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Tre cose che so sulle revisioni costituzionali

La terza Repubblica

Discutere con lo stuolo di renziani della prima ora e di convertiti in corso d’opera, spesso ancora più zelanti (ovvero fanatici) sul merito delle revisioni costituzionali è praticamente impossibile. A qualsiasi obiezione di merito i renziani e i loro disinvolti fiancheggiatori, presenti anche nei mass media, contrappongono tre obiezioni. La prima è che bisognava comunque fare qualcosa dopo trent’anni di immobilismo. La seconda è che, da qualche parte, qualcosa, meglio se una tesi dell’Ulivo (ma quello di Renzi appoggiato da Alfano e Verdini è un governo del brand Ulivo?) o qualcuno, meglio se un vecchio comunista (incidentalmente, non ricordo di avere visto stagliarsi alto il profilo di Napolitano riformatore delle istituzioni e della legge elettorale), hanno proposto cambiamenti molto simili a quanto da loro fatto. Terzo, dati rapporti di forza nel Parlamento eletto nel febbraio 2013 non era possibile fare niente di più, ma soprattutto niente di diverso. Nessuna delle tre obiezioni tiene.

Alla prima obiezione ho contrapposto tempo fa (Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Egea/UniBocconi 2015), quello che ho definito “un’altra narrazione”. Nessun immobilismo negli ultimi trent’anni. Anzi, notevole attivismo dei cittadini e del Parlamento. Legge sulle autonomie locali 1990; referendum sulla preferenza unica 1991; abolizione di 4 ministeri e del finanziamento statale dei partiti più, cambiamento della legge elettorale del Senato nel 1993; approvazione delle legge sull’elezione diretta dei sindaci nel 1993; approvazione del Mattarellum nel 1993. Riforma del Titolo V nel 2001; revisione di 56 articoli della Costituzione nel 2005 (poi bocciata da referendum ovviamente e correttamente non chiesto dai revisionisti, ma contro di loro: referendum oppositivo); legge elettorale Porcellum 2005. Tralasciando alcune riforme minori, è evidente che il ritornello dell’immobilismo, da un lato, è pura e semplice, ma colpevole, ignoranza; dall’altro, è un deplorevole ricorso alla manipolazione dei fatti su uno almeno dei quali il Presidente Mattarella, parte in causa, ha il dovere istituzionale di farsi sentire.

Andare alla ricerca delle Tesi dell’Ulivo che l’Ulivo non tentò in nessun modo di tradurre in pratiche ha qualcosa di patetico. Senza contare l’avversione della maggioranza degli ulivisti a quanto veniva fatto nella Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema fino a contribuire al suo fallimento, quelle tesi non sono il Vangelo istituzionale del buon riformatore. Quanto ai vecchi comunisti, almeno per quello che riguarda il Senato la loro posizione iniziale fu: nessun Senato, monocameralismo. La distanza fra il monocameralismo e il bicameralismo con il Senato trasformato in camera di regioni discreditate è qualitativa, abissale. All’obiezione che le riforme fatte non hanno nessuna visione sistemica, ma sono episodiche e occasionali, gli improvvisati riformatori non hanno risposta alcuna. Soprattutto, non spiegano che forma di governo verrà fuori da quanto hanno cambiato e dal chiaro ridimensionamento nei fatti dei poteri del Presidente della Repubblica che non dovrà più nominare il Presidente del Consiglio, che sarà automaticamente il capo del partito che avrà ottenuto il premio di maggioranza, e non potrà più opporsi allo scioglimento del Parlamento quando quel capo di maggioranza lo riterrà opportuno e benefico per i suoi interessi di partito.

Infine, l’invito dei renziani a prendere atto che in questo parlamento non era possibile fare riforme di tipo e qualità diversa è, di nuovo, il prodotto di una combinazione di ignoranza e di manipolazione. La politica consiste nella capacità di creare le condizioni per le riforme. Nel Parlamento eletto nel 2013 era possibile, da un lato, cercare, con pazienza, ma anche con durezza, altri interlocutori, magari nelle aule parlamentari senza produrre un accordo extraparlamentare, il Patto del Nazareno che, naturalmente, ha posto enormi paletti alla legge elettorale poiché, in sostanza, l’Italicum contiene tutte le componenti del Porcellum in piccolo: porcellinum. Dall’altro, persino volendo mantenere un filo del discorso con Berlusconi, altre soluzioni erano possibili, soprattutto per quanto riguarda il Senato. Semplicemente, non sono state esplorate. Qualcuno vorrebbe raccontare la favola che Berlusconi ha imposto la sopravvivenza di cinque senatori (i Senatori delle Autonomie) nominati dal Presidente della Repubblica? Oppure che Berlusconi ha fortemente voluto che al Senato delle autonomie fosse conferito il potere di nominare due giudici costituzionali?

Da ultimo, il Presidente del Consiglio ricorre al ricatto plebiscitario senza nessun precedente in Italia su referendum costituzionale: “se bocciate riforme me ne vado”. No comment? No!

Pubblicato il 25 aprile 2016

INVITO #Italicum: meccanismi, dinamiche ed effetti sul sistema partitico e istituzionale

Istituto De Gasperi

Sabato 31 ottobre dalle ore 9,30 alle 12,30

Bologna Via Lame 116

Terzo incontro sulle “riforme”

Istituto Regionale di studi sociali e politici “A. De Gasperi” di Bologna.

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La nuova legge elettorale(Italicum): meccanismi, dinamiche ed effetti sul sistema partitico ed istituzionale.

“Due gli interventi previsti: di MARCO VALBRUZZI, ricercatore dell’European University Institute di Firenze, e di GIANFRANCO PASQUINO, Professore Emerito di Scienza Politica, Università di Bologna. Il primo illustrerà, anche in chiave comparativa, i meccanismi della riforma, l’altro le dinamiche e gli effetti prevedibili sul sistema partitico ed istituzionale. Presiederà l’incontro WALTER RASPA, Presidente regionale delle Acli.
Immaginiamo che tra qualche lustro forze più giovani e nuove (quelle che ora sono impegnate nella faticosa ricerca di un lavoro e di condizioni di vita accettabili) intendano provarsi nella politica italiana. Cosa troveranno nella cassetta degli attrezzi istituzionali?
La legge elettorale assegnerà un peso ancora esorbitante agli apparati romani delle formazioni politiche, oppure premierà gli elettorati locali e le realtà politiche della periferia, nelle quali provarsi è più facile ed anche più naturale? Dopo aver conosciuto i tratti aspri della democrazia “discendente”, giungeremo a sperimentare qualcosa di più simile a una “democrazia ascendente”? L’alternanza (successione di indirizzi politici e nuovi programmi, non solo variazioni delle combinazioni di ceto politico al governo) sarà ancora una chimera? Conosceremo al contrario possibilità di concentrazione del potere “al centro”, che credevamo superate?
Domande che vengono spontanee scorrendo il nuovo “Testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati” riformato dalla Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Italicum). Articolo per articolo abbiamo messo in linea le modifiche dell’Italicum con quelle del “Mattarellum” (1993) e del “Porcellum” (2005). E’ una svolta?

Clicca e scarica L’Italicum, il Porcellum, il Mattarellum – confronti

Clicca e scarica Gianfranco Pasquino L’Italicum nelle condizioni date

Anche questo incontro ha una finalità eminentemente divulgativa e formativa. Su richiesta verrà rilasciato un attestato di frequenza. L’aspettiamo e le inviamo i migliori saluti.”

Domenico Cella, Presidente dell’Istituo – Mario Chiaro, Vice Presidente – Ettore Di Cocco, responsabile degli incontri

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Modificare l’Italicum si deve

Finita la piccola, inferiore alle aspettative, bagarre del rimpicciolito Senato, giá si ricomincia a parlare di modifiche all’Italicum, legge elettorale approvata all’inizio di maggio cioé poco piú di sei mesi fa. Forse il Senatore a vita Giorgio Napolitano avrebbe fatto meglio a esprimere le sue perplessità in materia e il suo invito a modifiche nella lunga fase di gestazione della legge elettorale. Non avrebbe dovuto stupire lui né i critici e gli estimatori del Ministro Boschi che esiste un collegamento fra riforma del Senato e legge elettorale per la Camera. Da soli, il ministro e il suo Presidente del Consiglio non erano in grado, ma probabilmente neppure volevano, cogliere il collegamento poiché le loro riforme elettorali e costituzionali sono all’insegna dello spezzatino. A sua volta, Forza Italia si é accorta tardivamente che le conseguenze di alcuni elementi dell’Italicum sembrano fatte apposta per impedirle di arrivare al ballottaggio. Le sparse minoranze del Partito Democratico non hanno combattuto nessuna vera battaglia per conquistare un sistema elettorale migliore. Hanno preferito scaramucce di poco conto e nessun impatto cosicché Renzi e Boschi hanno avuto quello che volevano, non tutto, trovandosi, peraltro, obbligati a non pochi cambiamenti nei dettagli della legge rispetto al non impeccabile testo originario, ma parecchio resta ancora da fare. D’altronde, il “tutto” che i renziani perseguivano finiva per essere sostanzialmente un Porcellum appena ripulito che l’attualmente silente Corte Costituzionale non avrebbe potuto e non dovrebbe digerire.

I piccoli aggiustamenti di cui si discute in questi giorni di rilassatezza post-Senatum sono sostanzialmente cosmetici tranne uno. Il premio in seggi dato alla coalizione vincente e non, come è ora scritto nella legge, alla lista é un ritocco importante ancorché non decisivo. La struttura rimane quella di un sistema elettorale proporzionale modificato (alcuni direbbero snaturato) da un premio di maggioranza che rischia anche di essere cospicuo. Con l’Italicum così com’è non si puó fare di meglio, ma sicuramente abolire le candidature multiple, fino a dieci collegi, é una semplice misura di decenza político-elettorale. Quanto ai capilista bloccati é un punto renzian-boschiano irrinunciabile, indispensabile per garantire loro il controllo del gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati.

Temo che sia troppo tardi per fare quella che Vittorio Foa chiamerebbe la “mossa del cavallo”: spiazzare tutti riproponendo, come ha fatto Stefano Folli in un commento su “Repubblica”, una versione del maggioritario francese: doppio turno in collegi uninominali. Per di più, Folli é fin troppo buono. Vorrebbe anche garantire ai piccoli partiti, molti dei quali, in quanto figli minori di scissioni trasformistiche, proprio non se lo meritano, un diritto di tribuna. Bastasse questo per “andare in Francia”, il sacrificio lo si potrebbe fare. Si otterrebbe un sistema elettorale, non cosmeticamente, ma sostanzialmente diverso e sicuramente migliore del non collaudato Italicum.

Nel frattempo é auspicabile che si esprimano tutti coloro che hanno, per tempo, espresso critiche e manifestato riserve. Non é neppure esagerato, data l’importanza del tema “legge elettorale” in una democrazia che vorrebbe cambiare i rapporti fra cittadini ed eletti, ascoltare che cosa ha in mente Napolitano. Insomma, senza nessun rischio di essere accusato di tramare contro la Repubblica, anche il relatore del Mattarellum, sistema elettorale non perfetto, ma nettamente migliore dei suoi due successori, potrebbe farci sentire il suo autorevole parere.

Se il Presidente Mattarella, non soltanto perché parla dal Colle, ma anche alla luce del suo passato (come sarebbe bello sapere come ha votato il giudice costituzionale Mattarella sia sulla “non reviviscenza” del Mattarellum nel 2010 sia sulla macellazione del Porcellum nel 2014), intervenisse, la sua autorevole voce riuscirebbe ad avere un impatto di cui molti, ancorché non tutti, gli sarebbero grati. Potrebbe essere il momento che “definisce” la sua Presidenza. Ovviamente, per chi sa ascoltare e correggersi.

Pubblicato AGL il 19 ottobre 2015

L’Italicum nelle condizioni date

Larivistailmulino

Da “il Mulino“, n. 4/2015, pp. 631-639

Con la sola eccezione della Quinta Repubblica francese, nessuna democrazia dell’Europa occidentale ha riformato il suo sistema elettorale nel secondo dopoguerra. Il sistema adottato all’inizio della vita di quasi tutte le democrazie occidentali è rimasto tale nella sua sostanza tranne qualche piccolo ritocco. Peraltro, la Francia offre molteplici esempi di riforme elettorali e di cambiamenti di repubbliche. Nel 1985, il Presidente François Mitterrand impose l’abbandono del doppio turno nei collegi uninominali a favore di una legge elettorale proporzionale che non impedì la vittoria del centro-destra di Jacques Chirac, ma aprì le porte dell’Assemblea nazionale al Front National di Jean-Marie Le Pen. Subito dopo la sua vittoria, Chirac re-instaurò il doppio turno che non è più stato toccato. In Italia, invece, oltre al tentativo, fin troppo spesso menzionato, della legge truffa (1953), si sono avute nell’ultimo ventennio due riforme elettorali molto incisive e un ritocco nient’affatto marginale. Suggerirei a chi paragona l’Italicum alla legge truffa di farlo non guardando soltanto ai meccanismi, in buona misura comunque diversi, ma al contesto e alle presumibili conseguenze. Quanto ai meccanismi, il semplice fatto che il premio della legge truffa sarebbe stato attribuito ad una coalizione (non ad un partito) che avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti, è un elemento decisivo di cui tenere grande conto per qualsiasi buona comparazione.

Del contesto della legge truffa sappiamo che De Gasperi voleva difendere le coalizioni centriste dalle pressioni di coloro, Vaticano compreso, che auspicavano un’alleanza con i neo-fascisti. Almeno una delle possibili conseguenze della legge truffa è da tenere in grande considerazione, vale a dire che con i due terzi dei parlamentari, acquisiti grazie al premio di maggioranza, i centristi gonfiati sarebbero stati in grado di eleggere chi volevano alla Presidenza della Repubblica, ma, soprattutto, avrebbero potuto passare “dall’ostruzionismo di maggioranza” (copyright Piero Calamandrei), nella non attuazione della Costituzione, allo stravolgimento degli istituti più innovativi e meno graditi, neppure ancora esistenti: Corte Costituzionale e Consigli regionali. Il resto della comparazione della legge truffa con l’Italicum lo lascio, temporaneamente, al lettore, ma chi volesse avventurarsi, lo sconsiglio, nella comparazione Italicum/sistema elettorale francese deve sapere che il primo è un sistema proporzionale in circoscrizioni con più eletti, il secondo un sistema maggioritario in collegi uninominali: due logiche diverse quando non addirittura opposte. Quanto all’eventuale comparazione fra Mattarellum e Italicum, l’affermazione di Renzi (conferenza stampa di fine 2014) che “l’Italicum è un Mattarellum con preferenze”, non criticata da nessun giornalista né mai ripresa e rilanciata da nessun costituzionalista e filosofo renziano , lascia allibiti. L’Italicum è un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza, mentre il Mattarellum è un sistema elettorale maggioritario con recupero proporzionale. Definirli entrambi sistemi misti equivale a cancellarne con nessun vantaggio cognitivo proprio la differenza che conta nella traduzione di voti in seggi. In entrambi, all’incirca i tre quarti dei seggi sono attribuiti rispettivamente con formula proporzionale l’Italicum, con formula maggioritaria il Mattarellum.

Se nel 1993 e nel 2005, ma anche nel 1991, sono state fatte due riforme elettorali e un intervento dalle notevoli conseguenze, la narrazione renziana, come ho già avuto modo di scrivere su questa Rivista, dei “trent’anni senza fare riforme”, crolla come un castello di carte truccate. E’ vero che il ritocco, vale a dire, il passaggio da tre o quattro voti di preferenza alla preferenza unica da esprimersi scrivendo il nome del candidato/a fu prodotto da un voto referendario nel 1991 (con la campagna elettorale intelligentemente centrata sulla possibilità per l’elettore di scegliere il suo rappresentante), ma è anche vero che il Mattarellum fu scritto dalla Camera dei Deputati su impulso, ma non su dettatura, del referendum del 1993. Ancora più vero è che l’importante e ben funzionante legge sui sindaci fu redatta dal Parlamento, nel quale giacevano utili disegni di legge in materia (fra i quali uno scritto da me per la Sinistra Indipendente del Senato), proprio per sventare un referendum dal contenuto ancora più maggioritario.

Nell’ottobre-dicembre 2005 tanto velocemente che si può dire frettolosamente, la maggioranza di centro-destra formulò e approvò il Porcellum (e molto altro in materia di riforme costituzionali). Non è che delle riforme che non piacciono è lecito dire che non sono riforme poiché, altrimenti, anche dell’Italicum diventa obbligatorio consentire agli oppositori di sostenere che non è vera riforma. Inoltre, non si dimentichi che anche nel caso dell’Italicum la spinta riformatrice è stata esogena: la sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale che ha fatto uno spezzatino del Porcellum. Dopo avere esordito con un ventaglio di tre proposte, Renzi ha mercanteggiato con Berlusconi, contraente unico del Patto del Nazareno, un sistema che, nella sua impostazione, nella sua struttura, in molte sue clausole, è sostanzialmente un Porcellinum. Vi si trova quasi tutto quello che c’è nel Porcellum, ma in misura ridotta. Liste bloccate, ma non del tutto; candidature multiple, ma non dappertutto; soglie di accesso alla Camera dei deputati, ma più basse; premio di maggioranza, ma con soglia percentuale predefinita e relativamente elevata per guadagnarlo. Se nessuna lista/partito supera la soglia, qui sta la novità, che poteva essere ancora migliore, il premio sarà attribuito soltanto dopo un ballottaggio fra i due partiti o le due liste che hanno ottenuto più voti senza raggiungere il 40 per cento. Meglio sarebbe stato stabilire che: 1) il ballottaggio deve tenersi comunque, anche se un partito supera il 40 per cento dei voti; 2) al ballottaggio sono consentiti, come già avviene per l’elezione dei sindaci, gli apparentamenti. Ad ogni buon conto, il ballottaggio, pure molto apprezzabile per il potere che dà agli elettori, contraddice platealmente uno degli slogan renziani: sapere chi ha vinto la sera delle elezioni. Per lo più, ci vorranno un paio di settimane per conoscere il nome del vincitore. Più seriamente, sono molti i sistemi elettorali, a cominciare da quello tedesco, che, pur senza premio di maggioranza, hanno regolarmente consentito agli elettori di conoscere rapidamente il nome del vincitore. Nessuno, ma proprio nessuno degli studiosi di sistemi elettorali (mi limito a citare i più grandi, da Duverger a Rae, da Rokkan a Lijphart, tutti notissimi agli studiosi) ha mai preso in considerazione questo elemento né lo ha ritenuto rilevante nel valutare la qualità dei sistemi elettorali.

Il ballottaggio sempre e comunque si giustifica poiché è una delle modalità più sicure per dare potere agli elettori. Non solo due voti sono meglio di uno, ma il voto del ballottaggio è effettivamente un voto al governo e, se proprio lo si vuole leggere come un mandato, un voto anche a favore del capo della maggioranza vittoriosa. Poiché l’Italicum impedisce la formazione di coalizioni pre-elettorali, la possibilità di apparentamenti in caso di ballottaggio allontanerebbe meno l’Italia dalle altre democrazie parlamentari europee. In tutte queste democrazie, ad eccezione della Gran Bretagna (dopo la fase di coalizione Conservatori-LiberalDemocratici, 2010-2015), la Spagna (in attesa delle elezioni di fine anno, ma con la consapevolezza che i partiti regionali, specie quelli catalani, hanno costantemente offerto il loro aiutino sia ai Socialisti sia ai Popolari) e la Svezia (quando i Socialdemocratici non ottengono abbastanza seggi per fare e guidare un governo di minoranza) sono stati e continueranno ad essere di coalizione. E’ vero che le coalizioni italiane hanno una storia dei rissosità e di disomogeneità, ma un partito grande e un capo capace e motivato, che non pensi di essere un “assistente sociale”, ma sappia agire da leader politico, possono cambiare questa storia non edificante, ma neppure tutta ingenerosamente e ignorantemente da buttare. Infatti, le coalizioni di governo sono potenzialmente in grado di offrire due vantaggi. Primo, una coalizione è regolarmente più rappresentativa di preferenze, interessi, ideali di un qualsiasi partito unico quand’anche questo partito tenti minacciosamente di presentarsi come Partito della Nazione. Secondo, qualsiasi coalizione impone ai contraenti che formano il governo di espungere i loro punti programmatici estremi, quindi più controversi, a favore di un programma più moderato, più aderente alle aspettative dell’elettorato, più facile da tradurre in politiche pubbliche.

Saranno i voti (e i seggi) ottenuti dai partiti coalizzati/apparentati a consentire loro di attuare le politiche pubbliche preferite senza incamminarsi, grazie alle resistenze opposte dai rispettivi elettorati, su strade settarie. Sarà il partito più grande in termini di voti ad avere, come accade in tutte le democrazie parlamentari europee, più cariche, più potere, più responsabilità. Senza necessariamente essere un teorico delle coalizioni, Roberto Ruffilli aveva auspicato in Commissione Bozzi che in Italia si costruisse una “cultura della coalizione”. Farne, come ha detto gongolante a “Porta a porta” il vicesegretario del PD Lorenzo Guerini, un sostenitore ante litteram dell’Italicum perché il libro di Ruffilli ha come titolo Il cittadino come arbitro non è solo una manipolazione. E’ un’aberrazione imperdonabile. Incidentalmente, for the record, in Commissione Bozzi sia Ruffilli sia Barbera (con Andreatta, Scoppola, Segni) votarono un ordine del giorno a favore del sistema elettorale tedesco.

In maniera che sarebbe divertente, se non fosse stupida, i sostenitori dell’Italicum ne hanno vantato la minore disproporzionalità dell’esito rispetto a quanto avvenuto nelle elezioni inglesi del 7 maggio 2015. Quand’anche il paragone non fosse platealmente improprio e, fra l’altro, improponibile poiché l’Italicum non ha ancora avuto nessuna applicazione, sarebbe preferibile paragonare i due sistemi in termini di rappresentanza politica, uno dei punti maggiormente vantati dagli italioti. Nei collegi uninominali sia inglesi sia francesi, gli elettori sanno come i candidati sono stati prescelti, li vedono e li ascoltano, talvolta persino interloquiscono con loro. A loro volta, i candidati che, con pochissime qualificate eccezioni, sono espressione sociale, culturale, politica di quel collegio, vedono gli elettori, li ascoltano e rispondono alle loro domande prima di tornare, periodicamente e alla fine del loro mandato, a rispondere dei loro comportamenti in Parlamento, di quanto hanno fatto, non hanno fatto, hanno fatto male. Sono le personalità e le azioni e omissioni dei candidati che ne determinano elezione e rielezione. Invece, nell’Italicum, ha affermato giuliva il Ministro delle Riforme Istituzionali Maria Elena Boschi, sarà il capolista bloccato ad avere il ruolo di rappresentante di collegio. Personalmente, lo riterrei piuttosto un “commissario politico”. Poiché i collegi sono cento sicuramente il Partito Democratico avrà cento “rappresentanti di collegio”, ma nello stesso collegio saranno altrettanto sicuramente eletti anche alcuni candidati del Partito Democratico oltre che, quantomeno, anche un rappresentante del Movimento Cinque Stelle, probabilmente un rappresentante di (quel che resta di) Forza Italia, in tutti i collegi del Nord un rappresentante della Lega di Salvini, in maniera sparsa ed episodica molti dei capilista bloccati del Nuovo Centro Destra e dei Fratelli d’Italia. Insomma, saranno molti gli elettori a godere della straordinaria e insperata condizione di essere “rappresentati” addirittura da quattro o cinque diversi rappresentanti di collegio, magari non nati lì, mai vissuti lì, diventati rappresentanti di non sapranno bene che cosa tranne, questo lo sanno benissimo e sarà ricordato loro di frequente, del leader che li ha nominati e lì li ha piazzati.

Nei collegi uninominali, chi vince sa benissimo che cosa deve e che cosa può rappresentare. Sa anche che il suo mandato serve ad imparare a conquistare elettori aggiuntivi che vadano a sostituire quegli elettori che, inevitabilmente, si sentiranno insoddisfatti. In quei collegi, la politica ravvicina elettori ed eletti. Ai capilista bloccati questo ravvicinamento non potrebbe importare di meno. Degli elettori non si cureranno, ma guarderanno e passeranno alla faccia della rappresentanza del collegio, di un collegio che molti conosceranno poco e male. Poiché gli elettori avranno anche la possibilità di dare uno o due (in questo caso obbligatoriamente sia per un uomo sia per una donna) voti di preferenza, potrebbero anche verificarsi casi di uomini e donne davvero espressione di quei collegi. Che là vivono, che vi hanno fatto attività politica, che hanno una biografia professionale di rilievo, che si sono rivelati in grado di ottenere un alto numero di preferenze, ma che, per il cattivo andamento del loro partito in quel collegio, non sono riusciti a vincere il seggio. Alla faccia della rappresentanza, il capolista bloccato entrerà in Parlamento; il candidato molto preferenziato ne rimarrà fuori e con lui si sentiranno tagliati fuori da una buona e affidabile rappresentanza anche tutti gli elettori che lo hanno votato (magari con qualche riluttanza non gradendo del tutto il partito, ma fidandosi della persona, delle sue qualità, della sua storia). Ci sarebbe da dire anche sulla doppia preferenza su base di genere che rischia di re-introdurre sgradevoli fenomeni di piccole cordate che poco avranno a che vedere con la rappresentanza e molto con il potere anche clientelare.

Fra i grandi meriti (a futura memoria) dell’Italicum vantati dagli italioti un posto centrale occupa il bipolarismo. Non soltanto l’Italicum lo preserverebbe, lo incoraggerebbe e lo incardinerebbe, ma lo trasformerebbe da sgangherato, muscolare e feroce in funzionale, temperato, buono. Come il buon bipolarismo possa essere incoraggiato e preservato da una legge che, primo, come abbiamo visto, impedisce la formazione di coalizioni; secondo, con la bassa soglia di accesso alla Camera dei deputati, un risibile 3 per cento, consente e quasi premia la frammentazione partitica, appare un mistero assolutamente inglorioso. Solo parzialmente l’eventualità del ballottaggio va nel senso di incoraggiare il bipolarismo. Infatti, se le aggregazioni prima del ballottaggio sono vietate, l’esito più probabile è la corsa di tutti contro tutti, all’insegna del “o la va o la spacca”. Altro non si può fare. Pur essendo inevitabile constatare che, nella situazione data, al ballottaggio arriverebbe il Movimento Cinque Stelle, non ne consegue affatto che l’Italia avrebbe un assetto bipolare nella Camera dei deputati. Come minimo vi sarebbero rappresentati cinque partiti (PD, Cinque Stelle, Lega, Forza Italia, Area Popolare-NCD), forse sei (Fratelli d’Italia). Se, innamorati dell’esperienza inglese, cercassimo un governo-ombra, elemento cardine di quel bipolarismo, non sapremmo proprio dove andare a trovarlo. Tralascio il fatto che non tanto il Movimento Cinque Stelle è tecnicamente e orgogliosamente “anti-sistema”, vale a dire che potendo cambierebbe non il governo, ma il sistema, bensì che le clausole dell’Italicum non gli impongono alcuna costrizione a cambiare strategia e posizionamento, a cercare alleati, a entrare nella logica di una competizione sanamente bipolare. Anche se non porta al governo, questa competizione spinge nel senso della costituzione di un’opposizione parlamentare che si darà comportamenti tali da caratterizzarsi come effettiva e praticabile alternativa di governo. Invece, no: avremo un partito gonfiato dal premio di maggioranza che sarà punzecchiato, ma mai veramente controllato e sfidato dalle minoranze parlamentari che non riescono a farsi opposizione vera.

No, l’Italicum non dà vita al sindaco d’Italia, che è una brutta formula e che, a livello nazionale, configurerebbe un pessimo esito. Infatti, all’Italicum mancano i due cardini della competizione per vincere la carica di sindaco, vale a dire: a) la possibilità di coalizioni pre-elettorali e b) la facoltà di apparentamenti in caso di ballottaggio fra i due candidati sindaco più votati. Inoltre, nelle leggi per l’elezione del sindaco esiste il voto di preferenza per i consiglieri comunali. Tuttavia, non c’è dubbio che l’Italicum dà grande visibilità e grande potere al capo del partito che vince il premio di maggioranza. Non sono fra i cultori della deriva autoritaria della democrazia italiana già di per sé di bassa qualità. Credo che i paragoni fra Renzi e Mussolini siano assolutamente malposti e per nulla illuminanti, addirittura fuorvianti (suggerirei anche di non fare inutili paragoni fra la Legge Acerbo e l’Italicum). Dare grande potere a chi non ha particolari qualità non sfocia nell’autoritarismo, ma, forse, in tentazioni di autoritarismo, più probabilmente in disfunzionalità le cui avvisaglie abbiamo già variamente visto. Intravvedo, questo sì, un po’ di presidenzializzazione negli effetti presumibili dell’Italicum con sconfinamenti del governo sia sul versante della Corte Costituzionale sia sul versante di quel tanto o poco di indipendenza il Parlamento e i parlamentari dovrebbero cercare di mantenere ed esercitare sia, infine, nei confronti del Presidente della Repubblica. Continuo a meravigliarmi del favore con cui molti commentatori che si autodefiniscono “liberali” accolgono il potenziamento del governo e del capo del governo senza neppure suggerire qualche contrappeso.

Faremmo troppo onore agli inventori pitagorici dell’Italicum se pensassimo che si erano resi conto delle conseguenze sistemiche del loro tipo di legge elettorale sulle altre istituzioni (qui mi corre l’obbligo di segnalare, per approfondimenti, le posizioni che ho elaborato, tenendo conto del sistema, in Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Milano, Egea, 2015), ma quelle sul potere del Presidente sono troppo visibili per non essere state almeno intraviste. Qualcuno discuterà del quorum necessario all’elezione del (prossimo) Presidente affinché la gonfiata maggioranza di governo (non) vi possa procedere prepotentemente da sola. Qui mi limito a rilevare che al Presidente della Repubblica viene, almeno in prima battuta, sottratto il potere di “nominare” il Presidente del Consiglio. Difficilmente potrà operare per la sua sostituzione nel caso di comportamenti erratici, riprovevoli oppure, semplicemente, inadeguati. Non avrà più il potere reale di sciogliere il Parlamento ovvero, meglio, di rifiutarne uno scioglimento opportunistico. L’elasticità della forma parlamentare di governo, una delle caratteristiche più preziose delle democrazie parlamentari, in sé e non soltanto se paragonate alla rigidità dei presidenzialismi, è da considerarsi sostanzialmente cancellata con conseguenze la cui gravità speriamo di non dovere mai misurare. Chi sa se il Presidente Mattarella si è già reso conto di essere stato circoscritto e dimezzato, messo sul binario delle funzioni cerimoniali, per di più, in competizione con il Presidente del Consiglio? Chi rappresenterà la Nazione? Non i parlamentari nominati (e paracadutati). Non un Presidente eletto da una maggioranza resa forte grazie ad un premio. Probabilmente, la rappresentanza della Nazione sarà rivendicata dal capo del sedicente Partito della Nazione (e dalle sue corifee).

L’Italicum non è affatto, come i renziani hanno pappagallescamente sostenuto, l’unica legge elettorale possibile nelle condizioni date. Tanto per cominciare, “le condizioni date” sono cambiate almeno un paio di volte e non di poco, ridimensionando il potere di veto di Berlusconi. In secondo luogo, la politica è proprio l’attività che mira a cambiare le condizioni date, ma nessuno dei renziani ha mai saputo né voluto tentare di cambiare quelle condizioni. Poche idee ossessivamente difese non promettono nessuno sbocco innovativo, nessuno sbocco europeo come, d’altronde, rivela, persino inconsciamente, il nome della (non tanto) nuova legge elettorale. Per essere europei bisogna non soltanto guardare alle democrazie europee che funzionano, non sono poche, ma sapere imitare i modelli a partire dalla loro ratio, la loro logica istituzionale. In conclusione, non sarò così ipocrita da affermare che mi auguro che l’Italicum funzioni. No, al contrario, è preferibile che questo brutto sistema elettorale malamente proporzionale riveli fin dalla prima applicazione le sue molte magagne e sia rapidamente e incisivamente riformato ovvero, ancora meglio, completamente sostituito. Amen.

Il ruolo di Mattarella nelle riforme

Quando due grandi vecchi, detto con la stima e il rispetto che si sono meritati, ingaggiano un confronto serrato sulla riforma del Senato, é opportuno prestare molta attenzione. Il fondatore de “la Repubblica”, Eugenio Scalfari ha fortemente obiettato alla lettera pubblicata sul “Corriere della Sera” dal Presidente Emerito Giorgio Napolitano. Nel mio piccolo anch’io ho rilevato molto di irrituale nell’esplicito sostegno dato da Napolitano alla riforma di Renzi. Replicando alle critiche di Scalfari, il Presidente sembra fare un passo indietro. Il suo sostegno va all’idea di riforma del bicameralismo paritario e non a tutte le technicalities delle quali, anzi, auspica che siano meglio definite e ritoccate. Naturalmente, i “ritocchi”, qualora seri e non cosmetici, implicheranno un’altra lettura da parte delle Camere e quindi qualche mese in piú affinché la riforma sia completata. E’ improbabile che il velocissimo duo Renzi-Boschi concordi su questa procedura, ma la parola andrà ai numeri ovvero a quanti senatori sono in grado di imporre modifiche migliorative. Quello che Scalfari sottolinea con forza e che Napolitano sembra non voler capire é che un sistema político é tale poiché (lo insegno regolarmente) tutte le sue componenti si tengono insieme. Cambiarne una, per di piú tutt’altro che marginale, vale a dire il Senato, significa provocare effetti su molte altre componenti: sulla Camera dei deputati e sui suoi poteri, inevitabilmente accresciuti, sul Presidente della Repubblica e sui suoi poteri, ridimensionati, sull’elezione dei giudici costituzionali e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, e altre conseguenze ancora.

Napolitano che, pure, a suo tempo, aveva addirittura fatto balenare qualche problema concernente la legge elettorale Italicum, affermando che, comunque, la si sarebbe dovuta sottoporre a “opportune verifiche di costituzionalità”, non sembra condividere le preoccupazioni di Scalfari sull’eccesso di potere che finirebbe nelle mani, prima di un partito di maggioranza relativa, anche risicata, che conquisti al ballottaggio un notevole premio in seggi, poi nelle mani del capo di quel partito che sarebbe in totale controllo della Camera dei Deputati. Per di piú, poiché un conto é disquisire astrattamente di poteri giuridico-formali un conto molto diverso é guardare alle modalitá concrete di esercizio del potere ad opera di un capo di partito che ha dimostratao con le parole e con i fatti quale trattamento impartisce ai dissenzienti e alle minoranze, qualche preoccupazione appare d’obbligo. Scalfari la enuncia fino a mettere opportunamente in discussione gli effetti delle due riforme, legge elettorale e Senato, sul funzionamento complessivo del sistema. Caricandosi di un compito che non é piú suo, Napolitano sembra invece sostenere con il peso della sua autorevolezza tutta l’azione riformatrice di Renzi (con interventi che non sarebbero stati “perdonati” ai suoi predecessori).

Quanto al successore, Scalfari teme che Napolitano influenzi piú o meno direttamente anche il Presidente Mattarella. La questione piú delicata é: come potrá Mattarella, debitore della sua elezione in parte a Napolitano in parte a Renzi, contrapporre valutazioni diverse da quelle fortemente motivate dei suoi due Grandi Elettori ? Epperó, adesso in condizione di assoluta indipendenza, il Presidente Mattarella non puó certamente dimenticare di essere un costituzionalista, di essere stato uno dei giudici costituzionali che hanno distrutto il Porcellum, di avere scritto la legge elettorale che porta il suo nome e che molti considerano di gran lunga migliore dell’Italicum. Insomma, lo scontro di opinioni e di preferenze fra Scalfari e Napolitano conduce inevitabilmente fino al Colle, vale a dire alle responsabilitá che il Presidente Mattarella dovrá accollarsi al momento della firma della modifica del Senato che implica una drastica riduzione della rappresentanza política degli italiani (e dei poteri dello stesso Presidente della Repubblica). Sul crinale fra funzionamento e democraticitá del sistema político si sta dispiegando una delicata battaglia che il confronto Scalfari-Napolitano ha illuminato, ma non puó risolvere.

Pubblicato AGL il 18 agosto 2015

Italicum, timido passo in avanti

Il nostro tempo

Intervista raccolta da Aldo Novellini per Il nostro tempo di Torino pubblicata il 17 Maggio 2015

Chiusa la stagione del Porcellum si apre quella dell’Italicum, la nuova legge elettorale approvata tra le polemiche, che hanno surriscaldato i rapporti tra la maggioranza e le opposizioni e hanno particolarmente scosso il Pd. Per mettere a fuoco le nuove regole elettorali ci siamo rivolti al costituzionalista Gianfranco Pasquino, autore di un recente libro, “Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate ” (edizioni Egea), che si occupa proprio di questi temi.

Come giudica l’Italicum?

Non mi pare una buona legge elettorale. Credo che nel complesso sia una sorta di Porcellum cui sono stati attenuati i difetti più grossolani. Il premio di maggioranza, che era slegato dall’ottenimento di una minima soglia di voti, ora è correlato al conseguimento di almeno il 40 per cento dei suffragi. Vi è poi la novità del ballottaggio tra le due liste più votate qualora nessuno raggiunga la soglia, e direi che questo secondo turno è forse il solo aspetto veramente innovativo della legge. Trovo però insensato che il premio sia concesso alle singole liste e non alle coalizioni, ponendo addirittura il divieto di qualsiasi apparentamento tra primo e secondo turno. Si può capire il timore di veder nascere alleanze troppo eterogenee, ma almeno gli apparentamenti dovevano essere permessi, anche perché le intese tra formazioni diverse per un programma condiviso sono un po’ il succo stesso della politica. Si tenga presente che quasi ovunque in Europa ci sono governi di coalizione che ben riflettono il pluralismo di idee presente nella società. Il difetto più grosso mi pare poi la pervicace insistenza sulle liste bloccate: i capilista delle cento circoscrizioni risultano eletti con questa modalità e, tenendo conto dei molteplici partiti in lizza, a giochi fatti i nominati saranno almeno il 60 per cento dei parlamentari. Sicuramente un passo avanti rispetto al Porcellum, in cui tutti erano nominati, ma pur sempre una quota insostenibile, poiché i cittadini chiedono di poter scegliere i propri rappresentanti e invece, ancora una volta, la politica si arrocca su se stessa. C’è poi una norma semplicemente assurda…

Quale?
Quella per cui un candidato, in genere il leader del partito, può presentarsi in più collegi fino ad un massimo di dieci. In pratica questi deciderà di lasciare il posto ai secondi in lista in base al semplice requisito della fedeltà alla sua persona. Sarebbe invece stato utile inserire il requisito della residenza nella circoscrizione, prevedendo la candidatura del capolista solo in quel collegio.

I rilievi della Corte costituzionale sono stati accolti?

La Corte aveva bocciato i capilista bloccati, che vengono ridotti, e il premio di maggioranza a prescindere dai voti ricevuti, che adesso viene concesso solo con il 40 per cento dei consensi. Si può dunque dire che l’Italicum viene incontro alle osservazioni dei giudici, ma resta il fatto che il Mattarellum era un sistema elettorale decisamente migliore.

Una legge elettorale approvata con la fiducia e senza le opposizioni. Cosa ne pensa?

Renzi era partito facendo un patto con Berlusconi perché voleva fare le riforme a larga maggioranza coinvolgendo l’opposizione, ma alla fine gli è mancato persino il pieno appoggio del suo partito. Un bel cammino a ritroso. In ogni caso alla fine l’ha spuntata, anche se l’obiettivo di conseguire ad ogni costo un risultato ha prevalso in maniera eccessiva sul metodo che invece nella definizione delle regole, e la legge elettorale è tra queste, resta un aspetto decisivo per dare legittimità alle scelte compiute. Approvare una legge elettorale con una maggioranza ristretta può andare bene solo se, a monte dell’intero percorso, vi è un preciso mandato degli elettori su quello specifico tema e su quel particolare modello. Una situazione ben diversa dall’iter dell’Italicum.

Non vi è rischio di incostituzionalità per i capilista bloccati dei piccoli partiti?

Ecco, questo potrebbe essere un interessante quesito di costituzionalità sulla base della disuguaglianza che si crea tra gli elettori. Infatti a chi vota per i partiti più piccoli, nei quali risultano eletti sono solo i capilista, è impedito sin dall’inizio l’elezione di deputati con il voto di preferenza. Una differenza ingiustificata rispetto ad un partito più grande che in ogni circoscrizione, oltre al capolista, elegge altri deputati e dunque la facoltà di scelta può esplicarsi compiutamente.

Una Camera con tanti nominati e un Senato non più elettivo. Che tipo di democrazia si prefigura?

Alla Camera ci sarà almeno il 60 per cento di nominati e questo comporta l’egemonia dei capipartito sui singoli deputati, i quali saranno indotti ad accondiscendere alle richieste di chi gli ha messi in lista. Un fenomeno deteriore che le preferenze avrebbero evitato alla radice. Il Senato sarà un coacervo di persone designate dai Consigli regionali e comunali. Democrazia significa potere del popolo, ed è allora più che evidente che tra i nominati della Camera e un Senato non eletto dai cittadini si restringono gli spazi di una vera partecipazione popolare.

Una certezza è che con l’Italicum non vi saranno mai più larghe intese…

Sì, il premio di maggioranza, con un vincitore che potrà governare da solo, esclude in partenza i governi di larghe intese. Non è però detto che ciò sia sempre un bene.

Perchè?

Le coalizioni allargate, tra maggioranza ed opposizione, possono rivelarsi necessarie e utili per superare particolari frangenti politici. Penso alla Germania, ove in tre occasioni cruciali vi sono stati dei governi Cdu-Spd: nel 1966-’69, per preparare l’apertura verso l’Est; nel 2005-2009 per fare le grandi riforme economiche e oggi, per meglio affrontare la grave crisi europea. Impedire in partenza queste formule di emergenza, a volte frutto della volontà degli elettori che non scelgono in modo univoco una precisa maggioranza, mi pare voler ingabbiare oltre misura il corso della vita politica.

Siamo di fronte ad un presidenzialismo strisciante?

No, perché rimane comunque intatto il rapporto di fiducia tra il governo e la maggioranza parlamentare. E’ chiaro però che il premier vede accresciuto il suo ruolo anche sullo scioglimento anticipato della Camera. Di certo diverrà impossibile sostituire il presidente del Consiglio in corso di legislatura: con l’Italicum non ci sarebbe stato il cambio Letta-Renzi Il sistema diventerà quindi più rigido perdendo quella flessibilità insita nel classico modello parlamentare.

Renzi, quando parla di riforme, afferma che dopo troppi anni di immobilismo bisognava fare comunque qualcosa…

Francamente non vedo tutto questo immobilismo. Nel 1991 vi fu il referendum sulla preferenza unica; nel 1993 i cittadini furono chiamati ad esprimersi sul sistema elettorale e prevalse il maggioritario da cui derivò poi il Mattarellum. Il centro-sinistra poi modificò il Titolo V e la destra avviò una grande riforma costituzionale bocciata nel referendum del 2006. Con Berlusconi fu infine votato il Porcellum. L’affermazione di Renzi è dunque inesatta. In ogni caso poi non basta fare le cose, bisogna anche farle bene.

In definitiva, cosa si doveva fare?

Occorreva prendere a modello i sistemi che funzionano, in particolare quello tedesco e quello francese. In Germania il premier è eletto dal Bundestag e c’è la sfiducia costruttiva che permette di cambiare in corsa ma solo se c’è un preciso sostituto. Nessuna crisi al buio. Il sistema elettorale è un misto tra proporzionale e maggioritario, non dissimile dal Mattarellum. La Francia ha un presidente eletto dal popolo e istituzioni molto stabili, mantenendo il raccordo fiduciario tra governo e Parlamento. E’ meglio imitare ciò che già funziona anziché avventurarsi in sentieri poco battuti, a rischio di realizzare un patchwork. Segnalo che l’unico sistema elettorale in Europa che prevede il premio di maggioranza è quello della Grecia. Un Paese che sarebbe meglio non imitare.

La scelta difficile del Colle

Immagino che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevuto il testo dell’Italicum, lo stia leggendo con la meticolosità che ha sempre dimostrato da parlamentare e da ministro. L’art. ottantasette della Costituzione gli dà il potere di promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Il Presidente s’intende assai di leggi elettorali. Non ha dimenticato che, sulla possente spinta dei referendari, la Camera dei deputati presieduta da Giorgio Napolitano, gli affidò la stesura della legge elettorale che divenne notissima come Mattarellum. Uomo dotato di sottile ironia, l’allora on. Mattarella non se la prese. Non rispose neanche alle critiche, alcune delle quali fondate, poiché in sostanza il tempo galantuomo ha dimostrato che la legge che porta il suo nome rimane migliore sia della proporzionale, che troppi suoi colleghi democristiani avevano difeso fino alla morte (della DC), ma anche del Porcellum dei cosiddetti quattro saggi del centro-destra che si riunirono a Lorenzago. Tuttavia, non userà il “metro” della sua legge per valutare il porcellinum partorito da Renzi, Boschi e i loro deputati renziani di tutte le ore.

Sergio Mattarella ha già dovuto usare un altro “metro”, ineludibile per giudicare il Porcellum, quello della corrispondenza di una legge, per di più tanto importante poiché riguarda i rapporti che fondano una democrazia: quelli fra i cittadini, i loro rappresentanti in Parlamento, i governanti. Sono la Costituzione e i suoi principi fondamentali a misurare la qualità e l’accettabilità di qualsiasi legge, ovviamente anche di quella elettorale. Con i suoi colleghi, il giudice Mattarella, anche se non è stato relatore di quella sentenza, ha sonoramente bocciato, totalmente triturandolo, il Porcellum. Purtroppo, poiché in Italia, a differenza che negli Stati Uniti d’America, i giudici non possono argomentare il loro voto, neanche quello favorevole, e neppure le loro opinioni dissenzienti, non c’è dato sapere quale concretamente sia sta la posizione di Mattarella. Sono certo, però, che, con il suo caratteriale rifiuto di qualsiasi protagonismo, non abbia mai proceduto alla comparazione del Mattarellum con il Porcellum, troppo facile troppo vincente.

Avendo cofirmato quella bocciatura, il Presidente Mattarella sta probabilmente riflettendo se il porcellinum abbia tutti i crismi di costituzionalità. Le candidature multiple non sono un trucco ai danni degli elettori? E non vale dire che anche il Mattarellum consentiva candidature multipli, ma non più di tre, poiché i pluricandidati dell’Italicum hanno la certezza dell’elezione, mentre quelli del Mattarellum si trovavano in un sistema competitivo che di certezza ne dava poche. Lo stesso candidato Mattarella, sconfitto nel 1994 in un collegio uninominale, entrò in Parlamento grazie al recupero proporzionale. I capilista bloccati, il cui nome apparirà sulla scheda, altro che “rappresentanti di collegio” se saranno inevitabilmente scelti dai dirigenti di partito e non s’imporrà il requisito della residenza per almeno tre anni in quel collegio, portano via una bella fetta di potere ai cittadini elettori. Per chi è arrivato a credere -i democristiani, anche di quelli di sinistra, c’hanno messo un po’ di tempo- che il bipolarismo è la modalità preferibile di competizione fra partiti e fra coalizioni, il premio alla lista e l’impossibilità di apparentamenti al ballottaggio non può essere una cosa buona. Pessima, poi, è la soglia bassissima, 3 per cento, per l’accesso alla Camera dei deputati (quella del Mattarellum era 4 per cento: sì, quell’uno per cento fa una differenza) che garantisce la frammentazione delle opposizioni parlamentari e l’impraticabilità del bipolarismo.

Il Presidente potrebbe rimandare la legge ai deputati per un’altra lettura, anche tenendo conto dell’ampio dissenso emerso fra loro, accompagnandola, esistono numerosi precedenti, da preganti osservazioni. Potrebbe anche inviare, ma questo sarebbe un atto forse troppo solenne, un messaggio al Parlamento tutto. Forse i giudici costituzionali suoi ex-colleghi gli hanno comunicato di non preoccuparsi. L’Italicum arriverà da loro per quelle che, in corso d’opera, Napolitano aveva definito “opportune verifiche costituzionali”. Infine, Mattarella potrebbe esercitare la sua moral suasion nei confronti di Renzi (non scrivo “del governo” poiché da qualche tempo avremmo dovuto capire che l’uomo solo al comando già c’è) ricordandogli che la riforma del Senato, per la quale i numeri sono traballanti, dovrà tenere conto delle pecche dell’Italicum ed essere molto più equilibrata. In quella sede, una bocciatura, non del tutto improbabile, aprirebbe scenari turbolenti.

Pubblicato AGL 6 maggio 2015

Pd bloccato: resterà quello che è

Italia oggi

Intervista raccolta da Carlo Valentini per Italia Oggi

L’Italicum è passato ma «le elezioni politiche non sono vicine. Anche se le promesse del presidente del Consiglio sono spesso state disattese (per esempio nei confronti di Enrico Letta e riguardo alla necessità di un passaggio elettorale per andare a Palazzo Chigi), la legislatura durerà fino al 2018, o poco meno. Al momento, Renzi non ha molto da incassare».

Con Gianfranco Pasquino analizziamo il dopo-Italicus. Pasquino è tra i politologi più arguti, ha insegnato scienza della politica all’università di Bologna, ora è professore di European studies alla Johns Hopkins University. Ha diretto Il Mulino e la Rivista italiana di scienza politica.

Per Enrico Letta la prova di forza di Renzi sull’Italicum lo accomuna a Berlusconi…

L’Italicum nasce dal Porcellum e dall’accordo fra Renzi e Berlusconi. Che poi Berlusconi abbia cambiato idea, pur rimanendo diversi elementi del suo Porcellum, dipende dal suo pressapochismo e dalla sua, in questo caso, malposta furbizia. Da molti punti di vista, Renzi è Berlusconi dopo Berlusconi, ma con quasi quarant’anni di meno, in un sistema politico tuttora deteriorato, senza un’opposizione decente. Sì, in parte Letta ha ragione. Renzi è la continuazione del berlusconismo con altri mezzi e più energia.

Che ne sarà del Pd dopo questa prova lacerante?

Il Pd rimarrà più o meno quello che è. Nato male, guidato mediocremente, prima da Veltroni, poi da Bersani, il Pd è diventato il partito di Renzi e e dei renziani di tutte le ore e di tutte le sfumature. La battaglia di idee e fra persone può essere condotta sia dentro sia fuori il Pd (fuori c’è spazio ma non tantissimo). Le difficoltà saranno, comunque, molto grandi.

Poi ci sono gli alleati di governo, quel Ncd-Udc guidato da Angelino Alfano e Pierferdinando Casini.

Il loro partito riuscirà magari persino a superare la soglie del 3 %. I leader si saranno così trovati luoghi sicuri per la candidatura e per il ritorno in parlamento. Ma la loro capacità di influire sul dibattito politico (e, parola grossa, culturale) è e sarà inesistente, pressoché nulla.

D. L’arco costituzionale termina col centrodestra. Come interpretare la sua crisi?

Sì, c’è crisi, le opposizioni di destra sono diverse, frammentate, debolissime. Gran parte della loro debolezza (e frammentazione) dipende dall’autunno del patriarca. Fu Berlusconi a rendere rilevante la Lega e a portarla al governo. Fu Berlusconi a sdoganare il Movimento sociale, a obbligarlo a diventare Alleanza nazionale e dare ad alcuni suoi esponenti cariche di governo. Adesso, da un lato, Berlusconi non controlla neppure più Forza Italia e, aggrappato ad un brandello di potere, non sa e non vuole trovare un successore. Anche se ritengo che Marina, portatrice del brand Berlusconi, sarebbe la candidata ideale. Dall’altro lato, anche per colpa dell’Italicum, l’ex-Cavaliere non potrà svolgere il ruolo di federatore del centro-destra dei moderati. In tale situazione se i moderati voteranno Renzi non sarà per suo merito, ma per demerito di Berlusconi.

Neppure Matteo Salvini riuscirà a proporsi leader del centrodestra?

La competizione fra Salvini e Berlusconi è limitata. Berlusconi sa che sta fuoriuscendo dalla scena politica. Nel 2018 avrà quasi ottantadue anni. Salvini sa che potrà anche conquistare più voti di Berlusconi, ma non riuscirà mai né a svolgere il ruolo di federatore né a vincere un’elezione nazionale. Tertium datur.

Allora rimane il partito della Nazione, evocato da Renzi. Pensa che le prossime elezioni regionali saranno una prova generale di questo nuovo soggetto politico?

Non credo che le prossime elezioni regionali daranno impulso al partito della Nazione al quale né De Luca in Campania né Raffaella Paita in Liguria possono dire di appartenere. Quanto alle liste civiche, otterranno qualcosa, ma sicuramente non sono il nuovo che avanza, ma spesso il vecchio che si perpetua in altre forme. No, un conto sono gli slogan, un altro la loro praticità. Le prossime lezioni regionali saranno ancora una gara tra centrosinistra e centrodestra, pur con qualche trasformista collocato qui e là.

Azzardiamo una previsione. Chi vincerà le elezioni regionali? E quanto rimarrà in carica il parlamento?

Non sono un astrologo ma ci provo. La legislatura durerà fino al 2018 o giù di lì. Le elezioni regionali non le vincerà il centro-destra, ma neppure ne uscirà stritolato. Non credo che il Pd ne uscirà rafforzato. Vincerà il partito dell’astensione, ma stigmatizzo: chi non vota non raccoglie. Mi limito a sottolineare che il 68 % degli emiliano-romagnoli che non sono andati a votare nel novembre 2014 non hanno ottenuto un bel niente.

D. Altri fronti politici si stanno aprendo per il governo, a incominciare dalla scuola. Lei ritiene che quello dell’Italicum sia definitivamente chiuso?

Sono tra coloro che non dà per scontata la firma del Presidente della Repubblica. Il Presidente, memore della legge che porta il suo nome che, seppure con qualche inconveniente, è nettamente migliore di questa, potrebbe bocciare l’Italicum. Quantomeno, ricordando che fu tra i giudici costituzionali che fecero a pezzi il Porcellum, potrebbe e, secondo me, dovrebbe restituirla al parlamento affinché ponga rimedio ai punti più controversi, per lo meno eliminando i capilista bloccati e cancellando le candidature multiple.

Pubblicato su Italia oggi il 6 maggio 2015

Governabilità e bipolarismo nello stivale

Larivistailmulino

Non esiste nessuna Enciclopedia di Scienze Sociali e nessun Dizionario di Politica (meno che mai quello che ho avuto il privilegio di curare insieme a Bobbio e Matteucci, nel quale la voce “Governabilità” è stata scritta da me), che associ la governabilità di un sistema politico, meglio, di una democrazia, al premio di maggioranza, ad un’aggiunta di seggi regalati al partito più grande. Governabilità è, invece, sempre collegata alla stabilità di un governo (non necessariamente dello stesso capo di governo) che è una delle premesse, ma tutt’altro che l’unica o la più importante, della capacità decisionale. Governabilità è l’esito positivo dell’attività di un governo che sa rispondere in maniera efficace e responsabile, ad esempio, con riferimento al programma presentato agli elettori, alle domande degli attori socio-economici, selezionandole e interpretandole. Il procedimento sarà tanto migliore quanto, a loro volta, le associazioni e i gruppi socio-economici non saranno “disintermediati”, vale a dire, non presi in considerazione e snobbati, ma vivaci, rappresentativi, in competizione fra di loro. Molto di tutto questo non ha nessuna relazione con il sistema elettorale tanto che, nel corso della seria crisi di governabilità che colpì le democrazie occidentali per tutti gli anni settanta fino all’inizio degli anni ottanta, nessuna democrazia pensò di risolvere il problema attraverso una riforma del sistema elettorale. E nessuna lo fece.

Che qualcuno possa credere che l’Italicum produrrà meccanicamente governabilità nel sistema politico italiano è uno dei numerosi misteri non gloriosi della propaganda politica dei renziani e della scarsa professionalità dei giornalisti italiani. Naturalmente, è lecito pensare che un governo monopartitico dotato di una congrua maggioranza parlamentare si trovi in condizioni migliori per offrire governabilità agli italiani. Tuttavia, non soltanto non esiste nessuna certezza che un simile governo sia più e meglio rappresentativo dei governi di coalizione e maggiormente in grado di produrre le decisioni più appropriate e meglio applicabili, ma non esiste neppure una controprova affidabile. Tutti i governi delle democrazie europee, con la sola eccezione, finora, della Spagna (nella quale, peraltro, piccoli partiti regionali sono spesso stati essenziali per la formazione dei governi socialisti e popolari) e, in passato, della Gran Bretagna, sono stati e sono governi di coalizione. In nessuna di quelle democrazie si parla di crisi di governabilità o di ingovernabilità. In nessuna la soluzione di eventuali crisi viene demandata alla riforma del sistema elettorale. L’ultima riforma di rilievo del sistema elettorale vigente in una democrazia europea, dettata da preoccupazioni partigiane, ebbe luogo in Francia. Fu, in verità, una controriforma quando (nel 1985) Mitterrand introdusse, al posto del doppio turno di collegio, una legge proporzionale cancellata da Chirac immediatamente dopo la sua vittoria nelle elezioni parlamentari del 1986.

Fissato il punto che la governabilità è qualcosa che dipende in minima parte dal sistema elettorale, è possibile aggiungere che sono le modalità di competizione politica che facilitano oppure ostacolano la governabilità. In più di un modo, la governabilità è facilitata anche, ma certamente non automaticamente prodotta, dal bipolarismo e dal fenomeno strettamente collegato dell’alternanza. Per anni gli italiani si sono raccontati che volevano costruire una matura democrazia dell’alternanza, che avevano bisogno dei meccanismi elettorali per dare vita a una democrazia compiuta. Anche grazie al Mattarellum, gli italiani hanno avuto sia il bipolarismo sia l’alternanza, ma giustamente sono rimasti abbastanza insoddisfatti dalle qualità di entrambi, ovviamente a causa delle modalità con le quali bipolarismo e alternanza sono stati interpretati e manipolati dai protagonisti politici. Il mantra dei proponenti dell’Italicum e dei loro affannati sostenitori è che produrrà sicuramente il bipolarismo. Questa è un’affermazione azzardata che probabilmente si rivelerà falsa.

Certamente, i meccanismi dell’Italicum non autorizzano nessuna previsione favorevole. Anzi, è facile indicare perché alcuni dei meccanismi elettorali previsti rendono il bipolarismo poco probabile. In primo luogo, se il premio in seggi va al partito o alla lista che prende più voti, non potrà formarsi nessuna coalizione pre-elettorale intenzionata ad offrire all’elettorato un’opzione praticabile di governo. In secondo luogo, se al ballottaggio non sarà possibile appoggiare l’uno o l’altro dei contendenti con aggregazioni sotto forma di apparentamenti -che non soltanto è modalità diversa da quella della formazione di coalizioni pre-elettorali, ma è quanto già avviene nel caso di maggior successo delle riforme che furono fatte (1993) anche prima dell’avvento di Renzi: quella dei sistemi per l’elezione dei sindaci-, ne conseguiremmo inevitabilmente un vincitore contornato da diversi sconfitti in ordine sparso. Inoltre, gli sconfitti non soltanto non avranno nessun incentivo a formare un fronte unitario di opposizione, che, per l’appunto, caratterizzerebbe un, altrimenti impossibile, bipolarismo, ma entreranno in concorrenza perversa fra di loro, proponendo l’irrealizzabile. Infine, perché, poi, non è male tenere anche conto del sistema partitico al quale verrà applicato l’Italicum, è possibile che al ballottaggio vadano il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, vale a dire un Partito della Nazione e un Partito tecnicamente Antisistema, che significa che, se potesse, cambierebbe il sistema politico-istituzionale e socio-economico.

Se le coalizioni pre-elettorali o gli apparentamenti post primo turno fossero accettati nella legge, due esiti, entrambi preferibili, diventerebbero possibili. Primo esito: il centro-destra potrebbe aggregarsi , superando in voti il Movimento Cinque Stelle. Secondo esito: a sua volta il Movimento Cinque Stelle potrebbe cercare alleati stemperando alcune sue asperità programmatiche. Infatti, la formazione di coalizioni, come rivelano tutte le ricerche, implica due conseguenze entrambe positive: I) dà vita a un governo maggiormente rappresentativo di quello costruito da un solo partito; II) obbliga quel governo a formulare un programma delle sue attività meno “estremo” di quello di un solo partito, tagliando le ali alle proposte eclatanti, più partigiane, meno condivise. Un bipolarismo incentivato dai meccanismi elettorali renderà meno conveniente rimanere sparsi all’opposizione cercando di lucrarne separatamente alcuni vantaggi. Anzi, obbligherà un po’ tutti a cercare di rappresentare una pluralità di interessi e di preferenze e, di conseguenza a fare funzionare, nella maniera che sapranno, una democrazia dell’alternanza. L’Italicum non dà allo stivale del nostro scontento nessuna garanzia né di governabilità né di bipolarismo.

Pubblicato su rivistailmulino.it il 4 maggio 2015

Rebus elettorali (Dove eravamo, come siamo finiti)

Un articolo pubblicato il 21 gennaio 2014, dedicato a tutti coloro che dicono che l’Italicum non può/non deve essere modificato
Confronti costituzionali

REBUS ELETTORALI

In maniera spiazzante, il segretario del Partito Democratico ha presentato addirittura tre proposte elettorali. Hanno due elementi unificanti: primo, non si applicano al Senato; secondo, prevedono tutte un consistente premio di maggioranza alla lista o coalizione che risulterà vittoriosa. Evidentemente, Renzi dà per scontato che il Senato non sarà più elettivo, dopo una riforma costituzionale che richiederà parecchio tempo. Anche l’entità del premio in seggi si presenta come piuttosto problematica. Infatti, le motivazioni della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha bocciato il premio contenuto nella legge vigente (il Porcellum) potrebbero anche rendere impossibile la sua riproposizione. La proposta che Renzi fa derivare dal sistema spagnolo che, è opportuno ricordarlo, colà serve ad eleggere 350 deputati, contraddice la sua critica di qualche tempo a coloro che manifestavano “voglia di proporzionale”. Anche se le molte circoscrizioni previste (118 che, dunque, richiederanno tempo per essere disegnate) eleggerebbero ciascuna quattro-cinque deputati, la ripartizione fra le liste sarà proporzionale. Non è poi detto che il premio in seggi garantirà la maggioranza assoluta in parlamento al partito o alla coalizione premiata.

La seconda proposta implica il ritorno al Mattarellum con una variazione importante. Il recupero proporzionale sarebbe utilizzato in parte per dare un premio al partito o alla coalizione vincente in parte (“diritto di tribuna”) per consentire l’ingresso in Parlamento ai partiti piccoli che non avessero superato la soglia di sbarramento. All’incirca una novantina di seggi a chi ha vinto e una sessantina da distribuire proporzionalmente ai piccoli. Rimane curioso che a un sistema maggioritario, come è il Mattarellum, si sovrapponga anche un premio di maggioranza.

La terza proposta è ancora più problematica e, in un certo senso, dirompente. E’ stata definita “sindaco d’Italia” poiché deriva dalla legge utilizzata per l’elezione dei sindaci nei comuni al di sopra dei quindicimila abitanti. Non riguarda soltanto l’elezione del Parlamento. Prevede che, il candidato alla carica di Sindaco d’Italia ottenga, al primo turno, nel caso davvero improbabile che la coalizione a suo sostegno abbia conquistato il 50 per cento dei voti, il 60 per cento dei seggi. Altrimenti, il candidato vittorioso al ballottaggio otterrà il 60 per cento dei seggi e gli altri partiti si divideranno il rimanente 40 per cento proporzionalmente ai voti ottenuti. Il Sindaco d’Italia implica non soltanto una riforma elettorale, ma una vera e propria riforma costituzionale. Ne risulta cambiata la forma di governo nel senso di un presidenzialismo non dichiarato. I cittadini eleggono il “sindaco”-capo del governo cosicché il Presidente della Repubblica perderà il potere di nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 92). Poiché le dimissioni del sindaco, per qualsiasi ragione, comportano lo scioglimento automatico del consiglio comunale, il Presidente della Repubblica perderà anche il potere di scioglimento del Parlamento (art. 88).

Insomma, a prescindere da qualsiasi altra considerazione. tranne che, effettuata tre volte in Israele, l’elezione popolare diretta del Primo ministro non ha funzionato ed è stata abbandonata, il Sindaco d’Italia cambia la forma di governo e, poiché è una riforma costituzionale, abbisognerà di tempi lunghi. Esistono due alternative praticabili per uscire dalla problematicità e per entrare in un rapido percorso riformatore che non potrà comunque accontentare chi sogna elezioni a maggio. Primo, fare rivivere con pochissimi ritocchi il Mattarellum che, utilizzato nel 1994, 1996 e 2001, diede esiti soddisfacenti e i cui collegi uninominali sono praticamente già disegnati. Secondo, scegliere fra il sistema tedesco di proporzionale personalizzata che elegge circa 600 deputati e il sistema francese maggioritario a doppio turno in collegi uninominali che elegge 577 deputati e che dal 1958 a oggi in Francia ha regolarmente garantito la formazione di maggioranze parlamentari stabili. Tertium non datur. Dopo il Mattarellum e soprattutto il Porcellum, nessuno può illudersi che i riformatori italiani siano capaci di fare meglio dei tedeschi e dei francesi.

Pubblicato 21 gennaio 2014 sul blog dell’Associazione “Confronti costituzionali