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La vera sfida è fra chi vuole più Europa e chi meno @DomaniGiornale

Più Europa vuole significare molte cose diverse, tutte utili, alcune urgenti e importanti, giustamente impegnative. Può anche essere un modo per presentare una lista e per fare campagna elettorale. Le elezioni europee non dovrebbero essere ridotte ad un duello televisivo del quale, francamente, chi crede che la politica, in particolare quella italiana, non abbia bisogno di personalismi, può profittevolmente fare a meno. Semmai, l’alternativa il 9 e 10 giugno è con maggiore nettezza rispetto a tutte le elezioni precedenti, proprio fra chi vuole più Europa, sì, anche decisamente nel senso federale, e chi vuole fare retrocedere l’Europa, esplicitamente i sovranisti di destra e, furbescamente, anche non pochi sovranisti che si autocollocano a sinistra. Le argomentazioni dei sovranisti sono meno Europa affinché le nazioni non perdano le loro identità e i loro, aggiunta mia, egoismi nazionalisti che non sono mai forieri di pace e neanche di prosperità poiché implicano conflitti/guerre commerciali, tariffarie et al.

Più Europa è quanto, seppure con remore e inadeguatezze, con retropensieri e timori, l’attuale maggioranza nel Parlamento europeo ha perseguito e spesso conseguito. Dovrebbero gli esponenti e i partiti di quella maggioranza rivendicare quanto fatto nel, da molti punti di vista, drammatico quinquennio 2019-2024. Sottolineare quello che è mancato risulta produttivo se non è soltanto pur benemerita assunzione di responsabilità, ma è proposta di come e su quali ambiti e terreni andare avanti. Certo, chi crede nella necessità di una difesa comune non dovrebbe candidare uomini e donne che Giovanni Sartori definiva “ciecopacisti”, ma chi a quella difesa crede e sa contribuire. La difesa comune è tematica che non deve affatto togliere attenzione e spazio ai problemi economici, alla competitività, ma anche alla sanità e alla tassazione e a tutto quello, ovvero molto di quanto argomentato nelle ricognizioni effettuate da due ex-capi di governo italiani: Enrico Letta e Mario Draghi, e relative proposte. Riconoscimento molto gratificante alle capacità e alle storie personali e professionali di due italiani che a più Europa credono e per più Europa hanno coerentemente lavorato.

Più Europa significa anche non solo prendere atto che un certo numero di paesi geograficamente europei desiderano fortemente entrare nell’Unione Europea attualmente esistente che ritengono di enorme aiuto alla loro democrazia e ai loro sistemi economici e sociali. Significa anche che la consapevolezza che la missione intrapresa dai fondatori di questa Europa, citerò Altiero Spinelli e Jean Monnet, insieme a Robert Schumann, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak, mirava all’unificazione politica dell’intero continente. Decenni dopo il Presidente francese François Mitterrand disse che la “sua” Europa andava dall’Atlantico agli Urali. Più Europa significa anche accogliere questa sfida.

Infine, la mia interpretazione di più Europa non si limita a, userò tre verbi suggestivi del linguaggio europeista di qualche tempo fa, ma a mio parere tuttora validi e pregnanti per indicare un percorso europeo: allargare, approfondire, accelerare nel difficile equilibrio che implicano. Significa anche che ciascuno Stato-membro dovrebbe diventare più europeo al suo interno. Meno spendaccione e un po’ frugale, ma c’è molto di più, ad esempio, combattere e ridurre la corruzione, grande male infettivo, e migliorare la qualità della sua democrazia anche guardando alle istituzioni e ai sistemi di partiti che funzionano meglio. In materia il provincialismo italiano nel dibattito sul premierato ha raggiunto livelli insopportabili, comunque derivanti da conoscenze comparate insufficienti, per l’appunto da meno Europa, malamente e colpevolmente meno europee.

Pubblicato il 15 maggio 2024 su Domani

INVITO Europa: ieri, oggi e domani #18maggio #ReggioEmilia

Sabato 18 maggio ore 17.30
Fondazione Famiglia Sarzi,
via B. Buozzi, 2 – Località Corte Tegge

PRIMO MAGGIO 2024 Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale #Modena #CGIL #CISL #UIL

1°MAGGIO 2024
Festa di lavoratrici e lavoratori
ore 10.00 in Piazza Grande

Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale

INVITO Evoluzione delle Istituzioni europee: tra funzionalismo, confederazioni e federalismo – Lo dicono i Lincei @Corriere

Martedì 23 aprile ore 15.30
In diretta streaming su video.corriere.it

Evoluzione delle Istituzioni europee: tra funzionalismo, confederazioni e federalismo

Daniele Manca conversa con Gianfranco Pasquino e Alessandro Cavalli

I grandi temi UE cancellati dalle beghe di Bari @DomaniGiornale

A meno di due mesi dalle elezioni per il Parlamento europeo, il dibattito politico e culturale italiano ruota per lo più intorno a alcune logore tematiche di assoluto provincialismo. Riemerge sotto mutate, un po’ farsesche, spoglie la questione morale sulla quale Bari e Torino infliggono/infliggerebbero un colpo decisivo (?) alla superiorità morale della sinistra. Ma la questione morale in politica non è mai stata unicamente pensabile come “non rubare”. Attiene alle modalità di rapporti fra politica e società; al nepotismo (amichettismo?); al controllo vizioso e alla manipolazione delle fonti e dei mezzi di informazione; al maltrattamento in più forme dei cittadini ad opera del potere politico, non solo di governo. Se no, non è questione morale. Semplicemente è questione giudiziaria. Nella misura in cui la questione giudiziaria riguarda la politica e i politici, l’eventuale superiorità sta nella rapidità e nella limpidità della risposta. Nessuna accettazione di comportamenti al limite; nessun rinvio alle calende greche. Passi indietro o di fianco e sospensioni dall’attività istituzionale e politica. Nessun garantismo peloso.

A porre fine all’egemonia culturale della sinistra stanno cooperando in molti i cui meriti culturali pregressi francamente mi sfuggono e i cui obiettivi culturali mi paiono confusi, anche perché la mia concezione di cultura è assolutamente poco nazional-patriottica (ahi, dovevo forse scrivere “nazional-popolare” e citare quel monumento di egemonia della sinistra che è il Festival della canzone italiana di Sanremo?). Non vedo, peraltro, l’irresistibile ascesa della cultura di destra nonostante la promozione di alcuni dei suoi pochi rappresentanti a ospiti frequenti dei talk show da mane a sera. Sfondamenti culturali di destra non ne sono stati fatti; prestigiosi premi internazionali non ne sono stati vinti. Non ho finora neanche visto un serio confronto culturale fra gli esponenti dell’egemonia tristemente declinante e quelli dell’egemonia ascendente, arrembante. Se con cultura intendiamo, come dovremmo, anche tutto quanto attiene alla vita e alla morte, temo l’ascesa di una cultura che nega qualsiasi libertà di scelta. Deleteria sarebbe qualsiasi egemonia “culturale” religiosa. Preoccupanti sono gli “intellettuali” di sinistra che per mostrarsi superiori lodano parole e scelte dei papi di turno. Talvolta, sembra che sia venuta meno non tanto l’egemonia, ma la fede (oops, fiducia) nella ragione.

Risollevare il dibattito e metterlo su binari culturali e politici produttivi è possibile aprendo gli occhi e le orecchie a quel che si discute e si decide nell’Unione Europea, non derubricando come non vincolante il voto a larga maggioranza per l’inserimento dell’interruzione della gravidanza nella Carta dei diritti dell’UE, ma confrontandovisi. C’è un tempo per le polemichette di parrocchia e un tempo per i dibattiti e le scelte che riguardano più di 400 milioni di abitanti nell’Unione Europea. Il tempo è quello della campagna per l’elezione del Parlamento europeo, l’istituzione che rappresenta con crescente efficacia le nostre preferenze e i nostri interessi, ma anche le nostre aspettative e i nostri valori. Farvisi eleggere con l’obiettivo di limitarne i poteri e ridurne le competenze è operazione sovranista, legittima, ma deliberatamente non “europeista”. Poiché le idee e anche i valori camminano sulle gambe degli uomini e, anche (!), delle donne, è giusto che le candidature, esperienza, competenza, opportunità, siano oggetto di discussione. Non debbono, però, impedire o addirittura cancellare il confronto su quale Europa vorremmo nei prossimi cinque importantissimi anni. La mia sintesi è semplicissima: una Europa luogo di diritti e di democrazia, di diversità e di accoglienza, capace di difendersi. Sono sicuro che gli ex-egemoni e gli aspiranti egemoni declineranno splendide risposte europee, politiche e culturali, alle sfide che incombono. Il tempo è questo.

Pubblicato il 17 aprile 2024 su Domani

Lavorare con le idee; le idee per lavorare #paradoXaforum

Nessun lavoro intellettuale si svolge in vitro e neppure in laboratori chiusi al mondo. Quando passeggiamo con Socrate che ci inquisisce, quando ci ingaglioffiamo (il verbo è suo) con Machiavelli, quando seduti su una panchina aspettiamo che l’orologio del campanile batta le 15 per correre incontro a Kant e chiedergli come possiamo diffondere la pace perpetua, quando ascoltiamo la conferenza di Weber su Il lavoro intellettuale come professione, non siamo mai soli. Abbiamo idee ricevute, intratteniamo interrogativi, ci godiamo i ricordi di tante buone letture, costruiamo proposte di soluzione tentando ripetutamente e faticosamente di salire sulle spalle dei giganti leggendo e rileggendo i loro testi. Spesso e, in tempi recenti, molto più spesso, siamo colpiti dalla faciloneria, dalla approssimazione, dalla superficialità degli altri. “L’enfer”, nella famosa frase di Jean-Paul Sartre, “c’est les autres”. Potremmo lasciarli lì, gli altri, con le loro citazioni sbagliate, spesso di seconda mano e plagiate, con riferimenti fuorvianti, con dimenticanze colpevoli, con il loro estremismo e narcisismo. Potremmo, invece, scegliere una alternativa apparentemente delicata, molto costosa e rischiosa che consiste nel pensare e nel provare che lavoro intellettuale è anche, regolarmente confrontarsi avec les autres. Il confronto con e la citazione del lavoro degli altri non risponde a nessun bisogno di guadagnarsi/procurarsi scambievolmente confronti e citazioni gratificanti. Risponde, invece, ad una certa idea di ricerca scientifica, sbagliando s’impara, trial and error, ovviamente per chi non è nato imparato e rimane a ballonzolare senza grazia ai piedi dei giganti.

Nel mio libro Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa, a cosa serve (UTET 2023) ho cercato, schematicamente, ma non sacrificando nulla, di spiegare in che modo ho svolto il mio lavoro e come ho capito le modalità seguite da altri studiosi dei quali ho grande stima. Le tappe, tutte interconnesse, talvolta con qualche inevitabile e voluta sovrapposizione, sono: Leggere, Recensire, Ricercare e scrivere, Insegnare, Predicare (le due ultime sono separate da una linea sottile, ma reale, appena elastica). Non approfondisco, ma “condisco” con due osservazioni che mi paiono molto importanti. La prima è che ciascuna delle attività che ho evidenziato può innervare necessari criteri di valutazione. La seconda, acquisizione per me recente, in un dibattito triangolare su “L’Europa verso il mondo di domani”, è che il lavoro intellettuale non può mai esimersi dal citare, anche se apparentemente irrilevanti, le argomentazioni dei dibattenti. L’arroganza narcisistica non è neppure manovalanza intellettuale. Per lo più è sgarbo sgradevole. Va denunciata, sul posto. Chiedere quale libro letto sta a base di quale espressione, quali elementi utili e suggestivi emergono da libri recensiti, quali lacune mira a soddisfare un libro, un saggio, un articolo, quali testi sono preferibili per una buona trasmissione del sapere agli studenti, infine, quale è il contenuto, quale è lo stile, quale il luogo (mai la cattedra secondo Max Weber) per la predicazione, sono tutte domande legittime le cui risposte possono condurre a domande migliori e all’avanzamento di scienza e conoscenza. Il peccato mortale nel lavoro intellettuale si chiama plagio. Vale, naturalmente, anche per i giornalisti ai quali spesso tocca il compito o se ne appropriano, con altalenante (in)successo di diffondere le più recenti e nuove conoscenze specialistiche. I divulgatori bravi contribuiscono alla formazione dell’opinione pubblica. Quando quell’opinione pubblica si nutre, sostiene, incoraggia il lavoro intellettuale appare probabile che si sia fuorusciti dagli angusti confini dello stivale.    

Pubblicato il 4 marzo 2024 su PARADOXAforum

L’alternativa non è più una chimera. Costruire coalizioni è l’arte della politica @DomaniGiornale

C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico sotto lo splendido sole della Sardegna. Per conquistare una carica monocratica, la Presidenza della Regione, assegnata in un solo turno elettorale, è decisivo costruire preventivamente una coalizione a sostegno della candidatura prescelta. Ferme restando le loro personali preferenze politiche, gli elettori rispondono valutando l’offerta dei partiti, della coalizione, della candidatura, in parte dei programmi e della capacità di governare. La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna è il prodotto virtuoso di questo pacchetto di elementi. La grande soddisfazione di dirigenti e attivisti dello schieramento del centro-sinistra che ha vinto è comprensibile (e da me, per quel che conta, condivisibile). Procedere a generalizzazioni assolutistiche, “la sinistra unita non sarà mai sconfitta” (“il governo Meloni è indebolito”) e proiettare automaticamente la possibilità/probabilità di un esito sardo anche sulle altre elezioni regionali e sulla elezione dell’Europarlamento (che è tutta un’altra storia) è esagerato, sbagliato, rischia di risultare controproducente.

Ciascuna regione, a cominciare dall’Abruzzo, la prima a votare prossimamente, ha le sue peculiarità di storia politico-partitica, di governo, di problematiche socio-economiche. Se la lezione generale è che le coalizioni si costruiscono di volta in volta, saranno i dirigenti politici di quella regione a decidere se, come, con chi, attorno a quale candidatura costruire un’alleanza. La buona notizia, non so quanto importante per l’Abruzzo, è che Calenda ha twittato che l’esito sardo “è una lezione di cui terremo conto”. Traduzione “correre” come polo autonomo è perdente. Aggiungo che rischia sempre di fare perdere il polo più affine (ma qualcuno proprio quelle sconfitte vuole produrre).

Stare insieme in coalizioni elettorali che possono diventare di governo porta ad una più approfondita condivisione di obiettivi, di preferenze, di soluzioni programmatiche. Il discorso sui valori è, naturalmente, molto più complesso. Parte dalla Costituzione e porta all’Europa, tema che riguarda anche i governi regionali. Rimarranno sempre differenze programmatiche e politiche nella schieramento di centro-sinistra. Meglio non esaltarle e neppure seppellirle additando le profonde divisioni esistenti nel centro-destra. Infatti, quei partiti e i loro dirigenti sembrano avere maggiore consapevolezza del fatto che, separati e divisi, perdono e che il potere è un collante gradevolissimo, generosissimo. Inoltre, i loro elettorati sembrano socialmente più omogenei. Alla eterogeneità e diversità, sociale e, forse, più ancora culturale, dei rispettivi elettorati di riferimento, non basta che i dirigenti del centro-sinistra esaltino le differenze come risorse. Debbono ricomporle attorno a obiettivi e a candidature comuni il più rappresentative possibili.

Le elezioni per il Parlamento europeo, poiché si vota con una legge proporzionale con clausola di esclusione del 4 per cento, suggeriscono due comportamenti. Primo, evitare la frammentazione nel e del centro-sinistra. Secondo, poiché i partiti, a cominciare dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, giustamente vogliono misurare il loro consenso correndo separatamente, dovrebbero evitare di scegliersi come bersagli reciproci. La sfida è delineare una visione per l’Unione Europea dei prossimi cinque anni, non criticare la visione dei propri alleati nazionali. La critica va indirizzata agli opportunismi, alle contraddizioni, ai patetici resti di sovranismo provinciale, dello stivale, dei tre partiti del centro-destra. L’obiettivo di fondo non è la mission al momento impossible di fare cadere il governo e sostituirlo, ma di dimostrare che esiste un’alternativa di centro-sinistra all’altezza della sfida. Adelante con juicio.

Pubblicato il 28 febbraio 2024 su Domani

Le elezioni decisive e il “momento Spinelli” @DomaniGiornale

“Non avremmo voluto mai prendere questo provvedimento, ma ce lo chiede l’Europa”. Questa frase l’abbiamo sentita tantissime volte pronunciata con faccia mesta da molti politici, più da coloro che stanno al governo che dagli oppositori. La chiamerò la sindrome dell’alibi. “No, questo, fosse per noi, se solo potessimo, lo faremmo subito e di più, ma le regole europee ce lo vietano. Purtroppo, dobbiamo rinunciarvi, ma la colpa è dell’Europa”. Questa è, invece, precisamente la sindrome della capra espiatoria (sic). Entrambe le sindromi sono simultaneamente presenti nel dibattito italiano. Probabilmente godranno di un’impennata non appena, presentate le liste e le candidature, anche quelle civetta, comincerà la campagna per l’elezione del Parlamento europeo.

   Troppo spesso, se non, addirittura, quasi sempre, gli europeisti non reagiscono in maniera efficace. Non sanno, come suggerirebbero gli esperti di comunicazione politica, controinquadrare (frame) le tematiche salienti e dettare una diversa agenda del discorso politico. Tanto per cominciare l’Europa siamo noi, non è un qualcosa di separato da e di estraneo alle nostre vite, di ieri, di oggi, e ancor più, di domani. Siamo noi che eleggiamo gli europarlamentari italiani;  è il nostro governo che nomina il rappresentante italiano nella Commissione, i nostri ministri in tutti i comitati interministeriali addetti alle politiche di settore e la Presidente del Consiglio che fa parte per l’appunto del Consiglio dei capi di governo. Se le decisioni che sono prese in queste istituzioni non tengono conto delle proposte italiane e vanno a scapito degli interessi nazionali potrebbe non essere un complotto dei poteri forti europei tutti coalizzati per oscure ragioni contro l’Italia. Sarebbe opportuno, piuttosto, interrogarci sulla qualità delle nostre proposte, sulla capacità dei nostri rappresentanti di creare coalizioni per proteggere e promuovere nel quadro europeo i nostri interessi, sulla credibilità del, come si dice con espressione che merita di essere analizzata e chiarificata, “sistema paese”.

  Qualsiasi alibi e qualsiasi tentativo di gettare le colpe su una o più capre espiatorie peggiorano la situazione dei paesi e dei loro dirigenti che vi fanno ricorso. Nel rapporto democratico fra governanti e cittadinanza, agli europeisti si offre l’opportunità e corre l’obbligo di mettere in evidenza quanto l’Unione Europea è progredita, nonostante enormi e drammatiche sfide, una delle quali, l’aggressione russa all’Ucraina, è tuttora in corso, un’altra, la pandemia da Covid, è stata sconfitta proprio grazie al coordinamento in sede europea e alle risorse messe in comune. Europeismo per gli italiani che ci credono e vogliono più Europa significa rifarsi agli scritti e alle azioni impetuose, incessanti, infaticabili di Altiero Spinelli e alle prospettive da lui delineate e perseguite: l’unificazione politica dell’Europa. Spinelli sapeva guardare indietro e rallegrarsi dei risultati ottenuti, senza mai però accontentarsi. Lo farebbe anche nelle condizioni, difficili, attualmente date. Ha subìto e subirebbe delle sconfitte, ma proprio come il politico per vocazione così brillantemente individuato da Max Weber, direbbe: “Non importa, ricominciamo”, avendo imparato e svolto un’opera di pedagogia politica europeista a tutto campo.

   Nel processo di unificazione europea, complicato, faticoso, contrastato, aperto a una molteplicità di soluzioni, esiste spesso un “momento Spinelli”. È quello nel quale i progressisti hanno il compito di unire le forze e mobilitare cittadini in nome di quel molto che l’Europa ha già fatto per noi e di quel di più che c’è e rimarrà ancora da fare con il contributo essenziale dei cittadini europei. Le elezioni dell’Europarlamento 2024 sono sicuramente quel “momento”. 

Pubblicato il 14 febbraio 2024 su Domani

L’ammuina di Meloni e le proposte da fare in UE @DomaniGiornale

“Non chiedetevi che cosa l’Unione Europea può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per l’Unione Europea”. Questa parafrasi di una delle più efficaci affermazioni contenute nel discorso inaugurale della Presidenza di John Kennedy non può evidentemente diventare patrimonio dei sovranisti, neppure dei più lungimiranti fra loro (no, non rispondo alla richiesta di precisazioni e approfondimenti). Può, tuttavia, oppure, proprio per questo, essere utilizzata per valutare e migliorare le posizioni prese dagli Stati-membri dell’Unione per quel che riguarda il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e il Patto di Stabilità e Crescita.

    Del primo, la possibilità per ciascuno Stato-membro di avere accesso a fondi europei in caso di necessità, non sono in discussione le clausole specifiche, che non è possibile cambiare, ma l’adesione dell’Italia, indispensabile a consentirne all’occorrenza a richiesta l’utilizzo a ciascuno e tutti gli altri Stati, dunque, anche Ungheria e Polonia, quando era sovranista. Benvenuto al governo guidato dall’europeista Donald Tusk che segnala l’esistenza di molti ottimi anticorpi nella democrazia polacca. Il Patto di Stabilità e Crescita ha molta più rilevanza per le politiche economiche e sociali degli Stati-membri nei prossimi cinque anni. Riguarda il tetto del debito pubblico da considerarsi accettabile e le modalità previste/formulate per un rientro più o meno graduale, e il deficit tollerabile, comunque da ridursi in particolare, ma non solo, per l’Italia.

   Non è chiaro se la Presidente del Consiglio italiano Meloni e il Ministro dell’Economia Giorgetti stiano concordemente utilizzando la ratifica del MES come strumento di pressione per ottenere migliori condizioni per il Patto di Stabilità. Già altri Stati-membri, in particolare i paesi del gruppo Visegrad, hanno proceduto di tanto in tanto ad applicare la strategia dello scambio, talvolta, con successo. Fa certamente parte del gioco agire, non troppo spesso, seguendo i dettami del “do ut des”. Forse, però, gli Stati-membri dell’Unione, non soltanto quelli economicamente più forti, nonostante le sue difficoltà attuali la Germania rimane nel club, ma anche quelli che definiamo più frugali, non gradiscono e non apprezzano queste “ammuine” se non vengono accompagnate da proposte alternative, migliorative, in special modo, credibili. La credibilità di queste proposte dipende in maniera significativa dalla loro provenienza, vale a dire se chi le fa ha un passato di impegni presi e rispettati, adempiuti, e dalla loro per qualità. Le proposte debbono anche, per tornare alla frase di apertura, avere di mira il miglioramento di tutta l’Unione Europea, contribuendo alla sua stabilità, alla sua crescita, ad una sua unificazione più stretta. Quest’ultimo, più ambizioso obiettivo certo non può essere il progetto dei sovranisti tranne di quelli che si stanno pentendo, pensando se e come fare outing nel momento più difficile e delicato ovvero nel corso della già iniziata campagna per l’elezione del Parlamento europeo.

    Le opposizioni italiane avrebbero l’opportunità di sfruttare la contingenza favorevole impegnandosi a chiarificare per gli elettori da raggiungere e conquistare quanto alcune proposte, condivisione e azione, contribuendo al buon funzionamento dell’Unione Europeo produrrebbero ricadute positive e rapide sui singoli. Sappiamo, però, che, a causa di molte sue insuperate ambiguità, il Movimento Cinque Stelle non è in grado di dare un contributo efficace a questa strategia. Giusto allora mettere in evidenza l’inconcludenza e la farraginosità della strategia governativa (e delle affermazioni, prese di distanza minimali di Forza Italia), ma impossibile non vedere la trave nell’occhio di una parte delle opposizioni. Una buona politica accetta la sfida e nella campagna elettorale darà il massimo per spiegare agli italiani che quel che vuole fare per l’Unione Europea, anche in termini di proposte operative, e come e quanto servirà a migliorare le condizioni di vita di tutti. Nel passato, spesso è stato proprio così.  

Pubblicato il 12 dicembre 2023 su Domani

Le democrazie e la lezione della Polonia @DomaniGiornale

L’esito delle elezioni in Polonia, anzitutto sfavorevole al PIS, il partito Diritto e Giustizia, al governo da non pochi anni, in secondo luogo, premiante in termini di voti per Coalizione Civica, l’opposizione progressista pro-Europa, contiene molti insegnamenti. Il primo insegnamento, poiché la partecipazione elettorale è cresciuta significativamente giungendo ad un invidiabile 73 cento, dice che quando cittadini e cittadine percepiscono, anche grazie alla campagna elettorale, che la posta in gioco è alta, decidono di dedicare parte del loro tempo e delle loro energie per andare alle urne, per farsi contare e contare. Ottimo insegnamento democratico. Ne consegue anche che l’importante affermazione di Coalizione civica dipende dall’essere riuscita a caratterizzarsi come schieramento a favore dell’Unione Europea, quella che c’è e che può essere migliorata, contro le politiche di impronta sovranista del PIS. Vero e sincero europeista di lungo e coerente corso, Donald Tusk si è battuto anche in nome dello Stato di diritto, della rule of law, e contro le ripetute violazioni dei principi e dei valori che stanno alla base degli Stati democratici e della stessa Unione Europea. Una parte decisiva dell’elettorato polacco ha indicato con il suo voto che ritiene importantissimi proprio quei principi e quei valori che stanno in totale contraddizione con l’immagine che vuole dare di sé il Partito del Diritto e della Giustizia e con i contenuti delle sue politiche ripetutamente stigmatizzati dal Parlamento europeo e sottoposti a sanzioni dalla Commissione Europea.

   A essere comunque sconfitto non è soltanto il sovranismo e il suo esercizio, ma gli elementi di più o meno sottile autoritarismo che permeano l’ideologia e la pratica politica del PIS e dei suoi governanti e dirigenti. Rimane da temere quanto quei governanti e dirigenti intenderanno fare per non cedere il potere politico alla coalizione che sta formandosi a sostegno del probabile governo guidato da Tusk.

La lezione “polacca” di maggiore rilevanza riguarda la democrazia, le definizioni del suo stato attuale, le analisi che si concentrano sulla sua, non meglio precisata e troppo spesso ripetitivamente, quasi compiaciutamente, denunciata, crisi, le sue prospettive future, qui in Europa e altrove. A chi ha gli strumenti per ascoltare e capire, i risultati polacchi mandano il messaggio che, fintantoché esistono le condizioni minime, di base per una competizione politico-elettorale equa, i cittadini hanno la possibilità di cambiare idee, voto, governi. In Polonia, non era in crisi la democrazia in quanto tale, come ideale. Era sotto attacco da parte di alcune elite, comprese quelle religiose cattoliche, il funzionamento delle istituzioni, a partire dall’ istituzione giudiziaria e dal rapporto governo/parlamento. Non esisteva una crisi generalizzata, tutto coinvolgente. Esistevano problemi di funzionamento e di funzionalità. La situazione appariva, ed effettivamente è, seria e delicata poiché quei problemi, in piccola misura fisiologici, venivano talvolta sfruttati e manipolati talvolta deliberatamente creati dalle elite politiche sovraniste appoggiate da elite economiche e religiose.

La democrazia si conferma il memo peggiore dei modelli di governo realmente esistenti poiché consente a tutti i protagonisti, popolo (sì, scelgo proprio questo termine che è la traduzione di demos) e elite, di imparare. Quando toccano il fondo i modelli autoritari e totalitari di governo si infrangono in misura diversa e variabile. Le democrazie rimbalzano.

Pubblicato il 18 ottobre 2023 su Domani