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Il vento del welfare può far tornare in pista #(s)profondorosso @formichenews

formiche 216 | Agosto – Settembre 2025
Sinistra, work in progress
QUEL CHE SO DELLE SINISTRE
Nel mondo la sinistra un po’ vince un po’ perde, come è giusto che sia nelle democrazie competitive. In Europa, anche nei momenti peggiori dei cicli elettorali, alcuni partiti di sinistra, laburisti in Gran Bretagna, socialdemocratici in Svezia e Germania, socialisti in Francia, Spagna, Portogallo, vincevano e ottenevano abbastanza seggi per governare soli oppure, più spesso, in coalizione. In Italia, no: nessuna vittoria limpida, poche presenze e poco caratterizzanti in governi di coalizione. In generale, la condizione delle sinistre non può, però, essere considerata né buona né soddisfacente, ma neppure catastrofica e irreversibile. I critici, più, ma spesso, meno costruttivi, danno per finiti troppi partiti di sinistra e persino, lo dirò con termine desueto, l’afflato di sinistra.
Quand’anche fosse così, alcune sinistre europee potrebbero, anzi, dovrebbero ricordare a tutti che hanno cambiato la storia non soltanto ciascuna nel suo paese, ma anche nel resto del mondo democratico. Qualche anno fa avrei aggiunto “in maniera irreversibile”. Oggi, sarei più cauto, ma non meno speranzoso. Per inquadrare il discorso anche in chiave comparata faccio riferimento a importanti binomi: da un lato, organizzazione e visione (che preferisco a ideologia); dall’altro, keynesismo e welfare. Forza e debolezza, successi e sconfitte, declino e rilancio sono tutti fenomeni che è possibile studiare, capire e modificare facendo riferimento ai due binomi sopra presentati.
Non era stato facile sindacalizzare e organizzare le classi operaie, che crescevano numericamente, ma aveva portato cospicui vantaggi elettorali. Già i lavoratori tecnici mostrarono irrequietezza organizzativa. Poi arrivarono figli e nipoti anche delle aristocrazie operaie a chiedere rappresentanza postmaterialista, nuovi stili di espressione e di vita. Il colpo definitivo sono stati i migranti la cui presenza è una sfida culturale e economica che ha diviso il mondo dei lavoratori. La visione di una società che, anche senza diventare socialista, offrisse istruzione, lavoro, eguaglianza di opportunità, non era più sostenibile. Gli operai nativi e sovranisti sono passati dall’altra parte.
Eppure, quelle sinistre di governo avevano saputo cogliere le occasioni governanti migliorando l’economia, facendo leva sul keynesismo, e la società costruendo il welfare. Dando per scontato il benessere acquisito anche attraverso questi strumenti, alcuni settori dei ceti medi e molti figli di operai divennero “individualisti”. Con il loro livello di istruzione, con la loro professionalità, grazie alla generosità del welfare pensa(ro)no di non avere più bisogno di rappresentanza politica come quella che i partiti di sinistra avevano garantito ai loro nonni e ai loro padri. Le differenziazioni politiche crebbero indebolendo in particolare i partiti classicamente socialdemocratici. In aggiunta, per quello che riguarda in particolare l’Europa, si manifestarono due seri problemi. Primo, le politiche keynesiane condotte nei singoli paesi non sfondarono a livello europeo (per fortuna, di recente, Mario Draghi le ha sommessamente riproposte). Anzi, politiche di austerità e di stabilità rendono impossibili alcune scelte di sinistra. Secondo, soprattutto, le difficoltà delle sinistre dipendono dal successo delle politiche del welfare. Cittadini più istruiti, e quindi, più esigenti, ma anche più convinti di farcela senza bisogno di politica, cittadini che, anche grazie alla qualità dei sistemi sanitari, vivono più a lungo (e più a lungo godono di pensioni generose) sono l’esito di quello che il grande sociologo tedesco Ralf Dahrendorf definì il secolo socialdemocratico.
I due binomi: “organizzazione/visione” e “keynesismo/welfare” sono diventati insostenibili e improponibili. Le classi operaie sono largamente minoritarie e hanno perduto, talora senza neppure averla avuta nel passato, qualsiasi coscienza di classe. Un po’ dappertutto quel che rimane delle organizzazioni di partito sente il fiato sul collo della personalizzazione della politica. Divertente, deprimente, esasperante, la personalizzazione fluttua e non costruisce nulla né di buono né di sinistra. Anzi, non poche volte è la premessa di slittamenti populisti. La sinistra non slitta, ma neppure riesce a contrapporre una nuova visione.
Probabilmente la Terza Via di Tony Blair e Anthony Giddens è stata l’ultima visione riconducibile alla sinistra, però travolta dal suo livore anti Old Labour e segnata da eccesso di ambizione di Blair. Rielaborare il keynesismo è importante; ristrutturare il sistema del welfare è indispensabile. Nessuna delle due operazioni avrà successo se non sarà condotta pazientemente e rigorosamente a livello dell’Unione Europea. A quel livello, l’europeismo può caratterizzarsi come visione lungimirante di società giusta. Nel frattempo, le sinistre continueranno a essere frammentate diversificate, conflittuali, plurali (è, dicono, una “ricchezza”), a perdere le elezioni, ma anche, più raramente, nel contesto italiano rarissimamente, a vincerle e a governare. Ça, forse, suffit.
Gianfranco Pasquino è professore emerito di Scienza politica.
Il vero problema del M5S è Conte, Schlein punti sull’Ue #Intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna e in libreria da poco con il suo Fuori di testa. Errori e orrori di comunicatori e politici, spiega che Conte è un problema per il M5S e che il lavoro è uno dei pochi temi che unisce il campo largo.
Professor Pasquino, l’unità delle opposizioni in piazza ieri con i metalmeccanici significa che il campo largo passa anche dai temi del lavoro?
Il lavoro è l’unico tema sul quale hanno già trovato un accordo, a cominciare dal salario minimo garantito. Certo è un tema che si può utilizzare ma da solo non basta a creare il campo largo: pone le premesse, ma rimane molta strada da fare.
Una strada che passa anche per la difesa della sanità pubblica?
Più che la difesa della sanità pubblica si dovrebbe proporre una sanità pubblica migliore, più concreta e più efficiente che preveda investimenti di breve periodo per rinnovare l’apparato e di lungo periodo perché ci si è resi conto che i medici sono necessari e quindi bisogna riformare i test d’ingresso, preparare più personale e più infermieri. Anche su questo terreno la sinistra potrebbe trovare un accordo.
Sull’immigrazione invece Pd e centristi spingono molto, meno il M5S visti anche i trascorsi con i vari decreti Sicurezza. Su questo tema potrebbero esserci dei problemi?
Potrebbero essercene e potrebbero anche essere in qualche modo esaltati ricordando a tutti che l’immigrazione non la risolve alcun paese europeo da solo. Serve una soluzione che sia effettivamente europea e che sia rispettata in tutti i paesi. Una soluzione per la quale bisogna superare i veti dei sovranisti e poi tradurla in concreto anche in Italia.
Politicamente quanto sono importanti le prossime Regionali per il futuro del centrosinistra?
L’alleanza deve essere costruita di volta in volta, in una regione se ci sono le Regionali, nei comuni se ci sono le Comunali. Nella speranza che creandola si crei anche uno strumento attrattivo per quegli elettori che non votano più. Bisogna anche vedere se si creano delle leadership delle quali gli elettori si fidino. Per tutti questi motivi le prossime Regionali sono molto importanti. Vedremo come va in Liguria, ma tutte queste tappe sono decisive perché si possono anche offuscare le differenze, mettendo ad esempio Renzi all’interno di una lista civica a sostegno di una candidato governatore, come in Emilia- Romagna. Ma bisogna esserci tutti e questo significa che ciascuno deve rinunciare a qualcosa.
Renzi ha rinunciato al simbolo, a cosa dovrebbe rinunciare il M5S?
Il problema principale del M5S è Conte. Il quale crede di poter tornare a fare il capo del governo mentre le cifre e le percentua-li sono chiare. Se mai l’alleanza del centrosinistra riuscirà ad avere abbastanza voti il premier deve essere espressione del partito più grande ed è molto difficile che il M5S superi il Pd. Deve prendere atto che è il secondo e rassegnarsi ai posti di potere che spettano al secondo.
Una sconfitta in Liguria sarebbe un duro colpo per il Pd, dopo la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Toti?
La Liguria è diventata importantissima perché se dovesse venire meno il sostegno di coloro che valutano negativamente quello che Toti ha fatto ciò implicherebbe un colpo di arresto non solo alle opinioni ma alle preferenze e alle speranze del centrosinistra.
Molti criticano la scelta di candidare Orlando: che ne pensa?
Orlando è spezzino e ha una storia politica ligure anche abbastanza lunga. È uomo capace ed è stato anche un buon ministro quindi credo sia il candidato migliore in queste circostanze. Non credo sarebbe una sua sconfitta ma di chi non riuscisse a trovare voti aggiuntivi che di solito vengono dagli astenuti.
Abbiamo parlato dei motivi che uniscono il campo largo: da dove potrebbero arrivare invece i problemi?
Beh, la politica estera potrebbe essere un problema ma dopo aver vinto la campagna elettorale, che certamente non sarà condotta su quello, visto che non p nemmeno una priorità per gli elettori. Schlein dovrebbe invece impostare il discorso sulla politica europea, terreno sul quale Conte è ambiguo e debole. Poi certo non si può guidare l’Italia con una politica estera zoppicante, basti pensare all’Ucraina e al futuro del Medio Oriente, oltre che di Israele.
Dopo le Europee Schlein si goduta un partito in salute: è ancora così?
Nel Pd vedo dei problemi che ci sono ma che riguardano il partito solo di riflesso. Nel bene, che è parecchio, e nel male, che comunque c’è, il Pd rappresenta un elettorato diviso su alcune questioni a partire dalla guerra, sia nel sostegno all’Ucraina sia nel sostegno a Israele. Schlein ha accettato di barcamenarsi e secondo me si è spinta un po’ troppo a favore di coloro che dicono basta a Zelensky e che criticano Israele. Ma la capisco, perché non può lasciare campo aperto a Conte che su entrambe le tematiche è su posizioni ben distanti da quelle del Pd.
Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Il Dubbio

PRIMO MAGGIO 2024 Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale #Modena #CGIL #CISL #UIL
1°MAGGIO 2024
Festa di lavoratrici e lavoratori
ore 10.00 in Piazza Grande
Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale
Apologia del (vero) liberalismo. Così le istituzioni proteggono i diritti @DomaniGiornale


Il problema non è il neo-liberalismo (troppo spesso identificato con ricette economiche meglio definibili come neo-conservatrici). Il problema sono i sedicenti liberali che parlano di qualcosa che non conoscono. Per molti di loro, essere liberali significa porsi contro la sinistra in qualsiasi versione si presenti. Per molti di loro, soltanto i liberali possono scrivere e discutere di liberalismo. Dissento verticalmente e qui argomenterò, inevitabilmente a grandi, ma credo sufficienti, linee, perché e come.
Ricostruisco il liberalismo al quale sono stato esposto come studente da Norberto Bobbio, Luigi Firpo (docente di Storia delle dottrine politiche a Torino), Nicola Matteucci e Giovanni Sartori. Poi, sì, grazie a loro, ho letto molti altri libri importanti. A richiesta ne provvederò i riferimenti bibliografici. All’origine di tutto voglio porre tre essenziali principi derivati dagli scritti del sicuramente liberale John Locke (1632-1704), nell’ordine: libertà, vita, proprietà. Senza libertà non c’è vita degna di essere vissuta. Proteggere la vita non consiste unicamente nel garantire le condizioni minime di esistenza, grazie alla proprietà di alcune risorse, ma significa opporsi a qualsiasi ingerenza fisica a cominciare dalla tortura. Tre secoli dopo Locke, l’eminente filosofa politica ebrea nata in Lettonia Judith Shklar (1928-1992) denunciò la crudeltà come il peggior vizio illiberale. Concordo e mentre rimando ad una valutazione complessiva del suo importantissimo lavoro contenuta nel volume curato da Bernard Yack, Liberalism without Illusions: Essays on Liberal Theory and the Political Vision of Judith N. Shklar (University of Chicago Press, 1996), attendo di sentire l’opinione e dei (no, non scrivo più “sedicenti”) liberali italiani.
Stabiliti quei principi tuttora irrinunciabili, dunque, liberale non è mai colui che attenta, fatto salvo un discorso su come sia stata acquisita, alla proprietà delle persone, il liberalismo non esce come Minerva dalla testa di Giove. Si dipana, invece, gradualmente, da un lato, sul versante delle istituzioni, dall’altro, sul versante dei diritti, con la precedenza delle prime, troppo spesso trascurate dai liberali contemporanei, sui secondi. Strappare al re il potere giudiziario e il potere legislativo è quanto suggerisce Montesquieu nel suo De l’esprit des lois (1748), l’inizio della separazione/separatezza delle istituzioni. Il Re d’Inghilterra resisterà strenuamente, ma i coloni americani indipendentisti (1776) fecero delle istituzioni separate l’asse portante del loro presidenzialismo. Quelle istituzioni erano separate come origine anche elettorale, ogni 2 anni i Rappresentanti e un terzo dei Senatori, ogni 4 anni il Presidente, ma condividevano i poteri. Il Senato interviene nelle nomine presidenziali, persino dei Ministri (Segretari) e, ancor più significativamente, dei giudici della Corte Suprema nominati dal Presidente. Quei giudici possono fare decadere le leggi approvate dal Congresso e firmate dal Presidente che, peraltro, può porre il suo veto per lo più vincente su leggi sgradite.
Le istituzioni USA, hanno sostenuto alcuni studiosi recenti, non si limitano a condividere (sharing) i poteri fino ad una situazione di “governo diviso” (stallo e/o ingovernabilità) pur preferibile ad una Presidenza onnipotente, “arrogante” nelle parole del Sen. William Fulbright, “imperiale” nell’analisi dello storico Arthur Schlesinger Jr, ma sono entrati in una nociva, costante competizione per strapparli a proprio favore.
Qui si inserisce il secondo elemento istituzionale/costituzionale eminentemente liberale: checks and balances. Nessuna istituzione deve mai trovarsi in condizione di prevaricare sulle altre e nessuna di essere “prevaricata”. Freni e contrappesi sono meccanismi delicati costantemente bersagli di battaglie politiche e culturali. Coloro che ottengono attraverso elezioni libere, eque (fair), periodiche (qui l’importanza di buone leggi elettorali) e occupano cariche politiche debbono rispondere dei loro comportamenti agli elettori: accountability. Non è solo l’obbligo di accettare le proprie responsabilità e rendere conto di quanto fatto, non fatto, fatto male. L’accountability è la virtù liberaldemocratica per eccellenza, totalmente coerente con l’assenza di qualsiasi vincolo al mandato (art. 67 della Costituzione italiana) e sostanzialmente incompatibile con limiti temporali imposti ai mandati, misura di chiaro stampo populista.
Espressione del potere e delle preferenze dei cittadini, le istituzioni liberali proteggono e promuovono i diritti. Sancite la libertà di parola e opinione e libere elezioni, il Bill of Rights inglese del 1689 è tutto focalizzato sui rapporti istituzionali fra Re e Parlamento e sui rispettivi poteri. Cent’anni dopo la Costituzione USA è un documento tutto istituzionale. Nel 1791, il Bill of Rights USA entrò a farne parte integrante in qualità di primo emendamento. I diritti liberali sono di due tipi, civili e politici. Libertà di parola, di opinione, di stampa, di culto, di associazione e di movimento sono diritti civili essenziali. Votare e essere votati, costruire organizzazioni politiche e partecipare alla politica in varie forme attraverso tentativi di influenzare i detentori del potere politico con proteste e movimenti sono tutti diritti politici. Una società che riesce a esprimersi secondo queste modalità è, ricorrendo agli aggettivi frequentemente usati nel lessico politico/logico USA, “robusta e vibrante”. Poiché la competizione pluralista fra idee, proposte, soluzioni è quanto il liberalismo auspica, considera importante, ‘impegna a garantire quella società è definibile liberale. La competizione, non l’eguaglianza, è il suo tratto distintivo.
L’unica eguaglianza indispensabile e caratterizzante del liberalismo è quella davanti alla legge. La diseguaglianza intollerabile dal liberalismo è quella che deriva dall’uso del denaro per conquistare il potere politico. Il principio “una persona un voto” è eguaglianza politica liberale. Il conflitto di interessi fra le attività e le risorse economiche personali e l’esercizio di cariche pubbliche è la ferita più profonda inferta alla concezione e alla pratica dello Stato liberale.
Non sta nella concezione dello Stato liberale il terzo insieme di diritti, quelli sociali: istruzione, salute, lavoro, pensione. Nulla osta che, come scrisse il grande sociologo inglese T.H Marshall già nel 1950: Citizenship and Social Class, a quei diritti si possa pervenire. Sono diritti caratterizzanti le esperienze e le politiche socialdemocratiche, ma non per questo incompatibili con lo Stato liberale e dai liberali rigettati. Al contrario, rispetto ai diritti sociali le differenze fra liberali e socialdemocratici non stanno affatto nell’importanza attribuita a quei diritti, ma nelle modalità con le quali perseguirli. I socialdemocratici affidano il compito prevalentemente allo Stato e alle sue istituzioni. I liberali pensano che debbano essere i cittadini attraverso la libera competizione politica a stabilire, fatta salva una rete di sicurezza, se, come e quanto investire in istruzione e sanità, in lavoro e pensioni. Da questo punto di vista gli Stati Uniti sono molto più liberali della Gran Bretagna. Prova ne è che la riforma sanitaria di Obama è stata bollata come socialista, mentre il sistema scolastico viene fortemente criticato per la sua produzione e riproduzione di enormi diseguaglianze e privilegi.
Se l’assenza di qualsiasi intervento sostitutivo o correttivo o di indirizzo ad opera dello Stato che neghi la prospettiva formulata da John Maynard Keynes per l’economia e non la voglia/sappia estendere ai settori istruzione, sanità, lavoro è definibile come neo-liberalismo, allora la sua distanza dal pensiero liberale classico è, se non incolmabile, certamente considerevole. Ma, pur esigenti, non buoni/sti come troppi, questa volta la qualifica sedicenti merita di tornare, liberali italiani si compiacciono di essere, i liberali degni di questo nome non sono crudeli e una competizione politica ben regolata continua a promettere e spesso a conseguire esiti apprezzabili.
Pubblicato il 10 agosto 2023 su Domani
Territori e Europa, alla sinistra serve visione @DomaniGiornale


Le opposizioni del centro, trattino, sinistra non sembrano avere ancora capito che le probabilità che il governo Meloni 1 duri tutta la legislatura sono molto elevate. Certo, il governo non cadrà per qualche voto parlamentare più o meno casualmente perduto. Questo non significa che le vittorie parlamentari delle opposizioni siano irrilevanti se obbligano il governo a confrontarsi con le loro idee, le loro preferenze, le loro proposte. All’università ho regolarmente insegnato che la qualità del governo dipende, spesso, anche dalla qualità dell’opposizione. Purtroppo, in questi sei mesi di governo Meloni, le opposizioni hanno preferito combattersi fra di loro, da un lato, con l’obiettivo di strapparsi qualche voto, dall’altro, di dimostrare di essere più intelligenti e più progressisti dei competitors, definiti come quelli che agiscono nello stretto asfittico recinto dei votanti del 25 settembre 2022. Vale a dire che non si sono neanche posti il compito prioritario di cercare, trovare, motivare almeno parte degli astensionisti, circa il 40 per cento dell’elettorato. Per riuscirvi non sarà mai sufficiente gonfiare e esibire pubblicitariamente i propri ego e neppure vantare qualche piccola particolaristica vittoria parlamentare. Come asseriscono alcuni politici senza grande fantasia, sarà indispensabile avere lo sguardo lungo, dal canto mio direi una visione. Per ciascuna battaglia parlamentare importante: lavoro, scuola, diritti, immigrazione, Europa, invece di rincorrersi e scavalcarsi più o meno furbescamente, le opposizioni dovrebbero procedere ad un coordinamento di emendamenti, di mozioni, di voto. Ciascuna, poi, con i suoi parlamentari e dirigenti spiegherà agli elettori le sue motivazioni contrapponendole non a quelle delle altre opposizioni, ma a quelle dei governanti approfondendone le differenze di opinione (che sappiamo essere molte e di non poco conto). Una buona opposizione parlamentare è consapevole che deve andare sul territorio e rimanervi operativa per interloquire il più frequentemente e il più visibilmente possibile con le associazioni economiche e culturali attive nei diversi territori e con le istituzioni locali. Spesso, è proprio a livello locale che è più facile, anche grazie a rapporti personali e a migliore conoscenza dell’ambiente, maturare condivisioni e giungere a proposte comuni. Dal basso può effettivamente venire la spinta, non all’impossibile e neppure utile unità, ma alla convergenza politica e culturale. Per vincere e poi governare senza tensioni interne, le opposizioni debbono mirare a formulare una cultura politica ampiamente condivisa che, inevitabilmente, va costruita intorno al rapporto imprescindibile fra Italia e Unione Europea. In cinque anni ben spesi è possibile fare molta strada in questa direzione, cambiando profondamente in meglio la politica della “nazione” e tornando al governo.
Pubblicato il 3 maggio 2023 su Domani
PD: sulla linea di galleggiamento
Il Partito Democratico non si lascia abbattere dalla situazione attuale nella quale il governo Meloni non sembra in nessun modo indebolito dai suoi errori di comunicazione e di azione, dalla disciplina del rave party allo schiaffo ricevuto dai francesi sull’immigrazione. Annunciata una opposizione dura, ovvero la faccia feroce, il Pdi continua sulla strada che lo porterà a febbraio 2023 al Congresso e all’elezione, curiosamente definita “le primarie”, del nuovo segretario. Donna o uomo, sarà l’ottavo dal 2007 e di nessuno di loro si ricordano imprese memorabili, salvo Renzi che non solo portò il partito al suo maggiore insuccesso elettorale, ma poi se ne andò con un non piccolo bottino di parlamentari che era riuscito a fare eleggere.
Sono sbagliate le politiche che il PD ha promosso e sostenuto nei suoi molti lunghi anni di governo oppure a destare preoccupazione è la struttura di un partito organizzato in correnti i cui capi e seguaci tornano regolarmente in Parlamento anche se il partito perde voti e elezioni? Davvero il problema è che il PD non guarda al lavoro (ma l’ultimo ministro del lavoro era un autorevole parlamentare del partito) e non affronta le disuguaglianze? Ma c’è qualcuno, leader politico, partito, studioso, in Italia e altrove che ha formulato adeguate politiche egualitarie? Curiosamente, secondo me sbagliando alla grande, coloro che si sono candidati alla segreteria del partito, si sono variamente esibiti su quali politiche farebbero se vincessero, sul programma del loro partito. Anzi, i due uomini, il presidente dell’Emilia Romagna e il sindaco di Pesaro, battono sulla loro capacità e le loro esperienze amministrative, mentre la donna attualmente in lizza sottolinea l’importanza del ruolo svolto come Ministro.
Discutere della struttura che dovrebbe avere il PD per svolgere al meglio oggi l’opposizione domani compiti di governo può non essere entusiasmante, ma è essenziale. Un partito che non ha una presenza territoriale reale e diffusa difficilmente riuscirà a capire il disagio di elettori che dovrebbe rappresentare e a accoglierne le domande più significative. Da quegli ambiti, poi, saprebbe selezionare persone e candidature alle quali gli elettori si rapporterebbero con fiducia e con frequenza. Questa politica che parte dal basso promette di essere molto più efficace di quella dei capicorrente seduti a Roma. Addirittura, è probabile che la politica fatta sul territorio indebolirebbe i capicorrente obbligandoli a impegnarsi anche loro a quel livello e a produrre idee e soluzioni sotto l’impulso e la guida del segretario. Nulla di tutto questo si è finora sentito dalla voce di coloro che sono scesi in campo. Addirittura, due di loro pensano di cumulare il ruolo politico con la carica amministrativa che già ricoprono senza inconvenienti di tempo e di energie: supermen. Il PD sopravviverà, ma senza un salto di qualità nel pensiero prima che nell’azione, continuerà soltanto a galleggiare nella politica italiana.
Pubblicato GEDI 23 novembre 2022
Il voto in Emilia Romagna, Zingaretti e le Sardine. Intervista al professor Gianfranco Pasquino @RadioRadicale
Intervista di Roberta Jannuzzi
27 gennaio 2020 – Durata: 10′ 49″
L’Emilia Romagna al centrosinistra, la Calabria al centrodestra.
Questi i risultati delle Regionali, che vedono il dem Bonaccini superare la leghista Borgonzoni e la forzista Santelli trionfare sull’imprenditore Callipo.
Crollo M5s in entrambe le regioni.
Il Pd è di nuovo il primo partito in Emilia-Romagna e il suo segretario, Nicola Zingaretti, parla di un ritorno a un sistema bipolare.
Il leader della Lega Matteo Salvini ricorda che si è fatto tutto quello che si poteva e promette che il cambiamento è solo rimandato.
Sconfitta per il M5s: capo reggente, Vito Crimi, invita a non arrendersi e a stare uniti.
Trionfo silenzioso per le Sardine che hanno contribuito a mobilitare l’elettorato
INVITO L’Europa che vorremmo #7maggio #Mira #Venezia
Evento organizzato da ANPI Venezia – Comitato Provinciale
UN’EUROPA PER IL LAVORO, I DIRITTI, LA DEMOCRAZIA, LA SOLIDARIETÀ E LA PACE
Partecipano:
Gianfranco Pollio Salimbeni
Comitato Esecutivo Federazione Internazionale delle Resistenze
Christian Ferrari
Segretario generale CGIL Veneto
Gianfranco Pasquino
Professore emerito di Scienza politica
Modera
Diego Collovini
Presidente comitato provinciale ANPI Venezia
7 maggio ore 17:30
Villa dei Leoni
Riviera S. Trentin, 5
Mira Venezia
I valori della Costituzione: i principi fondamentali ieri e oggi #Parma #16aprile
INSIEME PER CAPIRE
16 aprile 2019 ore 10-12
Cinema Astra – Parma
I valori della Costituzione:
i principi fondamentali ieri e oggi
Con i giornalisti del Corriere della Sera
Luigi Ferrarella, Massimo Rebotti e Nicola Saldutti
e
Gianfranco Pasquino
Professore Emerito di Scienza Politica presso l’Università di Bologna
Accademico dei Lincei e docente presso la Johns Hopkins University
I principi fondamentali della nostra Costituzione stabiliscono non solo i valori che devono informare la nostra democrazia (sovranità popolare, lavoro, diritti, uguaglianza, libertà), ma anche i modi in cui si devono esplicare e realizzare (le istituzioni, i partiti, le associazioni ecc.). Questo incontro intende da una parte illustrare le ispirazioni politiche e filosofiche che presiedono a questi principi, dall’altra affrontare come questi si realizzano nella società odierna: che cos’è la sovranità popolare nell’epoca dei social? Come sono cambiati i partiti? Cosa significa oggi parlare di repubblica fondata sul lavoro?
Al PD non servono guaritori ma passeggiate salutari sul territorio
Troppi improvvisati e affannati medici si accalcano al capezzale del PD che è davvero malmesso. Qualcuno, il suo Presidente (sic) Orfini, lo dà per morente. La maggior parte dei presunti guaritori sostiene che, già debole e malaticcio alla nascita, abbia bisogno d’interventi di chirurgia invasiva che, quantomeno, taglino le molte escrescenze di dirigenti irresponsabili e inutili. Meglio ricordarsi che, se il PD è ancora un partito o vuole diventarlo, la cura si trova sul territorio: passeggiate e chiacchierate con le persone per capirne esigenze e preferenze e farsi una cultura.


