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Una monarchia di cerimonia e di sostanza

Non c’è solo folclore, spesso elegante e bello, nella cerimonia di incoronazione. C’è sana tradizione, storia ben vissuta, legittimazione anche politica della rappresentanza e dell’equilibrio che la monarchia britannica offre e garantisce da almeno più di due secoli. Quella monarchia non soltanto sopravvive, ma dimostra di essere vitale e capace di rinnovarsi. Nel Regno Unito molto più che nelle altre otto monarchie tuttora esistenti in Europa occidentale, la monarchia incarna e esprime una visione fatta di emozioni, sentimenti, obiettivi di un popolo che mantiene la sua grandezza. Sottolineare che è un’istituzione datata che non ha più senso nel mondo del XXI secolo significa avere capito poco di quella istituzione e addirittura meno di cos’è la politica. Rilevare compiaciuti che il 38 per cento dei giovani pensano che il tempo della monarchia sia finito implica sottovalutare malamente che il 62 per cento dei britannici hanno un’opinione favorevole della monarchia e che i giovani cambieranno idea, come hanno già fatto i loro padri, con il passare del tempo. D’altronde, già adesso, il 70 percento degli intervistati ritiene che Re Carlo III farà un buon lavoro.

   Il Regno Unito ha da tempo perso l’Impero, ma i discendenti di moltissimi di quelle donne e quegli uomini “colonizzati” dagli inglesi si sentono tuttora attratti da quello stile di vita, da quella cultura, dalle opportunità offerte, dai diritti di cui possono godere. Crescono i rimpianti degli inglesi per la Brexit così come, sul continente, è diffusa la consapevolezza che l’Unione Europea ha perso un protagonista significativo per la sua economia e per la sua democrazia. Rimane la speranza di un non troppo lontano ripensamento inglese e di un ritorno.

Sbagliato limitarsi a sostenere in maniera saputella che la monarchia inglese regna, ma non governa e che, dunque, nella politica è sostanzialmente irrilevante. La politica è fatta anche di simboli e di sentimenti. La monarchia è il simbolo più alto del Regno Unito, ne rappresenta appunto l’unità e, in non piccola misura, la coesione al disopra dei conflitti fra i partiti. Salvo frange eccentriche e marginali, nessuno dei tre grandi partiti inglesi pone come obiettivo l’abolizione della monarchia. Nessuno ha dimenticato il contributo importantissimo in termini di ideali e di attaccamento alla patria dato da Re Giorgio VI, il nonno di Carlo, alla guerra contro il nazismo. Infine, l’ereditarietà del monarca-capo dello stato significa anche che il sistema politico non deve affrontare gli inevitabili conflitti che si produrrebbero nell’eventualità dell’elezione di un Presidente. Di più, nessuno dubita dell’imparzialità del monarca e della sua volontà di garantire gli equilibri politici rispettando la volontà del Parlamento nell’interesse del popolo. L’ombra di preoccupazione visibile sul volto di Re Carlo indica che è consapevole dell’importanza del ruolo che dovrà svolgere. God save the king.

Pubblicato GEDI il 7 maggio 2023

Calenda – Meloni, un incontro che non si doveva fare

L’incontro chiesto dal sen. Calenda, capo del partito Azione, e gentilmente concesso dalla Presidente del Consiglio Meloni si presta a molte considerazioni di metodo e di merito non tutte positive. Se l’oggetto era sostanzialmente la Legge di Bilancio e le eventuali correzioni, allora la sede non doveva essere Palazzo Chigi, ma il Parlamento. In una democrazia parlamentare qualsiasi confronto e qualsiasi accordo, ma anche i contrasti e le prese di distanza debbono avvenire in Parlamento. La sovranità del popolo, Meloni dovrebbe saperlo, si esprime attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento. Inoltre, in Parlamento la discussione è aperta a tutti, visibile e gli accordi/disaccordi sono destinati ad essere trasparenti. In questo modo, il “popolo”, la nazione vengono informati, imparano, saranno in grado di valutare quanto proposto, eventualmente accettato dal governo e dalla sua maggioranza e, presumibilmente spesso, respinto con quali motivazioni. In Parlamento si dipana la conversazione politica che è il sale della democrazia.

   Dunque, Calenda e Meloni hanno scelto il metodo sbagliato che, in qualche modo, è destinato a destare legittimi sospetti sulla disponibilità di Calenda a sostenere alcune scelte di Meloni e sulla disponibilità di Meloni a reciprocare con cosa non so. Cronisti dei lavori parlamentari sapranno raccontarci di scambi più o meno sorprendenti. Andranno quegli scambi a migliorare la Legge di Bilancio? Se i miglioramenti sono conformi sia alle politiche volute dalla Presidente del Consiglio sia agli interessi di Calenda che, in teoria, dovrebbe essere (stare?) all’opposizione, sarà indispensabile valutare i costi di quegli accordi per il Bilancio dello Stato ovvero per le tasche, vado sul politichese, degli italiani.

   Calenda accusa le opposizioni del PD e del Movimento 5 Stelle di preconcetti e di rigidità che le renderanno sterili e non porteranno nulla di buono a coloro, persone e imprese, che le hanno votate. Non si vede il fondamento di questa accusa che potrà essere verificata soltanto sugli emendamenti che verranno introdotti in Parlamento e sulle argomentazioni dalle quali saranno accompagnati e sostenuti. Molto spesso Meloni ha rivendicato la novità dell’esistenza di “una maggioranza chiara, un programma comune e un mandato popolare”. Il suo incontro con Calenda segnala la possibilità che nella maggioranza esistano tensioni oscure che sono particolarmente sentite da Forza Italia, che non tutti gli elementi programmatici sono davvero condivisi, e allora, forse, supplirà Calenda, e che il mandato popolare ottenuto dal centro-destra possa essere ritoccato grazie a qualche apporto centrista. Insomma, da un lato, ai propri fini di visibilità e forse anche di egocentrismo, e, dall’altro, con l’obiettivo di avere una carta in più da giocare nei momenti di possibile difficoltà, rispettivamente Calenda e Meloni finiscono per favorire il ritorno di una politica di confusione nei ruoli e nelle responsabilità. Un ritorno che preferiremmo non vedere.      

Pubblicato GEDI il 1° dicembre 2022

PD: sulla linea di galleggiamento

Il Partito Democratico non si lascia abbattere dalla situazione attuale nella quale il governo Meloni non sembra in nessun modo indebolito dai suoi errori di comunicazione e di azione, dalla disciplina del rave party allo schiaffo ricevuto dai francesi sull’immigrazione. Annunciata una opposizione dura, ovvero la faccia feroce, il Pdi continua sulla strada che lo porterà a febbraio 2023 al Congresso e all’elezione, curiosamente definita “le primarie”, del nuovo segretario. Donna o uomo, sarà l’ottavo dal 2007 e di nessuno di loro si ricordano imprese memorabili, salvo Renzi che non solo portò il partito al suo maggiore insuccesso elettorale, ma poi se ne andò con un non piccolo bottino di parlamentari che era riuscito a fare eleggere.

  Sono sbagliate le politiche che il PD ha promosso e sostenuto nei suoi molti lunghi anni di governo oppure a destare preoccupazione è la struttura di un partito organizzato in correnti i cui capi e seguaci tornano regolarmente in Parlamento anche se il partito perde voti e elezioni? Davvero il problema è che il PD non guarda al lavoro (ma l’ultimo ministro del lavoro era un autorevole parlamentare del partito) e non affronta le disuguaglianze? Ma c’è qualcuno, leader politico, partito, studioso, in Italia e altrove che ha formulato adeguate politiche egualitarie? Curiosamente, secondo me sbagliando alla grande, coloro che si sono candidati alla segreteria del partito, si sono variamente esibiti su quali politiche farebbero se vincessero, sul programma del loro partito. Anzi, i due uomini, il presidente dell’Emilia Romagna e il sindaco di Pesaro, battono sulla loro capacità e le loro esperienze amministrative, mentre la donna attualmente in lizza sottolinea l’importanza del ruolo svolto come Ministro.

   Discutere della struttura che dovrebbe avere il PD per svolgere al meglio oggi l’opposizione domani compiti di governo può non essere entusiasmante, ma è essenziale. Un partito che non ha una presenza territoriale reale e diffusa difficilmente riuscirà a capire il disagio di elettori che dovrebbe rappresentare e a accoglierne le domande più significative. Da quegli ambiti, poi, saprebbe selezionare persone e candidature alle quali gli elettori si rapporterebbero con fiducia e con frequenza. Questa politica che parte dal basso promette di essere molto più efficace di quella dei capicorrente seduti a Roma. Addirittura, è probabile che la politica fatta sul territorio indebolirebbe i capicorrente obbligandoli a impegnarsi anche loro a quel livello e a produrre idee e soluzioni sotto l’impulso e la guida del segretario. Nulla di tutto questo si è finora sentito dalla voce di coloro che sono scesi in campo. Addirittura, due di loro pensano di cumulare il ruolo politico con la carica amministrativa che già ricoprono senza inconvenienti di tempo e di energie: supermen. Il PD sopravviverà, ma senza un salto di qualità nel pensiero prima che nell’azione, continuerà soltanto a galleggiare nella politica italiana.

Pubblicato GEDI 23 novembre 2022