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Pasquino intervista Huntington
Intervista immaginaria a Samuel Huntington sugli attentati di Parigi
Samuel P. Huntington (1927-2008) è stato Professore di Government a Harvard per più di quarant’anni. Ha scritto libri fondamentali sul ruolo politico dei militari The Soldier and the State (1957), sulla politica degli USA, sulla democratizzazione The Third Wave (1993) e il più brillante, il più letto e il più citato libro sullo sviluppo politico Political Order in Changing Societies (1968, ristampato ripetutamente fino al 2006 con una presentazione ad opera di Francis Fukuyama). Ha acquisito fama mondiale con il saggio Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (1996).
A vent’anni dalla pubblicazione del suo tanto criticato libro, possiamo, dunque, dire, Professor Huntington, che aveva ragione lei: è in corso uno scontro di civiltà?
Non ho mai avuto dubbi sulle probabilità che uno scontro di civiltà si stesse preparando. Credo sia giusto ricordare ai lettori che ho collegato quel probabile scontro alla ristrutturazione di un “ordine politico mondiale”. Lo scontro è in atto, ma del nuovo ordine mondiale non vedo nessuna traccia. Aggiungo che, contrariamente a quello che hanno scritto fin troppi critici, anche italiani, del mio libro, spesso senza avere neanche letto il titolo nella sua interezza, non ho mai auspicato lo scontro di civiltà. Intendevo mettere in guardia i decisori politici e altri eventuali protagonisti.
Invece, che cosa è successo?
E’ successo che, da un lato, il Presidente George W. Bush si è buttato in una guerra facile da vincere contro Saddam Hussein, senza nessuna strategia di costruzione di ordine politico in quella zona del mondo; dall’altro, persino negli USA e in Gran Bretagna, ma, soprattutto, in maniera raccapricciante e scandalosa, in alcuni paesi europei, hanno vinto quelli che voi chiamati i “buonisti” (e che Mrs Thatcher chiamerebbe i “wet”, gli umidi, a lei Prof Pasquino di fornire la, peraltro facile, interpretazione). Fintantoché penserete che c’è un Islam buono e che i terroristi, perché in questo modo, con buona pace di Massimo Cacciari, debbono essere chiamati, sono addottrinati e guidati dall’Islam cattivo, non potrete preparare nessuna risposta. Quelle folcloristiche, “Je suis Charlie” e “Je suis Paris”, sono moralmente apprezzabili, ma politicamente del tutto irrilevanti.
Prima di chiederle che cosa bisognerebbe fare, vorrei che lei replicasse anche a coloro che dicono che è in corso anche una guerra dentro l’Islam.
Nella mia analisi dello scontro di civiltà non c’è nulla, proprio nulla che suggerisca o stabilisca che ciascuna delle civiltà sia in grado di mantenere ordine politico al suo interno. Le ricordo che una delle mie frasi che hanno fatto imbestialire i maomettani e scandalizzato i buonisti è “I confini dei paesi arabi grondano di sangue”. Tutti quei confini continuano a grondare di quel sangue, nient’affatto solo del loro, ma anche di quello dei curdi e dei cristiani. L’aggiunta è che il grondar di sangue si è esteso a tutti i territori del Medio-Oriente e del Maghreb. Non abbiamo, però, ascoltato gli imam dell’Islam buono alzare la loro voce e promettere a chi uccide e si uccide per massacrare altri, non un paradiso sessuale, ma la punizione di Allah (un inferno sessuale?).
Fino a quando durerà il terrorismo islamico?
Non c’è nessuna buona ragione per ipotizzare che la sua fine sia vicina. Al contrario. Proprio l’instabilità dei regimi, non la mancanza di democrazia, ma di ordine politico, dalla Siria all’Iraq, dalla Libia all’Egitto, dallo Yemen al Sudan, alimenta conflitti e tensioni con il Califfato, chiamatelo ISIS o Daesh, che mira ad imporsi anche grazie alle sue spettacolari e sanguinarie attività in Europa, dimostrando la proprio potenza di reclutamento e di fuoco. La fine non è in vista.
E fino a quando durerà lo scontro di civiltà.
Lo scontro di civiltà (e dentro l’Islam politico e bellico) durerà fino a quando le altre “civiltà”, a partire da quella che chiamo civiltà occidentale, unitamente a quella russo-ortodossa, non riusciranno a reagire e a prevenire qualsiasi incursione terroristica facendo uso costante e immediato, senza nessuna concessione, dei loro apparati militari e di intelligence, e fino a quando nell’area medio-orientale non emergerà una potenza egemone, che potrebbe essere l’Arabia Saudita, non ricattabile da terroristi di nessun tipo e in grado di imporre e mantenere l’ordine.
Che cosa direbbe agli affannati teorici del multiculturalismo?
Che lo Stato islamico non si combatte e non si debella rinunciando a pezzi rilevanti della cultura e della civiltà europea, condonando tradizioni di oppressione degli uomini sulle donne, accettando che i principi politici siano sottomessi (si, ho visto il libro di Houellebecq, ma avrei preferito leggere altro, per esempio, Raymond Aron) ai dettami delle autorità religiose, consentendo che la sharia venga applicata perché, in fondo, contiene le punizioni stabilite dal Corano. Al multiculturalismo contrappongo nella loro interezza, e spero che lo facciano anche, orgogliosamente, tutti i leader dell’Occidente, le Dichiarazioni dei diritti formulate dalle Nazioni Unite. L’universalismo è la mia stella polare. Fortunatamente la condivido con almeno un paio di miliardi di persone che ritengono il multiculturalismo un dannosissimo cedimento e che pensano che non esista niente di meglio del rispetto e dell’attuazione di diritti universali.
Intervista immaginaria a cura di Gianfranco Pasquino che si vanta di avere conosciuto personalmente Huntington e di avere letto tutti i suoi libri e molti dei suoi numerosi articoli.
Pubblicato il 16 novembre 2015
Refugiados: la Unión Europea no es el peor de los problemas
Todavía, la Unión Europea puede ser parte de la solución. El problema, nadie debe olvidarlo, ha sido producido por la guerra en Irak, lanzada por los EE.UU. de George W. Bush y la Gran Bretaña de Tony Blair (también con los votos de los conservadores). Desde la segunda mitad de los años 2000, todos los sistemas políticos del Medio Oriente y del Magreb han sido desestabilizados. Todos han mostrado en su interior una mezcla horrorosa de tradicionalismo social, de fundamentalismo religioso, de autoritarismo político. Al Qaeda ha radicalizado la lucha política pero, ahora, parece que Estado Islámico lo ha reemplazado. La explosión de Libia, las guerras civiles en Siria, Yemen y Sudan, el conflicto infinito en Irak, las tensiones en Nigeria y la pobreza en la Africa subsahariana obligan a cientos de miles de personas a emigrar. Los migrantes escogen los países de la vieja Europa, es decir, no quieren ir a los de la Europa centrooriental. Hungría es un país de tránsito.
No un país en el cual los migrantes desean quedarse. Primero, entonces, los migrantes ofrecen un homenaje a Europa como lugar de paz, de prosperidad (a pesar de las recientes tendencias económicas no siempre positivas), de democracias y de protección y promoción de los derechos de los hombres, de las mujeres, de los niños (más después). Segundo, los migrantes en Hungría han mostrado signos y han gritado y cantado “We want Germany”. Eso también es un extraordinario homenaje a los alemanes y a la señora Angela Merkel. Es el reconocimiento más significativo de que los alemanes, gracias a su sistema político, a su eficiencia económica, a su capacidad de respetar las reglas, han conquistado una verdadera hegemonía que, como lo ha escrito Antonio Gramsci, es un conjunto de consenso y fuerza. Según los sondeos del eurobaró- metro, 80% de los ciudadanos de la Unión Europea (y todos los países de Europa fueron invadidos por la Alemania nazi) tienen mucha confianza en los alemanes. La difícil política de recepción de los migrantes en muchos países de la Unión Europa va a cambiar bajo la leadership de Alemania, que ya acoge millones de turcos y de migrantes que vienen de los Balcanes.
Emoción y conmoción. La foto del niño sirio muerto en una playa de Turquía por supuesto ha sensibilizado la opinión pública de muchos países europeos. Es justo que sea así. El proprio grandísimo sociólogo alemán Max Weber ha escrito que la política se hace con la cabeza, pero no sólo con la cabeza. Las emociones cuentas. Las imágenes pueden hacer una diferencia. Pero deben ser interpretadas y explicadas. La responsabilidad de la muerte del niño no es de la Unión Europea. Es de los que en Siria luchan en una compleja guerra civil en la cual hay una peligrosa presencia de los guerrilleros de Estado Islámico y parece difícil derrotar a un dictador sanguinario como Al-Assad. El niño nos habla en nombre de todos los que quieren vivir en sistemas políticos aun no necesariamente democráticos, pero que logran garantizar orden político sin terror. En las condiciones existentes en Africa y en Medio Oriente, parece hoy muy difícil establecer una clara distinción entre los que intentan huir de la pobreza y del hambre, migrantes clandestinos, y los que dejan su país por opositores políticos de regímenes represivos y opresivos: los refugiados políticos. No es correcto hablar de una “crisis” humanitaria. Es un poderoso desafío humanitario. Los europeos tienen todas las herramientas, sociales, culturales, económicas y políticas para ganar el desafío humanitario en el Viejo Continente. Todavía es clarísimo que la victoria nunca será definitiva mientras existan dictadores, fundamentalistas religiosos, teócratas y terroristas financiados por algunos Estados árabes. Sin transformar de manera democrática Medio Oriente y Africa, muchos migrantes continuarán escapando de la opresión y la Unión Europea deberá ofrecer asilo(y civil).
Suplemento especial de diario PERFIL sobre el drama de los refugiado. Domingo 6 de Septiembre de 2015
Accogliere è un test di civiltà
Il modo forse migliore per celebrare la Giornata del Migrante consiste nel leggere la Costituzione italiana. Il comma 3 dell’art 10 stabilisce che: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalle leggi”. Naturalmente, non tutti i migranti sono oppositori politici dei regimi autoritari e repressivi dai quali fuggono. Tuttavia, è innegabile che in nessuno di quei regimi hanno potuto e, fintantoché non avverranno improbabili cambi democratici, i migranti che approdano in Europa attraverso l’Italia non potranno godere di nessuna libertà democratica. Se, poi, interpretiamo in maniera estensiva la dizione “libertà democratiche”, la grande maggioranza dei migranti fugge da situazioni nelle quali la loro dignità e la loro stessa sopravvivenza sono in questione. Non sappiamo quanti di loro con le loro famiglie possano essere effettivamente considerati rifugiati politici. Infatti, enormi sono i problemi amministrativi da risolvere per verificare la provenienza, le generalità e le motivazioni dei migranti. Ed è evidente che per quasi tutti loro l’obiettivo principale è trovare un luogo di residenza e di lavoro.
In assenza di permessi di lavoro, molto difficili da ottenere, i migranti sono tecnicamente “clandestini”. Dovrebbero, dunque, essere espulsi. Anche in questo caso, la Costituzione italiana (art. 10 comma 4) è chiara: “non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. Molti dei migranti hanno sicuramente da temere rappresaglie a opere dei governanti dei regimi autoritari dai quali sono fuggiti. Sappiamo, comunque, che le espulsioni dei clandestini sono difficili, costose, inevitabilmente limitate in termini di numeri rispetto agli arrivi. Nella quasi totalità dei casi, le espulsioni riportano i migranti alla vita grama dalla quale loro e le loro famiglie, a rischio della vita, hanno cercato di sfuggire. Dalle quali, quando potranno permetterselo, visti gli alti costi dei viaggi verso l’Italia, riproveranno a fuggire. Comunque, i respingimenti, possono essere un’arma di propaganda politico-elettorale, ma non rappresentano una soluzione praticabile né, tantomeno, duratura.
Non dimenticando mai che l’afflusso dei migranti si è enormemente intensificato in seguito alla malaugurata e non necessaria guerra lanciata nel 2003 dal Presidente repubblicano George Bush per rovesciare Saddam Hussein dal suo scranno di dittatore dell’Iraq, sono in fiamme sia il Medio-Oriente sia alcuni paesi dell’Africa del Nord. Porre fine a quelle guerre, che spesso sono al tempo stesso guerre civili e di religione, è un’operazione complicatissima che richiederà comunque tempi lunghi. La creazione di un ordine politico nel quale riprendano attività economiche che liberino dalla fame e dalle malattie decine di milioni di persone, potenziali migranti, non è possibile in tempi brevi. L’attuazione di provvedimenti mirati richiede un’unità d’intenti che né l’Unione Europea né le Nazioni Unite hanno saputo finora conseguire. La costruzione di muri che impediscano l’accesso dei migranti è costosissima e non offre nessuna garanzia di successo. La costruzione di ponti che ne facilitino l’arrivo in Italia, che è il paese più esposto e più permeabile, e in Europa, è altrettanto costoso e, se non accompagnata dalla costruzione di luoghi di accoglienza, rischia di procurare enormi tensioni e conflitti con la probabilità di contraccolpi estremistici di tipo razzista.
Posta la soluzione in termini puramente economici (e “militari”), non è possibile dire con certezza che il respingimento sia meno costoso di un’accoglienza organizzata e governata. Tuttavia, le tradizioni e l’impegno democratico dell’Unione Europea e dei singoli Stati non possono contraddirsi tanto platealmente e farsi travolgere dai sostenitori dei respingimenti a tutti i costi. Il trattamento riservato ai migranti, anche in un periodo di economie non prospere, è il test del livello di civiltà di ciascun paese e del continente europeo.
Pubblicato AGL 14 giugno 2015