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Fatto il governo italiano bisogna fare gli europei
L’Europa si avvia alla Conferenza sul suo futuro, fissata per il 9 maggio 2021, settantunesimo anniversario della dichiarazione di Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, che è considerata la data d’inizio del lungo percorso effettuato. In maniera sicuramente del tutto fortuita si è insediato in questi giorni il governo guidato dall’italiano che, quando era Presidente della Banca Centrale Europea, ha salvato l’Euro e, in sostanza, l’Unione stessa in uno dei momenti più drammatici di una storia complessa, ma sostanzialmente di successo.
Festeggio il governo Draghi, che, peraltro, deve essere visto all’opera senza fare schizzare le aspettative (come troppi commentatori di giornaloni e giornalini hanno già fatto), suggerendo al Presidente del Consiglio di pensare e poi magari anche dire “fatto il governo in Italia è ora di fare gli europei”. Con le parole di un europeo, non proprio europeista, ma con grande, forse fin troppo, senso dello stato (e dello humour), vale a dire il Gen. de Gaulle, non ho difficoltà a sostenere che sarebbe un davvero vaste programme. Per quanto l’obiettivo sia effettivamente molto ambizioso, il governo Draghi ha a sua disposizione una quantità molto ingente di risorse: 209 miliardi di Euro.
Sono certo che Draghi e i suoi più stretti collaboratori hanno le idee chiare su come assegnarli lungo le direttive e gli ambiti già indicati dalla Commissione Europea. Non è, naturalmente, soltanto un problema tecnico poiché lungo quelle direttive e all’interno di quegli ambiti molte scelte saranno necessariamente politiche. Non sono altrettanto sicuro che il governo e lo stesso Draghi abbiano fin dall’inizio le competenze politiche per rendere i progetti non soltanto fattibili, finanziabili, attuabili in tempi relativamente brevi e soprattutto in grado di fare diventare gli italiani effettivamente cittadini europei. Non si tratta di discutere se l’inconveniente sia quello costituito dal diminuito e oggi scarso numero di ministri provenienti dal Sud. Se i ministri non sanno acquisire/avere una visione nazionale, allora, semplicemente, sono stati scelti male e dovranno essere orientati dal Consiglio dei Ministri a fare proposte e compiere azioni che giovino a tutto il paese e non alle loro aree di provenienza. Il punto, però, è un altro, molto più importante.
L’ex-Presidente della Banca Centrale Europea deve intraprendere da subito un compito imprevisto, ma cruciale. Deve diventare il predicatore che combina le esigenze italiane con le richieste europee e che, ogniqualvolta possibile, riesce a mettere in grande evidenza tutto quello che l’Italia si trova in condizione di fare grazie al sostegno dell’Unione Europea, osservandone le regole e praticando i comportamenti che da quelle regole discendono. Diventare “europei” significa, per l’appunto, abbandonare i localismi sotto qualsiasi forma si presentino, anche di rappresentanza politica asfittica. Significa ricorrere alle best practices europee, per esempio, nel ristrutturare insegnamenti e percorsi nella scuola a tutti i livelli. Implica due riforme cruciali: quella della tassazione (lo so che lo diciamo da decenni e, per l’appunto, il vizio/reato dell’evasione fiscale diventa sempre più intollerabile) e dell’amministrazione della giustizia.
Da Draghi e dai suoi ministri, non soltanto “tecnici”, spesso professionisti di alto livello, ma anche quelli di provenienza partitica, vorrei che le riforme fossero presentate, spiegate e argomentate non con la pudica giustificazione “ce le chiede l’Europa” quanto con la semplicissima, decisiva motivazione “vogliamo conseguire i più elevati standard europei”. NextGenerationEU, europei della generazione che viene.
Pubblicato il 15 febbraio 2021 su PARADOXAforum
Messaggio senza enfasi dell’arbitro Mattarella
“Aver cura della Repubblica”. Questa semplice esortazione del Presidente Mattarella agli italiani contiene il senso più profondo del suo messaggio di fine anno. Senza nessuna enfasi, di cui non è capace, ma che, comunque, lo sappiamo dai suoi precedenti incarichi pubblici, evita con determinazione, il Presidente ha chiaramente delineato come gli italiani dovrebbero aver cura della loro Repubblica. Le tematiche sono quelle che qualsiasi cittadino con un po’ di senso civico sa essere importanti: il lavoro, l’evasione fiscale, l’immigrazione, le mafie, la legalità, il ruolo delle donne. Sono le modalità con le quali il Presidente ha declinato ciascuna problematica e come le ha evidenziate a contenere elementi di apprezzabile novità. Il lavoro è stato messo, giustamente, al primo posto e ne è stata rilevata l’importanza non soltanto per i giovani, ma anche per coloro che il posto lo perdono dopo una lunga attività. L’evasione fiscale è stata fortemente stigmatizzata sia per il suo costo che grava sulla collettività sia per la grave lacerazione che produce nel tessuto sociale della convivenza fra i cittadini che pagano le tasse e quelli che sfuggono sia, infine, perché, se tutti o quasi pagassero, tutti (o quasi) potrebbero pagare meno. Il passaggio più toccante sull’immigrazione è quello con il quale Mattarella ha reso noto che il 70 per cento dei bambini immigrati dichiara di avere come miglior amico un bambino italiano. Questa notazione suggerisce che il futuro dell’integrazione, che deve avvenire nella legalità con i clandestini che vanno espulsi, comincia dal basso, fra coloro che non guardano al colore della pelle e alla religione, ma apprendono il valore dell’amicizia. Per riferirsi alle diverse forme di criminalità organizzata che infestano troppe aree dell’Italia, Mattarella ha usato il sostantivo plurale mafie. E’ una parola raramente pronunciata che non ha fatto la sua comparsa nel bilancio di fine d’anno stilato da Renzi. E’ degno di nota che Mattarella si sia tenuto lontano da qualsiasi trionfalismo riguardo alla lotta contro le mafie, ma abbia, invece, proseguito il suo discorso riaffermando la decisiva importanza della legalità contro la corruzione “di chi corrompe e di chi si fa corrompere”. Pur facendo un paio di riferimenti all’Unione Europea, in particolare per la necessità di coordinamento nell’affrontare il terrorismo (definito “fondamentalista” senza nessun riferimento alla sua matrice islamica), il Presidente, che sappiamo essere un europeista convinto, non ha sottolineato quanto l’Europa è importante per l’Italia, ma ha anche evitato espressioni critiche sia della Commissione Europea sia della Germania che, invece, hanno caratterizzato il discorso di Renzi. Particolarmente brillante è stato il riconoscimento diretto a tre donne che hanno raggiunto traguardi di altissima rilevanza: la scienziata Fabiola Gianotti, l’astronauta Samantha Cristoforetti e alla pluricampionessa paraolimpica Nicole Orlando (ma non è mancato l’omaggio a Valeria Solesin e alla sua famiglia). Pure presentatosi come arbitro nel complesso gioco, in verità più spesso, uno scontro fisico sia fra i partiti sia fra le istituzioni, Mattarella non ha fatto nessun riferimento né al governo (i cui altisonanti successi Renzi ha già abbondantemente vantato), nessuna valutazione dell’attività del Parlamento, troppo e male criticato per responsabilità non sue, nessuna espressione di sollievo per il plenum finalmente raggiunto alla Corte Costituzionale. Nei loro confronti e nei confronti dei partiti, l’arbitro Mattarella probabilmente già esercita una soffice, non pubblicizzata opera di persuasione, tenendola riservata, quindi, sperabilmente, più efficace. La chiusa del discorso con gli auguri a tutti bambini nati nel 2015, l’anno della sua elezione a Presidente della Repubblica, merita una doppia interpretazione. Mattarella ha voluto sottolineare che la vita continua e suggerire che “aver cura della Repubblica” significa anche impegnarsi per creare le opportunità migliori per i nuovi italiani. Auguri a tutti (ma non agli evasori).
Pubblicato AGL il 2 gennaio 20016