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Dopo Draghi l’Europa è uscita dall’orizzonte della politica @DomaniGiornale


Praticamente, le scelte politiche che il governo italiano deve fare implicano, quale più quale meno, un certo atteggiamento verso l’Unione Europa. Per i balneari il problema con soluzione già incorporata consiste nell’applicazione, dall’Italia continuamente rimandata, della direttiva Bolkestein. Per il prezzo della benzina c’è da chiedersi se non sia il caso, oltre a mettere i cartelli con il prezzo medio in Italia, di ricordare a tutti anche la composizione di quel prezzo con relativi confronti europei. Ha fatto bene la Presidente del Consiglio a proseguire la strada aperta da Draghi per negoziare importanti forniture di gas dall’Algeria. Forse, però, quando si tratta della politica energetica e della relativa transizione, sarebbe opportuno che l’Unione Europea sviluppasse una più solida e ampia iniziativa unitaria. Allo stesso modo, la fornitura di carri armati Leonard all’Ucraina non dovrebbe dipendere solo dalla Germania che li produce poiché in Ucraina si combatte una guerra che avrà, in qualsiasi modo finisca, un impatto notevolissimo sull’Unione Europea, sulla auspicabilità e attuabilità di una politica di difesa e di relazioni internazionali davvero condivisa e comune. Da ultimo, anche se con qualche inevitabile forzatura, per smettere di farci prendere in giro dagli egiziani e per giungere alla verità per Regeni e alla libertà per Zaki, meglio sarebbe se fosse l’Unione Europea a gettare il suo peso negoziale. Non alla luce del sole, ma neanche sottotraccia, Giorgia Meloni sta perseguendo un avvicinamento dei suoi Conservatori ai Popolari europei che, divisi al loro interno, cercano comunque di mantenere una posizione dominante. Da ultimo, nella sua opera a tutto campo di ridefinizione della politica del Movimento 5 Stelle, la visita di Conte a Ursula von der Leyen può indicare la propensione a riaggiustare una politica fin qui sembrata una presa di distanza senza prospettive. Inevitabilmente, è dalle parti del Partito Democratico, tuttora con qualche scricchiolio l’organismo più europeista e più federalista in Italia, che suona la campana. Le elezioni del Parlamento europeo sono relativamente lontane, maggio 1924, e prima si faranno i conti con le elezioni regionali in Lombardia e in Lazio (che, pure, dovrebbero essere consapevoli di quanto l’Europa è rilevante per la loro economia e società). Però, il sostanziale silenzio dei candidati e delle candidate (compresa Elly Schlein, già europarlamentare e dotata di non poca specifica competenza) alla segreteria sul ruolo che il loro partito svolgerà nell’UE appare inquietante. Più in generale, dopo Draghi, mancano gli interpreti e i predicatori credibili del futuro dell’Italia nell’Unione e di quale futuro l’Italia si impegna a costruire nell’Unione. Nel centro del gruppo, senza arte né parte? Fra i fanalini di coda? Hic Bruxelles hic salta.
Pubblicato il 25 gennaio 2023 su Domani
Il reintegro dei medici no vax è uno scandalo. Pd e M5S dialoghino #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
«Le fibrillazioni, che sono differenze di opinioni qualche volta vere e qualche volta costruite ad arte, continueranno inevitabilmente, ma mi pare che meloni sia in grado di metterle sotto controllo»

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «nel governo ci saranno fibrillazioni» ma «l’unica fibrillazione della quale secondo me Meloni non vuole sentire mai più è quella legata all’amicizia tra Berlusconi e Putin». Sui primi provvedimenti del governo è netto: «il reintegro dei medici no vax è un segnale sbagliato e bruttissimo, è abbastanza scandaloso».
Professor Pasquino, il Consiglio dei ministri ha preso i primi provvedimenti su covid, giustizia e ordine pubblico. Pensa che siano misure necessarie e urgenti o il governo avrebbe dovuto occuparsi d’altro?
Credo che ci fossero certamente questioni più urgenti da affrontare, a partire dalle bollette dal tentativo di rimettere sotto controllo l’inflazione, che è assolutamente necessario. Ma tra le varie misure mi vorrei concentrare su un punto: il reintegro dei medici no vax è un segnale sbagliato e bruttissimo. Dirò di più. È abbastanza scandaloso. Questo provvedimento non andava preso.
Eppure il ministro della Salute, Orazio Schillaci, era a favore del green pass e di certo non è no vax. Non crede che queste misure siano state prese tenendo conto dei dati sul coronavirus?
I dati dicono che il covid non è passato, continua a trasformarsi e ad avere tutta una serie di mutazioni e quindi dare quel tipo di segnale è sbagliato. Credo che da un lato Meloni voglia accarezzare una parte di elettorato che ha votato FdI; dall’altro vuole evitare che della tematica si appropri Matteo Salvini, che è un pirata. In terzo luogo c’è un altro elemento cruciale da tenere in considerazione, e cioè che evidentemente queste misure rispecchiano il pensiero di Meloni.
Crede che questo sarà un governo “law and order”?
Ci si può proporre di essere severi ma bisogna poi essere efficiente e giusti. Direi giustamente efficienti. Non so se siamo preparati a questo ma certo il rave party di Modena bisognava prenderlo, controllarlo e regolamentarlo. Quando si arriva alla repressione violenta tutti in qualche modo sbagliano e sono contento che questo non sia accaduto. Ma tutti sanno che un governo di destra deve essere autorevole e qualche volta anche autoritario. Speriamo tuttavia che non ci siano eccessi.
Ha citato Salvini: pensa che questo governo soffrirà delle fibrillazioni tipiche di una maggioranza di coalizione o Meloni riuscirà a tenere la barra dritta?
Le fibrillazioni, che sono differenze di opinioni qualche volta vere e qualche volta costruite ad arte, continueranno inevitabilmente, ma mi pare che Meloni sia in grado di metterle sotto controllo. L’unica fibrillazione della quale secondo me Meloni non vuole sentire mai più è quella legata all’amicizia tra Berlusconi e Putin. In un governo di coalizione le fibrillazioni sono fisiologiche ma lei ricomporrà i dissensi, anche se chiaramente ne sarà innervosita. Di certo non accuso il destra centro di essere più fibrillante di altri governi. Il vantaggio è che Meloni è paziente e in saldo controllo dell’esecutivo. Per capirci, dopo questo governo non c’è un governo Berlusconi o un governo Salvini.
Dopo la carica della polizia alla Sapienza abbiamo assistito al raduno di Predappio e al rave di Modena, risolto pacificamente. Pensa che ci sia il rischio di un autunno caldo dal uno di vista sociale nel paese?
Diciamo che questo dipende dalle proteste che la sinistra non riesce a incanalare. La destra non avrebbe alcun vantaggio da un ipotetico surriscaldamento del clima. Ma attenzione, Meloni ha detto cose sbagliate sui giovani di destra, perché negli anni di piombo diversi giovani di destra furono picchiatori. Insomma , è meglio che non ricostruisca la storia. Di certo però non è suo interesse alimentare la violenza, visto che di solito questo viene associata al fascismo o al parafascismo.
Può partire proprio dalle questioni sociali l’opposizione della sinistra, che unisca Pd, Movimento 5 Stelle e magari il terzo polo su questi temi?
La risposta è difficilissima perché dipende da chi verrà eletto segretario del Pd e da cosa deciderà di fare Giuseppe Conte. Finora ha alzato molto i toni contro il Pd, ma magari decide che ha raggranellato quello che poteva e che sia sufficiente. La strategia della sopravvivenza direbbe che Pd e M5S devono trovare un accordo ma se entrambi vogliono cercare di umiliare l’altro non si va da nessuna parte. Una parte cospicua del Pd sta cercando di umiliare il M5S, che a sua volta sta emarginando il Pd.
Dopodomani Meloni volerà a Bruxelles: come sarà il primo approccio con le istituzioni europee, da lei più volte criticate?
Meloni sa che deve dimostrare di essere relativamente moderata ma anche esigente, perché è pur sempre il capo del governo di un paese importante. Sa che deve dimostrare di non essere antieuropeista ma pronta a ridefinire le politiche europee. Sa che deve comportarsi in maniera piuttosto diplomatica ma anche gli altri devono tenere conto di non essere di fronte a un’europeista della prima ora. Dall’altra parte la accoglieranno con curiosità e sarà un incontro di ricognizione. Immagino ci sia attenzione interessata e non solo pregiudiziale.
Tra due settimane la presidente del Consiglio sarà invece in Indonesia per il vertice del G20. Come crede che si muoverà a livello internazionale, in particolare modo nei rapporti con gli Usa?
Il problema non è l’alleanza di ora con gli Stati Uniti, che lei ha ribadito dicendosi atlantista, come da solco della tradizione politica italiana. Il problema è il futuro. Deve evitare rapporti con i trumpiani, che sono una banda pericolosa. L’intervento che ha fatto alla Niaf è stato buono ma bisogna tenere in considerazione che un’associazione piuttosto di destra. Insomma deve stare attenta a non spostarsi troppo verso quella direzione.
Pubblicato il 1 novembre 2022 su Il Dubbio
Verso il 25 settembre, il voto più utile è degli indecisi @formichenews

Il voto davvero utile, meglio più utile, ovvero più incisivo, sarà quello degli indecisi e dei potenziali astensionisti. Occhio, dunque, a quale coniglio/a uscirà da quale cappello nelle quarantotto ore prima del voto. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e Professore Emerito di Scienza politica e autore di “Tra scienza e politica. Una autobiografia” (Utet 2022)

Raramente ho assistito a una campagna elettorale tanto prodiga di informazioni sui leader, sui partiti, sulle tematiche. Sono giunto alla conclusione che se la campagna viene definita “brutta” è come la bellezza: sta negli occhi di chi, commentatori di poco senno e fantasia, la guarda (o forse no: guardano solo i concorrenti, per “copiarli”). Sappiamo che Giorgia Meloni, una volta richiamato Draghi, è la front runner. Sta conducendo una campagna elettorale il cui punto d’arrivo potrebbe essere Palazzo Chigi. Atlantista per sua definizione, si è convincentemente collocata dalla parte dell’Ucraina, ma si è trovata appesantita da un passato che non passa, e che qualche saluto fascista riporta all’ordine del giorno, e dalla sua appartenenza di genere che non sa né respingere né valorizzare. La zavorra più pesante e per lei (ma anche per gli italiani tutti) è il suo incomprimibile, indeclinabile sovranismo che si accompagna a deplorevoli compagni (oops, chiedo scusa) di strada: da Orbán a Vox. Se nell’elettorato italiano è passato il messaggio che, forse troppo poco troppo tardi, il Partito Democratico di Letta ha cercato di mandare: “tutto con l’Europa niente fuori d’Europa”, allora il consenso presunto per i Fratelli d’Italia potrebbe risultare ridimensionato. Chi con qualche strambato di cui non era ritenuto capace ha risollevato il suo consenso che sembrava in caduta libera è Giuseppe Conte.
Ambiguo la sua parte sia sull’Unione Europea sia su come affrontare l’aggressione russa all’Ucraina, Conte può ringraziare gli attacchi mal posti e male argomentati al reddito di cittadinanza, l’unica riforma davvero innovativa che il Movimento 5 Stelle di governo possa effettivamente rivendicare. Che i voti per i pentastellati di lotta crescano nel Sud rispetto a previsioni fosche è dovuto all’impatto positivo del reddito di cittadinanza e alla volontà di difenderlo. Anche su questo gli elettori hanno ricevuto utili informazioni. Immigrazione e sicurezza, scuola e sono finiti in secondo piano perché maiora premunt, c’è qualcosa di più importante destinato a essere una sfida duratura. No, personalmente non me la sento mai di parlare a nome degli italiani, ma il prezzo del gas e, più in generale, del carrello della spesa sono le due criticità che non ci abbandoneranno troppo presto. Non sarà il governo prossimo venturo a risolvere il problema. In verità, nessun singolo governo europeo ha la chiave della soluzione. Solo gli europei europeisti possono approntare una difesa decente e passare all’attacco con una politica energetica concordata.
Berlusconi ha rapidamente capito che il suo aggancio con il Partito Popolare Europeo è importantissimo per Forza Italia e, impostosi garante del (governo di) centro-destra, ha ipotecato i Ministeri degli Esteri e dei Rapporti con l’Europa. Però, ma non ce la fa proprio ad abbandonare la tassa che non è né piatta né, poi, neppure tanto bassa come quella proposta dal giocatore d’azzardo Matteo Salvini a corto di tematiche e di fiato. A testa bassa sia per tentare di trovare l’agenda perduta, quella di Draghi, sia per incornare il Partito Democratico, i quartopolisti Calenda e Renzi non hanno lasciato traccia nella campagna elettorale. Ma anche questa è una notizia utile per gli elettori. Ne sappiamo tutti di più. Certo, partivamo con le nostre preferenze che probabilmente sono cambiate di pochissimo (rispetto ai sondaggi). Alla fine, il voto davvero utile, meglio più utile, ovvero più incisivo, sarà quello degli indecisi e dei potenziali astensionisti. Occhio, dunque, a quale coniglio/a uscirà da quale cappello nelle quarant’otto ore prima del voto. Faites vos jeux. Ma, in democrazia non finisce qui.
Pubblicato il 22 settembre 2022 su Formiche.net
Sic transit Draghi
Alla domanda del Presidente del Consiglio Draghi, solenne e ripetuta tre volte: “siete pronti a costruire un nuovo sincero patto di fiducia?”, la risposta di quel che resta del Movimento 5 Stelle è stata, insinceramente, che il patto non l’avevano rotto loro. La risposta di Lega e Forza Italia è stata: “no, vogliamo negoziare un nuovo governo con un ampio ricambio nelle cariche ministeriali”, implicitamente perseguendo il loro obiettivo principale, ovvero l’emarginazione dei Cinque Stelle. Poiché l’obiettivo di Draghi, condiviso con il Presidente della Repubblica, consisteva nel tenere insieme tutti coloro che avevano dato vita al suo governo, tutti gli spazi di continuazione si sono bruscamente chiusi. Senza possibilità di recupero. Peggio, però: invece, di assumersi a viso aperto le loro responsabilità politiche, Forza Italia, la Lega e il Movimento 5 Stelle hanno annunciato la non-partecipazione al voto. Poiché il voto di fiducia si esprime attraverso l’appello uninominale, gli italiani, in nome e per conto dei quali i parlamentari sostengono di lavorare, rappresentandoli, non sapranno come il “loro” Senatore/trice ha effettivamente votato. II novantacinque “sì” (Partito Democratico e LiberieUguali) ottenuti da Draghi non sono numericamente e, meno che mai, politicamente sufficienti per rimanere in carica. Dobbiamo augurarci che nessuno li utilizzi per qualche oscura manovra parlamentare.
Una legislatura inizialmente dominata dagli opposti populismi di Cinque Stelle e Leghisti, continuata con Cinque Stelle e Partito Democratico, si conclude con la rovinosa sconfitta di uno dei governi italiani migliori di sempre per quello che ha fatto, per quello che ha impostato, per il suo prestigio in Europa e per la autorevolezza e credibilità del suo Presidente del Consiglio. Tutto sostanzialmente irripetibile. Naturalmente in una democrazia parlamentare i governi nascono, si trasformano, muoiono in parlamento. Agli elettori viene regolarmente affidato il compito di valutare quello che i partiti da loro votati e i parlamentari da loro eletti hanno fatto, non fatto, fatto male. Chiedere agli elettori di risolvere i conflitti di Palazzo, illuminare tensioni oscure, stigmatizzare ambizioni inconfessabili non è un modo democratico di operare. Chiamare gli elettori italiani a votare con qualche mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, marzo 2023, senza spiegare le conseguenze costose dell’anticipo, prima fra tutte le probabilmente grande difficoltà a completare tutte le opere richieste e abbondantemente finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, è molto grave. Certamente non serve per educare i cittadini alla complessità della politica. La fine brusca e brutale del governo Draghi segnala che alcuni partiti italiani perseguono il potere in sé prima che il potere per attuare il programma indispensabile al rilancio dell’Italia. La situazione, nazionale e internazionale, è davvero brutta.
Pubblicato AGL il 21 luglio 2022
Crisi di governo. Cosa succede ora? #audio

Il Movimento 5 Stelle apre di fatto la crisi di governo. Quali sono gli scenari possibili? Ci sarà un Draghi bis, un governo di transizione o si andrà al voto? E se si andrà al voto, con quale legge elettorale? Giovanni Diamanti e Luigi Di Gregorio affrontano i temi caldi della politica italiana con Gianfranco Pasquino.
Berlusconi spera nel colle ma ha in mente un piano B @DomaniGiornale


Neanche per un momento è giustificabile pensare che Berlusconi abbia già abbandonato la speranza di diventare il prossimo Presidente della Repubblica. I numeri sui quali può contare in partenza sono il pacchetto più consistente di qualsiasi altro candidato. Dal quarto scrutinio, quello per il quale sarà sufficiente la maggioranza assoluta, i suoi numeri potrebbero, grazie ad una pluralità di apporti, essere decisivi. Composito è lo schieramento di coloro che deciderebbero di votarlo. Comprende i molti parlamentari che, in un modo o nell’altro, sentono/sanno che Berlusconi sarebbe generoso con loro, anche perché lo è già stato, e soprattutto quelli che pensano che Berlusconi presidente non scioglierebbe il Parlamento, ma consentirebbe la prosecuzione della legislatura fino alla sua conclusione naturale (marzo 2023). Per la precisione, quell’obiettivo, del tutto legittimo, di conservazione del posto di lavoro, appare molto importante sia ai parlamentari di Forza Italia e di Italia Viva, che saranno inevitabilmente a alto rischio, causa la riduzione del numero dei parlamentari, sia agli eletti del Movimento 5 Stelle, già dimezzati. Allo stato, solo i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni sono certi di crescere numericamente. Peraltro, Meloni non può negare la qualifica di patriota a Berlusconi il cui incipit della discesa in campo rimane assolutamente memorabile: “L’Italia è il paese che amo”.
Consapevole delle comunque reali difficoltà della sua candidatura, sicuramente “divisiva”, probabilmente Berlusconi ha già elaborato un piano “b”. Da un lato, vuole riprendersi il ruolo del protagonista, potrebbe essere l’ultima volta. Dall’altro, vuole impedire, come tutti i suoi “comunicatori” hanno subito affermato, che al Quirinale vada un candidato della sinistra, del PD (che per lui e forse anche per loro sono la stessa cosa). Dall’altro, ancora vorrebbe che l’uomo o la donna che verranno eletti al Colle più alto gli siano già debitori di qualcosa, siano riconducibili a lui per la sua carriera. A questo punto, inevitabilmente, bisogna fare i nomi e, in effetti, qualche nome ha già cominciato a circolare. Strappato alle sue fatiche di scrittore, Marcello Pera, già Presidente del Senato, è stato visto a Roma. Viene sussurrato il nome di Antonio Martino, già Ministro della Difesa. Inevitabilmente grazie alla sua carica, l’attuale Presidente del Senato Elisabetta Casellati, già parlamentare di Forza Italia, si trova nella cerchia dei papabili. Qualcuno potrebbe aggiungervi, non l’improbabile nome di Gianni Letta, ma quello di Antonio Tajani, ex-presidente, senza infamia e senza lode, del Parlamento europeo e coordinatore in carica di Forza Italia. Nient’affatto implausibile sarebbe la candidatura dell’ex-ministra dell’Istruzione, già sindaco di Milano, Letizia Moratti. Sembra abbia suscitato irritazione in Berlusconi, forse perché non proposta da lui stesso che non potrebbe vantarsene e che si vede privato della mossa a sorpresa.
Non intendo discutere nei dettagli le credenziali e le qualità presidenziali di queste eventuali candidature, ma due considerazioni meritano di essere formulate. Prima considerazione: nel ventennio berlusconiano il leader non ha in nessun modo proceduto al reclutamento e alla formazione di una classe politica. Forza Italia è rimasta un partito personale e occasionale con qualche eccezione di persone che hanno ricoperto e ricoprono cariche ministeriali. Seconda considerazione: nessuna delle potenziali candidature è dotata di una visibilità significativa, di una qualche popolarità, di fonte di potere proprio. Ma, azzardo, forse queste carenze non dispiacciono a Berlusconi.
Pubblicato il 22 dicembre 2021 su Domani
Amministrative di ottobre, che delusione. Scrive Pasquino @formichenews

Se guardiamo all’eventualità di qualche apporto per la ristrutturazione della politica nazionale, non lo si trova nelle città che vanno al voto. Se pensiamo a leadership nazionali non sono emerse nelle zone locali. Se poi siamo così masochisti da aspettarci nuove idee per il futuro del sistema politico italiano, magari nella versione “le città per l’Europa”, la delusione è assicurata
Ho visto poco di nuovo, pur leggendo e guardando molto, nella campagna elettorale di partiti e candidati nelle varie città. Scarsissima l’immaginazione politica che, ovviamente, spiega il non grande entusiasmo (è un eufemismo) dell’elettorato, ma chiarisce anche perché Draghi può andare avanti tranquillo. Questi partiti non possono impensierirlo. Non sanno quali proposte correttive o alternative fare alle sue decisioni, a cominciare dall’utilizzo dei fondi a livello locale. Non sanno dove andare. Da questo punto di vista è Giorgetti che interpreta correttamente la situazione: non buona la scelta dei candidati del centro-destra; la strada è quella europea. Il resto, ma questo lo dico io, non Giorgetti che, pure approverebbe, è nonsense (la Lega di un tempo avrebbe preferito dire bullshit).
I candidati sindaci politici hanno detto quello che i loro partiti stancamente ripetono, spingendosi a fare (Lepore a Bologna) affermazioni roboanti: Bologna diventerà “la città più progressista del mondo” (qualcuno ha sempre pensato che già lo fosse…). Sala a Milano ha raffinato il suo profilo di amministratore che viene dalla società, ma non vuole tornarci anche perché ritiene di avere fatto molto bene come sindaco, disegnando un futuro praticabile. Il Movimento 5 Stelle (soprattutto Virginia Raggi) conta sullo stellone, ma difficilmente Conte potrà a sua volta contare molti voti e qualche successo. Il centro-destra ha, con la scelta dei candidati civici, dimostratisi ampiamente inadeguati, “spaesati” (è un gioco di parole), ha quasi confessato che la sua classe politica è solo quella nazionale e che un civico come Berlusconi non lo si inventa. Se esistesse si affermerebbe da solo proprio come, memorabilmente, fece Giorgio Guazzaloca a Bologna nel 1999.
Quanto alle tematiche mi pare che nessuno dei i candidati abbia voluto affrontare il tema più importante: come utilizzare i fondi europei. Meglio esibirsi sulle periferie e sulle diseguaglianze per dare sollievo alle quali dovremo diventare tutti più buoni e più inclusivi, magari facendo proposte concrete basate sulle montagne di dati disponibili. Ma, disse una volta un mio autorevole collega, “chi tocca i dati muore” (se e perché non lo sa fare). Può anche essere contraddetto. Questo contrasto, fra le affermazioni pompose e il fact-checking reciproco, sarebbe poi anche il sale della democrazia.
Insomma, se guardiamo all’eventualità di qualche apporto per la ristrutturazione della politica nazionale, non lo si trova nelle città che vanno al voto. Se pensiamo a leadership nazionali non sono emerse nelle zone locali. Se poi siamo così masochisti da aspettarci nuove idee per il futuro del sistema politico italiano, magari nella versione “le città per l’Europa”, la delusione è assicurata. La giacchetta di Draghi può democraticamente essere tirata, ma le mani che ci provano non sanno dove trascinarlo. Conteranno i voti, poi, salvo imprevedibili sorprese, i partiti continueranno nel già logoro tran tran. Il centro-destra dirà di essere unito, addirittura compatto. Partito Democratico e Conte sosterranno che è aperto il cantiere della loro possibile coalizzabilità. Poi arriverà l’lezione del prossimo Presidente della Repubblica (e Formiche mi chiederà un ventaglio di commenti), forse uno spartiacque (ma non vorrei elaborare fra quali acque). Nel frattempo, votate e siate contenti di avere l’opportunità del voto disgiunto e di godere della possibilità di ballottaggio quando il vostro voto si rivelerà e sarà pe san tis si mo.
Pubblicato il 1° ottobre 2021 su Formiche.net
Passettini, posizionamenti, e Presidenza. Riusciranno Conte e Letta a intestarsi qualche merito? @formichenews

L’elezione del Capo dello Stato e la gestione dei primi fondi europei saranno passettini nella direzione giusta, ma riusciranno Pd e Conte, Letta e il Movimento 5 Stelle a intestarsene qualche merito politicamente fruttuoso? Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e Accademico dei Lincei
Giustamente, nella sua intervista a Formiche.net, il mio amico di lunga data Giuliano Urbani critica le mosse dei dirigenti dei partiti del centrodestra. Sicuramente, il declino di Berlusconi e di Forza Italia suggerisce che non saranno i moderati/centristi a dettare tempi e modi della coalizione di centrodestra. Di tanto in tanto, quasi come in un gioco dei quattro cantoni, un editorialista del Corriere della Sera, talvolta persino il direttore, lamentano la mancanza di un centro, meglio di un partito di centro, nel variegato sistema dei partiti italiani. Non sempre i vagheggiatori hanno consapevolezza del fatto inesorabile che un partito di centro che avesse qualche successo elettorale renderebbe impraticabile qualsiasi competizione bipolare e manderebbe in soffitta la famigerata democrazia compiuta, dell’alternanza.
Sul versante che non chiamerò del centrosinistra, ma più propriamente del Partito democratico e delle 5 Stelle, l’unica opzione praticabile sembra essere quella di un’alleanza che da mesi tutti i sondaggi danno minoritaria e perdente nelle intenzioni di voto degli italiani. L’attesa, adesso che ha ottenuto il mandato che desiderava, è tutta su Conte e sulla sua strategia: spostare il baricentro del Movimento verso il Nord. Da quel che le analisi elettorali hanno scoperto da tempo, non è affatto probabile che nel Nord esista un ampio bacino di elettori orientabili verso le 5 Stelle. Continuo a pensare, ma i dati mi confortano, che parte tutt’altro che piccola dell’elettorato pentastellato sia stata mobilitata dalla protesta e dall’insoddisfazione nei confronti della politica e del funzionamento del sistema politico. Nel Nord protesta e insoddisfazione sono, da un lato, meno diffusi che nel Sud, dall’altro, hanno storicamente trovato accoglienza nei ranghi della Lega. Le ambiguità di Salvini rappresentano adeguatamente buona parte di questo elettorato.
Lasciando Conte alla sua difficile ricerca, continua a non essermi chiaro che cosa effettivamente ricerchi il Partito democratico di Letta. I segnali sul terreno, per me importante, dei diritti: legge Zan e cittadinanza ius soli o ius culturae, sono più che apprezzabili, ma chi li apprezza è già da tempo un’elettrice/tore del Pd. Forse verranno corroboranti vittorie democratiche nelle elezioni amministrative e probabilmente sventolerà il vessillo di Enrico Letta nel collegio uninominale di Siena. Nulla di questo, però, fa prevedere uno “sfondamento” elettorale prossimo venturo. Non intravedo indicazioni e mosse che riescano a mobilitare parti della società civile abitualmente in posizioni “wait and see” né innovazioni specifiche in materia, ad esempio, di lavoro e diseguaglianze.
Forse hanno ragione quelli che si concentrano sugli obiettivi ineludibili: una buona elezione del Presidente della Repubblica e un’efficace utilizzazione della prima, già considerevole, tranche dei prestiti e dei sussidi dell’Unione europea. Saranno passettini nella direzione giusta, ma riusciranno Pd e Conte, Letta e il Movimento 5 Stelle a intestarsene qualche merito politicamente fruttuoso? Sapremo l’ardua risposta molto prima dei posteri.
Pubblicato il 14 agosto 2021 su formiche.net
Le fragilità dei tre leader alla prova del semestre bianco @DomaniGiornale


Lasciamo che i commentatori italiani si rincorrano l’un altro a prevedere disastri di un qualche tipo durante il semestre bianco e che superficialmente alcuni professori(oni) ne chiedano l’inutile abolizione. Quel che si intravede in questa fase non sono i partiti che approfittano dell’impossibilità di scioglimento del Parlamento per rendere la vita difficile (e perché poi? E con quali obiettivi?) al governo quanto piuttosto qualche scricchiolio delle leadership dei partiti di governo.
Non scricchiola la leadership di Giorgia Meloni, ma la sua solidità si accompagna alla sua limitata rilevanza anche perché il numero dei parlamentari di Fratelli d’Italia deriva dai voti del marzo 2018 poco più del 4 per cento a fronte delle intenzioni di voto oggi intorno al 18 per cento. Ė Salvini a sentire il fiato dei Fratelli d’Italia sul suo pur robusto collo, ma c’è di più. Anche a causa di ambiguità, probabilmente strutturali, la linea che esprime nelle sue numerosissime apparizioni televisive, interviste, dichiarazioni non sembra largamente condivisa. In particolare, sulle due tematiche più importanti adesso e nel futuro prossimo: Covid e, in senso lato, Europa, nella Lega vi sono posizioni non coincidenti con quelle che Salvini ha dentro. Il Presidente della Regione Veneto Zaia, non da solo, argomenta una linea rigorista sul Covid compreso il green pass e il ritorno a scuola. Sull’Europa e sul sostegno al governo Draghi, alta, forte e chiara è la linea che Giorgetti, avendola elaborata, continua a sostenere. Salvini incassa e guarda avanti, ma sembra avere perso baldanza.
Sicuramente baldanzoso Giuseppe Conte non lo è stato mai, ma non è mai stato riluttante a esibire una non piccola fiducia nelle sue qualità personali e, in qualche modo, anche politiche. Adesso il problema, che sarebbe di difficile soluzione per chiunque, è come acquisire e affermare la sua leadership sul Movimento 5 Stelle di ieri, vale a dire recuperando coloro che se ne sono andati o sono stati frettolosamente espulsi, e di domani a cominciare da quel 15 per cento di elettori scivolati via. All’interno del Movimento non ci sono sfidanti e forse neppure alternative, ma fatte salve poche eccezioni, non si sente neppure grande entusiasmo, piuttosto attendismo: “vediamo che cosa riesce a fare colui che voleva essere l’avvocato del popolo”.
Enrico Letta è il segretario di un partito nel quale i capi corrente hanno notevole potere. Guerini, Franceschini e Orlando sono comodamente sistemati nei loro uffici ministeriali che implicano non poche responsabilità, ma danno anche notevole visibilità (in questi giorni soprattutto per Franceschini che se la gode tutta, e non è finita). Con alcune proposte, voto ai sedicenni, patrimoniale (stoppata, mio modo di vedere, malamente, da Draghi) Letta ha voluto mostrare capacità di incidere sull’agenda politica, ma non può vantare successi e si trincera dietro il fatto inconfutabile dell’essere il PD il più sincero e leale sostenitore di Draghi e del suo governo. Un qualche rafforzamento della sua leadership potrebbe venire sia dalle vittorie possibili in numerose elezioni amministrative a ottobre sia da un suo chiaro e netto successo nell’elezione suppletiva a Siena. Apparentemente Letta è il meno “sfidato” dei tre leader di cui sto discutendo, ma la storia del PD, nel quale restano acquattati molti renziani/e, è anche fatta di repentine cadute e improvvise sostituzioni. La mia interpretazione è che nel semestre bianco, i partiti dovrebbero sentire il compito di rafforzare i loro profili politici al tempo stesso che si segnalano per capacità propositive. Vedo al contrario tensioni, non distruttive, ma che implicherebbero qualche ridefinizione di linee politiche. Non basterà un colpo d’ala nell’elezione rapida del successore(a) di Mattarella.
Pubblicato il 4 agosto 2021 su Domani
Salvini è un equilibrista dimezzato semi-governante semi-oppositore @DomaniGiornale


Comodamente collocata in una solida poltrona d’opposizione (mi concedo al lessico suo e dei suoi Fratelli d’Italia), Giorgia Meloni riceve omaggi e new entries, come il da lungo tempo sen. di Forza Italia Lucio Malan, e osserva il suo competitor Matteo Salvini che si dimena. Nel governo Draghi Salvini c’è capitato non soltanto in mancanza di meglio, ma perché nella Lega, a partire dal suo collaboratore Giorgetti, molti hanno pensato che assumere atteggiamenti anti-europei sarebbe un pessimo biglietto da visita per costruire il governo del dopo Draghi. Con la testa Salvini è, dunque, un semi-governante costretto ad approvare con non celata riluttanza quello che Draghi e i suoi ministri fanno (e non fanno). Con la pancia, però, Salvini è un semi-oppositore alla ricerca di tematiche, proposte, soluzioni che lo differenzino da quello che il governo fa e che non lo distanzino troppo da quello che dice senza peli sulla lingua la sua concorrente interna Giorgia Meloni.
Ė un ruolo piuttosto complicato quello che Salvini deve necessariamente svolgere. Si vede anche che lo svolge con un po’ di tristezza mentre le intenzioni di voto degli italiani premiano Giorgia Meloni e non pochi parlamentari ambiziosi si riposizionano. Infatti, con la riduzione del numero dei parlamentari, soltanto Fratelli d’Italia potrà ricandidare tutti gli attuali e offrire posti a destra, ma certo non a manca. Allora praticamente di fronte ad ogni decisione del governo Draghi e dei suoi ministri, Salvini prende le distanze. Qualche volta vorrebbe di più: aperture dei locali fino ad almeno un’ora o due dopo il limite indicato dal Ministro della Sanità. Qualche volta vorrebbe di meno, ad esempio, che il green pass non fosse indispensabile per i locali pubblici. Poi, quando cambiano, perché peggiorano, i dati dei contagiati, quando crescono i rischi, Salvini si riposiziona sempre cercando di differenziarsi dal governo, ma non sempre riuscendo a nascondere che le sue posizioni sono fluttuanti mentre quelle di Giorgia Meloni sembrano più coerenti. In realtà, spesso i Fratelli d’Italia si fanno beffe dei dati e le sparano grosse anche in termini di libertà. Ma non è il Salvini equilibrista che può permettersi di criticare le preferenze e le scelte sempre perentoriamente annunciate da Meloni.
L’esito, almeno in questa non breve fase, è che la protesta di alcune categorie sociali, dei No Vax, dei “differenziatori” per principio, che, una volta poteva avere come sbocco sia la Lega sia il Movimento 5 Stelle, scivola quasi inesorabilmente nei ranghi accoglienti di Fratelli d’Italia. In parte Salvini dovrebbe essere grato a Letta che lo identifica come il “principale esponente dello schieramento avverso”, dandogli una (im)meritata patente e qualche visibilità. In parte, ha deciso silenziosamente di non concedere più nulla alla Meloni di opposizione: nessuna rappresentanza nel Consiglio d’Amministrazione della Rai, non la presidenza, per prassi, ma anche con più di una motivazione democratica, affidata all’opposizione, della Commissione parlamentare di Vigilanza. Quanto potrà durare il difficile equilibrismo di Salvini e quanto lo stia logorando lo si saprà meglio con il passare del tempo. Sicuro, invece, è che Fratelli d’Italia sta lentamente ridimensionando la Lega che, a sua volta, non sa più che pesci prendere, ovvero su quali tematiche circoscrivere il suo elettorato e cercare di conquistarne altro. Se uno degli effetti anticipati e auspicati del governo Draghi è quello di ristrutturare il sistema dei partiti, questi effetti stanno manifestandosi più platealmente, oltre che nel Movimento 5 Stelle, proprio nella Lega di Salvini.
Pubblicato il 21 luglio 2021 su Domani