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Da Berlusconi a Salvini i rivoluzionari liberali sono degli abusivi

Ancora risuonano gli echi degli applausi entusiasti e degli assembramenti eccitati all’annuncio berlusconiano della sua rivoluzione liberale nel 1994. Pochi fecero notare l’incongruenza di un duopolista (magnate delle TV private) che si sarebbe fatto promotore della competizione e del pluralismo, incomprimibili caratteristiche del liberalismo. Subito, poi, si stagliò alto e irriducibile il conflitto fra gli estesi interessi personali del Berlusconi imprenditore/impresario e le politiche pubbliche del Berlusconi Presidente del Consiglio. Non mi risulta di avere visto critiche liberali a questo intollerabile conflitto provenienti da Marcello Pera. L’ex-presidente del Senato ha appena preannunciato un’altra rivoluzione liberale affidata a Matteo Salvini. Nel corso del tempo, l’incompiuta rivoluzione berlusconiana aveva aggiunto al liberalismo (forse, meglio, liberismo sregolato), il cristianesimo (nume tutelare don Luigi Sturzo) e l’europeismo. Molti, però, ricordano tuttora l’estraneità di Berlusconi quando andava ai Consigli europei. Che Salvini adotti una posizione meno sovranista e meno spregiativa dell’Unione Europea gli è suggerito e caldeggiato da Giorgetti, ma, se la Lega non esce dal gruppo in cui si trovano Marine Le Pen e Alternative für Deutschland, non se ne farà nulla. Difficile dire quanto i numerosi rosari esibiti e baciati da Salvini servano a dare alla Lega una sana caratterizzazione cristiana. Pera suggerisce una linea più forte e incisiva: recuperare il pensiero del Papa Emerito Ratzinger il cui liberalismo, lo confesso (senza attendermi nessuna assoluzione dai miei peccati interpretativi), mi sfugge.
Si può essere europeisti e cristiani anche senza essere liberali. Per essere effettivamente liberali bisogna conoscere quel pensiero politico che, in una certa, non totale, misura, sta a fondamento dell’Europa, e, soprattutto, praticarlo. Opportuno è ricordare che Berlusconi fu, e rimane, carente su entrambi i piani. Dai miei maestri, Giovanni Sartori e Norberto Bobbio e dal liberale “tocquevilliano” Nicola Matteucci ho imparato che il liberalismo combina efficacemente, in maniera esigente due fondamentali insiemi di elementi. Da un lato, stanno i diritti civili e politici, fra i quali stanno tanto il diritto di proprietà quanto quello di asilo politico. I liberali aggiungono a questi diritti anche alcuni doveri fra i quali sta quello di pagare le tasse. Non esiste nessun dovere morale a evadere le tasse, come sostenne più d’una volta Berlusconi.
Per proteggere e promuovere i diritti c’è l’organizzazione dello Stato liberale tanto che Sartori affermò che il liberalismo contemporaneo è costituzionalismo. Le componenti essenziali dello Stato liberale (ma anche di qualsiasi Stato democratico) sono tre: separazione dei poteri, freni e contrappesi (checks and balances) e responsabilizzazione (accountability). Ciascuna istituzione, esecutivo, legislativo, giudiziario ha una sua sfera di competenza, di azione e di autonomia. Chi vince le elezioni e conquista il potere esecutivo non è automaticamente superiore, ad esempio, al potere giudiziario. Chi ha voti non è in nessun modo esentato dall’osservare e rispettare le leggi, come hanno ripetutamente dichiarato di volere sia Berlusconi sia Salvini e come continuano a ritenere molti loro collaboratori e sostenitori. La recente (ri)scoperta dell’importanza del Parlamento e della sua autonomia da parte di Salvini e dei berlusconiani non può far dimenticare il fastidio che il centro-destra al governo ha regolarmente espresso a fronte delle lungaggini e della farraginosità delle operazioni del Parlamento quando svolge il compito, per me al di sopra di tutto, di controllo sulle decisioni del governo. Infine, una efficace responsabilizzazione di governo e governanti, ma anche degli stessi parlamentari dipende da una legge elettorale decente (indecente fu il berlusconiano Porcellum) per ottenere la quale non vedo nessuna battaglia combattuta da Salvini. Credo sia giusto concludere che, guardando alla collocazione dei partiti liberali degli Stati membri dell’Unione Europea, si noterà che, fin dall’inizio del processo di unificazione politica europea, sono stati fra gli europeisti più convinti. Sarebbero sicuramente i più severi esaminatori della improbabile conversione di Salvini da sovranista a europeista. In definitiva, la rivoluzione liberale rimarrà una imperfetta elaborazione opportunistica di Pera. Non ha nessuna possibilità di essere né guidata né compiuta dal Salvini sovran-populista.
Pubblicato il 17 ottobre 2020 su Domani
Va bene il proporzionale, ma con preferenza unica @fattoquotidiano
La legge elettorale prossima (av)ventura. Premessa: se sarà una legge elettorale proporzionale non dovrà avere pluricandidature e dovrà consentire a elettrici e elettori di esprimere un voto di preferenza. Non due voti poiché non è vero che favoriscono le donne. Al contrario, subordinano le elette all’uomo che abbia fatto scambi con loro. Non tre o quattro preferenze poiché sono propedeutiche, come qualsiasi parlamentare democristiano eletto tra il 1948 e il 1987 potrebbe confermare, alla formazione di correnti. Infine, se si desidera evitare la frammentazione del sistema dei partiti, certamente non produttiva di buona rappresentanza politica, ma di potenziali poteri di ricatto per piccoli gruppi, dovrà contenere una clausola di accesso al Parlamento.
Di leggi elettorali proporzionali ne esistono molte varietà. Due elementi importanti le caratterizzano: la ampiezza della circoscrizione, misurata con riferimento al numero dei parlamentari che vi sono eletti e la formula di assegnazione dei seggi (le tre più utilizzate sono d’Hondt, Hare e Sainte-Lagüe, elemento molto tecnico, ma tutt’altro che irrilevante nel favorire i partiti o i partiti grandi). Ipotizzando che vengano ritagliate quaranta circoscrizioni con dieci deputati da eleggere in ciascuna, non ci sarebbe neppure bisogno di una clausola di accesso. Per vincere un seggio sarà indispensabile ottenere almeno l’8-9 per cento dei voti in ciascuna circoscrizione. Per un senato di 200 componenti eletti in 20 circoscrizioni il discorso sarebbe esattamente lo stesso, ma è complicato dalla statuizione costituzionale che ne impone l’elezione su base regionale.
Fuoruscendo dall’ormai stucchevole ricorso al latino che, al contrario del Mattarellum e del Porcellum, non apporta nulla in termini di conoscenza, chi volesse adottare la legge elettorale tedesca (non Germanicum, non Tedeskellum), dovrebbe farlo nella sua interezza. La clausola del 5 per cento è, ovviamente, importante, ma molto più importante è che l’elettore/rice tedesco/a dispone di due voti. Con il primo sceglie fra i candidati in collegi uninominali su base dei Länder; con il secondo vota una lista di partito. Non soltanto il doppio voto conferisce più potere all’elettore/trice, ma ha spesso consentito loro di incoraggiare e approvare la formazione di coalizioni indicate dai dirigenti di partito (Democristiani-Liberali; Socialdemocratici-Liberali; Socialdemocratici-Verdi).
Ė persino banale affermare che non esiste una legge elettorale perfetta. Certamente, no, ma altrettanto certamente esistono leggi elettorali buone e leggi elettorali cattive. Grazie all’Italicum e alla legge Rosato è oramai accertato e acclarato che esistono leggi elettorali pessime. La legge proporzionale usata in Italia dal 1946 al 1987 era accettabile e funzionò in maniera (più che) soddisfacente. L’alternanza mancò soprattutto poiché l’alternando, il PCI, non ebbe mai voti sufficienti a renderla inevitabile. La legge Mattarella, l’unica della seconda fase della Repubblica ad essere in qualche modo il prodotto di un referendum popolare, ebbe più pregi che difetti e alcuni dei difetti (il cosiddetto “scorporo” e la possibilità di liste civetta) sarebbero oggi facilmente eliminabili.
Sento ripetere da qualche politico che lui/lei preferirebbero il maggioritario, magari con l’aggiunta “il sindaco d’Italia”. Al di là dei problemi di scala: eleggere il sindaco, anche di città grandi come Roma, Milano, Napoli, Torino, non è la stessa cosa dell’elezione del capo del governo, la legge per l’elezione dei consigli comunali è proporzionale. L’elezione diretta del sindaco/a è altra cosa e configura una forma di governo presidenziale con l’eletto/a che non può essere sostituito/a proprio come i presidenti “presidenziali”. Maggioritarie sono le leggi elettorali delle democrazie anglosassoni: vince il seggio in collegi uninominali chi ottiene anche un solo voto in più degli altri candidati. Maggioritaria è la legge elettorale a doppio turno (non ballottaggio) in collegi uninominali utilizzata in Francia. Sono purtroppo consapevole che, al momento, non esiste una proposta a sostegno della legge francese e neppure una maggioranza disposta a votarla. So, però, che una proposta articolata in tal senso sarebbe la vera “mossa del cavallo”. Aprirebbe un campo elettorale inusitato impedendo giochi di partito. Conferirebbe all’elettorato grandi responsabilità incentivandolo a informarsi e a ridefinire con maggiore attenzione le sue preferenze. Obbligherebbe i partiti a selezionare meglio le loro candidature, che è proprio uno dei più importanti obiettivi vantati dai sostenitori della riduzione del numero dei parlamentari: “meno, ma meglio”. Vorrei che l’opzione francese rimanesse viva. Comunque, almeno potrò affermare: “ve l’avevo detto” et salvavi animam meam.
Pubblicata il 29 settembre 2020 su Il Fatto Quotidiano
Legge sui #bonus fatta male #LeggeElettorale Dico sì al proporzionale o al doppio turno francese @ildubbionews
Negli Stati Uniti già 80 milioni di persone utilizzano il voto per posta. Farlo anche in Italia, con le giuste garanzie, in molti casi agevolerebbe i cittadini nella pratica del voto
Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Ha da sempre le idee molto chiare, Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna. Le più recenti sono state messe nero su bianco in “Minima Politica”, sua ultima fatica letteraria.
Professor Pasquino, come giudica la vicenda dei tre parlamentari che hanno chiesto e ottenuto il bonus?
Credo sia giusto sottolineare che non c’è un reato, perché le modalità con le quali percepire questi bonus erano state indicate senza sufficiente precisione e questo dovrebbe spingere governo e parlamento a essere più precisi. Tuttavia è vero che c’è una legge ma poi esiste anche quello che non si può e non si deve fare. Ciò che è accaduto non è illegale ma è certamente illecito, e i deputati coinvolti non dovrebbero trincerarsi dietro affermazioni del tipo «è stato il mio commercialista». Si pone poi il problema della differenza tra le indennità dei parlamentari e quella di consiglieri comunali e sindaci di piccoli comuni e ha fatto benissimo la consigliera comunale Pirovano a denunciarla. Resta il fatto che la legge è stata scritta in maniera inadeguata.
Crede anche lei che sia stata una mossa orchestrata per favorire il “sì” al referendum sul taglio dei parlamentari?
La tempistica non la conosco, non so se Tridico o qualcun altro ha deciso di far filtrare questi dati alla stampa adesso quando poteva farlo anche prima. Certamente nell’opinione pubblica può avere come effetto quello di pensare che i parlamentari rubano e dunque debbano essere tagliati. Mi auguro che la campagna elettorale si svolga in altro modo, ma non sono convinto che sia stata una manovra ad arte per influenzare il risultato del referendum.
A proposito di referendum, come giudica il quesito?
Ci sono due discorsi da fare: uno riguarda il rapporto tra elettori ed eletti: meno sono gli eletti meno è probabile che riescano a entrare in rapporto vero con gli elettori. Ci sono i social, è vero, ma la politica continua a essere qualcosa che esige la presenza fisica, il parlare in pubblico, l’incontrarsi di persona. Ridurre di un terzo il numero dei parlamentari significa ridurre l’interazione tra elettori ed eletti. L’altra questione riguarda il compito dei parlamentari: possono bastare 400 deputati e 200 senatori a far funzionare in maniera adeguata il parlamento e in particolare a stabilire la possibilità che i parlamentari controllino il governo e che facciano bene il loro lavoro all’interno delle commissioni? Io credo di no, perché gli strumenti tecnologici non possono far risparmiare il tempo necessario al parlamentare per ragionare su come l’esecutivo sta lavorando. Già oggi i parlamentari dotati di coscienza del lavoro sono fortemente oberati, ridurli significa diminuire la possibilità di controllare il governo.
A prescindere dal risultato del referendum sembra che la legge elettorale verrà cambiata. A cosa andremo incontro?
Se questi ultimi parlamenti, diciamo gli ultimi tre, sono stati “non buoni”, per non dire pessimi, dipende dal modo in cui sono stati eletti. Il Rosatellum e il Porcellum erano leggi elettorali pessime. Bisogna sapere in anticipo quanti sono i parlamentari e poi scrivere la legge elettorale, non il contrario come dice Zingaretti. In caso di vittoria del “sì” al referendum il risparmio non lo butterei via ma in cambio avremmo una rappresentanza ancora peggiore dal punto di vista funzionale rispetto a quella attuale. Una nuova legge elettorale è una scelta politica, in linea di massima ricorderei a tutti che le democrazie europee, a parte la Gran Bretagna, hanno delle leggi elettorali proporzionali da più di cent’anni e questo significa che si possono fare buone leggi elettorali proporzionali, magari con una piccola clausola di esclusione per evitare la frammentazione partitica. Oppure, come in Francia, si potrebbe adottare il maggioritario a doppio turno, anch’essa una buona legge elettorale, magari innovandola con delle modalità precise tra prima e seconda tornata. Sono quindi favorevole sia a una legge proporzionale con piccole circoscrizioni, sia a una legge maggioritaria con circoscrizioni necessariamente più ampie ma, stavolta sì, favorendo la rappresentanza grazie alla tecnologia. Il tutto senza fare gli “italiani”, cioè senza moltiplicare le clausolette per favorire o sfavorire qualcuno. Di certo bisogna evitare due cose: le pluricandidature, perché si deve vincere o perdere in un posto solo; le liste bloccate, perché il sistema delle preferenze garantirebbe maggiore visibilità ai parlamentari e maggiore possibilità di scelta agli elettori.
Cosa pensa della scelta di unire elezioni regionali e referendum in un’unica tornata elettorale?
Risparmiare è un bene in generale, ma in questo caso il risparmio produce conseguenze negative dal punto di vista dell’esito del referendum e per gli stessi elettori. È vero che nei referendum costituzionali non c’è quorum ma in questo caso si crea un grave squilibrio tra chi vota anche per le regionali e chi no. Soprattutto se si ritiene che il referendum sia importante in sé, allora doveva avere una giornata dedicata. Il risparmio vero sarebbe quello di votare in un giorno solo e non in un giorno e un po’. Questa sì che sarebbe una riforma da farsi, come quella del voto per posta, che negli Stati Uniti è utilizzato da 80 milioni di persone. Sarebbe il caso di chiedersi come agevolare gli elettori italiani e con le giuste garanzie il voto per posta potrebbe essere una buona scelta.
C’è stata un’aspra polemica sui verbali secretati del CTS. Vista l’emergenza è stato giusto non divulgarli?
Quello che ha fatto, scritto e detto il CTS dovrebbe essere conosciuto dagli italiani, e quindi in questo caso sarei per la trasparenza. Dopodiché le decisioni politiche spettavano al governo, ma qui non entrano in campo delle preoccupazioni di carattere internazionale, non stiamo abolendo nessun segreto di stato su terrorismo o cose del genere. Credo che dovremmo sapere cosa i tecnici hanno detto e sapere anche perché il governo ha deciso in un modo o nell’altro, anche in maniera diversa rispetto ai consigli dei tecnici. Ancor di più in questi casi, la democrazia è trasparenza.
Pubblicata il 13 agosto 2020 si Il Dubbio
Calderoli e le preferenze infedeli @HuffPostItalia
C’è del vero in quello che dice Calderoli sul doppio voto di genere
È possibile trovare analogie migliori di quella dl leghista sulle infedeltà dei candidati maschi come strumento per la raccolta di preferenze. Il problema da lui sollevato è, però, reale.
È possibile trovare analogie migliori di quella di Calderoli sulle infedeltà dei candidati maschi come strumento per la raccolta di preferenze. Il problema da lui sollevato è, però, reale. Non dovrebbe essere rimosso con un’alzata di spalle e con qualche contestazione gender-correct. Comincerò dai fondamentali. Il 9 giugno 1991, nonostante gli inviti di tutti i leader del pentapartito a fare altro: andare al mare (Craxi), stare a casa con gli “amici” (Gava, ministro degli Interni), giocare a tressette (De Mita) e, da parte di Umberto Bossi (Lega Nord), fare una passeggiata nei boschi padani, il 62,5 per cento degli italiani andò alle urne e il 95,6 per cento approvò il passaggio da tre o quattro preferenze ad una sola da esprimere scrivendo il cognome del candidato/a.
Le elezioni del 1992 furono le meno “pasticciate” della storia elettorale italiana fino ad allora. In seguito, anche grazie alla legge elettorale primo firmatario Roberto Calderoli, meglio nota, su sua stessa valutazione, come Porcellum (approvata nel 2005), fecero la loro comparsa le liste bloccate. Mi paiono una violazione del verdetto referendario del 1991. Per reintrodurre il voto di preferenza si è giunti, su pressione delle donne, a stabilire che, qualora l’elettore/trice voglia esprimere due preferenze una deve andare ad una candidatura femminile. L’obiettivo è chiaro, al limite, persino condivisibile: eleggere un numero più elevato di parlamentari donne.
La modalità mi pare inadeguata, persino controproducente. Fino ad ora, in pratica, si sono manifestate due fattispecie. La prima è semplicissima. Gli elettori danno una sola preferenza, quindi, eludendo, non gravemente, lo spirito della legge. La seconda è appena appena meno semplice. Gli elettori, in effetti, esprimono entrambe le preferenze possibili, ma non per questo fanno crescere il numero di donne elette in parlamento. Infatti, spesso, il candidato uomo, magari già parlamentare, è in grado di costruirsi numerose piccole cordate (le “infedeltà” delle quali ha parlato Calderoli).
Sapendo di potere disporre di un certo numero di preferenze, l’uomo accetta di smistarne alcuni pacchetti su più candidature femminili in cambio, naturalmente, della seconda preferenza di ciascuna di quelle candidate donne. Il totale delle preferenze dell’uomo in quella circoscrizione risulterà considerevolmente più elevato di quello di ciascuna donna, mentre è probabile che, salvo rari casi di eccezionale popolarità, le donne avranno un quarto/un quinto delle preferenze ottenute dall’uomo.
Se, invece, la preferenza fosse unica, ciascuna delle candidate donne potrebbe, da un lato, fare appello al voto delle donne elettrici, dall’altro, sottolineare al massimo le sue capacità, la sua competenza, la sua esperienza, il suo originale e non mutuabile punto di vista. In questo modo, certo rischioso, non soltanto quella donna candidata non sarebbe debitrice a nessun uomo della sua elezione, ma darebbe un concreto, forte e mobilitante contributo al cambiamento della composizione del Parlamento e della politica italiana.
Per cominciare, lasciate perdere il latinorum e chiamate le leggi elettorali col nome del relatore
Lasciate perdere il latinorum, voi che entrate nell’inferno delle proposte di leggi elettorali italiane. Solo gli sbeffeggi, Mattarellum e Porcellum, di Giovanni Sartori avevano fondamento e senso. Tutto quello che è seguito è uno stupidario nazionale. Cestinate subito anche il Germanicum che non ha quasi nulla a che vedere con la legge elettorale tedesca che si chiama “proporzionale personalizzata”. Le leggi di origine parlamentare vanno identificate con il nome dell’estensore/primo firmatario. Punto, ma non basta. A seguire.
Partiti con potenziale di coalizione e potenziale di ricatto: una situazione non sana risolvibile con una buona legge elettorale
Bisogna (sapere) contare i partiti che contano. La lezione di Sartori è che, piccoli o no, contano i partiti che hanno potenziale di coalizione, ovvero possono andare al governo, e i partiti che hanno potenziale di intimidazione e ricatto, vale a dire che rendono, anche dall’opposizione, la vita difficile ai governi. Figuriamoci quando i partiti(ni) con potenziale di ricatto si sono ritagliati uno spazio dentro il governo!
Caro Direttore del @ilfoglio_it di persona personalmente sono per la trasparenza
La notizia è che il direttore del Foglio Claudio Cerasa è un collezionista in the closet. Mi chiede interventi e lettere. Quando contraddicono le sue opinioni li mette nel closet. Di persona personalmente sono per la trasparenza. Quindi, ecco. Proporzionalisti e maggioritari genuini, buona lettura.
Caro Direttore,
cosa (mal)fatta capo ha. Il “taglio” delle “poltrone” dei parlamentari non avrà nessun effetto benefico sul funzionamento del Parlamento e sulla qualità della democrazia italiana. Tranne che con la riduzione delle spese e con una maggiore rapidità del procedimento legislativo, tutta da verificare, i promotori delle Cinque Stelle non hanno saputo giustificarlo. Dirò, invece, che quel taglio è parte integrante, e pericolosa, del loro antiparlamentarismo che è destinato a erodere la già non lussureggiante democrazia parlamentare italiana.
In maniera del tutto curiosa ovvero piuttosto ridicola, appena approvata la riforma costituzionale se ne stanno già cercando i correttivi, ammissione esplicita che la riforma è avventurosa, non in grado di stare in piedi da sola. Tralascio il non semplice fatto che in una democrazia parlamentare chi “tocca” il parlamento ha il dovere imprescindibile di valutarne le conseguenze non solo per gli elettori e la loro rappresentanza, ma anche per il governo, e rivolgo l’attenzione alla sola legge elettorale che per i pochi parlamentari rimasti e per i loro aspiranti successori ha la massima importanza. Mi limito ai due criteri cruciali per una buona legge elettorale, ma mi accontenterei che fosse meno indecente del Porcellum e della legge Rosato nonché dell’abortito Italicum: potere degli elettori e rappresentanza politica. Nessuna legge proporzionale che non dia all’elettore la possibilità di “votare” il suo candidato/a preferito/a, per la precisione, che non abbia il voto di preferenza, è accettabile. Naturalmente, le circoscrizioni dovranno avere dimensioni ridotte, eleggere un numero di parlamentari non superiore a dieci, se vogliamo che gli elettori sappiano chi sono.
Un numero ridotto di parlamentari non richiede affatto una legge proporzionale. Può benissimo essere eletto da un sistema maggioritario davvero (senza il famigerato “diritto di tribuna”), meglio se il doppio turno francese in collegi uninominali. Là gli eletti rappresentano effettivamente tutti gli elettori del loro collegio. Sanno di doverlo fare se mirano a essere rieletti. Suggerirei, sulla scia di quanto scritto tempo fa da Giovanni Sartori, che la clausola di passaggio dal primo al secondo turno non sia definita con una percentuale, ma consentendo l’accesso ai primi quattro candidati. Questo garantirebbe a un’alta percentuale di elettori di vedere la candidatura preferita al secondo turno, di valutarne le chance di vittoria, di scegliere anche sulla base delle indicazioni che i candidati/e daranno di eventuali coalizioni di governo. Infine, sarebbe finalmente il caso che la prossima legge elettorale preveda per tutti i candidati/e il requisito di residenza ponendo fine al fenomeno delle paracadutate/i che, ovviamente, costituisce una ferita profonda alla rappresentanza politica.
Grazie dell’attenzione. Ad maiora.
Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza politica