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L’arte di costruire e coltivare le alleanze. Dove falliscono i capi, la parola agli elettori @formichenews

Per mettere insieme due elettorati che, in partenza, condividono solo l’opposizione al governo delle destre, appare indispensabile rinunciare alla reciprocità del fuoco che è proprio fuori luogo chiamare “amico”. Vincere sulle carni del proprio indispensabile alleato significa solo continuare a perdere. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, socio dell’Accademia dei Lincei

Sbagliata fin dall’inizio (ah, se chi vuol fare politica studiasse o almeno leggesse un po’ di Scienza politica!), l’espressione “campo largo” è finalmente da cestinare senza nessuna riluttanza. Nella pratica, né a Bari né altrove non esiste nessun campo largo nel quale rincorrere l’elettorato di sinistra, conquistarlo, sommarlo. Ci sono campetti di elettori/trici fedeli, testardi, spesso faziosi, molto refrattari, poco inclini a farsi sommare. Eppure, dare vita a coalizioni vincenti è l’arte della politica. Richiede pazienza e idee.

   Schematicamente sosterrò che, in misura diversa, né Schlein né Conte sembrano avere dimostrato di essere in possesso delle due doti necessarie in quantità sufficienti. Allora, vadano pure verso lo schema prodiano: competition is competition, meglio, naturalmente, senza esagerare nelle accuse reciproche scavando fosse in quel campo.

Per mettere insieme due elettorati che, in partenza, condividono solo l’opposizione al governo delle destre, appare indispensabile rinunciare alla reciprocità del fuoco che è proprio fuori luogo chiamare “amico”. Vincere sulle carni del proprio indispensabile alleato significa solo continuare a perdere. Non sarebbe neanche una vittoria di Pirro, ma una vittoria da “pirla”. Suggerisco come punto di partenza quella riflessione mai avvenuta sulle condizioni che hanno portato alla vittoria di Alessandra Todde in Sardegna.

La scelta in una buona candidatura è l’elemento maggiormente unificante. Viene prima di qualsiasi programma perché nelle elezioni a cariche monocratiche (presidente di regione e sindaco), le singole persone, con le loro esperienze, le loro competenze, le qualità professionali, politiche, personali, sono il programma. Sono le gambe sulle quali la coalizione correrà per conquistare quella carica. Qualcuno dirà che proprio il caso di Bari, dove né Conte né Schlein vogliono “sacrificare” il loro candidato, costituisce la prova provata che i due campetti rimarranno separati e che la sconfitta sarà meritatissima. Ineccepibile. Schlein ha tentato di riunificare i campetti con le primarie. Conte si è chiamato fuori. Forse, gli attivisti condividono. Rimane, però, una grande, potenzialmente decisiva, opportunità offerta dalle regole di quella buona legge attraverso la quale si eleggono i sindaci. Difficile che il candidato delle destre baresi vinca al primo turno. Al ballottaggio, insieme a lui, si presenterà chi fra il candidato pentastellato e il candidato democratico avrò ottenuto più voti. Soltanto una tremenda combinazione, che non escludo, di narcisismo e faziosità potrebbe tradursi nella non convergenza dei voti democratici sul pentastellato o viceversa.

   Insomma, la convergenza non fatta dai capi verrebbe prodotta, magari grazie anche all’incoraggiamento di Conte, Schlein e con una nobile dichiarazione del candidato sconfitto, dagli elettorati. Naturalmente, questo, che sarebbe il migliore degli esiti possibile, è ripetibile in altri cointesti locali con gli adattamenti dei diversi casi. Anche i capi dei partiti talvolta imparano. A livello nazionale, in attesa delle nuove regole elettorali, un po’ tutti i “centro-sinistri” saranno chiamati a operare per un rapporto più stretto e solidale già in partenza. Una mia stretta e brava collaboratrice sostiene che suo figlio di sei anni, sarà il federatore delle sinistre italiane. A buon intenditor/trice poche parole.

Pubblicato il 6 aprile 2024 su Formiche.net

Make Europe Great Again (MEGA). Quel che dobbiamo fare per l’Europa, ovvero per noi @formichenews

Immigrazione, Patto di Stabilità e Crescita, nuove e numerose adesioni, sicurezza e pace sono le sfide che, se troveranno soluzioni condivise tra il 2024 e il 2029, promettono di cambiare per il meglio l’Unione europea e la vita dei cittadini/e europei/e con effetti positivi anche sulla costruzione di un nuovo ordine internazionale. La riflessione di Gianfranco Pasquino, europeo nato a Torino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna e Accademico dei Lincei.

Non c’è soluzione specificamente italiana ai problemi che in qualche modo riguardano l’Unione Europea e gli altri Stati-membri e i loro cittadini. Chiamarsi fuori significa per l’Italia non soltanto dovere provvedere da sé, ma rendere più difficile, quasi impossibile prendere decisioni che per funzionare richiedono accordi e concordia europea. Due esempi sono sufficienti: l’immigrazione e la revisione del Patto di Stabilità e Crescita, ma all’orizzonte si staglia l’adesione di nuovi stati a completamento geografico (e politico) dell’Unione Europea. Questa mia premessa è indispensabile per capire quanto alta è e possa diventare la posta in gioco dell’elezione del Parlamento europeo il 9 giugno 2024.

Anche se è giusto rammaricarsene, è inevitabile, comunque, impossibile da proibire, che i dirigenti dei partiti italiani pensino a sfruttare l’esito delle elezioni europee per rafforzare le loro posizioni in Italia. Assisteremo sicuramente ad un consistente travaso di voti e seggi dalla Lega, più che dimezzata, a Fratelli d’Italia che quadruplicherà i suoi voti e i suoi seggi. Lungi da me affermare che questo esito fortemente positivo per quei Fratelli servirà a poco o nulla se non incidesse sulla formazione della prossima maggioranza nel Parlamento europeo. Certo, dirigenti e eletti del Partito dei Conservatori e Riformisti, di cui Giorgia Meloni è presidente, non saranno davvero soddisfatti se mancheranno l’obiettivo di sostituire i Democratici e Socialisti dando vita ad una nuova maggioranza con Liberali, Verdi e Popolari. Poiché in democrazia, e l’Unione Europea è il più grande spazio di libertà, di diritti, di democrazia mai esistito al mondo, i voti contano, anche la, al momento probabile, prosecuzione della maggioranza attuale sarà consapevole della necessità di tenere conto della nuova distribuzione di seggi. Ma i seggi senza idee e proposte non fanno cambiare le politiche, forse neppure le cariche come, per esempio, quella della Presidenza della Commissione.

Spetterà alla campagna elettorale andare oltre i temi nazionali e la conta nazionale, pur, gioco di parole, tenendone conto. Finora non si è visto praticamente nulla di concreto, nulla di nuovo, nulla di affascinante. Peggio. La discussione sulle candidature a capolista e in quante circoscrizioni di Giorgia Meloni e di Elly Schlein (e giù per li rami delle altre liste con la lodevole eccezione di Giuseppe Conte che si è chiamato fuori) segnala la persistenza di una fattispecie di malcostume, politico e etico. C’è incompatibilità fra la carica di europarlamentare e quella di parlamentare nazionale. Dunque, poiché, naturalmente, né Schlein né, meno che mai, Meloni rinuncerebbero alla carica nazionale, è troppo poco denunciare che la loro presenza come capolista è uno “specchietto per le allodole”. Si tratta di un vero e proprio inganno a danno degli elettori, inganno che tutti i commentatori/trici e tutti i media dovrebbero, non assecondare con toto nomi e probabili desistenze a favore di fedelissimi/e, ma denunciare ad alta voce misfatti e misfattiste.

  Poiché le decisioni europee nel prossimo parlamento si annunciano molto importanti, la composizione delle liste dovrebbe rispecchiare competenze e esperienze, non solo affidabilità personale e politica che, pure, è giusto che contino. La presenza di europarlamentari capaci è da considerarsi ancor più necessaria e significativa se la maggioranza sarà risicata. Talvolta, una argomentazione convincente riesce a spostare voti, a diventare vincente. Immigrazione, Patto di Stabilità e Crescita, nuove e numerose adesioni, sicurezza e pace sono le sfide che, se troveranno soluzioni condivise tra il 2024 e il 2029, promettono di cambiare per il meglio l’Unione Europea e la vita dei cittadini/e europei/e con effetti positivi anche sulla costruzione di un nuovo ordine internazionale.

Pubblicato il 31 12 2023 su Formiche.net

L’opposizione faccia proposte. Deve dare soluzioni se vuole essere convincente #intervista @LaNotiziaTweet

Intervista raccolta da Raffaella Malito

Parla Gianfranco Pasquino: “La lezione del Sud è che il campo si allarga se la coalizione è fatta bene”

In provincia di Bolzano avanza l’estrema destra. Crolla la Lega che viene doppiata da Fratelli d’Italia. Nella provincia autonoma di Trento i meloniani moltiplicano per dieci i voti di cinque anni fa, anche se calano rispetto alle politiche, e diventano il secondo partito della coalizione. A Foggia vince il campo largo con la candidata del M5SMaria Aida Episcopo. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna.

Professore come si deve inquadrare la vittoria di Foggia. È un caso isolato o il segnale che quando le opposizioni sono unite un’alternativa alla destra c’è?
“L’elemento locale conta moltissimo. Il fatto che Giuseppe Conte (leader del M5S, ndr) sia esattamente di quella zona ha una certa importanza. Però è ovvio che se l’opposizione riesce a mettersi assieme in maniera non conflittuale e senza rivendicare successi in anticipo ha possibilità di vincere. Dunque è un fatto locale da un lato, ma dall’altro anche una lezione di tipo nazionale. La politica consiste nella capacità di fare delle coalizioni stabili e che abbiano obiettivi condivisi. Questo è quello che bisogna fare. Il campo si allarga se la coalizione è fatta bene”.

Come si stanno comportando il Pd e il M5S nell’opposizione alle destre?
“Non stanno dando il peggio di sé ma non stanno neanche dando nessun segnale particolarmente originale e innovativo. Non hanno cioè la capacità di trovare i punti sui quali fare leva. Uno l’hanno trovato ed è il salario minimo e secondo me su quello devono continuare a insistere. Poi devono trovarne altri con una proposta. Il salario minimo ha il vantaggio di essere una proposta con una soluzione. Se ci si limita a dire che bisogna cambiare la sanità non basta, bisogna che dicano in che modo. Lo stesso sull’immigrazione. Giusto fare l’opposizione su punti specifici però servono proposte che siano effettivamente alternative. Bisogna sapere. in poche parole, unire la critica alla proposta e alla soluzione”.

Come giudica invece il risultato per il centrodestra da queste ultime elezioni?
“Il centrodestra rivela che continua a essere la maggioranza di questo Paese, di quelli che vanno a votare. E la parte che va più avanti è quella di Giorgia Meloni, perché FdI è un partito sul territorio e, in particolare, a Bolzano e a Trento vicino a una parte di elettorato di destra. E poi perché è il partito della presidente del Consiglio e quindi ha maggiore visibilità. Matteo Salvini (leader della Lega, ndr) fa sparate quotidiane ma non ha una linea politica. È semplicemente ondeggiante e questo non può sperare che produca voti”.

Si può dire che la vicenda umana di Meloni abbia finito per rafforzarla?
“Si può anche dirlo ma non abbiamo molti elementi per farlo. Certamente un elemento di simpatia di una parte di elettorato magari più emotivo può esserci stato. Lei ha preso una decisione brusca e brutale che sicuramente non l’ha indebolita”.

In occasione della festa di compleanno del suo governo, Meloni ha sostenuto che contro di lei ci sono state meschinità mai viste. Con chi ce l’aveva?
“Non lo so. Sicuramente c’è una parte di commentatori politici che ha posizioni pregiudiziali contro di lei. Alcune donne in particolare. Meloni invece è una donna politicamente molto intelligente e anche capace, molti la criticano anche per quello. Certe volte però, bisogna anche dire, che Meloni esagera a fare un po’ di vittimismo: dovrebbe rimanere dura e pura”.

Nel fuori onda sul suo ex compagno reso pubblico da una rete Mediaset vi legge una sorta di ritorsione della famiglia Berlusconi e di Forza Italia?
“Sono incline a non pensare a piccole vendette e ritorsioni. Anche se ci sono elementi di personalismo. Meloni che, secondo i berlusconiani. è stata creata da Silvio Berlusconi, tesi peraltro sbagliata, non è stata sufficientemente generosa e rispettosa nei confronti di Berlusconi. Capisco il risentimento. Però penso che non sia ricambiato in maniera così stupida dai berlusconiani e dalla famiglia”.

C’era un conflitto di interessi che ha finito per schiacciare la premier considerando che il suo compagno si occupava anche di politica?
“Le parentele non mi piacciono, bisognerebbe guardarsene. Poi mi ricordo però che Hillary Clinton era la moglie del presidente degli Usa, Bill Clinton. In questo caso se fossi stato Giorgia Meloni gli avrei detto al mio compagno di continuare a lavorare a Mediaset ma di non andare in video come Nunzia De Girolamo non doveva invitare il marito Francesco Boccia nella sua trasmissione”.

Quanto è successo svela una contraddizione in termini tra i proclami su Dio, patria e famiglia di Meloni e la sua vita privata?
“Quando si entra in politica lo spazio della vita privata è automaticamente ridotto. Una certa incongruenza c’è. Non può ergersi a tutrice dei valori tradizionali e poi non osservarli nella sua vita privata. Ma questo lo devono e possono valutare solo i suoi elettori”.

Che bilancio fa del primo anno di governo Meloni?
“La promessa del cambiamento non è stata totalmente recepita. Il governo ha in qualche modo galleggiato e cerca di attribuire questo galleggiamento ai governi precedenti e questo forse in parte può essere vero. Ma è un governo a cui do un 6 meno. Non vedo la prospettiva di fondo. Alcune cose non mi piacciono che sono quelle che riguardano i valori complessivi. Non mi piace l’atteggiamento nei confronti della magistratura e quello punitivo verso i migranti. È un governo che ha fatto meno male di quello che la sinistra temeva ma anche meno bene di quello che forse i suoi stessi elettori vorrebbero”.

Pubblicato il 25 ottobre 2023 su La Notizia

Pasquino: “Schlein e Conte discutono su tutto. E Meloni governa…” #intervista @ildubbionews

Il professore critica l’atteggiamento della segretaria del Pd e del leader del M5S: “Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno”. Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, commenta i recenti screzi tra Pd e M5S e spiega che «nessuno si sta impegnando affinché gli elettorati dei due partiti capiscano che o si mettono insieme o resteranno all’opposizione per i prossimi dieci anni».

Professor Pasquino, Calenda lamenta la fine del dialogo con Pd e M5S sulla sanità, dopo le convergenze sul salario minimo: l’opposizione riuscirà a trovare altre punti d’incontro?

Da quello che vedo mi pare che né Schlein né Conte né gli altri, tra cui Calenda, abbiano una strategia. Operano giorno per giorno reagendo in maniera non particolarmente brillante a quello che fa il governo. La battaglia sul salario minimo è stata una cosa buona, visto che sono giunti a una specie di accordo di fondo ponendo il tema sull’agenda governativa, ma poi non si è visto altro.

Pensa che sia una questione di posizionamento in vista delle Europee?

C’è sicuramente competizione tra i partiti, ma è anche vero che i loro elettorati sono diversi e nessuno si sta impegnando affinché quegli elettorati capiscano che o ci si mette insieme o si è destinati, come dice la presidente Meloni, a restare all’opposizione per i prossimi dieci anni.

Come finirà la partita sul salario minimo?

Il Cnel farà una proposta che assomiglia a quella che ha ricevuto, con alcune variazioni. Giorgia Meloni la accetterà cambiando alcune cose ma rimanendo nel solco del salario minimo e dicendo che la sua è una proposta migliorativa rispetto a quella delle opposizioni. Non si chiamerà salario minimo, ma la presidente del Consiglio se lo intesterà.

Non pensa che, soprattutto tra Pd e M5S, ci siano terreni sui quali giocare le stesse partite?

Il punto è che non vedo le modalità con le quali possano convergere. Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno. Una volta contatisi alle Europee vedremo cosa succederà, ma anche lì non mi aspetto sorprese. L’unica potrebbe essere lo sfondamento del Pd attorno al 25 per cento, che mi auguro, o un declino del M5S. Ma quest’ultimo evento non sarebbe positivo perché la diminuzione dei voti farebbe aumentare la radicalità di quel partito, allontanando ancora di più le possibilità di un’alleanza con i dem.

A proposito di dem, crede che Schlein abbia impresso quella svolta al partito che tanto predicava o gli apparati del Nazareno impediscono qualsiasi tentativo di rivoluzione?

Gli apparati non sono sufficientemente forti da impedire nulla, ma ho l’impressione che l’input di leadership che arriva da Schlein non sia adeguato. Non si è ancora impadronita della macchina del partito e questo segnala un elemento di debolezza che ha poco a che vedere con le politiche che propone. Sono le modalità con le quali le propone a essere sbagliate. Insomma vedo molto movimento e non abbastanza consolidamento.

Uno che si muove molto è Dario Franceschini, che sta dando vita a una nuova corrente di sostegno alla segretaria: servirà?

Non mi intendo abbastanza di queste cose perché ho sempre detestato le correnti. Detto ciò, il punto fondamentale è che sostenere la segretaria è utile al partito, contrastarla fa male a tutti. Fare un correntone contro la segretaria è sbagliato, ma lo è anche fare una correntina a favore della leader. Se le correnti agissero sul territorio per accogliere nuovi elettori sarebbe positivo, ma devo dire che vedo poco movimento sul territorio.

Beh, le feste dell’Unità non sono certo quelle di una volta…

Per forza, continuano con la pratica di invitare sempre gli stessi senza cercare qualcosa di nuovo e creare così un dibattito vero che catturi l’attenzione della stampa.

Un tema di cui si dibatte molto è l’immigrazione: pensa che su questo Pd e M5S possano trovare una strategia comune di contrasto alle politiche del governo, che proprio su di esse fonda parte del suo consenso?

Il tema è intrattabile. Non so se il governo raccoglie consensi con le strategie sull’immigrazione ma di certo non sta risolvendo il problema. È intrattabile perché nessuno ha una strategia e tutti, maggioranza e opposizione, pensano che sia un’emergenza congiunturale quando invece è strutturale. Per i prossimi venti o trent’anni uomini, donne e bambini arriveranno in Europa dall’Africa e dall’Asia perché non hanno possibilità di mangiare o perché scappano da regimi autoritari. L’unica cosa da fare è agire in Europa senza contrastare le visioni altrui e andando in una direzione di visioni condivise e obiettivi comuni. E su questo il governo mi pare carente.

In Slovacchia ha vinto le elezioni Robert Fico, iscritto al Pse ma pronto ad allearsi con l’ultradestra e smettere di inviare armi a Kyiv. È un problema per la sinistra europea?

Sono rimasto stupito dall’incapacità dei Socialisti europei di trattare con i sedicenti socialdemocratici di Fico. La sua espulsione doveva avvenire già tempo fa. Mi pare che siano 4 gli europarlamentari del suo partito e dovevano essere cacciati. Perché non si può stare nel Pse se non si condividono i valori del partito, e Fico non li condivide. Valeva la stessa cosa per il Ppe con Orbán, e questo potrebbe far perdere voti agli uni e agli altri.

In caso di crollo di Popolari e Socialisti ci sarà spazio per maggioranze diverse a Bruxelles?

Meloni dice che è in grado di portare sufficienti seggi a Strasburgo per far sì che ci sia un’alleanza tra Popolari, Conservatori e Liberali e quindi fare a meno dei Socialisti. Io non credo che questi numeri ci saranno, a meno che non siano i voti degli stessi Popolari a spostarsi verso i Conservatori. È più facile pensare che ci sarà continuità nelle alleanze, dopodiché vedremo chi siederà al vertice dell’Ue. Ma è ancora presto per parlarne.

Eppure Salvini scalpita e tira per la giacchetta Tajani tutti i giorni sognando il “centrodestra europeo”. Ci sono possibilità?

Le destre son quelle che sono e non credo che l’Europa possa permettersi di accettare Salvini e Le Pen all’interno della maggioranza che governerà nei prossimi cinque anni.

Pubblicato il 3 ottobre 2023 su Il Dubbio

Troppa competizione tra Pd e M5s danneggia il centrosinistra @DomaniGiornale

Dove condurrà la competizione in atto fra Elly Schlein e Giuseppe Conte? Può essere positiva per lo schieramento anti-governo Meloni oppure è un ostacolo alla convergenza su programmi, proposte, prospettive? Altrove, per intenderci, dalle democrazie scandinave al Portogallo, alla Spagna e, fino all’avvento di Macron, alla Francia (ma il sistema istituzionale e elettorale fa molta differenza), nell’ambito della sinistra e del centro-sinistra, spesso esiste un partito chiaramente più grande in termini di voti e di consenso. A quel partito spetta indicare la leadership dello schieramento che, se vittorioso, verrà premiata con la conquista della carica di capo del governo. Al momento, secondo i sondaggi e in base ai voti del settembre 2022, la distanza in termini percentuali fra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non consente al primo di rivendicare in maniera inoppugnabile la guida dello schieramento più ampio. Inoltre, impegnato nell’estendere il più possibile il suo appello politico elettorale, Conte si dimostra maggiormente orientato a competere con il PD piuttosto che a convergere. Quello che è successo con il sostegno comune al salario minimo appare un’eccezione sicuramente raccomandabile e istruttiva, da valorizzare (anche se, temo, che verrà il momento delle bandierine di rivendicazione). Quello che, invece, è finora mancato ad entrambi (di “+Europa” e “Azione” non parlo poiché mi paiono molto carenti quanto a capacità di mobilitazione) è un disegno di recupero di quel 40 percento di elettorato che per varie ragioni non è andato alle urne.

   La competizione Schlein/Conte non appare l’argomento di maggiore attrattività per quegli astenuti. Anzi, da altri luoghi e da altre elezioni, sappiamo che gli scontri nella sinistra smobilitano specialmente la parte di elettori che vogliono sì un’alternativa di governo al centro-destra, ma, al tempo stesso, vogliono che quel governo sia sufficientemente coeso, con il minimo di tensioni interne e credibilmente capace di attuare le sue promesse. Altrimenti, starsene, pur tristemente, a casa per loro rimane un’opzione preferibile.

Naturalmente, la competizione Partito Democratico/Movimento Cinque Stelle è nelle cose, nei fatti, nello stato del paese. Personalmente, non sono un cantore della necessità assoluta e prioritaria di ridurre le diseguaglianze soprattutto quelle economiche. So, però, che è ai ceti svantaggiati che la sinistra, non soltanto in Italia, sembra avere perso la capacità di parlare e, talvolta, persino, la volontà di andarli a cercare. La questione dovrebbe essere posta in termini di opportunità: aprire spazi di accesso alla buona istruzione, alla buona sanità, alle buone pensioni che possono seguire ad un mercato del lavoro accessibile anche in seguito a procedure di qualificazione e di reinserimento dei lavoratori/trici. Questa, sulle idee, sui progetti, sulle soluzioni, è la buona competizione nella sinistra. Il momento giusto è ora poiché il governo annaspa nel PNRR, colpisce malamente le banche, non ha ricette di ristrutturazione del welfare. Il non originale mantra dei centrodestri è che i problemi sono stati creati dai governi precedenti. La risposta dei due partiti che in quei governi erano le componenti più importanti, oltre a mettere in questione affermazioni infondate, deve consistere in singole proposte chiare, condivise, solidariamente sostenute, quello che si può chiamare “la pratica dell’obiettivo”. Valutando i contributi agli obiettivi conseguiti, PD, M5S e coloro disposti a collaborare saranno in grado di meglio scegliere la leadership più promettente per vincere le prossime elezioni.

Pubblicato il 17 agosto 2023 su Domani

Solo un campo largo può far vincere la sinistra @DomaniGiornale

Scrutare nelle viscere di elezioni amministrative che riguardano forse un quinto dell’elettorato, in comuni molto diversi fra loro e diversamente governati, con sindaci uscenti, sindaci alla ricerca del secondo mandato, tabula rasa con new entries, è un esercizio difficile per osservatori raffinati. Tuttavia, è cosa buona e giusta esercitarvisi poiché i voti rivelano sempre qualcosa di interessante. La prima osservazione è che a livello nazionale non ha fatto la sua comparsa nessuna tematica nuova di tale importanza da influenzare gli esiti locali. In secondo luogo, nessuno dei contendenti ha saputo suggerire qualche novità/innovazione. Al contrario, molto si è giocato sulla continuità/continuazione e l’effetto inerzia abitualmente va a favore di chi governa senza dare grattacapi alla cittadinanza Infine, non si sono visti errori clamorosi. In buona sostanza, dunque, nel voto al primo turno la differenza l’hanno fatta le candidature e le alleanze. Ai ballottaggi, in particolare laddove i distacchi sono contenuti, oltre alle candidature, decisive saranno le alleanze.

   Baloccarsi con la democrazia compiuta che per molti significa non soltanto la possibilità, ma la realtà dell’alternanza pensando che sia prodotta o quantomeno facilitata dalla legge elettorale è semplicistico benché non essenzialmente sbagliato. A far vincere il centro-destra, ieri (e forse anche domani) a livello nazionale è stata la capacità di costruire, mettendo a tacere i riluttanti, una coalizione. Sbeffeggiare Enrico Letta che voleva, con una modica dose di velleitarismo, un “campo largo”, è certamente un errore sgradevole. Se coloro che ritengono inadeguato in termini di politiche e nocivo in termini di valori il governo di centro-destra, non sanno/non vogliono offrire una coalizione alternativa, ma preferiscono geometrie variabili opportunistiche, sarà il caso che mettano in conto molte sconfitte future.

   Poiché i numeri contano, nel centro-sinistra talvolta possono essere (quasi) determinanti i dirigenti del sedicente Terzo Polo. Però, peso maggiore e conseguentemente responsabilità maggiore la porta Giuseppe Conte. A livello locale, il Movimento 5 Stelle, ancorché non marginale, spesso non ha abbastanza radicamento. Ai ballottaggi i suoi elettori andranno in ordine sparso, per lo più votando il candidato di “area”, spesso PD, altrimenti rifluendo nell’astensione. A livello nazionale quel 15 per cento potrebbe essere, probabilmente sarà (scommetto sul futuro) decisivo. Ne sapremo molto di più quando disporremo dei dati delle elezioni per il Parlamento europeo. Prima di allora, qualche elemento utile verrà dai ballottaggi poiché saranno gli elettori stessi a mostrare le loro preferenze, seguendo oppure no le eventuali indicazioni di Conte (temo che impersonerà Ponzio Pilato, come lui sbagliando). Ottimisticamente, Il proverbio dice “sbagliando s’impara”.

Pubblicato il 17 maggio 2023 su Domani

Le inadeguatezze politiche e identitarie delle opposizioni @DomaniGiornale

Come reagire di fronte alle politiche del governo di destra-centro? (In)comprensibilmente, le opposizioni stanno già dando immediata prova della loro inadeguatezza. Il governo Meloni prosegue in alcune scelte preannunciate dal governo Draghi, ad esempio, il reintegro del personale sanitario NoVax (pochi medici molti infermieri e collaboratori vari), le opposizioni si esercitano sulla critica invece di portare elementi e dati a sostegno di una politica di maggiore cautela. Il governo mette in cima alle sue priorità l’ordine pubblico (gestione e conclusione senza violenza del rave party di Modena), le opposizioni spostano, anche giustamente, l’attenzione sulla marcia di Predappio da loro poco o nulla contrastata nel passato. Il governo Meloni emana decreti, le opposizioni con la coda di paglia non denunciano la decretazione d’urgenza su tematiche sulle quali è lecito chiedere il passaggio parlamentare e sfidare la compattezza della maggioranza. Non so se possono spingermi fino a ricordare a mio rischio e pericolo al Presidente Mattarella che i decreti debbono essere omogenei come materia e che l’omogeneità non può essere data dall’urgenza, peraltro dubbia e talvolta procurata ad arte. Le opposizioni che denunciano le politiche “identitarie” pensano, forse, che l’elettorato di Fratelli d’Italia e della Lega (l’identità di Forza Italia mi è sfuggita da tempo) non apprezzi esattamente gli elementi che fanno di quei due partiti qualcosa di molto lontano e molto diverso dal PD, soprattutto, ma anche, nell’ordine, dal Movimento di Conte e dalle Azioni (proto: al plurale!) di Calenda e di Renzi? E che siano proprio le pallide/issime identità delle opposizioni, a cominciare da quella del Partito Democratico, uno dei loro problemi, quasi il principale? In effetti, il problema principale delle opposizioni è che continuano nella loro campagna elettorale permanente stando nel loro recinto ovvero cercando strapparsi reciprocamente qualche spazio e qualche voto a futura memoria, criticandosi, invece di individuare i punti di contatto e di collaborazione possibile e facendo leva su di loro.   

Nelle sue diverse uscite pubbliche, la Presidente Meloni ha richiamato la sua maggioranza alla “compattezza e alla lealtà”. I numeri delle varie votazioni finora avvenute la hanno sicuramente confortata. Forse ha anche sorriso (cosa che agli arcigni oppositori, alcuni dei quali assolutamente privi di sense of humour non riesce proprio) di fronte all’attivismo in parte folkloristico in parte patetico di Salvini che corre sempre a dichiarare per primo. Il body language di Giorgia Meloni rivela una quasi assoluta sicurezza di essere in controllo della sua maggioranza. Vero: non è “ricattabile”. Vale la pena di perdere tempo e fiato per tentare di spingerla all’indietro in un passato che non fa fatica a dichiara che non le appartiene? Si guadagnano voti e si incrina la maggioranza con il richiamo di una storia che probabilmente la maggioranza degli italiani non conosce a sufficienza e certo reputa meno inquietante del prezzo del gas e del costo del carrello della spesa? No, il governo Meloni non cadrà e non cambierà linea leggendo i tweet di Letta, Conte e Calenda e neanche quelli del manovriero Renzi. In una democrazia parlamentare una opposizione intelligente sposta la battaglia nelle Commissioni e nelle aule del Parlamento. Si attrezza per il controllo di quello che il governo fa, non fa (sic), fa male e per la controproposta che farà ossessivamente circolare sui mass media grazie ai suoi intellettuali da talk show e nelle circoscrizioni elettorali grazie ai suoi molti parlamentari paracadutati/e.

Pubblicato il 2 novembre 2022 su Domani

Lezioni dal Parlamento, cosa abbiamo imparato secondo Pasquino @formichenews

Il centrodestra è davvero compatto? Certamente, il potere, la ricerca e l’esercizio del potere costituiranno una potente pomata rassodante e compattante, mai tale, però, da evitare scontri anche palesi e rumorosi, persino rischiosi, non soltanto per il governo, ma soprattutto per il Paese. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e accademico dei Lincei, autore di Tra scienza e politica. Una autobiografia (Utet) e curatore di Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane (Treccani)

Dimenticheremo presto, spero, i discorsi, meno i trascorsi, dei neo-Presidenti di Senato (Ignazio La Russa) e Camera (Lorenzo Fontana). Li aspettiamo alla prova mentre nei nostri occhi sono rimaste le memorabilia fasciste gelosamente custodite e generosamente esibite da La Russa e nelle nostre orecchie risuonano le affermazioni omofobe e (filo)putiniane di Fontana. Il centro-destra poteva fare meglio, ma almeno già sappiamo che il prossimo Presidente della Repubblica non verrà dalle due più alte cariche del Parlamento. Abbiamo anche visibilmente imparato che sui nomi il centro-destra è tutto meno che compatto. Va a prove di forza e a scontri finendo, seppure in maniera involontaria, di inserire qualche puntuto cuneo nei ranghi delle opposizioni. Queste, Partito Democratico, Movimento del Conte, Calenda e Renzi (i cui protagonismi non stanno nella stessa stanza per ragioni di stazza), promettono di essere dure, intransigenti, ad oltranza, ma qualcuno pensa che il suo voto potrà valere un incarico a futura memoria. Questa è la politica, commenta un ex-dalemiano su twitter. No, questo è soltanto una delle incarnazioni della cattiva politica che infanga la politica e dà la colpa ai populisti che, irresponsabili, incassano, gongolano e passano oltre. L’incasso non tarderà.

Il quesito è, ma doveva già essere stato sollevato dai commentatori troppo spesso genuflessi, se le due elezioni parlamentari, in misura diversa, non segnalino che il centro-destra è tutto meno che compatto. Certamente, il potere, la ricerca e l’esercizio del potere costituiranno una potente pomata rassodante e compattante, mai tale, però, da evitare scontri anche palesi e rumorosi, persino rischiosi, non soltanto per il governo, ma soprattutto per il paese. Fra breve vedremo più acutamente alcuni di questi scontri sui nomi dei ministri, anche donne. Politici e tecnici per me mai pari sono, ma in una democrazia decente entrambi verrebbero nominati con riferimento a competenza, esperienza e lealtà (elemento da non trascurare mai) politica che per me va al capo del governo e al programma sottoscritto, non ai capi dei partiti che, invece, a loro volta, dovrebbero essere impegnati e giudicati sul programma. Ne vedremo delle belle (sic) e delle brutte (ri-sic), ma è giusto esigere motivazioni articolate per entrambe. Poi, naturalmente, i voti contano e, temo, conteranno anche alcuni ricatti.

Lascio i ricatti alle loro nefaste traiettorie, e concludo con i ricordi. Il ricordo più bello è quello di una elegante signora novantenne che rappresenta un pezzo di storia d’Italia e d’Europa, del fascismo e della nazismo, dell’antisemitismo e delle discriminazioni, della democrazia. La senatrice a vita Liliana Segre, nominata da Mattarella, ha sintetizzato in poche precise e ammirevoli parole che cosa i politici (e i cittadini) dovrebbero fare per un’Italia migliore: applicare la Costituzione, seguendola anche, anzi, soprattutto, se la si vuole riformare (art. 138). Metaforicamente, il dito della Sen. Segre, che non sarebbe stata lì se il fascismo non fosse stato sconfitto, indicava la luna, ma non guardate solo la luna, guardate anche di chi è quel dito. Di una grande donna che testimonia che è possibile combattere, con perseveranza e grazia, odio e ingiustizie e vincere.

Pubblicato il 15 ottobre 2022 su Formiche.net

Verso il 25 settembre, il voto più utile è degli indecisi @formichenews

Il voto davvero utile, meglio più utile, ovvero più incisivo, sarà quello degli indecisi e dei potenziali astensionisti. Occhio, dunque, a quale coniglio/a uscirà da quale cappello nelle quarantotto ore prima del voto. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e Professore Emerito di Scienza politica e autore di “Tra scienza e politica. Una autobiografia” (Utet 2022)

Raramente ho assistito a una campagna elettorale tanto prodiga di informazioni sui leader, sui partiti, sulle tematiche. Sono giunto alla conclusione che se la campagna viene definita “brutta” è come la bellezza: sta negli occhi di chi, commentatori di poco senno e fantasia, la guarda (o forse no: guardano solo i concorrenti, per “copiarli”). Sappiamo che Giorgia Meloni, una volta richiamato Draghi, è la front runner. Sta conducendo una campagna elettorale il cui punto d’arrivo potrebbe essere Palazzo Chigi. Atlantista per sua definizione, si è convincentemente collocata dalla parte dell’Ucraina, ma si è trovata appesantita da un passato che non passa, e che qualche saluto fascista riporta all’ordine del giorno, e dalla sua appartenenza di genere che non sa né respingere né valorizzare. La zavorra più pesante e per lei (ma anche per gli italiani tutti) è il suo incomprimibile, indeclinabile sovranismo che si accompagna a deplorevoli compagni (oops, chiedo scusa) di strada: da Orbán a Vox. Se nell’elettorato italiano è passato il messaggio che, forse troppo poco troppo tardi, il Partito Democratico di Letta ha cercato di mandare: “tutto con l’Europa niente fuori d’Europa”, allora il consenso presunto per i Fratelli d’Italia potrebbe risultare ridimensionato. Chi con qualche strambato di cui non era ritenuto capace ha risollevato il suo consenso che sembrava in caduta libera è Giuseppe Conte.

   Ambiguo la sua parte sia sull’Unione Europea sia su come affrontare l’aggressione russa all’Ucraina, Conte può ringraziare gli attacchi mal posti e male argomentati al reddito di cittadinanza, l’unica riforma davvero innovativa che il Movimento 5 Stelle di governo possa effettivamente rivendicare. Che i voti per i pentastellati di lotta crescano nel Sud rispetto a previsioni fosche è dovuto all’impatto positivo del reddito di cittadinanza e alla volontà di difenderlo. Anche su questo gli elettori hanno ricevuto utili informazioni. Immigrazione e sicurezza, scuola e sono finiti in secondo piano perché maiora premunt, c’è qualcosa di più importante destinato a essere una sfida duratura. No, personalmente non me la sento mai di parlare a nome degli italiani, ma il prezzo del gas e, più in generale, del carrello della spesa sono le due criticità che non ci abbandoneranno troppo presto. Non sarà il governo prossimo venturo a risolvere il problema. In verità, nessun singolo governo europeo ha la chiave della soluzione. Solo gli europei europeisti possono approntare una difesa decente e passare all’attacco con una politica energetica concordata.

Berlusconi ha rapidamente capito che il suo aggancio con il Partito Popolare Europeo è importantissimo per Forza Italia e, impostosi garante del (governo di) centro-destra, ha ipotecato i Ministeri degli Esteri e dei Rapporti con l’Europa. Però, ma non ce la fa proprio ad abbandonare la tassa che non è né piatta né, poi, neppure tanto bassa come quella proposta dal giocatore d’azzardo Matteo Salvini a corto di tematiche e di fiato. A testa bassa sia per tentare di trovare l’agenda perduta, quella di Draghi, sia per incornare il Partito Democratico, i quartopolisti Calenda e Renzi non hanno lasciato traccia nella campagna elettorale. Ma anche questa è una notizia utile per gli elettori. Ne sappiamo tutti di più. Certo, partivamo con le nostre preferenze che probabilmente sono cambiate di pochissimo (rispetto ai sondaggi). Alla fine, il voto davvero utile, meglio più utile, ovvero più incisivo, sarà quello degli indecisi e dei potenziali astensionisti. Occhio, dunque, a quale coniglio/a uscirà da quale cappello nelle quarant’otto ore prima del voto. Faites vos jeux. Ma, in democrazia non finisce qui.  

Pubblicato il 22 settembre 2022 su Formiche.net

Soltanto il PD si oppone davvero alle destre @DomaniGiornale

Non deve essere così grave il pericolo fascista rappresentato da Giorgia Meloni se, da un lato, Calenda-Renzi, dall’altro, il ringalluzzito Conte sembrano impegnarsi soprattutto nell’erosione del Partito Democratico di Enrico Letta. In verità, contrariamente all’opinione di molti commentatori per i quali le parole e le impressioni contano più dei numeri e delle percentuali, non sembra in atto nessuna erosione. Anzi, i sondaggi più credibili indicano e documentano che da almeno un mese o poco più il Partito Democratico è, se non stabile intorno al 22 per cento, addirittura in leggera, forse impercettibile, crescita. Non solo, ma non si vede nessun effetto positivo della presunta erosione del PD sugli abusivi del Terzo Polo che rimangono bloccati su percentuali che sono quasi la metà di quelle dei veri Terzisti guidati da Conte. Il recupero dei Cinque Stelle che stanno inseguendo, forse raggiungendo Matteo Salvini, irrequieto leader della Lega, non sembra dovuto alla sottrazione di consensi a Letta, ma al possibile, probabile, rientro di elettori già pentastellati che si stanno ricredendo. D’altronde, il menu dell’offerta partitica non può sembrare maggiormente appetibile per chi aveva nutrito speranze di un reale cambiamento di sistema, certo, poi, disatteso, ma non senza esiti apprezzabili: reddito di cittadinanza e taglio dei parlamentari. Incuriosisce, però, che gli Azionisti e i Pentastellati mirino in particolar modo più a ricavarsi uno spazietto a spese del PD piuttosto che giocare a tutto campo anche con spirito repubblicano per impedire alla destra di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi e forse più mettendola nelle condizioni di riformare la Costituzione repubblicana evitando l’eventuale sfida referendaria. Preoccupante sarebbe poi se Calenda-Renzi e Conte pensassero che il messaggio da mandare all’elettorato è che l’avversario principale è il Partito Democratico e non il trio delle meraviglie Meloni, Salvini, Berlusconi, le loro proposte programmatiche e valoriali, le loro collocazioni internazionali, le loro amicizie europee. Serenamente opposto a Giorgia Meloni, mi pare che Enrico Letta sia sostanzialmente uno dei pochi, unitamente a +Europa, a ritenere che la destra è per l’appunto l’avversario principale. Continuare a fare dell’ironia sul campo largo non soltanto non serve a nulla, neanche all’erosione immaginaria, ma significa non avere capito che, in effetti, l’avversario principale esiste e che, lui/lei sì, è da mesi il/la front runner. Non si fermerà quella corsa di testa proponendole, a quale titolo mai?, l’inserimento in un governo di unità nazionale che lo stesso proponente Calenda avrebbe in altri tempi carinamente definito accozzaglia e ammucchiata. Prima si contano i voti e i seggi. Poi si fanno i governi. Questa è la democrazia competitiva. Il resto non è “erosione”, ma confusione.  

Pubblicato il 7 settembre 2022 su Domani