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Russia contro Ucraina. Ordine internazionale, guerra, identità e religioni #ParliamoneOra #Unibo

Intervento all’incontro organizzato dall’associazione ParliamoneOra
Russia contro Ucraina. Ordine internazionale, guerra e religioni
23 Giugno 2022
Qui il video integrale con interventi di
- Kristina Stoeckl, professoressa di sociologia all’ Università di Innsbruck ( http://www.kristinastoeckl.eu/cv/ )
- Antonello De Oto, professore di diritto canonico e diritto ecclesiastico (Università di Bologna)
- Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica (Università di Bologna)
Eppur si muove #ParliamoneOra
All’interrogativo, di grande e persistente rilevanza, “governo degli scienziati o governo dei politici”, mi sorge spontanea una risposta: governo degli scienziati politici. Poi penso ai miei colleghi “scienziati politici”, molti dei quali non vorrei certamente al governo, e subito torno indietro nel tempo. Come sappiamo, Platone si schierò a favore degli scienziati del suo tempo: i filosofi-re.
Duemila anni dopo o poco più, Karl Popper lo accusò, fra l’altro, di avere dato inizio al pensiero totalitario. Altri filosofi ateniesi non condividevano affatto la soluzione ottimale proposta da Platone. Per esempio, Aristotele che, pure, aveva i titoli per aspirare ad essere incluso fra i filosofi-re, si espresse per un governo misto che vorrei interpretare come il governo dei sapienti e dei “potenti”. Per molto tempo, il problema non si pose più quando era la Chiesa a dettare cosa era accettabile, anche scientificamente, e che cosa doveva essere rigettato.
Ne sa qualcosa Galileo Galilei, fondatore dell’Accademia dei Lincei, costretto ad un’abiura totalmente contrastante con quanto aveva scoperto e con il suo stesso metodo: “provando e riprovando”. Trial and error sta alla base della scienza, ma anche delle democrazie, gli unici regimi che possono permettersi di affidarsi al pluralismo competitivo delle idee e delle teorie credendo fino in fondo nella riformabilità degli esiti e nel superamento, Popper ha scritto “falsificazione”, delle teorie.
In effetti, il dilemma “scienziati/politici” ha senso esclusivamente dove gli scienziati possono condurre le loro ricerche in totale libertà e anche in trasparenza e dove, a loro volta, i politici entrano in competizione per ottenere il consenso, sempre revocabile, dei loro concittadini. Nei regimi non-democratici, che includono tutti gli autoritarismi e anche le teocrazie, sono coloro che hanno in qualche modo acquisito il potere e lo usano ai fini della loro riproduzione a decidere quanta discrezionalità lasceranno agli scienziati e quanto delle risultanze delle loro ricerche vorranno usare. Comunque, agli scienziati non sarà mai lasciata neppure una briciola di effettivo potere decisionale.
Può darsi che le scelte contemporanee siano diventate relativamente molto più complesse di quelle del passato e che quindi richiedano l’apporto decisivo degli scienziati, ma da nessuna parte gli scienziati hanno ottenuto in proprio il potere politico. Semmai, quello che dovrebbe preoccupare di più è che gli scienziati siano in grado di influenzare le decisioni dei politici senza che lo si sappia, in maniera opaca e oscura. Fra le promesse non mantenute della democrazia in quanto ideale Norberto Bobbio includeva quella di non avere eliminato/illuminato gli arcana imperii. Come la scienza, la democrazia esige trasparenza, ma ad entrambe non possiamo negare spazi di riservatezza. Non vorrei neppure fare degli scienziati dei semplici subalterni “portatori d’acqua” ai politici che, poi, si vanterebbero delle soluzioni che funzionano e farebbero degli scienziati i capri espiatori delle soluzioni che fallissero.
Allora, tertium datur. Fra gli scienziati o, più semplicemente, i conoscitori delle materie, e i politici debbono instaurarsi rapporti di scambi di idee, di confronti, ma anche di scontri. Il film Tredici giorni, sulla crisi dei missili sovietici installati a Cuba, riesce, credo senza volerlo, a offrire un’ottima rappresentazione degli “scambi” possibili. I consiglieri del Presidente Kennedy suggeriscono soluzioni praticabili, argomentandole e contraddicendo il Presidente: “no, Mr President”.
A sua volta, il Presidente ascolta, inquisisce, spiega la sua propensione ad una specifica scelta, se ne assume la responsabilità politica. Coloro che riconoscono l’autonomia sia della scienza sia della politica democratica sono consapevoli che, per lo più, il procedimento democratico si basa sull’interazione fra persone libere che si espongono di fronte ai loro concittadini: la politica scientificamente informata.
Pubblicato il 23 marzo 2021 su Parliamoneora.it
Davvero niente sarà più come prima
Niente sarà più come prima. Se tornasse “tutto come prima” vorrebbe dire che non avremmo capito molto e, soprattutto, che non avremmo imparato niente. Non avremmo capito che chi non protegge e non promuove l’ambiente predispone di continuo alcune condizioni che facilitano le epidemie e altri guasti. Non avremmo capito che è giusto e “democratico” che le decisioni che valgono per una comunità debbono essere prese dai politici scelti attraverso elezioni free and fair e che gli eletti hanno l’obbligo costituzionale e morale di assumersene personalmente sempre tutta la responsabilità. Ma, nessuno dei rappresentanti e dei governanti dovrà più, mai più ignorare i pareri e le conoscenze degli esperti, dei tecnici, degli scienziati. Neppure in politica “uno vale uno” (è solo il voto degli elettori che ha valore eguale), ma certamente in tutti gli ambiti professionali, qualcuno vale più di altri quanto a competenza, esperienza, capacità di proporre soluzioni. Non c’è nessun scivolamento dolce e rassegnato verso la tecnocrazia (che, comunque, non potrebbe configurarsi come “tornare a prima”), ma il decisivo e positivo riconoscimento che nella modernità esiste qualcosa chiamato scienza che merita rispetto. Molto più prosaicamente e concretamente, merita anche finanziamenti e non soltanto per evitare che i “nostri” giovani ricercatori siano obbligati ad andare all’estero.
Se, molto improbabilmente, tutto tornasse come prima vorrebbe dire che non abbiamo imparato alcune altre lezioni importanti e irreversibili. La globalizzazione porta con sé grandi opportunità, ma anche grandi rischi. Non vi si può opporre, ma la si deve regolare. Allora, diventa indispensabile individuare, stabilire, scegliere e fare rispettare buone regole a livello globale. Non tornare a prima, ma costruire e potenziare le organizzazioni sovranazionali è un imperativo categorico. Questo imperativo vale anche per i sovranisti. Stanno spostando il tiro, ma non sembra che abbiamo imparato che nessuno in questo mondo e nel mondo che verrà, avrà più il potere di chiudere le frontiere, di sigillarsi, di vivere nell’autarchia (famigerata illusione del fascismo), di fare a meno di un coordinamento quanto meno europeo. Ed è proprio in questo ambito che nulla dovrà tornare come prima, tutto dovrà cambiare per andare avanti, politicamente, socialmente, economicamente, culturalmente.
Non credo che molti abbiano capito che cosa è e che cosa significa effettivamente la democrazia. Vedo che troppi stanno sporgendosi a lodare il sistema politico cinese che, tecnicamente, è totalitario, con tutto il potere nelle mani del partito unico e del suo segretario Presidente, perché avrebbe bloccato e posto fine in tempi relativamente brevi all’epidemia. Loro, i cinesi, torneranno a come prima e, in assenza di libera circolazione delle informazioni, come prima saranno esposti alla prossima epidemia. Sento che molti accigliati democratici deplorano le misure di controllo sui movimenti dei cittadini non solo italiani, di limitazione della libertà di circolazione. In Italia, tornare a come prima, significa non tanto recuperare un’apprezzabile situazione di libertà quanto ripristinare una deplorevole e criticabile situazione di violazione frequente, quasi sistematica, spesso condonata, delle regole. Andare oltre significa ripensare i rapporti interpersonali cominciare dall’esempio offerto dalle migliaia di medici e di operatori sanitari che stanno consapevolmente mettendo in gioco la loro salute e la loro vita per la salute e la vita degli altri, molti dei quali hanno violato le nient’affatto oppressive regole di non circolazione. Andare oltre, avendo imparato qualcosa di importante, significa prendere atto, insegnare e desiderare che tutti sappiano che la libertà di ciascuno di noi si arresta e finisce dove incontra la libertà di chiunque altro. Che la nostra libertà si costruisce intorno alla fiducia che, come facciamo noi (sic), tutti gli altri rispetteranno le regole.
Pubblicato il 25 marzo 2020 su parliamoneora.it