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Da Berlusconi a Salvini i rivoluzionari liberali sono degli abusivi

Ancora risuonano gli echi degli applausi entusiasti e degli assembramenti eccitati all’annuncio berlusconiano della sua rivoluzione liberale nel 1994. Pochi fecero notare l’incongruenza di un duopolista (magnate delle TV private) che si sarebbe fatto promotore della competizione e del pluralismo, incomprimibili caratteristiche del liberalismo. Subito, poi, si stagliò alto e irriducibile il conflitto fra gli estesi interessi personali del Berlusconi imprenditore/impresario e le politiche pubbliche del Berlusconi Presidente del Consiglio. Non mi risulta di avere visto critiche liberali a questo intollerabile conflitto provenienti da Marcello Pera. L’ex-presidente del Senato ha appena preannunciato un’altra rivoluzione liberale affidata a Matteo Salvini. Nel corso del tempo, l’incompiuta rivoluzione berlusconiana aveva aggiunto al liberalismo (forse, meglio, liberismo sregolato), il cristianesimo (nume tutelare don Luigi Sturzo) e l’europeismo. Molti, però, ricordano tuttora l’estraneità di Berlusconi quando andava ai Consigli europei. Che Salvini adotti una posizione meno sovranista e meno spregiativa dell’Unione Europea gli è suggerito e caldeggiato da Giorgetti, ma, se la Lega non esce dal gruppo in cui si trovano Marine Le Pen e Alternative für Deutschland, non se ne farà nulla. Difficile dire quanto i numerosi rosari esibiti e baciati da Salvini servano a dare alla Lega una sana caratterizzazione cristiana. Pera suggerisce una linea più forte e incisiva: recuperare il pensiero del Papa Emerito Ratzinger il cui liberalismo, lo confesso (senza attendermi nessuna assoluzione dai miei peccati interpretativi), mi sfugge.

   Si può essere europeisti e cristiani anche senza essere liberali. Per essere effettivamente liberali bisogna conoscere quel pensiero politico che, in una certa, non totale, misura, sta a fondamento dell’Europa, e, soprattutto, praticarlo. Opportuno è ricordare che Berlusconi fu, e rimane, carente su entrambi i piani. Dai miei maestri, Giovanni Sartori e Norberto Bobbio e dal liberale “tocquevilliano” Nicola Matteucci ho imparato che il liberalismo combina efficacemente, in maniera esigente due fondamentali insiemi di elementi. Da un lato, stanno i diritti civili e politici, fra i quali stanno tanto il diritto di proprietà quanto quello di asilo politico. I liberali aggiungono a questi diritti anche alcuni doveri fra i quali sta quello di pagare le tasse. Non esiste nessun dovere morale a evadere le tasse, come sostenne più d’una volta Berlusconi.

   Per proteggere e promuovere i diritti c’è l’organizzazione dello Stato liberale tanto che Sartori affermò che il liberalismo contemporaneo è costituzionalismo. Le componenti essenziali dello Stato liberale (ma anche di qualsiasi Stato democratico) sono tre: separazione dei poteri, freni e contrappesi (checks and balances) e responsabilizzazione (accountability). Ciascuna istituzione, esecutivo, legislativo, giudiziario ha una sua sfera di competenza, di azione e di autonomia. Chi vince le elezioni e conquista il potere esecutivo non è automaticamente superiore, ad esempio, al potere giudiziario. Chi ha voti non è in nessun modo esentato dall’osservare e rispettare le leggi, come hanno ripetutamente dichiarato di volere sia Berlusconi sia Salvini e come continuano a ritenere molti loro collaboratori e sostenitori. La recente (ri)scoperta dell’importanza del Parlamento e della sua autonomia da parte di Salvini e dei berlusconiani non può far dimenticare il fastidio che il centro-destra al governo ha regolarmente espresso a fronte delle lungaggini e della farraginosità delle operazioni del Parlamento quando svolge il compito, per me al di sopra di tutto, di controllo sulle decisioni del governo. Infine, una efficace responsabilizzazione di governo e governanti, ma anche degli stessi parlamentari dipende da una legge elettorale decente (indecente fu il berlusconiano Porcellum) per ottenere la quale non vedo nessuna battaglia combattuta da Salvini.    Credo sia giusto concludere che, guardando alla collocazione dei partiti liberali degli Stati membri dell’Unione Europea, si noterà che, fin dall’inizio del processo di unificazione politica europea, sono stati fra gli europeisti più convinti. Sarebbero sicuramente i più severi esaminatori della improbabile conversione di Salvini da sovranista a europeista. In definitiva, la rivoluzione liberale rimarrà una imperfetta elaborazione opportunistica di Pera. Non ha nessuna possibilità di essere né guidata né compiuta dal Salvini sovran-populista. 

Pubblicato il 17 ottobre 2020 su Domani

Gianfranco Pasquino ricorda Norberto Bobbio

In occasione dell’anniversario della nascita di Norberto Bobbio, Torino 18 ottobre 1909, mentre gran parte di un paese senza memoria e senza cultura lo ha dimenticato, spesso senza averlo mai “conosciuto” e apprezzato, forse è utile rileggere quanto diceva, con affetto, con “scienza” e con riconoscenza, un suo allievo. (ndr)

Intervista raccolta da Annamaria Abbate e pubblicata su La Cronaca 6 ottobre 2009 .

Gianfranco Pasquino ricorda Norberto Bobbio
Allievo del filosofo, ne ricostruisce la figura in occasione del centenario della nascita

Il 18 ottobre 2009 sarà il centesimo anniversario della nascita di Norberto Bobbio scomparso nel gennaio del 2004 alla fine di una vita lunga, operosa e influente. Nel 1984, quando fu nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, a un giornalista che gli chiedeva: “Ora come vuol essere chiamato, senatore o professore?”, Bobbio rispose semplicemente: “Io sono un professore”. L´insegnamento universitario, esercitato per mezzo secolo passando dalla filosofia del diritto alla scienza politica e alla filosofia politica, è stato il luogo privilegiato della sua straordinaria produzione scientifica. Per valutarne la personalità e i contributi abbiamo intervistato Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica nell’Università di Bologna.

Professor Pasquino possiamo definirla un allievo di Norberto Bobbio?

Certamente, sì, per due ragioni. Mi sono laureato con una tesi di Scienza politica con lui relatore. Un giorno, espressamente, seduti entrambi sui banchi del Senato, gli chiesi se avevo i titoli giusti per mettere nel mio curriculum “allievo di Bobbio”. Mi rispose, sorridendo, di sì, che ne sarebbe stato lieto. A me fa molto piacere aggiungere che con Bobbio e con Nicola Matteucci, abbiamo curato il Dizionario di Politica (UTET, 2004) la cui terza edizione, purtroppo, non riuscì a vedere.

Quali sono a suo giudizio i volumi più importanti della sua enorme produzione accademica?

Bobbio divenne molto noto grazie al suo dialogo (senza concessioni) e al confronto anche aspro con le idee e le posizioni di Togliatti relativamente al ruolo degli intellettuali e delle idee. Politica e cultura, pubblicato la prima volta nel 1955, raccoglie e sistema una tematica di immutato interesse e valore. In seguito, due altri volumi: Il futuro della democrazia (1984), pubblicato casualmente (sic) in epoca craxiana, e Destra e sinistra (1994) pubblicato e ripubblicato nient’affatto casualmente (sic) in epoca berlusconiana (con un successo di vendite che lo sorprese moltissimo), segnarono la riflessione politica e culturale. Però, Bobbio era particolarmente contento del suo eccellente excursus sulla cultura e sugli intellettuali tratteggiato nel Profilo ideologico del novecento italiano (1968, 1986) e della sua raccolta di saggi su Carlo Cattaneo: Una filosofia militante (1971). Ma credo che il suo libro preferito (ne posseggo una copia con dedica) sia Thomas Hobbes (1989), lo studioso che apprezzava in massimo grado per il rigore, l’acume, il duro realismo e la brillantezza della scrittura.

Come si spiegano il successo e la fama di un professore di Filosofia politica che non andava mai, per sua libera scelta, in televisione?

Anzitutto, Bobbio è stato un grande professore per più di quarant’anni. Ha insegnato a generazioni di studenti sia le materie dei suoi corsi, mai ripetitivi, sia un metodo di riflessione sia uno stile di vita, austero, ma impegnato, e ha fatto conferenze in tutto il mondo. In secondo luogo, Bobbio ha affrontato sempre tematiche analiticamente e politicamente significative senza mai essere settario o fazioso, sforzandosi di capire e di porre gli interrogativi più stimolanti. Non era, però, come alcuni hanno scritto, il “filosofo del dubbio”. Aveva convinzioni solide, ma era aperto alla ricerca. In terzo luogo, la sua fama si è estesa quando cominciò nel 1976 a collaborare a “La Stampa”, con editoriali e interventi lucidissimi e rigorosi. Fu da allora che, anche a causa della turbolenta storia italiana, ottenne e esercitò, senza volerlo, il ruolo di coscienza critica. Quel ruolo, naturalmente, gli costò anche molte critiche, spesso stupide e becere, dalla destra, ma non solo. Mi limito a ricordare che, alla pubblicazione di un articolo su “La Stampa” con il titolo La democrazia dell’applauso che criticava l’acclamazione con la quale il Congresso socialista aveva “rieletto” Craxi segretario, Craxi replicò stizzito stigmatizzando “i filosofi che hanno perso il senno”.

Che cosa rimane di Bobbio e del suo pensiero, oggi?

Bobbio non ha successori, anche se c’è una affollata corsa a dichiararsi tali. È una corsa, cominciata già negli ultimi anni della vita di Bobbio, che ho criticato in un articolo intitolato “Il culto di Bobbio” (commento di Bobbio: “temo che tu abbia ragione”). Nessuno, oggi, ha la sua stessa autorevolezza, il suo rigore, torinese (Bobbio ha scritto un ottimo saggio sulla cultura a Torino), il suo senso dell’impegno di stampo azionista, ma anche la sua limpida cognizione del limite. Bobbio vorrebbe essere ricordato, come mi sembra abbia scritto, probabilmente nella sua Autobiografia (1997), altro libro che posseggo con dedica,” nelle opere e negli affetti”. In quest’Italia che non gli sarebbe piaciuta e la cui evoluzione lo aveva tanto amareggiato, sono, per fortuna, molti che lo ricordano con affetto anche per le sue opere.

***

Norberto Bobbio, grande filosofo assurto a coscienza critica dell’Italia civile
Norberto Bobbio fu testimone e protagonista tra i più eminenti del Novecento avendolo attraversato quasi per intero e oltrepassato di alcuni anni (1909 – 2004). Aveva da pochi giorni compiuto tredici anni quando il fascismo conquistò il potere. Non aveva ancora trent´anni quando scoppiò la seconda guerra mondiale e già da tempo era entrato a far parte attiva della resistenza. Dopo la liberazione, diede impulso al rinnovamento culturale e politico della nuova Italia repubblicana contribuendo alla formazione del movimento liberalsocialista poi confluito nel Partito d´Azione. Alle soglie dei sessant´anni, attraversò il ´68, e poi la stagione del terrorismo interno, gli anni di piombo e della strategia della tensione. Divenuto editorialista del quotidiano “La Stampa” di Torino dal 1976, il suo pensiero raggiunse più vaste cerchie di cittadinanza e divenne perciò popolare anche al di fuori degli ambiti strettamente accademici, come coscienza critica dell´Italia civile. Giunto agli ottant´anni, assistette al fallimento dell´universo del socialismo reale, che interpretò come l’inevitabile destino di una “utopia capovolta”. Poco dopo, la corruzione della vita pubblica in Italia che lui aveva apertamente denunciato e combattuto, portò al crollo della prima Repubblica . Nell´ultimo decennio della sua vita, si oppose all´avvento di nuove e vecchie destre in cui vedeva un chiaro pericolo per la democrazia. Il magistero intellettuale e morale di Norberto Bobbio non è meno vasto della sua opera scientifica e si potrebbe ricostruire la storia politico-culturale italiana del secondo Novecento attraverso i dibattiti che egli ha animato e suscitato. Per celebrare il centenario della nascita di Norberto Bobbio il Ministro per i Beni e le Attività culturali ha istituito un Comitato Nazionale, composto da oltre cento istituzioni e personalità intellettuali italiane e straniere. Il Comitato Nazionale ha elaborato un ampio programma di attività per promuovere il dialogo e la riflessione sul pensiero e sulla figura di Norberto Bobbio e sul futuro della nostra democrazia, della nostra cultura e della nostra civiltà. Il primo evento in programma è un convegno internazionale “Dal Novecento al Duemila. Il futuro di Norberto Bobbio”Torino, 15 – 17 ottobre 2009. I lavori saranno aperti da un discorso inaugurale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. (aa)

Sartori e la rilevanza della scienza politica

NUOVA ANTOLOGIA Rivista di lettere, scienze ed arti
Serie trimestrale fondata da GIOVANNI SPADOLINI

In ricordo di Giovanni Sartori

Pubblicato in “Nuova Antologia”, aprile-giugno 2017, vol. 618, fasc 2282, pp. 253-260

Senza l’impegno sostenuto e possente di Giovanni Sartori, quasi sicuramente in Italia non esisterebbe la scienza politica. Altri importanti studiosi, Beniamino Andreatta, Norberto Bobbio, Gianfranco Miglio, Nicola Matteucci, hanno collaborato in varie forme e modalità con lui, anche per riformare le Facoltà di Scienze Politiche, ma l’impulso primo e possente, sostenuto e prolungato è venuto da lui. Sartori non era motivato soltanto dai suoi interessi di ricerca, in parte influenzati dalla conoscenza di quello che avveniva oltre Atlantico (in Europa, fino alla metà degli anni sessanta dello scorso secolo, di scienza politica ce n’era davvero pochina). Ebbe, credo, fin dall’inizio, due importanti obiettivi di lungo periodo: i) dare vita ad una cultura politica che sfidasse sia quella cattolico-democratica sia quella comunista, nessuna delle due incline ad uno studio scientifico della politica; ii) acquisire e diffondere un sapere scientifico applicativo. La scienza politica di Sartori non doveva piegarsi ad ambizioni personali e partitiche, ma doveva mirare ad essere applicabile. Doveva produrre elementi conoscitivi, generalizzazioni, teorie probabilistiche tali da trasformare la realtà politica e, al contempo, da essere a loro volta trasformati, affinati o abbandonati, a contatto con quella realtà. Abbiamo variamente esplorato i contributi scientifici e di intellettuale pubblico di Sartori nel volume che ho avuto l’onore di curare, La scienza politica di Giovanni Sartori, Il Mulino 2005.

Non è questo il luogo dove interrogarsi sull’evoluzione della scienza politica italiana, fra l’altro, con Sartori, tranne qualche frecciata, non ne abbiamo parlato praticamente mai, anche se è facile constatare che, con pochissime eccezioni, i politologi e le politologhe italiane non stanno percorrendo la strada indicata da Sartori. Le loro, spesso scarne, bibliografie fanno intendere che, da un lato, non hanno praticamente nessun interesse applicativo; dall’altro, sono caduti/e in uno dei maggiori difetti che Sartori imputa alla scienza politica americana degli ultimi venti/trent’anni: l’eccessiva specializzazione. L’altro difetto, eccessiva quantificazione, esiste, ma appartiene a pochi, forse poiché richiede competenze che raramente vengono insegnate nelle Facoltà italiane di Scienze Politiche (nessuna delle quali attualmente si chiama così). È certo e accertabile (nelle note e nelle bibliografie) che la grande maggioranza dei politologi italiani conosce poco e male, forse quasi per niente, la scienza politica di Sartori neppure quando frequenta le sue tematiche. Aggiungo che temo (è un eufemismo) che quei politologi rifiutino, più o meno consapevolmente, l’idea, l’invito, il precetto a fare scienza politica che abbia potenzialità applicative. Naturalmente, ma non dovrei avere bisogno di aggiungerlo, Sartori non si fece mai dettare dalle sue preferenze politiche le analisi scientifiche e neppure le indicazioni applicative. Quello che si può estrarre dalla sua molto ampia produzione scientifica è una limpida ed esplicita preferenza per una democrazia competitiva, fondata su regole e istituzioni, in grado di produrre elite politiche che fossero il meglio.

Come ho scritto più volte, Sartori non è l’autore di un solo libro variamente rielaborato nel corso del tempo. I suoi interessi di ricerca e di scrittura abbracciano l’intero campo della scienza politica. Anche se, spesso, il confronto con i suoi scritti inizia con il fondamentale libro Democrazia e definizioni (1957), a monte stanno non solo numerose dispense sul pensiero di alcuni filosofi Hegel, Marx, Kant e Croce, ma anche saggi importanti sulla rappresentanza politica e sulla struttura dello Stato. Non sono al corrente di paragoni fra il libro di Bobbio, Politica e cultura (1955) e quello di Sartori sulla democrazia, ma chiunque confronti quei libri, e sarebbe un esercizio fecondissimo, può vedere che, in modi e stili diversi, entrambi sfidano il pensiero e la prassi comunista. Sartori lo fa in maniera più scientifica, utilizzando le parole e costruendo i concetti secondo una impostazione che non abbandonerà mai. Sulla proprietà delle parole e sulla pulizia dei concetti insisterà sempre. Per diversi anni presiederà il Committee on Conceptual and Terminological Analysis la cui attività produsse un pregevole volume da lui curato: Social Science Concepts: A Systematic Analysis (1984). I suoi numerosi saggi in materia sono raccolti in Elementi di teoria politica, volume senza eguali più volte ristampato dal Mulino (la più recente nel 2016).

Un po’ dappertutto, ma in Italia più che altrove, è andato perso il gusto della chiarezza e precisione concettuale. Spesso dicevo a Sartori che non era proprio riuscito a vincerla quella sua meritoria battaglia concettuale e che, di conseguenza, la scienza politica vedeva ridotta la sua capacità di formulare generalizzazioni e teorie, “probabilistiche”, lui subito aggiungeva, dotate effettivamente sia di intersoggettività (chi non usa lo stesso linguaggio e concetti dal significato preciso e univoco non può, ovviamente, comunicare in maniera scientifica e convincente) sia di scientificità. D’altronde, gli ricordavo, lui stesso aveva espresso fin dal 1993 la sua crescente insoddisfazione nei confronti della scienza politica americana per quelli che definiva “eccessi”: di specializzazione e di quantificazione che la condanna(va)no all’irrilevanza e alla sterilità. In materia, di tanto in tanto, soprattutto quando mi invitano a tenere conferenze specifiche, riprendo in mano gli Elementi di teoria politica. Che si tratti di ideologia o di opinione pubblica, di costituzione o di sistemi elettorali, di liberalismo o di rappresentanza -sono tutte “voci” di quell’insuperabile volume–, ottengo sempre quel che desidero: una luce che rischiara il passato e illumina il cammino. E, non posso proprio trattenermi, una luce che disintegra la superficialità, l’approssimazione e le “post-verità” dei contemporanei.

Non si può pretendere, ma perché no?, che commentatori e giornalisti italiani conoscano la produzione scientifica di Sartori. Soprattutto se un libro fondamentale come Parties and party systems (Cambridge University Press I1976) è rimasto in inglese, ma lo abbiamo “festeggiato” nel volume da me curato Classico fra i classici. Parties and party systems quarant’anni dopo (Erga Edizioni 2016). Tuttavia, coloro che scrivono di riforme elettorali e costituzionali hanno il dovere di andare oltre le semplici/stiche notazioni di Sartori come inventore beffardo dei termini Mattarellum e Porcellum. Quello che più conta è il contenuto delle critiche di Sartori a quei due sistemi elettorali. Soprattutto se venisse fatto rivivere il Mattarellum, infatti, sarebbe necessario ridefinirlo in maniera da evitare gli inconvenienti denunciati da Sartori, in particolare quello di agevolare e perpetuare la frammentazione dei partiti. Il cruccio di Sartori quanto alla scarsa attenzione che i politici dedicarono alle sue critiche e proposte di riforma non era tanto derivante dal desiderio di intestarsi un qualche esito significativo quanto, piuttosto, dalla acuta consapevolezza che un sistema politico con persistenti problemi elettorali e istituzionali non potrà mai acquisire modalità soddisfacenti di funzionamento.

È opportuno ricordare, proprio mentre continua una più o meno sotterranea lotta per una legge elettorale che avvantaggi chi può e svantaggi gli oppositori, che Sartori non ragionò mai in questi termini particolaristici (è uno dei molti aspetti puntigliosamente ed efficacemente segnalati nell’articolo di Domenico Fisichella, L’importanza delle leggi elettorali, nel fascicolo La Repubblica di Sartori della rivista “Paradoxa”, Gennaio/Marzo 2014, pp. 77-94) . Tenendo ferma la sua prospettiva comparata (brillantemente espressa proprio con riferimento alle riforme elettorali e costituzionali nel volume più volte aggiornato e ristampato Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, 2004, 5a ed.), assolutamente estranea a coloro che raccontavano (già esistevano le “narrazioni”) la favola dell’anomalia italiana, addirittura “positiva”, Sartori, da un lato, criticava quello che non si doveva fare, dall’altro, indicava soluzioni, alla fine giungendo all’argomentata prospettazione del regime semi-presidenziale della Quinta Repubblica francese accompagnato dalla legge elettorale a doppio turno in collegi uninominali (soluzione che, per quel che conto, condivido ampiamente). Aggiungo che, per evitare che qualche partito/lista si trovasse/considerasse svantaggiato a priori dalla clausola percentuale per l’accesso al secondo turno, Sartori suggerì di consentire la possibilità di accesso in ciascun collegio uninominale ai primi quattro candidati. Una soluzione che è, al tempo stesso, ingegnosa e non inficia tutti gli ottimi elementi già contenuti nel doppio turno di collegio: opportunità dispensate agli elettori, informazioni producibili e disponibili a candidati e partiti, spinta alla formazione di coalizioni che si candidano a governare, “punizioni” di coloro che non cercano e non trovano alleati.

Nel confusissimo e, qualche volta, dai più furbi, manipolatissimo dibattito italiano sulle riforme elettorali, Sartori è passato alla storia come colui che ha coniato i termini Mattarellum e Porcellum. E sia. Tuttavia, persino quei termini meriterebbero di essere esplorati nelle loro origini scientifiche poiché, in effetti, dietro le due espressioni sarcastiche che bolla(va)no due leggi elettorali assolutamente riprovevoli sta un’analisi scientifica che è meritevole di essere recuperata. L’opposizione di Sartori al Mattarellum era fondata sulla consapevolezza comparata che, invece, di ridurre o, quantomeno, contenere la frammentazione partitica, quella legge elettorale la premiava, se non addirittura incoraggiava. Le minoranze geograficamente concentrate, che erano sfuggite alle lenti degli studiosi dei sistemi elettorali, sono in grado di inceppare l’eventuale bipartitismo (il caso italiano potendo al massimo, peraltro, aspirare al bipolarismo, inteso come competizione fra coalizioni che si candidano al governo che, comunque, sarebbe resa molto più difficile dall’esistenza di un terzo attore, minoranza, che si dichiari non coalizzabile). L’esito e la fondatezza della critica, che era anche una previsione, sono sotto gli occhi di chi sa vedere. Da allievo di Sartori credo di potermi permettere di aggiungere che non avrebbe accettato la semplice reviviscenza del Mattarellum se non vi fossero inserite opportune modifiche. Poiché a tutti i riformatori che non accettano le minestre che passa il convento, anzi, la conventicola, dei politici giunge regolarmente la richiesta imperiosa di avanzare (contro)proposte, è facile recuperare nella produzione di Sartori in materia di ingegneria elettorale la controproposta: doppio turno alla francese in collegi uninominali con una importante e interessantissima variante per l’accesso al secondo turno [al secondo turno che non è, non può e non deve essere definito ballottaggio. Infatti, al secondo turno per le elezioni legislative francesi possono, sottolineo la facoltà e non l’obbligo né l’automaticità, passare più di due candidati, in all’incirca tre quarti dei collegi avviene proprio così, mentre il ballottaggio è tale quando si svolge fra due soli candidati, come nel caso delle elezioni presidenziali, con conseguenze molto diverse sugli orientamenti e sui comportamenti di voto]. Invece di fissare una clausola percentuale per l’accesso al secondo turno, tempo fa Sartori suggerì, molto più semplicemente, che fosse consentito ai primi quattro candidati di (decidere di) passare al secondo turno cosicché, di volta in volta, laddove esistono candidati popolari, efficaci nel fare campagna elettorale, ritenuti rappresentativi, si darebbe loro e ai loro partiti l’opportunità, la chance di competere, se lo vorranno, con candidati di partiti generalmente più forti.

Sartori sarebbe, meglio era, esterrefatto nel sentire che l’esistenza di tre poli (presumibilmente, lo spappolato centro-destra, il PD e il Movimento Cinque Stelle) obbliga a formulare una legge elettorale di un qualche imprecisato tipo. Naturalmente, è, in linea di massima, vero che i partiti tenteranno in tutti i modi di ottenere una legge elettorale che dia loro qualche vantaggio ovvero che, almeno a prima vista, non produca svantaggi (ma i politici miopi hanno enormi probabilità di sbagliare). Però, la cospicua letteratura sui sistemi elettorale si concentra su un altro ben più importante fenomeno. Ci sono molti studiosi che si sono ripetutamente interrogati sull’influenza dei sistemi elettorali sui sistemi di partito. Si sono fatti, a partire da Maurice Duverger, molte domande e si sono dati altrettante risposte. Lo ha fatto anche Sartori, rivisitando e, in parte significativa, correggendo Duverger. È sicuro che Sartori direbbe di guardare alla solidità dei partiti e del sistema partitico italiano prima di sostenere quale sistema elettorale sarebbe più appropriato per l’Italia. Sono altrettanto convinto che esprimerebbe la sua documentata preferenza per un sistema elettorale “costrittivo” tale da scongiurare e impedire la (ulteriore) frammentazione del sistema dei partiti e da incentivare la formazione di coalizioni. Infine, affermerebbe alto, forte e sferzante che in qualsiasi direzione si voglia andare bisogna prestare la massima attenzione alla comparazione: come hanno funzionato altrove le leggi elettorali in riferimento e in corrispondenza con quali sistemi di partito. Al test comparato non bisogna chiamare i giuristi, neppure quelli della Corte Costituzionale, poiché non hanno conoscenze sufficienti sul funzionamento dei sistemi politici. Meno che mai sanno come funzionano concretamente i partiti e come si comportano gli elettori a seconda dei sistemi elettorali con i quali esprimono il loro voto [mi limito alla più classica delle distinzioni: voto sincero e voto strategico].

Rischio Weimar: è questo lo spettro che si aggira, non in Europa, ma nelle redazioni dei giornali e nei salotti di “Repubblica”, pardon: delle case benestanti della Repubblica. Da non crederci, ma Sartori si è esattamente occupato della Repubblica di Weimar dal punto di vista del suo sistema partitico: il primo caso di pluralismo polarizzato. Multipartitismo estremo, due opposizioni anti-sistema, i comunisti di osservanza stalinista e i nazionalsocialisti tra i quali intercorreva una grande, incolmabile, distanza ideologica, impossibilità di alternanza, tentativo delle estreme di svuotare il centro che a Weimar era costituito dai socialdemocratici. Tralascio qui il contesto internazionale straordinariamente diverso dall’attuale. Neppure all’osservatore meno preparato e più distratto possono sfuggire le differenze qualitative fra il sistema partitico di Weimar e quello dell’Italia contemporanea. È certamente possibile considerare il Movimento Cinque Stelle un attore anti-sistema, vale a dire, nella terminologia di Sartori, un attore che, se potesse, cambierebbe il sistema. Tuttavia, la transizione dalla vigente, ma traballante, democrazia rappresentativa alla democrazia diretta (alla cui “piattaforma”, peraltro, Jean-Jacques Rousseau non concederebbe affatto l’uso del suo nome) non si configurerebbe come il crollo del regime nelle modalità e nelle conseguenze della tragedia di Weimar. Al proposito, fermo restando che, anche per costruire una (difficile) democrazia diretta è indispensabile conoscere la democrazia rappresentativa, che non sembra proprio essere il patrimonio culturale delle Cinque Stelle, i preoccupati profeti della Weimar prossima ventura in salsa italiana dovrebbero interrogarsi sulla rappresentanza politica (che per essere tale non può non basarsi sull’assenza del vincolo di mandato) e sulle leggi elettorali che la garantiscono nel migliore dei modi possibili. Ovviamente, mai, con le liste bloccate e difficilmente con i capilista bloccati.

Di un autore si può leggere e, più o meno dottamente, interpretare un testo alla volta. Da quando ho cominciato a leggere Sartori, ho sentito, molto più che per altri autori, per esempio, limitandomi a coloro che Sartori cita come amici di una vita: Marty Lipset, Juan Linz, Stein Rokkan, Mattei Dogan, Hans Daalder, S.N. Eisenstadt, e soprattutto ai due per i quali esprime il suo maggiore apprezzamento scientifico: Gabriel A. Almond e Robert A. Dahl, due necessità. La prima è quella di seguire il percorso attraverso il quale Sartori era giunto alla stesura dei suoi libri. Che cosa c’era prima di lui? Qual era lo stato delle conoscenze? Che cosa aveva letto e utilizzato (e molto eventualmente che cosa aveva trascurato)? Insomma, quanta e quanto grande era la sua originalità? Da un lato, questa ricerca si è presentata molto facile poiché Sartori aveva, come scrisse lui stesso per chi voleva fare opera scientifica, “la sua bibliografia” in ordine, vale a dire, aveva effettivamente letto e preso in considerazione tutto quanto scritto prima di lui sul tema che stava affrontando.

Dall’altro, invece, l’esito della ricerca era straordinariamente complicato: non era possibile, se mi si consente la frase che segue, leggere tutte le sue letture. Tuttavia, era sufficiente prendere in considerazione i testi dei predecessori più importanti per rendersi immediatamente conto che Sartori era andato oltre le loro teorizzazioni. Così per quello che riguarda la teoria competitiva della democrazia di Schumpeter, fatta sua, ma integrata e completata con l’elemento cruciale, derivato da Carl J. Friedrich, delle “reazioni previste”. Gli uomini politici desiderano essere rieletti. Pertanto, vinta una elezione tenteranno di mantenersi in sintonia con il loro elettorato e costantemente di rimettersi in quelle condizioni stabilendo una relazione di rappresentanza e di accountability, proprio quello che ) non riescono a cogliere e a capire i frettolosi lettori e critici della teoria di Schumpeter, i cosiddetti partecipazionisti (debitamente criticati in The Theory of Democracy Revisited). Di recente, la parola e la sfida sono passate ai “deliberazionisti”, ma i loro esiti non mi appaiono ancora soddisfacenti e confortanti. Così, addirittura molto di più, per quello che riguarda i sistemi di partito e la loro classificazione. Ho già accennato alla vera insuperata innovazione: contare i partiti che contano (di conseguenza, formulare ed esplicitare i criteri della rilevanza), mentre tutte le analisi e classificazioni precedenti si erano limitate e non avevano saputo andare oltre il semplice, ma talvolta decisamente fuorviante, criterio numerico. Infine, nulla di quanto si trova in Ingegneria costituzionale comparata può essere compreso fino in fondo e, quindi, adeguatamente utilizzato da chi non conosce, al tempo stesso, le riflessioni di Sartori sulla Costituzione (e sul liberalismo come tecnica di separazione dei poteri e di freni e contrappesi) e, per l’appunto, la classificazione e l’impatto dei sistemi di partiti su Parlamenti e governi. Mi pare che i “conoscitori” siano davvero pochi, come ha rivelato anche la campagna del “Sì” per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

La seconda necessità discende inesorabile dal complesso delle innovazioni che Sartori ha introdotto nei tre campi della sua ricerca e produzione scientifica. Sartori è davvero uno scienziato della politica a tutto tondo. Democrazia, partiti, istituzioni si tengono insieme. Fanno sistema. Debbono essere analizzati sempre in prospettiva comparata. Poi, potremo dedicarci anche ad altre tematiche, ad altri fenomeni, ad aspetti specifici di ciascuna, ma neanche coloro che riescono a vedere una pluralità di alberi sapranno fare passi avanti fino a vedere la foresta, ovvero, ricorrendo ad una frase che considero particolarmente suggestiva e efficace, saranno in grado di salire sulle spalle di quel gigante della scienza politica che è stato Sartori. Quel gigante aveva un cattivo carattere, ma il suo lascito scientifico e culturale è enorme. Per quel che mi riguarda, quell’imponente lascito del quale, nei miei limiti ho già ampiamente goduto, è più che sufficiente a farmi dimenticare i non pochi scontri nei quali ho regolarmente perduto e a consentirmi di essere riconoscente per tutto quello che, grazie a lui, ho imparato e per la strada che ho potuto fare.

 

INVITO Dizionario di Politica #CircoloDeiLettori #Torino martedì 18 ottobre ore 18

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Norberto Bobbio Nicola Matteucci Gianfranco Pasquino Dizionario di Politica Nuova edizione aggiornata UTET 2016

Norberto Bobbio Nicola Matteucci Gianfranco Pasquino
Dizionario di Politica Nuova edizione aggiornata UTET 2016

DIZIONARIO DI POLITICA

presentazione 

con il coautore Gianfranco Pasquino e

Giancarlo Caselli, ex magistrato

Circolo dei lettori  Via Bogino 9, Torino

La politica cambia e se ne modificano parole e concetti. Uscito nel 1976, il Dizionario (cofirmato da Norberto Bobbio e Nicola Matteucci) è ormai un classico della scienza politica.
Aggiornato e convincente, è utile a studenti, docenti e chi di politica vuole saperne meglio e di più.

18-ottobre-torino

 

INVITO Presentazione della 4a edizione del Dizionario di Politica #Bologna

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21 Settembre 2016
ore 17.30 Sala Stabat Mater
Archiginnasio

Presentazione della 4a edizione del

Dizionario di Politica, a cura di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino

(UTET 2016)

Ne discutono: Gianfranco Pasquino, Marco Valbruzzi, Maurizio Viroli.

modera Enrico Franco, direttore del “Corriere di Bologna”

Norberto Bobbio Nicola Matteucci Gianfranco Pasquino Dizionario di Politica Nuova edizione aggiornata UTET 2016

«Il Dizionario di Politica e` un’opera importante, unica nel suo genere, non soltanto in Italia, ma anche all’estero dove e` stato apprezzato e tradotto. Rigoroso nelle definizioni, articolato e convincente nella trattazione dei termini politici, questo Dizionario, opportunamente rivisto e aggiornato, e` uno strumento istruttivo, utile per gli studenti, per i docenti e sicuramente anche per tutti coloro che di politica vogliono saperne meglio e di piu`.» (Giovanni Sartori)

Dizionario di Politica Bobbio, Matteucci, Pasquino. Perchè le parole contano!

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Intervista raccolta da Annamaria Abbate per la Casa della Cultura

Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della prima pubblicazione, il Dizionario di Politica di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino resta un’opera unica nel suo genere. Uscito per la prima volta nel 1976, negli anni Ottanta fu tradotto anche in spagnolo e portoghese, lingue parlate in molti Paesi allora nuovi alla democrazia. Diventato un “classico” della Scienza politica, ha accompagnato generazioni di studiosi e ora è riproposto dalla UTET in una nuova edizione aggiornata

Leggo dalle sue note bio-bibliografiche che lei, Prof Pasquino, si dice “particolarmente orgoglioso” di avere condiretto, insieme a Bobbio e a Matteucci, il Dizionario di Politica. Ci racconta perché e com’è successo?

Semplicissimo. Fui cooptato da entrambi, Bobbio, il docente con il quale mi ero laureato a Torino nel marzo 1965, e Matteucci, il docente che mi aveva “reclutato” come professore incaricato di Scienza politica nell’Università di Bologna nel novembre 1969. Svolsi il compito di Redattore capo della prima edizione, sette anni di lavoro, pubblicata nel 1976. Da Bobbio, filosofo della politica, e da Matteucci, storico delle dottrine politiche, ho imparato molto, a cominciare da come si scrive una voce di dizionario (di politica, non di scienza politica), a come si citano gli autori, tutti, anche quelli con i quali si è in disaccordo, a come si riscrive quello che collaboratori disinvolti e sicuri di sé, ma presuntuosi e irritabili, hanno consegnato. Sia Bobbio sia Matteucci, molto esigenti con se stessi, mi parevano, e qualche volta osai dirlo loro, fin troppo arrendevoli nei confronti di alcuni loro colleghi, diciamolo, rigidi. Fu, poi, nel corso della preparazione della seconda edizione, che uscì nel 1983, che Bobbio decise, con il beneplacito di Matteucci, di promuovermi condirettore: un premio straordinario. Ne fui felice e ne rimango, per l’appunto, “particolarmente orgoglioso”.

Che tipo di lavoro vi proponevate e ne siete stati soddisfatti?

Volevamo preparare uno strumento il più articolato possibile di analisi, storica, filosofica, politologica, dei concetti, dei fenomeni, dei movimenti politici più importanti, non solo italiani, di un’analisi che fosse precisa e compiuta, ma anche suggestiva, che offrisse il massimo di informazioni, ma anche prospettive per approfondimenti. Nessuno di noi tre pensava opportuno rincorrere l’attualità e le mode; tutt’e tre abbiamo cercato di illuminare i temi classici della politica. Al proposito, mi fa grandissimo piacere sottolineare che le non poche voci assolutamente fondamentali scritte da Bobbio e da Matteucci hanno retto al passare del tempo. Anzi, rimango convinto che chiunque voglia capire la democrazia e la teoria delle elites, farebbe molto bene a leggere le due voci di Bobbio così come chi vuole conoscere che cosa sono il costituzionalismo e il liberalismo deve assolutamente leggere le due voci di Matteucci. Entrambi scrissero diverse altre voci molto importanti. Vorrei segnalare Disobbedienza civile di Bobbio e Diritti dell’uomo di Matteucci. Naturalmente, tutt’e tre vedevamo problemi irrisolti, inconvenienti analitici, fenomeni insorgenti. Prima nel 1983 e poi, nella terza edizione, del 2004, abbiamo cercato di porvi rimedio. Faccio un solo esempio: la riscrittura delle voci comunismo e socialismo diventate in parte obsolete in parte inutili per chi leggesse il Dizionario nel 2004. Bobbio non poté vedere la 3a edizione poiché morì due settimane prima della pubblicazione, ma avevamo discusso insieme tutti cambiamenti (e gli alleggerimenti).

Come si spiega l’assenza di Giovanni Sartori, il suo “secondo” maestro? Come mai non gli avete affidato nessuna voce?

In quegli anni Sartori, che si trasferì a Stanford nell’estate del 1976, era impegnatissimo a scrivere il suo fondamentale Parties and party systems (pubblicato nel 1976 e del quale celebreremo opportunamente il 40esimo anniversario). Interpellato, ci fece notare che Bobbio e Matteucci potevano scrivere ottimamente le voci, Costituzionalismo, Democrazia, Liberalismo, Scienza politica, sulle quali lui aveva già scritto molto. Quanto ai Sistemi di partiti disse che potevo provarci io stesso che, insomma, dovevo pure avere letto quanto lui aveva scritto. Per le edizioni successive acconsentì a mandarci qualche riga di apprezzamento di cui, conoscendolo, siamo tuttora molto lieti e grati!

E lei, prof Pasquino, di quali voci si sente “particolarmente orgoglioso”?

Premetto che mi è sempre piaciuto cercare di formulare le definizioni più precise dei concetti politici, rintracciando quel che serve nella storia e collegandolo alle trasformazioni avvenute e alle nuove interpretazioni. Potrei dire che tutte le mie voci mi sono care, ma non è così (anche perché, talvolta, mi capita persino di avere un po’ di senso critico nei miei confronti). Sono piuttosto soddisfatto delle voci Forme di governo, Militarismo e Rivoluzione. Nella nuova edizione ho scritto, in maniera che mi pare efficace, le voci Accountability, Deficit democratico e Scontro di civiltà. Mi pongo costantemente in un dialogo ideale con i lettori, le loro curiosità e i loro interessi. Cerco di scrivere in maniera tale da soddisfare i lettori senza ridurre il tasso di inevitabile tecnicismo che ciascuna voce deve contenere. Lo faccio osservando la lezione di Bobbio e di Luigi Firpo: la chiarezza espositiva è una conquista che giova sia a chi scrive sia a chi legge.

Il Dizionario è oramai arrivato alla quarta edizione che esce quarant’anni dopo la prima. Potrebbe dirci che tipo di interventi ha fatto, ha suggerito, ha incluso?

Anche per non produrre un testo troppo voluminoso e non più maneggevole, ho fatto cadere alcune voci di esclusivo interesse storico che si trovano in molti repertori. Abbiamo proceduto al rinfrescamento di diverse voci e alla riscrittura specifica in chiave comparata della voce Mafia (Federico Varese, cervello italiano, brillante studioso, da quasi vent’anni a Oxford), di Terrorismo politico (Luigi Bonanate) per includervi anche il terrorismo cosiddetto internazionale, e di Unione Europea (Roberto Castaldi) perché l’UE cambia, purtroppo, non sempre in meglio, ma merita di essere analizzata con grande attenzione. Poi ci sono diciassette voci del tutto nuove che vanno, ne cito solo alcune, da Alternanza a Capitale sociale, da Cittadinanza a Patriottismo, da Consociativismo a Governance, da Narrazione a Primarie (non poteva mancare!). Tutte le volte che analizzo la politica e che commissiono analisi ai colleghi mi rendo conto quanto sia importante essere attentissimi e chiarissimi nelle definizioni, articolati nelle interpretazioni, non-ideologici nelle valutazioni. Tre qualità che è tuttora possibile apprezzare e tentare di imparare da due maestri come Bobbio e Matteucci.

Conoscendola, prof Pasquino, e avendola spesso ascoltata parlare e, come dice lei, “predicare”, non posso credere che lei non voglia niente di più che definizioni, interpretazioni, valutazioni, dal Dizionario di Politica.

Certamente, conoscendomi, anch’io so che desidero molto di più. Mi piacerebbe che il Dizionario fosse ampiamente utilizzato e diventasse indispensabile non soltanto (la prego di notare l’ordine) ai colleghi e agli studenti, ma anche agli operatori dei mass media, sì, i giornalisti della carta stampata, della radio e della televisione, magari diventasse, come sento che si dice, “virale” in rete (sic) e a un’opinione pubblica che rifiuti di farsi ingannare dagli affabulatori. Ciò detto, chiudo il mio piccolo libro dei sogni. Il predicatore che è in me rinsavisce; si disincanta; torna al realismo, alla politica che c’è; si rimette a studiare, a scrivere, a criticare, cercando di migliorare il linguaggio e le analisi politiche, e si rallegra nel dedicare questa nuova edizione alla memoria di Norberto Bobbio e di Nicola Matteucci (anche loro “predicatori” di una politica esigente e migliore).

Pubblicato il 28 aprile 2016

È nelle librerie il Dizionario di Politica di Bobbio, Matteucci, Pasquino. Nuova edizione aggiornata UTET 2016

Prefazione alla nuova edizione
Le parole contano

La politica cambia e cambia la sua “narrazione”. Di conseguenza, cambiano anche le parole per raccontarla e i concetti per analizzarla. Alcune parole sono effimere; altre sembrano destinate a durare; altre ancora meritano di essere diversamente spiegate. I concetti sempre meritano di essere definiti con attenzione alla loro storia e con precisione rispetto ai loro contenuti. Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della sua prima pubblicazione, questo Dizionario ha regolarmente mirato a includere tutte le parole importanti della politica e offrire le più accurate concettualizzazioni. Né Norberto Bobbio né Nicola Matteucci pensavano di dovere rincorrere l’attualità, spesso confinante con la caducità, ma entrambi furono sempre disponibili a prendere in seria considerazione fenomeni politici nuovi la cui trattazione meritasse di essere inclusa in un dizionario di politica. Ferme restando le grandi voci della politica, molte delle quali scritte, opportunamente, da loro stessi, che contengono tuttora le migliori chiavi di lettura delle strutture portanti della politica, entrambi avrebbero certamente incluso l’analisi dei fenomeni nuovi. Sarebbero anche stati d’accordo sull’opportunità di aggiornare complessivamente il Dizionario da loro impostato e diretto.

La lezione dei classici può e deve accompagnarsi a quanto di nuovo emerge continuamente in politica e serve senza nessun dubbio a illuminare le problematiche contemporanee. Tuttavia, la selezione di quali problematiche nuove includere e di quali fenomeni antichi, diventati minori e oggi non più rilevanti, escludere, si presenta sempre difficile. Però, selezionare è indispensabile, anche al fine di mantenere non esagerate le dimensioni di questa opera che continua ad essere unica, nonostante qualche imitazione, nel panorama italiano e non solo. La mia conoscenza del pensiero politico di Bobbio e di Matteucci, la mia lunga familiarità con i loro interessi scientifici e culturali e la fiducia da loro sempre manifestatami mi consentono di pensare che sarebbero stati fondamentalmente d’accordo con le mie scelte di inclusione del nuovo e di esclusione di alcune voci divenute non più necessarie.

Oltre a rinfrescare alcuni voci, dunque, abbiamo proceduto all’aggiunta di una ventina di voci nuove. Lascio ai lettori, ai colleghi e agli studenti quella che mi auguro sia la gradevole curiosità di scoprire le voci nuove, valutando nei fatti quali conoscenze aggiuntive apportino per una migliore comprensione della politica nel mondo contemporaneo(e, se siamo stati bravi, anche per qualche tempo a venire). Ho la profonda convinzione, certo di condividerla con Bobbio e con Matteucci, che qualsiasi buona analisi politica debba iniziare con la definizione corretta dei fenomeni e con la loro migliore concettualizzazione possibile. Questo Dizionario offre gli strumenti più adeguati per procedere con successo ad entrambe le operazioni. Infine, non posso trattenermi dallo scrivere che buone analisi politiche sono necessarie sia per criticare e contrastare la cattiva politica sia per porre le premesse della buona politica. Almeno, seppure con enfasi differenti, questo è quanto, con Bobbio e Matteucci, abbiamo cercato di fare. Poiché le parole contano.

Bologna, gennaio 2016

Gianfranco Pasquino

 

 

«Il Dizionario di Politica è un’opera importante, unica nel suo genere, non soltanto in Italia, ma anche all’estero dove è stato apprezzato e tradotto. Rigoroso nelle definizioni, articolato e convincente nella trattazione dei termini politici, questo Dizionario, opportunamente rivisto e aggiornato, è uno strumento istruttivo, utile per gli studenti, per i docenti e sicuramente anche per tutti coloro che di politica vogliono saperne meglio e di più.» Giovanni Sartori

Norberto Bobbio Nicola Matteucci Gianfranco Pasquino Dizionario di Politica Nuova edizione aggiornata UTET 2016

Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino
Dizionario di Politica. Nuova edizione aggiornata UTET 2016

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Norberto Bobbio
Nicola Matteucci
Gianfranco Pasquino

Dizionario di Politica
Nuova edizione aggiornata UTET 2016

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18 voci nuove:
ACCOUNTABILITY          Gianfranco Pasquino
ALTERNANZA          Marco Valbruzzi
CAPITALE SOCIALE          Marco Almagisti
scontro di CIVILTÀ          Gianfranco Pasquino
CITTADINANZA          Maurizio Ferrera
COALIZIONI          Marta Regalia
COMPETIZIONE          Marta Regalia
CONSOCIATIVISMO          Francesco Raniolo
DEFICIT DEMOCRATICO          Gianfranco Pasquino
GOVERNANCE          Simona Piattoni
GOVERNO DIVISO          Gianfranco Pasquino
NARRAZIONE          Sofia Ventura
NEO-PATRIMONIALISMO          Francesco Raniolo
PATRIOTTISMO          Maurizio Viroli
POLARIZZAZIONE          Marta Regalia
elezioni PRIMARIE          Marco Valbruzzi
TRANSIZIONE          Gianfranco Pasquino
TRASFORMISMO          Marco Valbruzzi

Copertina dizionario

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… Pace
Pacifismo
Parlamento
Partecipazione politica
Partiti cattolici
Partiti politici
Partitocrazia
Paternalismo
Patriottismo
Pauperismo
Peronismo
democrazia Plebiscitaria
Pluralismo
Polarizzazione
Polis
Politica
Politica comparata
Politica economica
Popolo
Populismo
Potere
Prassi
Primarie
Principato
Processo legislativo
Professionismo politico
Progresso
Proletariato
Propaganda
Proprietà
Pubblica amministrazione
Puritanesimo
Qualunquismo
Quarto stato
Radicalismo
Ragion di Stato
Rappresentanza politica
Razzismo
Referendum
Regime politico
Regionalismo
Relazioni industriali
Relazioni internazionali
Repubblica
Repubblica romana
Repubblicanesimo
Resistenza
Rivoluzione
Romant icismo politico
Scienza politica
Sciopero
Sciovinismo
Secessione errate
Signorie e principati
Sindacalismo
Sistema politico
Sistemi di partiti
Sistemi elettorali
Socialdemocrazie
Socializzazione politica
Società civile
Società di massa
Società per ceti
Sociologia politica
Sottosviluppo
Sovranità
Sovrastruttura
Spazio politico
Sistema delle Spoglie
Stabilità politica
Stalinismo
Stato assistenziale
Stato contemporaneo
Stato d’assedio
Stato del benessere
Stato di polizia
Stato e confessioni religiose
Stato moderno
Storicismo
Stratificazione sociale
Struttura
Tecnocrazia
Teocrazia
Teoria dei giochi
Terrorismo politico
Terza via
Timocrazia
Tirannia
Tolleranza
Totalitarismo
Transizione
Trasformismo
Trotskysmo
Uguaglianza
Unione Europea
Utilitarismo
Utopia
Violenza