e Colorni desideravano che la proprietà privata fosse anche politicamente controllata e posta al servizio di obiettivi pubblici. Certo, Spinelli, Rossi e Colorni erano convinti che la spinta alla mobilitazione dell’opinione pubblica a favore dell’Europa dovesse venire dall’alto, da chi si impegnava per l’unificazione politica federale: gli Stati Uniti d’Europa. Era e rimane un problema di leadership la cui mancanza è fortemente sentita nell’Europa di oggi.
Quell’Europa di Spinelli, Rossi e Colorni avrebbe dovuto portare pace e prosperità, lo ha fatto, ma anche sapere difendersi. Dissentendo ancora una volta dal Partito Comunista Italiano, che pure lo aveva fatto eleggere come indipendente al Parlamento europeo nel 1979, Spinelli sostenne la necessità dell’installazione dei missili americani Pershing come difesa nei confronti dei missili posizionati dai sovietici. Con lui stava il Cancelliere tedesco socialdemocratico Helmut Schmidt, e oggi starebbe il gruppo parlamentare europeo Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici che ha approvato il progetto di difesa militare comune presentato dalla Presidente von der Leyen.
Non stupisce che Giorgia Meloni abbia una visione dell’Europa diversa da quella di Spinelli, Rossi, Colorni. Anche mascherato il non solo suo sovranismo è l’opposto dell’europeismo. Stupisce, invece, che metà degli europarlamentari del Partito Democratico si siano espressi con l’astensione su un voto importante. Lo Spinelli del Manifesto di Ventotene, che ho conosciuto, ho letto, ho seguito nella sua indefessa battaglia politica, e i suoi co-autori, avrebbero risposto con un chiaro e argomentato voto a favore. Poi avrebbero contribuito a migliorare quel progetto, da dentro, non soltanto con la retorica.
Pubblicato il 24 marzo 2025 su ParadoXaforum
I partiti e l’Europa piegata al solo “raccattare” voti @DomaniGiornale

In Italia, le divisioni all’interno della coalizione al governo e nell’ambito delle opposizioni su come stare in Europa e che cosa fare sono, in buona misura, fisiologiche. Infatti, sono gli italiani stessi a essere divisi e, quasi inevitabilmente, i partiti tendono a cercare quegli elettori e a dare loro rappresentanza tutto sommato, a bocce ferme, sostanzialmente fedele. Ma le bocce non stanno mai ferme né sul territorio italiano né su quello europeo. Anzi, da alcuni anni, il gioco, politico, economico, sociale, militare sul territorio europeo è diventato pericolosamente dinamico. Privi di una solida visione dell’Europa che vogliono e di una cultura politica federalista oppure davvero sovranista, i partiti italiani rincorrono in maniera trafelata gli avvenimenti e reagiscono in maniera spesso scomposta alle sfide. Non può bastare riesumare, di volta in volta, quel documento tanto importante quanto poco letto che è il Manifesto di Ventotene. Vigorosamente e sarcasticamente, com’era nel suo stile, Altiero Spinelli rimprovererebbe a tutti l’opera di imbalsamazione di un testo da lui stesso superato nei fatti e nelle azioni. Ricorderebbe anche che soltanto chi ha chiaro l’obiettivo, che per lui era la federazione politica europea, gli Stati Uniti d’Europa, può permettersi di valutare con quel criterio le scelte fatte e da fare nonché la bontà, l’utilità, la necessarietà degli obiettivi intermedi.
Quello cui assistiamo in Italia è la produzione di reazioni, non risposte, ad hoc, contingenti e opportunistiche. Non sono le convinzioni, pro o contro l’Europa (con l’obbligo politico dei contrari a spiegare la loro posizione e a indicare le alternativa) a dominare il dibattito pubblico. Sono le convenienze di breve respiro in termini elettoralistici. Un pugno di voti in più cerca Salvini che non può certo allinearsi sulle acritiche posizioni europeiste di Forza Italia né mettersi a ruota del sovranismo (Make Italy Great Again) flessibile, ma credibile, della Presidente del Consiglio. Uno spazio, forse uno sprazzo di visibilità vuole Conte giustamente temendo che parte di potenziali elettori del Movimento 5 Stelle sentano il richiamo di Elly Schlein la quale un po’ va dove la porta il cuore un po’ dove crede ci sia qualche voto in più.
Poi, certo un po’ tutti tranne, forse si meritano la citazione, i parlamentari leghisti Alberto Bagnai e Enrico Borghi, riconoscono e applaudono l’alta statura europeista di Mario Draghi al quale sottrassero il potere politico che lo rendeva ancora più incisivo sulla scena europea con effetti positivi e ricadute benefiche sulla Nazione. Rimane che le ricomposizioni al minimo comun denominatore nel governo sono molto più probabili, Salvini ha imparato a sue spese quando deve smettere di tirare la corda per non trovarsi del tutto privo di potere (e di cariche e seggi), di un riavvicinamento Cinque Stelle-Partito Democratico.
Quel che opinionisti, politici e burocrati (sic) europei vedono è una “Nazione” non del tutto affidabile nella quale non esiste il consenso di fondo su nessuna delle scelte importanti, oggi la difesa comune, nella quale i partiti non orientano e non guidano l’opinione pubblica, non cercano di “educarla” all’europeismo, ma vogliono leggerne nelle espressioni viscerali per blandirle e ottenerne il voto, occasione dopo occasione.
La preoccupazione dominante di Spinelli non riguarderebbe tanto la distanza che intercorre fra quello che lui (con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni) consegnò al Manifesto e l’incapacità di chi si richiama a quelle posizioni di tradurle in pratica. Proprio perché faticosamente, fra molte sconfitte, diventato saggio, come dal titolo della sua autobiografia, Spinelli vorrebbe (e con lui molti, non solo italiani) che fossero i leader politici a porsi alla guida dell’opinione pubblica europea. Non poche sono le circostanze nelle quali alla leadership si chiede, si impone di guardare e di vedere lontano. Se non ora, quando?
Pubblicato il 19 marzo 2025 su Domani
Su Stellantis hanno tutti torto. La crisi si supera solo in Europa @DomaniGiornale

Il caso è Stellantis oppure è Carlos Tavares? Sicuramente, per il suo ruolo di capo e per la sua ingente liquidazione (100 milioni di Euro paiono spropositati a prescindere e già sono un problema in sé), Tavares merita il massimo dell’attenzione e della riprovazione. Ma non unicamente. Le difficoltà di Stellantis sotto la costosa gestione di Tavares derivano da scelte sbagliate sulle quali, a cominciare dai proprietari e quindi da John Elkann e dagli azionisti, pochi, forse nessuno, hanno sostanzialmente, tempestivamente fatto obiezione. Stabilire una graduatoria dei “disattenti” e degli opportunisti e quindi anche degli (ir)responsabili è utile poiché può servire a mettere in guardia per il futuro. Anche se vistisi sempre negare da Tavares il ruolo di interlocutori, i sindacati dovrebbero comunque interrogarsi se e come, oltre alla legittima difesa dei livelli occupazionali, non sarebbe opportuno da parte loro esercitarsi anche in approfondimenti concernenti la produzione, tipo e quantità, e l’immissione di quali modelli automobilistici sul mercato.
Mi pare sia giusto chiamare a rispondere del loro (in)operato anche i ministri che si occupano di economia e di industria. Tuttora preda di qualche sudditanza psicologica e un tantino anche politica nei confronti di quella grande compagnia automobilistica? Per la Confindustria parla il devastante editoriale del “Sole 24 Ore”, forse, ma ascoltare le interpretazioni e le valutazioni del Presidente e dell’ufficio di presidenza potrebbe apportare altri elementi conoscitivi certamente utili. Meno, molto meno condivisibile, mi sembra la ricerca, come ha prontamente fatto Giorgia Meloni (metto convintamente Salvini in secondo piano) di un capro, caprone, espiatorio nelle politiche ecologiche e di transizione all’elettrico decise e perseguite dall’Unione Europea.
Buona parte degli analisti più preparati sostengono che le difficoltà di Stellantis dipendono dalle politiche volute e decise da Tavares in persona. Tuttavia, in qualsiasi modo si cercherà di uscire da una situazione difficilissima e pesantissima del settore automobilistico che coinvolge anche Volkswagen, all’Europa sarà necessario rivolgersi. In Europa bisognerà cercare la soluzione. Da un lato, non possiamo fare finta che la concorrenza cinese prima di, eventualmente, sconfiggerla sul terreno della qualità e dell’innovazione, bisogna arginarla. Sullo stesso terreno, è opportuno temere le politiche commerciali e di fissazione di dazi dell’Amministrazione Trump. Dall’altro, forse stiamo per mettere alla prova uno dei suggerimenti operativi del Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea. Grande magari non è sempre bello, ma può essere vitale. Quanto basterà procedere a qualche forma di coordinamento delle politiche nel settore dell’auto, tuttora e prevedibilmente nel futuro prossimo, molto importante per il lavoro, l’imponente indotto, la ricerca e l’innovazione con i suoi effetti spill over e quanto, invece, bisognerà avviarsi sulla strada delle concentrazioni per giungere a giganti industriali competitivi, ma inevitabilmente poi interessati ad una fetta di potere politico europeo?
Le soluzioni intermedie, che riguardino investimenti, occupazione, bilanci, debbono essere cercate non come (costosi) tamponi, ma come premesse di una strategia di lungo periodo da presentare e discutere con le autorità governative italiane e europee. Il caso Stellantis non è solo un test di come rispondere ad una grave emergenza. Può diventare e deve essere una opportunità di elaborazione e attuazione di politiche europee lungimiranti.
Pubblicaro il 4 dicembre 2024 su Domani
Draghi, Letta e una lezione di europeismo alla Spinelli @DomaniGiornale

Forse è più che una felice coincidenza che gli autori dei due rapporti che aprono il quinquennio del nuovo Parlamento europeo, sul Mercato Unico e sul Futuro della competitività europea, siano stati scritti da due italiani, rispettivamente, Enrico Letta e Mario Draghi. Oltre alle personali prestigiose carriere professionali, Letta e Draghi sono anche stati Presidenti del Consiglio avendo, dunque, accesso alle più alte sedi decisionali dell’Unione Europea. Certamente non è un caso che i loro rapporti convergano sul punto più rilevante per il presente e, in special modo, per il futuro: maggiore coordinamento maggiore condivisione. I problemi dell’Unione Europea si debbono affrontare e si possono risolvere con “una unione più stretta” (uso parole che vengono da Altiero Spinelli che è all’origine di questa Europa).
Indicando il futuro possibile, ma difficile, entrambi i Rapporti suggeriscono, ovviamente, con le differenze che derivano dai compiti a cui dovevano rispondere, che tocca alla politica e alle istituzioni europee prendere le decisioni opportune. Poiché si tratta di decisioni di enorme importanza è ai vertici dell’Unione che bisogna rivolgere lo sguardo e chiedere se, come, quanto siano consapevoli, adeguati e disponibili. Finora la dicotomia europeisti/sovranisti, anche se schematica, è stata sufficientemente chiara per rendere conto della diversità delle posizioni, delle aspettative, dei comportamenti. Naturalmente, era anche possibile scorgere alcune, non marginali, contraddizioni in entrambi i campi. Più facile coglierle fra i sovranisti, in particolare fra coloro che vogliono strappare, chiedo scusa, riappropriarsi di alcune competenze per le quali, poi, non dispongono degli strumenti per esercitarle. La sfida dei sovranisti agli europeisti finora ha fatto leva su sentimenti e risentimenti, sulla reviviscenza di identità nazionali, su qualche egoismo particolaristico. Con eleganza il Rapporto Draghi non sfiora neppure uno di questi elementi. L’analisi, la sfida, le soluzioni sono tutte improntate all’europeismo e dirette agli europeisti.
Per sentirsi dalla parte giusta per troppo tempo a troppi europeisti, anche a quelli italiani, sembrava sufficiente segnalare con un’alzata di spalle e con qualche critica la loro distanza dai sovranisti. Forse c’è anche molto di questo compiacimento alla base della perdita di competitività dell’Unione e della carenza di innovazione. Personalmente anch’io ho condiviso l’idea che, comunque, l’Unione procedeva e che le sue istituzioni democratiche avevano bisogno di poche sollecitazioni. Erano/sono comunque in grado, proprio perché democratiche, quindi, aperte, intelligenti, reattive, capaci di imparare, di innovare.
Letta, da una parte, ancor di più Draghi, dall’altra, affermano chiaro e forte che le istituzioni dell’Unione Europea debbono essere trasformate, essere rese più coese, più flessibili, più incisive, rapidamente. Il “cattivo” non è esclusivamente il voto all’unanimità, comunque da abolire. Sono tutte le procedure opache e strascicate che proteggono interessi nazionali spesso obsoleti, che debbono essere rivisitate e riformate. Il sovranismo è la ricetta di un ritorno al passato che non potrebbe comunque essere fatto rivivere e che porterebbe costosi conflitti fra Stati costretti a rivendicare i loro esclusivi interessi proprio sulle tematiche più importanti. Invece, fin d’ora è auspicabile e possibile costruire un’Unione Europea a più velocità. Se i “velocizzatori” hanno successo, questa è la scommessa, saranno molti, Stati-membri e associazioni intermedie, quelli che vorranno rincorrerli. E l’Unione Europea (ri)prenderà slancio.
Pubblicato il 11 settembre 2024 su Domani
Le due leader dimostrino di saper incidere anche in Europa @DomaniGiornale

Il parlamento europeo e il Consiglio dei capi di governo vedono arrivare gli italiani, soprattutto le italiane. No, né Meloni né Schlein, pure furbettamente elette, andranno ad occupare il seggio da europarlamentari, ma la loro presenza nella Unione Europea si sentirà, eccome. “Giorgia” è il capo del governo italiano, l’unico dei governi che ha avuto un buon successo elettorale e il cui partito, invece di perderne, ha triplicato i seggi nell’Europarlamento. Elly, già europarlamentare, è la segretaria del partito che avrà singolarmente più seggi fra i componenti dell’eurogruppo dei Socialisti&Democratici. Entrambe godranno, seppur in maniera diversa, di importanti opportunità politiche.
Giorgia ne ha fin da subito due molto significative. Prima opportunità: la sua preferenza e il suo voto potranno essere davvero incisivi nella designazione della/del Presidente della Commissione che, certamente, se ne ricorderà e ne terrà conto nella sua attività. La seconda è più che un’opportunità, un potere effettivo. Come ogni capo di governo, quello italiano ha per l’appunto il potere di nominare un Commissario, se il/la Presidente non è già della sua “nazione” di appartenenza. Meloni dovrà, da un lato, sfuggire alla tentazione dell’amichettismo alla quale troppi nel suo partito sono particolarmente sensibili. Dall’altro, cercherà di confutare tutti coloro che la accusano di non avere una classe dirigente. Individuare la personalità competente, europeista e, ovviamente, anche affidabile alla quale attribuire una carica prestigiosa che può essere importantissima per rappresentare l’Italia, ma con lo sguardo e l’impegno per cambiare l’Europa, è una vera sfida.
Salvo molto improbabili e imprevedibili sorprese, i Socialisti&Democratici Europei faranno parte della maggioranza parlamentare a sostegno della prossima Commissione e della relativa Presidenza. Hanno ragione coloro che sottolineano che spesso gli europarlamentari danno vita a maggioranze a geometria variabile. Bisogna aggiungere subito che, in primo luogo, è giusto che su molte materie gli europarlamentari votino secondo coscienza e scienza (quello che hanno imparato e che sanno). Questo è il senso della rappresentanza politica. In secondo luogo, in quelle geometrie variabili le destre delle più variegate sfumature di nero non sono mai state determinanti. Resta da vedere quanto vorranno e riusciranno ad esserlo i Fratelli e le Sorelle d’Italia. Non determinante, un aggettivo che nell’Unione Europea non si attaglia quasi mai a un singolo attore politico, partitico e istituzionale, se non in negativo per chi ricorre allo sciagurato potere di veto, ma molto influente potrebbe/potrà essere l’europacchetto dei parlamentari democratici. Chi li guiderà, mi auguro di concerto e con frequente consultazione con Elly Schlein, dovrà anzitutto puntare alla Presidenza di una o più commissioni parlamentari di rilievo e sostanza: Affari Costituzionali, Ambiente, Economia. Dovrà, poi, ma non voglio esagerare nei tecnicismi, avere la capacità di dialogare e interloquire con i Commissari e con i loro collaboratori, alti e competenti funzionari, tutt’altro che burocrati che tramano nell’ombra. Compito che potrebbe essere ricco di ricompense personali e politiche
Concluse la fase del voto e la relativa conta, sconfitti i malamente attrezzati profeti del malaugurio che soffiavano nel vento delle destre sovraniste, qualunquiste, antieuropeiste, da adesso il capo del governo e la leader dell’opposizione hanno l’obbligo, non “divertente”, ma impegnativo, assorbente e potenzialmente gratificante di trovare le modalità di incidere sulle politiche e sul percorso europeo. Quasi tutto quel che si può fare nella nazione Italia dipende da quello che si riesce a fare, con competenza e credibilità, nell’Unione Europea. Anche, forse in special modo, a Bruxelles si misura la qualità della leadership politica.
Pubblicato il 12 giugno 2024 su Domani
La vera sfida è fra chi vuole più Europa e chi meno @DomaniGiornale

Più Europa vuole significare molte cose diverse, tutte utili, alcune urgenti e importanti, giustamente impegnative. Può anche essere un modo per presentare una lista e per fare campagna elettorale. Le elezioni europee non dovrebbero essere ridotte ad un duello televisivo del quale, francamente, chi crede che la politica, in particolare quella italiana, non abbia bisogno di personalismi, può profittevolmente fare a meno. Semmai, l’alternativa il 9 e 10 giugno è con maggiore nettezza rispetto a tutte le elezioni precedenti, proprio fra chi vuole più Europa, sì, anche decisamente nel senso federale, e chi vuole fare retrocedere l’Europa, esplicitamente i sovranisti di destra e, furbescamente, anche non pochi sovranisti che si autocollocano a sinistra. Le argomentazioni dei sovranisti sono meno Europa affinché le nazioni non perdano le loro identità e i loro, aggiunta mia, egoismi nazionalisti che non sono mai forieri di pace e neanche di prosperità poiché implicano conflitti/guerre commerciali, tariffarie et al.
Più Europa è quanto, seppure con remore e inadeguatezze, con retropensieri e timori, l’attuale maggioranza nel Parlamento europeo ha perseguito e spesso conseguito. Dovrebbero gli esponenti e i partiti di quella maggioranza rivendicare quanto fatto nel, da molti punti di vista, drammatico quinquennio 2019-2024. Sottolineare quello che è mancato risulta produttivo se non è soltanto pur benemerita assunzione di responsabilità, ma è proposta di come e su quali ambiti e terreni andare avanti. Certo, chi crede nella necessità di una difesa comune non dovrebbe candidare uomini e donne che Giovanni Sartori definiva “ciecopacisti”, ma chi a quella difesa crede e sa contribuire. La difesa comune è tematica che non deve affatto togliere attenzione e spazio ai problemi economici, alla competitività, ma anche alla sanità e alla tassazione e a tutto quello, ovvero molto di quanto argomentato nelle ricognizioni effettuate da due ex-capi di governo italiani: Enrico Letta e Mario Draghi, e relative proposte. Riconoscimento molto gratificante alle capacità e alle storie personali e professionali di due italiani che a più Europa credono e per più Europa hanno coerentemente lavorato.
Più Europa significa anche non solo prendere atto che un certo numero di paesi geograficamente europei desiderano fortemente entrare nell’Unione Europea attualmente esistente che ritengono di enorme aiuto alla loro democrazia e ai loro sistemi economici e sociali. Significa anche che la consapevolezza che la missione intrapresa dai fondatori di questa Europa, citerò Altiero Spinelli e Jean Monnet, insieme a Robert Schumann, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak, mirava all’unificazione politica dell’intero continente. Decenni dopo il Presidente francese François Mitterrand disse che la “sua” Europa andava dall’Atlantico agli Urali. Più Europa significa anche accogliere questa sfida.
Infine, la mia interpretazione di più Europa non si limita a, userò tre verbi suggestivi del linguaggio europeista di qualche tempo fa, ma a mio parere tuttora validi e pregnanti per indicare un percorso europeo: allargare, approfondire, accelerare nel difficile equilibrio che implicano. Significa anche che ciascuno Stato-membro dovrebbe diventare più europeo al suo interno. Meno spendaccione e un po’ frugale, ma c’è molto di più, ad esempio, combattere e ridurre la corruzione, grande male infettivo, e migliorare la qualità della sua democrazia anche guardando alle istituzioni e ai sistemi di partiti che funzionano meglio. In materia il provincialismo italiano nel dibattito sul premierato ha raggiunto livelli insopportabili, comunque derivanti da conoscenze comparate insufficienti, per l’appunto da meno Europa, malamente e colpevolmente meno europee.
Pubblicato il 15 maggio 2024 su Domani

