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Governare il paese stando in Europa

Un chiaro, sobrio, limpido appello ai senatori e ai loro partiti a sostenere “il governo del paese”: questo è il contenuto centrale, importante, decisivo del discorso del Presidente del Consiglio Draghi. Per governare il paese Draghi pone come asse strategico internazionale la combinazione di europeismo e atlantismo (quindi, ne deduco, nessun flirt con la Cina). Draghi dichiara e sottolinea che il suo compito si svolgerà nel quadro dell’Unione Europea fuori della quale non c’è nessun recupero di sovranità nazionale, ma solitudine (triste e rischiosa, aggiungo io). Tre sono le priorità dettate dai fatti: pandemia, economia e futuro. Per costruire un futuro decente, di nuovo l’aggettivo è mio, bisogna affrontare con rigore e impegno continuativo la pandemia, curare e salvare vite. Per reggere economicamente e rilanciare il paese, bisogna non soltanto formulare i programmi indispensabili a ottenere gli ingenti fondi messi a disposizione dell’Italia dall’Unione Europea, ma utilizzarli al meglio in tempi stretti. Le aree dell’utilizzazione si trovano già nelle direttive del NextGenerationEU. Dentro quell’ambito il Presidente del Consiglio ha segnalato quali riforme ritiene essenziali: quelle della burocrazia e del funzionamento del sistema giudiziario. Cruciale e ripetutamente sottolineata è l’esigenza di dare pari opportunità alle donne e ai giovani affinché le migliori energie del paese trovino sbocchi in Italia e nessuno sia costretto ad emigrare. Pertanto anche la scuola deve essere profondamente riformata.

Con stile, il Presidente del Consiglio Draghi ha reso omaggio al suo predecessore Giuseppe Conte convintamente applaudito dalla maggioranza che lo aveva espresso e sostenuto, e in larga misura il suo programma si situa inevitabilmente e proficuamente nel solco tracciato da Conte. Inevitabilmente, poiché i problemi non sono cambiati; proficuamente, poiché ne consegue una ripartenza da posizioni già avanzate. Le correzioni a quanto fatto da Conte sono, al momento, visibili soprattutto come sottolineature tranne su una tematica molto rilevante, quella della riforma del sistema fiscale che Draghi ha preannunciato non con una legge in più o in meno, ma come una nuova visione complessiva.

In conclusione, due sono le più significative novità del “governo del paese” a guida Draghi. La prima è una maggioranza molto ampia, ancorché composita, nella quale inevitabilmente si avranno tensioni e conflitti, ma che Draghi chiama ad una assunzione piena di responsabilità. La seconda è la composizione del governo, alla quale Draghi non ha fatto nessun riferimento, che combina tecnici di provate capacità con uomini e donne di partito, ma la cui forza sta in special modo in Draghi stesso, nella sua personalità, nelle sue competenze, nella sua convinzione e ambizione di lavorare avendo come stella polare il futuro. Molto, quindi, dipenderà dalla capacità, fondamentalmente politica e finora non ancora messa alla prova, di Draghi nel guidare con polso fermo l’inusitato “governo del paese”. 

Pubblicato AGL il 18 febbraio 2021

Fatto il governo italiano bisogna fare gli europei

L’Europa si avvia alla Conferenza sul suo futuro, fissata per il 9 maggio 2021, settantunesimo anniversario della dichiarazione di Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, che è considerata la data d’inizio del lungo percorso effettuato. In maniera sicuramente del tutto fortuita si è insediato in questi giorni il governo guidato dall’italiano che, quando era Presidente della Banca Centrale Europea, ha salvato l’Euro e, in sostanza, l’Unione stessa in uno dei momenti più drammatici di una storia complessa, ma sostanzialmente di successo.

   Festeggio il governo Draghi, che, peraltro, deve essere visto all’opera senza fare schizzare le aspettative (come troppi commentatori di giornaloni e giornalini hanno già fatto), suggerendo al Presidente del Consiglio di pensare e poi magari anche dire “fatto il governo in Italia è ora di fare gli europei”. Con le parole di un europeo, non proprio europeista, ma con grande, forse fin troppo, senso dello stato (e dello humour), vale a dire il Gen. de Gaulle, non ho difficoltà a sostenere che sarebbe un davvero vaste programme. Per quanto l’obiettivo sia effettivamente molto ambizioso, il governo Draghi ha a sua disposizione una quantità molto ingente di risorse: 209 miliardi di Euro.

   Sono certo che Draghi e i suoi più stretti collaboratori hanno le idee chiare su come assegnarli lungo le direttive e gli ambiti già indicati dalla Commissione Europea. Non è, naturalmente, soltanto un problema tecnico poiché lungo quelle direttive e all’interno di quegli ambiti molte scelte saranno necessariamente politiche. Non sono altrettanto sicuro che il governo e lo stesso Draghi abbiano fin dall’inizio le competenze politiche per rendere i progetti non soltanto fattibili, finanziabili, attuabili in tempi relativamente brevi e soprattutto in grado di fare diventare gli italiani effettivamente cittadini europei. Non si tratta di discutere se l’inconveniente sia quello costituito dal diminuito e oggi scarso numero di ministri provenienti dal Sud. Se i ministri non sanno acquisire/avere una visione nazionale, allora, semplicemente, sono stati scelti male e dovranno essere orientati dal Consiglio dei Ministri a fare proposte e compiere azioni che giovino a tutto il paese e non alle loro aree di provenienza. Il punto, però, è un altro, molto più importante.

   L’ex-Presidente della Banca Centrale Europea deve intraprendere da subito un compito imprevisto, ma cruciale. Deve diventare il predicatore che combina le esigenze italiane con le richieste europee e che, ogniqualvolta possibile, riesce a mettere in grande evidenza tutto quello che l’Italia si trova in condizione di fare grazie al sostegno dell’Unione Europea, osservandone le regole e praticando i comportamenti che da quelle regole discendono. Diventare “europei” significa, per l’appunto, abbandonare i localismi sotto qualsiasi forma si presentino, anche di rappresentanza politica asfittica. Significa ricorrere alle best practices europee, per esempio, nel ristrutturare insegnamenti e percorsi nella scuola a tutti i livelli. Implica due riforme cruciali: quella della tassazione (lo so che lo diciamo da decenni e, per l’appunto, il vizio/reato dell’evasione fiscale diventa sempre più intollerabile) e dell’amministrazione della giustizia.

   Da Draghi e dai suoi ministri, non soltanto “tecnici”, spesso professionisti di alto livello, ma anche quelli di provenienza partitica, vorrei che le riforme fossero presentate, spiegate e argomentate non con la pudica giustificazione “ce le chiede l’Europa” quanto con la semplicissima, decisiva motivazione “vogliamo conseguire i più elevati standard europei”. NextGenerationEU, europei della generazione che viene.

Pubblicato il 15 febbraio 2021 su PARADOXAforum

Sconfitta della politica? No, ma di alcuni politici… La versione di Pasquino @formichenews

“Lasciate ogni speranza voi che entrate” nel mondo della cattiva politica e della non-politica. Espressi i dovuti riconoscimenti a Draghi per la sua personale dedizione, sarà il caso di pensare a altri protagonisti per la ricostruzione della Politica. Il commento del politologo Gianfranco Pasquino

Contrariamente a quanto troppo frettolosamente sentenziato da numerosi commentatori, l’incarico conferito a Mario Draghi non sanziona la sconfitta della Politica. Ė, invece, la presa d’atto che alcuni politici riescono a distruggere, ma, poiché sono irresponsabili, non sanno costruire. Che, poi, quegli stessi politici demolitori si buttino a sostegno della scelta del Presidente Mattarella, il quale nel suo messaggio per il 2021 aveva rivolto un appello ai costruttori, è soltanto una conferma ulteriore di superficialità, improvvisazione, cattiva politica. Ciò detto, però, neppure il comportamento del Presidente Mattarella va del tutto esente da critiche. Sì, in democrazia tutte le cariche e tutti i comportamenti possono essere soggetti a critiche purché motivate.

   Primo, non era necessario “incoraggiare” il Presidente del Consiglio Conte a dimettersi poco dopo avere “incassato” due voti di fiducia alla Camera e al Senato. Secondo, preso atto del fallimento dell’esplorazione condotta da Roberto Fico, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto rimandare alle Camere Giuseppe Conte, vale a dire il Presidente del Consiglio non sconfitto al quale i sabotatori non avevano saputo prospettare alternative praticabili. In questo modo, pur fra permanenti difficoltà, la politica avrebbe fatto il suo corso evidenziando chi erano coloro che avevano aperto e tenevano aperta la crisi essendo portatori di interessi non limpidamente espressi. Sconfitti, dunque, sono quei piccoli politici e i loro reggicoda anche nel mondo dell’informazione, non è affatto vero che l’incarico conferito a Mario Draghi sia una qualche rivincita della politica (neppure della politica di Mattarella). Quell’incarico è stato possibile in un momento di sospensione della politica (non della democrazia), di resa dei politici alla più alta personalità istituzionale del paese.

   Draghi riuscirà o no nella ardua impresa di costruire un governo decente per affrontare (risolvere è ben altra cosa) i tre problemi indicati da Mattarella: pandemia, economia, NextGenerationEU. Ciò detto, in nessun modo risolverà e sicuramente neppure si curerà di affrontare il compito di ricostruire una politica decente per questo paese. Sarebbe davvero illusorio credere che un autorevole esponente del mondo dell’economia, privo di qualsiasi esperienza politica concreta e delle necessarie relazioni anche di potere, intenda impegnarsi in un compito che i politici italiani non hanno saputo adempiere da un quarto di secolo. “Lasciate ogni speranza voi che entrate” nel mondo della cattiva politica e della non-politica. Espressi i dovuti riconoscimenti a Draghi per la sua personale dedizione, sarà il caso di pensare a altri protagonisti per la ricostruzione della Politica.   

Pubblicato il 4 febbraio 2021 su formiche.net

Quel che Mattarella ha detto a Fico (secondo Pasquino) @formichenews

Il politologo Gianfranco Pasquino si immedesima nel Capo dello Stato e immagina cosa abbia detto al presidente della Camera Roberto Fico nell’affidargli l’incarico esplorativo di trovare una soluzione alla crisi in corso

Caro Presidente Fico, sono costretto a chiederle un grande sacrificio personale. Esperite le dolorose consultazioni, mi sono fatto un’idea su come si potrà giungere a concludere in maniera decente questa crisi di governo aperta in maniera indecente. Tuttavia, vorrei che lei, esponente di spicco del Movimento 5 Stelle di cui ho apprezzato l’equilibrio, il garbo, l’autorevolezza acquisita e dimostrata nell’esercizio delle funzioni di Presidente della Camera, mi apportasse qualche conforto cognitivo. Ripongo in lei molte speranze. Dovrà, anzitutto, convincere i/le parlamentari del Movimento cui lei appartiene che le coalizioni non contemplano necessariamente dichiarazioni d’amore, ma soltanto la convergenza sulle cose da fare. Sono sicuro che lei riuscirà a fare capire a (quasi) tutte le pentastellate/i che essere “governisti” non significa volere stare a tutti i costi al governo, ma porsi l’obiettivo di governare anche per evitare il peggio (e, fra di noi, sappiamo benissimo che cosa è il peggio).

   Vorrei che lei esplorasse soprattutto due selve oscure. La prima è quella dei contrasti personali. Sia chiaro che so benissimo che la politica è fatta da persone con i loro umori e malumori. Però, ritengo che buon politico è colui/colei che riesce in qualche modo a combinare le sue ambizioni con una visione nazionale, degli interessi del paese. Quindi, caro Presidente Fico, discuta anche di queste ambizioni con i suoi interlocutori. Una raccomandazione: quando incontrerà colui che “il Manifesto” ha spiritosamente definito “l’arabo fenice” porti con sé un registratore. La seconda selva oscura nella quale lei dovrebbe penetrare è quella degli interessi corposi che, tanto inevitabilmente quanto comprensibilmente, riguardano l’assegnazione dei fondi NextGenerationEU, il loro uso, la loro concreta “implementazione”. Mi pare importante che lei faccia venire alla luce tutto quello che gli italiani dovrebbero sapere su come il governo, a prescindere, ma non troppo, da chi sarà il Presidente del Consiglio, intende/a formulare in maniera definitiva il Piano di Ripresa e di Rilancio.

   In buona sostanza, la sua esplorazione dovrebbe riuscire a smussare alcune distanze personali, acquisire l’impegno politico di quella che è stata la maggioranza a sostegno di Conte a rimettere insieme le sue sparse membra per attuare un programma chiaramente concordato e non imposto meno che mai periodicamente ridefinito sotto la minaccia frequente di qualsivoglia (e sento che ne esiste ancora troppa “voglia”) ricatto.

   Infine, caro Presidente Fico, ricordi un po’ a tutti i suoi interlocutori che il sottoscritto, Presidente della Repubblica, “rappresenta l’unità nazionale” e che di conseguenza agisce facendo ricorso ai suoi poteri costituzionali che includono quello di sciogliere, ma anche di non sciogliere il Parlamento. Potrei anche formare un governo pre-elettorale, l’attuale parzialmente “rimpastato” oppure un nuovo governo apposito. Concludo scusandomi con lei che, “esploratore”, non potrebbe in tempi brevi essere preso in considerazione fra gli eventuali candidati alla Presidenza del Consiglio. Verrà il suo tempo, Presidente Fico, a maggior ragione se mi porterà su un piatto, d’argento, ma anche di altro metallo più o meno pregiato, la soluzione. Auguri sinceri. A martedì.

Pubblicato il 30 gennaio 2021 su formiche.net

Tutte le ragioni che ha Mattarella per preoccuparsi @DomaniGiornale

Da una parte, i numeri; dall’altra parte, gli interessi, anche corposi: la politica è in larga misura questa combinazione. Per fortuna non soltanto questo, ma nei momenti di crisi gli interessi contano quanto i numeri e persino i numeri sono interessati. Già in partenza il Presidente Mattarella è splendidamente posizionato per avere il quadro degli interessi e per raccogliere le informazioni più convincenti e più aggiornate sui numeri. Notevole è finora stata la mobilità di un piccolo, ma potenzialmente decisivo, gruppo di parlamentari italiani che hanno cambiato “gabbana” più volte e che non hanno ancora trovato il luogo più adeguato per fare contare il loro voto. Incidentalmente, “la” proporzionale non c’entra proprio niente con questi vorticosi movimenti. Tutti costoro sono stati nominati dai capi dei partiti e delle correnti. Non dovranno rendere conto agli elettori dei loro comportamenti. Quindi cercano di tranne il massimo dal seggio di cui dispongono consapevoli che in un certa misura lo possono usare come moneta di scambio.

   Per molti parlamentari e per alcuni partiti, la posta in gioco è anche altra: come giungere a contare nella assegnazione e utilizzazione degli ingenti fondi del programma NextGenerationEU. In qualche modo tutti i dirigenti dei partiti, di governo e di opposizione, sono giunti alla conclusione che quei fondi possono non soltanto cambiare la vita dell’Italia e degli italiani, ma anche consentire di allargare il loro consenso elettorale sia nella fase di assegnazione sia nella fase di realizzazione. Impoliticamente oppure troppo politicamente, convinto, in parte giustamente, che quei fondi li aveva ottenuti lui personalmente, Conte ha tentato una operazione di accentramento quasi esclusivo, sicuramente eccessivo e quindi facilmente criticabile. Le critiche di Renzi (e di Confindustria) a Conte fanno leva proprio su un accentramento a Palazzo Chigi che non forniva abbastanza risorse ai suoi gruppi di riferimento (e ad alcune imprese private non molto propositive, ma interessatissime alle fetta della grande torta europea). Gradualmente, forse troppo lentamente, Conte ha ceduto a malincuore su alcune procedure, su alcune modalità, sulla cabina di regia e sui manager, ma questi cedimenti hanno, da un lato, mostrato la sua debolezza, dall’altro, suggerito a chi voleva di più che, in effetti, di più poteva ottenere.

   Le dimissioni di Conte e questa convulsa fase di costruzione di un governo rinnovato o di un altro governo hanno riaperto tutti i giochi. Un (in)certo, relativamente piccolo, numero di parlamentari si trovano investiti di molto potere contrattuale che, oltre a lusingare il loro personale ego, eserciteranno/eserciterebbero anche su qualche capitolo del Piano di Ripresa e di Rilancio. Soprattutto, però, sembra diventata possibile, ma al momento in cui scrivo non (ancora) molto probabile, un’altra opzione. Se nascerà il Conte ter, Italia Viva (o dovrei più appropriatamente scrivere Renzi) avrà ministeri e più voce in capitolo su alcune politiche di ripresa con molti fondi da distribuire. Nel caso in cui, come ha dichiarato Emma Bonino, la dis-cont-inuità significasse mettere da parte Conte per dare vita ad una coalizione Ursula, allora, userò la terminologia americana, sarà a whole new ball game. Forse non proprio nuovissimo perché includere nella nuova coalizione di governo Forza Italia, solo in quanto nella UE si trova fra i Popolari Europei che hanno votato Ursula von der Leyen, avrà conseguenze enormi. Anzitutto, dovrà cadere la pregiudiziale negativa dei Cinque Stelle nei confronti di Berlusconi. In secondo luogo, è immaginabile che non siano affatto pochi i parlamentari del PD, non quelli di Italia Viva, che si sentiranno a disagio (splendido understatement). Ma, soprattutto, terzo, si squadernerebbe il problema mai risolto del gigantesco conflitto di interessi dell’imprenditore Silvio Berlusconi. Molte delle sue attività si svolgono e molte delle sue imprese operano nei settori nei quali possono/debbono essere investiti i fondi europei. Ce n’è abbastanza per essere vigili e preoccupati. Non gli faccio un torto se penso che lo sia anche il Presidente Mattarella.

Pubblicato il 29 gennaio 2021 su Domani

Era una crisi buia e tempestosa… Pasquino legge Renzi (e Mattarella) @formichenews

Qualcuno dovrebbe andare a vedere le carte renziane. Ma non stiamo giocando a poker e chiamare il bluff è pericolosissimo, tanto per i partiti di governo quanto per il sistema politico di oggi e di domani. Meglio ascoltare il richiamo di Mattarrella. Il commento di Gianfranco Pasquino

Finalmente una (non)bella crisi al buio. La crisi è, non facciamo finta di niente, conclamata. Non è neanche possibile sostenere che è un ritorno alla tanto, erroneamente, biasimata Prima Repubblica. Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, allora tutti sapevano che la crisi si sarebbe chiusa in venti-trenta giorni, non di più (tranne la clamorosa eccezione, protagonisti il defenestrato De Mita, Craxi, Andreotti, e Cossiga, con la crisi che durò dal 19 maggio al 23 luglio 1989). Non sempre veniva cambiato il presidente del Consiglio. Infatti, ci sono stati molti bis; sempre “girava” qualche ministro per accontentare le correnti e per dare l’idea di nuovo slancio. Con bassi tassi di rendimento il sistema politico funzionava.

Adesso, il problema è che il rottamatore d’antan non sa esattamente che cosa vuole e che cosa non vuole. Forse, ha ingaggiato un duello personale prima che politico con Conte. Lui sostituirlo non può, ma di sostituti plausibili dentro la coalizione attuale non se ne vedono. Tutto il balletto sulle sue ministre che non sono attaccate alle “poltrone” (ho cercato, ma non trovato, questa parola nella costituzione, forse cariche?) serve soltanto a fare sapere che sono i capi dei partitini che scelgono i/le ministri/e e ne dettano i comportamenti. Che tristezza.

Quello sull’assegnazione dei fondi europei, invece, è un problema molto più serio. È talmente serio che il Presidente della Repubblica, immagino profondamente infastidito dal comportamento di chi ha plaudito al suo discorso di fine anno nel quale aveva auspicato l’avvento del tempo dei “costruttori” e si esibisce in senso contrario, ha fatto sapere che prima di qualsiasi altro movimento/minaccia/ricatto i protagonisti debbono mettere in salvezza quei fondi. Per quel che conta approvo la richiesta di Mattarella che mi sembra molto più che una semplice “moral suasion” e che avrà conseguenze sui prossimi comportamenti presidenziali. Non so se basterà a frenare chi, avendo cominciato le ostilità, non sa oggettivamente più dove andare.

Qualcuno dovrebbe, forse, andare a vedere le carte renziane, ma poiché non stiamo giocando a poker, chiamare il bluff è pericolosissimo, non soltanto per i partiti di governo, ma per il sistema politico di oggi e di domani, addirittura per la Next Generation. Di qui l’importanza del richiamo secco presidenziale. Il tris di Conte non è impossibile, ma richiede qualche legittimo rimescolamento parlamentare (d’altronde, Italia Viva è già un modesto monumento alla possibilità di rimescolamenti). Anche se vedo qualche sceneggiata, data la gravità della situazione, non finirò dicendo che la telenovela continua. Qualche volta guadagnare tempo serve a qualcuno per riflettere e imparare qualcosa. Vado sul banale (non meno vero): “Gli italiani non capirebbero”, sostengono i sostenitori dell’esistente. “Al Paese non serve una crisi”, annunciano i sostenitori del crisaiolo. Tutti vediamo, però, che non soltanto la notte è “buia e tempestosa”.

Pubblicato il 11 gennaio 2021 su formiche.net

Come usare anche la crisi di governo per il Recovery plan @DomaniGiornale

Non c’è nessuno né nella attuale maggioranza di governo né nelle opposizioni che abbia una visione dell’Italia da (ri)costruire. Né si intravvede come e quando arriverà il tempo dei “costruttori” auspicati da Mattarella. Tuttavia, la crisi di governo, più o meno conclamata che sia, offre qualche opportunità per formulare quella visione e le modalità con le quali si concluderà potranno condurre gli uomini e le donne di buona volontà e di qualche capacità a mettersi all’opera. Non ho nulla da obiettare a chi cerca di mantenere e di conquistare le poltrone, se non che, ad evitare il lessico populista, è preferibile parlare di seggi parlamentari e di cariche ministeriali. Quei seggi e soprattutto quelle cariche sono spesso la premessa indispensabile, ancorché non l’unica, per tentare di perseguire gli obiettivi che sono la sostanza di una visione. La richiesta da parte della Commissione Europea di fare richieste per gli ingenti fondi messi a disposizione dell’Italia lungo sei direttive, fra le quali, digitalizzazione e innovazione, rivoluzione verde, infrastrutture, istruzione e ricerca, parità di genere e coesione sociale, costituisce la base per formulare qualsiasi accettabile visione. In una certa misura, la bozza ministeriale che circola si esercita nella direzione giusta, Sta a chi sfida il governo, dentro e fuori della maggioranza, chiedere modifiche precise, suggerire spostamenti dei finanziamenti, cercare di creare circoli virtuosi. Dopodiché appare giusto e opportuno che si indichino i nomi dei ministri, uomini e donne che sembrano inadeguati/ e di coloro che hanno maggiori provate capacità. Questa operazione straordinariamente complessa non può essere effettuata nello spazio di pochi giorni né la crisi di governo può essere prolungata nel tempo perché, mai come in questo caso, il tempo è denaro. Non è vero che l’Italia è già in ritardo. Infatti, la scadenza per presentare i Recovery plans è la metà di aprile. Tuttavia, i piani presentati in anticipo prima di allora beneficeranno delle osservazioni e dei suggerimenti della Commissione (e del suo staff notoriamente molto preparato, forse meritevole dell’appellativo in questo caso nettamente positivo: “tecnocrati”).

Quello che i generosi fondi del programma NextGenerationEU consentono all’Italia consiste in un sostanziale e sostanzioso miglioramento del sistema socio-economico italiano. Al proposito, vale la critica che non bisogna dedicare quei fondi al completamento di opere già iniziate, ma ad opere nuove, ambiziose, proiettate nel futuro. Naturalmente è improbabile che un operatore singolo, neanche un grande scienziato, abbia soluzioni ready made, immediatamente proponibili, rapidamente applicabili. Sono convinto che le soluzioni emergerebbero da un confronto/scontro fra cervelli nel quale, certo, ci saranno vincitori e vinti, ma al quale avranno potuto e saputo partecipare tutti senza vantaggi di posizione e senza ricatti.

Nell’ottica della soluzione della crisi di governo, gli apporti di ciascuno e di tutti debbono esser benvenuti purché lungo le direttive sopra esplicitate. Una volta scelti i progetti la maggioranza ha l’obbligo politico e morale di impegnarsi solidalmente alla loro realizzazione. Anche se sarà necessario più tempo di quello che conduce alla fine della legislatura, è assolutamente opportuno che sia subito concordato un patto di legislatura fra le componenti che costituiscono il governo. Quel patto conterrà anche i criteri con i quali valutare l’avanzamento dei lavori, la loro qualità e eventualmente procedere alle necessarie correzioni in corso d’opera.

Come spesso accade nei compositi governi di coalizione, le diverse componenti hanno obiettivi propri, priorità specifiche, idiosincrasie. Da un lato, stanno i Cinque Stelle tuttora alle prese con le dure lezioni della storia (e della politica in una democrazia parlamentare). Dall’altro, stanno il Partito Democratico con i suoi fuorusciti, semplificando drasticamente, a sinistra Liberi e Uguali, a destra, Italia Viva. Purtroppo, il PD non ha saputo fin dal suo primo incedere a dare vita a quella (grande) auspicata casa delle migliori culture politiche progressiste del paese. L’attuale tripartizione è il segno del fallimento di quel progetto. Il recupero, almeno parziale, potrebbe estrinsecarsi nella formulazione di una visione condivisa del paese che vorrebbero e che costruirebbero usando al meglio i fondi disponibili. Certamente, questa condivisione dinamica sarebbe il modo migliore di dimostrare che era utile aprire la crisi di governo e farne una grande opportunità di trasformazione positiva. Non è un sogno, ma una possibilità.

Pubblicato il 6 gennaio 2021 su Domani

Meritarsi gli aiuti per crescere economicamente e culturalmente

Facciamo un po’ di chiarezza nella situazione italiana che commentatori e politici talvolta ignorano spesso manipolano. Grazie ai fondi del programma NextGenerationEU l’Italia avrà 209 miliardi di Euro, 129 sotto forma di prestiti, 80 di sussidi, da spendere nei prossimi anni. Entro giugno 2021 potrà ottenerne in anticipo circa 20 miliardi. Al fine di accedere a quella notevole massa di denaro per la “Ripresa e la Resilienza” vi sono due condizioni molto importanti. La prima consiste nel presentare progetti concreti e fattibili con precisi costi e tempi di realizzazione in sei settori già definiti dalla Commissione Europea. La seconda è che i fondi vanno utilizzati e spesi entro il 2026. In ordine di quantità di investimenti i sei settori sono: i) rivoluzione verde e transizione ecologica; ii) digitalizzazione, innovazione, cultura; iii) infrastrutture; iv) istruzione e ricerca; v) parità di genere e coesione sociale; vi) salute. Per l’Italia, paese, al tempo stesso, che è stato colpito duramente dal Covid-19 e che non cresce economicamente da circa trent’anni è ovviamente, una grande, straordinaria, irripetibile opportunità per migliorare la vita di tutti, ma, soprattutto, come dice il titolo del programma, di quella della prossima generazione.

Nella fase attualmente in corso, il governo guidato da Giuseppe Conte, il quale è positivamente responsabile per avere ottenuto dall’Unione Europea di gran lunga più fondi di qualsiasi altro paese europeo, è impegnato nella preparazione e stesura dei programmi. Non mancano le polemiche, non solo provenienti dalle opposizioni, ma anche dall’interno della coalizione di governo. Sono di due tipi. Da un lato, molti rimproverano, a mio parere, alquanto prematuramente, al governo di essere già in ritardo. I programmi debbono arrivare alla Commissione non oltre il mese di aprile, ma la Commissione ha fatto sapere che “prima arrivano meglio sarà”, vale a dire se ne potrà discutere più approfonditamente e si potrà porre rimedio a eventuali inadeguatezze e carenze. Dall’altro lato, la polemica più aspra e aggressiva riguarda la composizione e la guida degli organismi incaricati di formulare i programmi. A coordinare tutto, al vertice della piramide, sta la figura del Presidente del Consiglio coadiuvato dal Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e dal Ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola. Vi sarebbero poi sei manager e un (in)certo numero di collaboratori esterni, vale a dire non tratti e non provenienti dalla burocrazia italiana.

Le critiche sono state e, al momento in cui scrivo, continuano ad essere ancora più severe sia contro l’eccessivo potere concentrato nelle mani del Presidente del Consiglio sia contro la composizione complessiva dell’organismo tecnico, della cosiddetta task force. Non mi soffermo sulle contraddizioni di coloro che volevano un Premierato forte e che adesso, in una fase di eccezionale gravità, si oppongono a che il Premier abbia effettivamente forti poteri. Noto, però, che debbono certamente essere il governo e il suo capo a portare la responsabilità di quello che viene fatto, non fatto, fatto male. È opportuno che si consultino le opposizioni, ma la decisione finale deve essere sempre presa dal governo che ne risponderà ai cittadini elettori. Per quel che riguarda manager e collaboratori, l’obiezione è che, da un lato, espropria i poteri dei governanti, dall’altro, che è pletorica, troppo ampia e, questa volta, espropria la burocrazia. Personalmente, ritengo che la prima obiezione sia sbagliata e pretestuosa.

Le decisioni finali rimangono nelle mani dei politici, governo e Parlamento al quale il programma sarà formalmente sottoposto per l’approvazione definitiva. La seconda obiezione è più fondata da almeno due punti di vista. In primo luogo, perché non è vero che la burocrazia italiana sia in blocco inadeguata a stilare un programma di interventi e di azioni. Ci sono isole d’eccellenza nell’apparato dello Stato e ci sono alti funzionari dotati di notevole competenza che è sicuramente da utilizzare. Secondo, buona parte dei fondi che l’Italia otterrà saranno poi posti all’opera attraverso i canali e le strutture della burocrazia (digitalizzabile e digitalizzata, rinnovata, meglio valutata). Dunque, il coinvolgimento di alcuni settori della burocrazia nella fase di elaborazione serve anche a fare sì che siano nelle condizioni migliori quando si passerà all’attuazione.

Credo che faremmo molto male a sottovalutare la portata delle differenze di opinioni e di proposte relative al modo con il quale utilizzare i fondi del NextGenerationEU. In gioco, c’è il futuro dell’Italia e, in parte, anche quello dell’Unione Europea poiché un fallimento dell’Italia avrebbe enormi ripercussioni. In gioco c’è anche, quasi ugualmente importante, il futuro prossimo del governo Conte insieme al posto che certamente mira a conquistarsi nella storia d’Italia. Non è difficile immaginare quale senso di delusione colpirebbe le autorità europee se il governo italiano entrasse in crisi proprio quando deve sottoporre i suoi progetti, difenderli, migliorarli e attuarli. Ancora peggio se vi fossero nuove elezioni e al governo dell’Italia andassero coloro che esprimono idee sovraniste, sempre scettiche spesso critiche dell’Unione Europea che c’è e dalla quale desideriamo un consistente aiuto. Non prevedo nessuna crisi di governo nel 2021 e poi nel gennaio-febbraio 2022 ci sarà l’elezione del Presidente della Repubblica: una ottima ragione per mantenere un minimo di coesione fra i partiti che fanno parte del governo Conte.
Quello che temo per il 2021 sono le incertezze, le divisioni interne al governo, l’incapacità di mettere al lavoro tutte le competenze necessarie, i ritardi nella sottoposizione dei programmi alla Commissione europea. Non riuscire a sfruttare al meglio un’occasione storica significa condannare non soltanto la prossima generazione, ma l’Italia tutta, alla stagnazione economica e culturale. L’anno 2021 è davvero cruciale per gli italiani, in Italia e nel mondo. Auguri.

Pubblicato il 1 gennaio 2021 su ITALIANItaliani

Il passaggio da Conte a Draghi non è così facile @DomaniGiornale

Siamo arrivati ad un momento di svolta. Forse. Quindi, più che giusto è opportuno che emergano tutte le soluzioni che i politici italiani sanno formulare con grande fantasia e, per l’appunto, con abbondanti dosi di opportunismo. Dopo avere sistematicamente criticato i parlamentari che non appoggiavano la sua richiesta di scioglimento del Parlamento e di elezioni anticipate, accusandoli di essere attaccati alle poltrone, Matteo Salvini ne riconosce l’importanza e offre agli “appoltronati” una luccicante ancora di salvezza. Che almeno una ventina di loro (alla Camera nel Gruppo, variamente, Misto ci sono più di quaranta deputati e al Senato sono più di venti) si dichiari disponibile a convergere sulla formazione di un governo di centro-destra. Salveranno la poltrona e il paese. Dal canto suo, l’altro Matteo, Renzi, pensa molto più in grande. Lui che, capo del governo annunciò la “disintermediazione” ovvero la fine della fastidiosissima concertazione di alcuni provvedimenti legislativi con le parti sociali, adesso chiede che Conte proceda, quantomeno alla consultazione dei sindaci, dei sindacati (sic), delle associazioni di categoria.

   Molti ricordano che con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 Renzi voleva dare maggiori poteri decisionali al capo del governo. Che i suoi sostenitori insistevano da tempo per innestare nella democrazia parlamentare italiana un mai meglio precisato “premierato forte”. Che, insomma, era ora di avere anche in Italia una “democrazia decidente”. Lo scrisse più volte Luciano Violante a sostegno del referendum e di Renzi. Invece, sembra che siano stati sufficienti due DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) al mese, la maggior parte poi tradotta in decreti approvati dal Parlamento, a fare di Giuseppe Conte un leader autoritario. Invece del premierato forte dobbiamo preoccuparci del “complesso del tiranno”. Un giorno, poi, si dirà di Conte, che “ha fatto anche cose buone”. La priorità è di imporgli tutti i lacci e i lacciuoli possibili: nessuna cabina di regia da lui presieduta, presenza di rappresentanti dei partiti di governo ad ogni stadio e in ogni luogo si deliberi sull’assegnazione degli ingenti fondi NextGenerationEU e, soprattutto, il minor numero possibile di manager e di tecnici che tolgano potere ai burocrati, sempre criticati, oggi da recuperare in pompa magna. A scanso di equivoci, era sbagliata la critica indiscriminata. È altrettanto sbagliato l’affidamento quasi esclusivo ai burocrati della gestione dei fondi.

   Opinionisti e giornalisti hanno dato per spacciato Conte all’inizio dell’estate. Hanno previsto la sua caduta a settembre. Adesso i tempi sono ancora più maturi. La frase “il governo cadrà”, priva di senso se non dice perché e soprattutto quando, continua a essere ripetuta. Conte sembra non curarsi di loro, ma “guarda e passa” e, molto spesso, fa aperture, prende tempo, ricalibra la sua azione. I “cadutisti” s’ impegnano, non proprio brillantemente, a trovare il sostituto. Fanno un’incursione nelle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica il quale, art. 92 della Costituzione, “nomina il Presidente del Consiglio dei ministri”. Non possono esserci dubbi sul fatto che Mattarella nominerà/nominerebbe chi è in grado di garantire stabilità per quel che rimane della legislatura, due anni e più non è poco, e efficienza, nonché “europeismo”. Non so se questa persona è Mario Draghi, ma il suo nome circola da tempo e riscuote notevoli e pienamente giustificati apprezzamenti che, però, nulla possono dire sulle sue competenze e capacità propriamente politiche. L’elemento a mio parere più inquietante è dato da coloro che criticano, un giorno sì e quello dopo pure, Giuseppe Conte perché non ha nessuna legittimazione elettorale e politica. L’art. 94 della Costituzione non chiede legittimazione elettorale limitandosi saggiamente (perché mantiene aperta la porta della flessibilità, dell’adattabilità e della trasformazione dei governi) a stabilire che “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”. Può benissimo essere che Draghi riuscirebbe a costruire un governo in grado di ottenere la fiducia del Parlamento. Il rischio, però, è che, fin da subito e poi continuamente, sarà accusato di mancare di legittimazione elettorale. Il suo non sarà “un governo uscito dalle urne” come dicono quelli che non sanno e non vogliono imparare che nelle democrazie parlamentari nessun governo esce dalle urne. Retroscenisti e cartomanti continueranno a esibirsi in profezie tanto sbagliate quanto irrilevanti.

Pubblicato il 18 dicembre 2020 su Domani

Sul rimpasto decide Conte (e la Costituzione). La lezione di Pasquino @formichenews

Da politologo stagionato, che significa con molte stagioni passate a studiare (e alcune ad agire), sono convinto che i rimpasti si possono fare, a determinate condizioni che ora non vedo. E comunque, attendo che sia Conte, non Renzi non Orlando non Di Battista, a decidere se rimpastare come e quando farlo e chi sostituire. Il commento di Gianfranco Pasquino

Rivolgo un caldo appello a tutti i sostenitori, non miei estimatori né da me mai estimati (sic), del premierato forte. Fatevi sentire all’unisono affermando quello che avete sostenuto ad nauseam: è il Presidente del Consiglio che nomina i Ministri e che deve esercitare il potere di licenziarli. I rimpasti sono una sua prerogativa, da Londra a Berlino (naturalmente, non è vero). Non abbiamo più da tempo il “complesso del tiranno” anche se il felpato Conte qualche atteggiamento tiranneggiante, sostengono accigliati giuristi, ce l’ha. Superato il complesso, se c’è qualche ministro da sostituire lo deciderà il Presidente del Consiglio.

   Non vorrete mica che siano i capi delegazioni, non riconosciuti dalla Costituzione e neppure menzionati nell’ambizioso pacchetto di riforme renzian-boschiane che, se fossero state approvate, mica staremmo qui a discutere, a rimpastare! Neppure io discuto del nulla. Penso, invece, che gli eventuali rimpasti debbano essere motivati sulla base delle valutazioni trasparenti che riguardino quanto i ministri hanno fatto, non fatto, fatto male e che poggino su attendibili previsioni relative agli eventuali sostituti basate sulle loro competenze, precedenti esperienze, provate capacità. Non, per intenderci, al fine di produrre nuovi e più avanzati equilibri nei rapporti fra i partiti(ni) e fra le correnti. Poi, magari, qualcuno penserà che nel mese di Natale, non è proprio il caso di fare regali così costosi come uno o più ministri rimpastati.

Da Bruxelles comunicano che ci sono da preparare programmi dettagliati e seri (aggettivo di non frequente utilizzo e di difficile applicazione al dibattito politico italiano) per ottenere i fondi, grants and loans, stabiliti nel NextGenerationEU. I nomi dei, anzi delle, rimpastabili non sembrano avere nulla a che fare con questo tema. Infine, retroscenisti e commentatori allo sbaraglio mettono in circolazione l’idea che qualcuno voglia il rimpasto proprio per mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio. Un rimpasto dopo l’altro si arriva fino a Palazzo Chigi. So che i premieratisti forti non vorrebbero questo esito. Si sussurra che neppure il Presidente Mattarella, consapevole dei tempi in cui viviamo e della inesistenza di alternative, lo accetterebbe. Anzi, ha già fatto circolare la sua indisponibilità ad una crisi di governo. Incidentalmente, qualcuno ricorda che nel succitato pacchetto costituzionale il limpido voto di sfiducia costruttivo non era minimamente contemplato. Eppure quello è lo strumento che funziona da splendido affidabile deterrente contro coloro che ordiscono le crisi al buio.

Da politologo stagionato, che significa con molte stagioni passate a studiare (e alcune ad agire), sono convinto che i rimpasti si possono fare, a determinate condizioni e per conseguire con certezza esiti migliori. Non ne vedo le condizioni, ma vedo molte ambizioni che ritengo alquanto malposte. Non intravedo esiti migliori. Comunque, attendo che sia Conte, non Renzi non Orlando non Di Battista, a decidere se rimpastare come e quando farlo e chi sostituire. Auguri a chi arriverà al panettone.  

Pubblicato il 1° dicembre 2020 su formiche.net