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Riforma autoritaria? No, confusionaria!
Intervista raccolta da Marco Sarti per LINKIESTA
Il politologo Gianfranco Pasquino: «Voteremo No a questa riforma costituzionale, anche se rischiamo di fare la figura dei gufi». «Renzi ha detto che se perde il referendum si dimette? Mi affido alla sua coerenza»
«È una riforma confusionaria, più che autoritaria. Pasticciata e senza visione». Anche per questo, quando a ottobre ci sarà il referendum, il noto politologo Gianfranco Pasquino sosterrà le ragioni del No. La partita è aperta. «Molto dipenderà da quanti italiani andranno a votare», spiega. Il contributo dei leader, anche di centrodestra, è fondamentale. «Non si può pensare che Zagrebelski e Rodotà convincano da soli milioni di elettori». Professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, già senatore della Sinistra indipendente e dei Progressisti, Pasquino è l’autore del primo disegno di legge sul conflitto di interessi in Italia. Un esperto, quando si parla della nostra carta fondamentale. Non a caso ha appena pubblicato per Utet un bel libro sull’argomento: La Costituzione in trenta lezioni.
Professor Pasquino, cosa pensa della riforma all’esame del Parlamento?
Complessivamente mi sembra una riforma pasticciata e frettolosa. Nata in parte dall’accordo con Silvio Berlusconi, un leader che già aveva riformato, e male, la nostra Costituzione. È una riforma che non ha una visione sistemica. Nella nostra Costituzione le varie parti si tengono insieme, toccarne una rischia di modificare l’intero equilibrio. A questo si aggiunge una legge elettorale che, tranne poche modifiche, è come il Porcellum.
Tra i critici della riforma qualcuno denuncia persino il rischio di una deriva autoritaria. Anche lei la pensa così?
Questa mi sembra un’esagerazione. Non c’è alcuna deriva autoritaria, semmai una deriva confusionaria. Pensiamo alla riforma del Senato: non è ancora chiaro come i senatori dovranno essere ratificati o designati. Non si capisce perché, se è una camera delle Regioni, il presidente della Repubblica dovrà nominare cinque componenti. Non si sa neppure quali effettivi poteri avrà questo Senato.
Intanto Matteo Renzi ha promesso che in caso di sconfitta al referendum lascerà la politica. Gli riconoscerà almeno il coraggio…
Questa affermazione è un ricatto plebiscitario. Renzi ripete che il governo chiederà un referendum, ma secondo l’articolo 138 della Costituzione il referendum può essere chiesto da un quinto dei membri di una Camera, cinque consigli regionali o 500mila elettori. Non solo. Ogni volta Renzi ricorre a un grave gioco di parole. Questo non è un referendum confermativo, come dice. Semmai oppositivo. Lo chiedono coloro che sono contrari alla riforma, non quelli che l’hanno approvata.
Ammetterà che il fronte dei contrari alla riforma è piuttosto eterogeneo. Si va dai Cinque Stelle alla Lega, da Forza Italia a Sinistra Italiana. Ma cos’hanno da spartire Silvio Berlusconi e Nichi Vendola?
Sul fronte del No ciascuno ci arriva con le proprie motivazioni. Alcune sono comprensibili, altre molto meno… Ma ricordiamo che in occasione dei referendum gli schieramenti sono normalmente eterogenei. Dopotutto, questo è un referendum che il governo ha rapidamente trasformato in un voto sulla figura del presidente del Consiglio. Io voterò certamente No. Però bisogna evitare di impostare una campagna elettorale sul rifiuto totale. Il nostro deve essere un “No, ma…”. Vede, il Senato potrebbe essere splendidamente abolito. E si potrebbe abolire anche il Cnel. Bisognerebbe fare in modo che i presidenti della Repubblica, terminato il loro mandato, andassero in pensione. Ecco, bisogna avere una controproposta, non essere conservatori. Del resto la Costituzione può essere riformata, lo hanno previsto proprio i padri costituenti.
Intanto si registra una prima novità, per una volta la sinistra è tutta sullo stesso fronte. Landini, Sinistra Italiana, Civati, ex Pd… Almeno questo è un aspetto positivo?
È un aspetto positivo se la sinistra trova anche una convergenza operativa sulle riforme da fare. Ripeto, è importante l’aspetto positivo del “No, ma..”. Non la sola opposizione a Renzi.
Nei mesi che seguiranno il presidente del Consiglio imposterà uno scontro dialettico tra l’Italia del cambiamento e quella dell’immobilità. Nel migliore dei casi sarete presentati come dei conservatori e dei gufi…
Non c’è alcun dubbio. Legittimamente Renzi denuncia l’esistenza di un fronte conservatore che vuole bloccare il Paese. E a volte ha anche ragione a dirlo. Ma la nostra critica deve essere rivolta a una riforma brutta e sbagliata. Bisogna puntare sugli aspetti negativi e raccontare cosa di meglio si potrebbe fare. Ad esempio in tema di bicameralismo. Siamo tutti d’accordo che il Senato debba essere cambiato, io ritengo che possa essere abolito.
La riforma del Senato porta inevitabilmente alcuni risparmi. Votando contro non rischiate di schierarvi con i difensori della Casta?
Si fa economia se le due Camere – o una sola in caso di abolizione del Senato – funzionano meglio. Così si risparmiano tempo e soldi. Si poteva ridurre il numero di parlamentari in maniera più equilibrata: perché ci sono ancora 630 deputati? Potevano tranquillamente scendere a 500 senza creare alcun problema democratico. E comunque le riforme costituzionali non si fanno con l’obiettivo di risparmiare soldi.
Che idea si è fatto sull’esito del referendum?
Sono convinto che il referendum sarà aperto a tutti risultati. Non c’è alcun quorum, quindi la sfida sarà convincere gli elettori ad andare a votare. Credo che gli schieramenti partano grossomodo allo stesso livello. Il Pd ha un 30 per cento di consenso abbastanza consolidato. Nello schieramento degli oppositori conterà molto il peso degli elettori di centrodestra, meno facilmente “mobilitabili”. Ecco perché giocheranno un ruolo importante i leader di quei partiti. Non possiamo pensare che Rodotà e Zagrebelski siano in grado di convincere da soli milioni di elettori.
Se la riforma sarà bocciata crede che Renzi lascerà davvero la politica?
Lo affido alla sua sensibilità di essere coerente con quanto promesso…
Pubblicato il 15 gennaio 2016
Innominati Consulti

E’ del Parlamento la responsabilità/ colpa della lunga sequenza di votazioni senza esito per l’elezione di tre giudici costituzionali? Sì, sostengono il Presidente del Senato Piero Grasso e la Presidente della Camera Laura Boldrini che deprecano e con toni severi invitano i parlamentari a rimediare prontamente. Sbagliano, entrambi. Invece di valorizzare i compiti e il ruolo delle Camere che presiedono, le colpevolizzano. Forse non disponendo di sufficienti conoscenze sul funzionamento dei partiti e delle istituzioni, Grasso e Boldrini non riescono a cogliere quelle che sono le vere cause dello stallo parlamentare. Fra non molto la Corte Costituzionale sarà probabilmente chiamata a valutare la costituzionalità di alcune clausole della nuova legge elettorale e la riforma del Senato nella sua interezza e nelle conseguenze sui rapporti fra Regioni e Senato delle autonomie e fra Senato e Camera dei deputati. Sono note le forti controversie che hanno accompagnato entrambe le riforme e sono plausibili i pericoli di rigetto e di richiesta di cambiamenti che possono derivare dalle sentenze della Corte che, è opportuno ricordarlo, con la sentenza n. 1 del gennaio 2014 ha fatto a pezzi, giustamente ancorché tardivamente, il Porcellum.
I leader dei partiti del patto del Nazareno (PD, FI e la oramai quasi inesistente Scelta Civica) hanno approfittato della grande occasione che si offre loro di eleggere tre giudici costituzionali (uno solo non poteva essere lottizzato…) candidando un ex-parlamentare e un parlamentare di lungo corso e un giurista Presidente in carica dell’Antitrust, disposti, a giudicare da molte loro esternazioni, a difendere gli esiti istituzionali e costituzionali delle riforme fatte. Non soltanto quasi nessuno dei parlamentari è stato coinvolto in queste scelte, ma i dirigenti dei tre partiti hanno fatto strame di qualsiasi opportunità di consentire ad un gruppo, il Movimento 5 Stelle, che è stato votato da un quarto degli italiani, di discutere delle candidature nell’ottica “rappresentativa”, sempre rispettata nella prima lunga fase della Repubblica, di esprimere un giudice costituzionale.
Ieri e oggi, una parte di parlamentari, ovviamente a partire da quelli delle 5 Stelle, si rifiuta di svolgere semplicemente il compito di passacarte dei leader dei partiti del Nazareno e del governo, per di più avendo capito perfettamente che l’obiettivo perseguito è “addomesticare” la Corte con tre nomine fortemente partitiche. A questo punto, sembrerebbe il caso che i Presidenti Grasso e Boldrini, invece di criticare i parlamentari, valorizzassero il ruolo del Parlamento che, da un lato, non può ridursi a ratificare le scelte fatte dai partiti e, dall’altro, deve tornare ad essere l’istituzione che controlla l’operato del governo. Nella misura del possibile che, purtroppo, si va restringendo, i giudici costituzionali dovrebbero rappresentare culture politiche, oramai evanescenti, e culture giuridiche, non rigide posizioni partitiche. Quando non è così, è giusto che i parlamentari esprimano con il voto o con l’astensione (comportamenti nei quali, naturalmente, possono confluire motivazioni diverse, in particolare, in questo caso, dissenso sulle riforme) la loro contrarietà a candidature imposte dall’alto. E’ contro queste imposizioni che i Presidenti delle Camere dovrebbero protestare vibratamente non prestandosi a fare da cinghia di trasmissione dei partiti firmatari dello scellerato patto del Nazareno.
Pubblicato il 27 novembre 2015
Italicum Rivedere il malfatto
Nell’Italicum già esiste la clausola “coda di paglia” che impegna gli estensori a sottoporre la muova legge elettorale a una verifica di costituzionalità. Peraltro, sarebbe stato opportuno che, prima il Presidente Napolitano, al quale è toccato il compito di autorizzarne la presentazione al Parlamento, poi il Presidente Mattarella, al quale è spettato firmarla per promulgarla, facessero i loro compiti nella “casa degli italiani” ovvero al Quirinale. Adesso, un variegato schieramento prevalentemente composto da politici, costituzionalisti e avvocati ha preparato contro l’Italicum diversi ricorsi che saranno presentati alla Camera e poi depositati nei Tribunali di molto capoluoghi affinché giungano alla Corte Costituzionale. La speranza degli oppositori dell’Italicum è che la Corte bocci la mancanza di una percentuale precisa di voti per accedere al ballottaggio e addirittura elimini il premio di maggioranza. Nel frattempo, sia all’interno del Partito Democratico, non soltanto fra le sue sparse minoranze, sia fra tutti i gruppi di opposizione, a cominciare da Forza Italia, ma ad eccezione del Movimento 5 Stelle, è alta la preoccupazione che consentire l’accesso al ballottaggio alle liste e non alle coalizioni significa andare verso un duello, che tutti i sondaggi certificano, fra PD e 5 Stelle.
Per appurare la legittimità costituzionale dell’Italicum, forse sarebbe sufficiente fare riferimento alle obiezioni con le quali la Corte ha distrutto la legge elettorale precedente, il Porcellum, e valutare se gli articoli dell’Italicum rispondono efficacemente a quelle motivazioni. Le liste non sono più bloccate tranne che per il capolista che rimane un privilegiato. Tuttavia, rimangono consentite le candidature multiple ovvero vi saranno dei privilegiatissimi che, veri specchi per gli elettori-allodole, potranno candidarsi addirittura in dieci collegi. L’introduzione del ballottaggio risponde a una delle obiezioni della Corte, ma, com’è congegnato, comporta un grande inconveniente. Se al ballottaggio andassero due liste che hanno ciascuna ottenuto il 25 per cento dei voti, la vincente avrebbe un premio che la porterebbe al 55 per cento dei seggi. Di fronte a questo probabile esito, il gatto si morde la coda. Se si stabilisce una soglia alta, al di là del 35 per cento, nelle condizioni date potrebbe non arrivarci nessuno dei contendenti. Quand’anche si consentisse con qualche trucco il ballottaggio qualora un solo contendente raggiungesse la soglia minima, l’impossibilità di apparentamenti potrebbe sfociare nella vittoria di una lista/partito del 25 per cento circa.
Torna in campo la doppia opzione alla quale Renzi-Boschi e i loro sostenitori si sono pervicacemente opposti: 1. stabilire che il premio può essere assegnato anche a coalizioni di partiti e di liste che si presentino alleate intorno ad un programma (e ad un leader candidato Primo ministro); 2. consentire che nel passaggio fra il primo turno di votazioni e il ballottaggio siano possibili gli apparentamenti con la sottoscrizione, da parte degli apparentandi, del programma del partito che va al ballottaggio. Entrambe le opzioni disinnescherebbero le probabili obiezioni della Corte costituzionale e vanificherebbero i ricorsi. La considerazione politica di fondo non può che essere severa. L’Italicum è una legge fatta male, a causa dell’eventualità di un ballottaggio PD/5 Stelle, che desta preoccupazioni “partigiane” persino in coloro che l’hanno votata. Tuttavia, la motivazione prevalente per rivederla non deve essere il timore per questo ballottaggio. Quello che conta per valutare una legge elettorale è, da un lato, quanto potere dà ai cittadini; dall’altro, quanta rappresentanza offre loro. Il potere dei cittadini cresce quando è il loro voto (non la nomina dall’alto) che manda i candidati in Parlamento. La rappresentanza è più ampia e soddisfacente quando al governo ci sono coalizioni, ovviamente il meno litigiose possibili, legittimate dal voto della maggioranza degli elettori. L’Italicum è carente da entrambi i punti di vista. Il tempo per rivederlo a fondo c’è.
Pubblicato AGL il 28 ottobre 2015
INVITO #Italicum: meccanismi, dinamiche ed effetti sul sistema partitico e istituzionale
Sabato 31 ottobre dalle ore 9,30 alle 12,30
Bologna Via Lame 116
Terzo incontro sulle “riforme”
Istituto Regionale di studi sociali e politici “A. De Gasperi” di Bologna.
La nuova legge elettorale(Italicum): meccanismi, dinamiche ed effetti sul sistema partitico ed istituzionale.
“Due gli interventi previsti: di MARCO VALBRUZZI, ricercatore dell’European University Institute di Firenze, e di GIANFRANCO PASQUINO, Professore Emerito di Scienza Politica, Università di Bologna. Il primo illustrerà, anche in chiave comparativa, i meccanismi della riforma, l’altro le dinamiche e gli effetti prevedibili sul sistema partitico ed istituzionale. Presiederà l’incontro WALTER RASPA, Presidente regionale delle Acli.
Immaginiamo che tra qualche lustro forze più giovani e nuove (quelle che ora sono impegnate nella faticosa ricerca di un lavoro e di condizioni di vita accettabili) intendano provarsi nella politica italiana. Cosa troveranno nella cassetta degli attrezzi istituzionali?
La legge elettorale assegnerà un peso ancora esorbitante agli apparati romani delle formazioni politiche, oppure premierà gli elettorati locali e le realtà politiche della periferia, nelle quali provarsi è più facile ed anche più naturale? Dopo aver conosciuto i tratti aspri della democrazia “discendente”, giungeremo a sperimentare qualcosa di più simile a una “democrazia ascendente”? L’alternanza (successione di indirizzi politici e nuovi programmi, non solo variazioni delle combinazioni di ceto politico al governo) sarà ancora una chimera? Conosceremo al contrario possibilità di concentrazione del potere “al centro”, che credevamo superate?
Domande che vengono spontanee scorrendo il nuovo “Testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati” riformato dalla Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Italicum). Articolo per articolo abbiamo messo in linea le modifiche dell’Italicum con quelle del “Mattarellum” (1993) e del “Porcellum” (2005). E’ una svolta?
Clicca e scarica L’Italicum, il Porcellum, il Mattarellum – confronti
Clicca e scarica Gianfranco Pasquino L’Italicum nelle condizioni date
Anche questo incontro ha una finalità eminentemente divulgativa e formativa. Su richiesta verrà rilasciato un attestato di frequenza. L’aspettiamo e le inviamo i migliori saluti.”
Domenico Cella, Presidente dell’Istituo – Mario Chiaro, Vice Presidente – Ettore Di Cocco, responsabile degli incontri
Modificare l’Italicum si deve
Finita la piccola, inferiore alle aspettative, bagarre del rimpicciolito Senato, giá si ricomincia a parlare di modifiche all’Italicum, legge elettorale approvata all’inizio di maggio cioé poco piú di sei mesi fa. Forse il Senatore a vita Giorgio Napolitano avrebbe fatto meglio a esprimere le sue perplessità in materia e il suo invito a modifiche nella lunga fase di gestazione della legge elettorale. Non avrebbe dovuto stupire lui né i critici e gli estimatori del Ministro Boschi che esiste un collegamento fra riforma del Senato e legge elettorale per la Camera. Da soli, il ministro e il suo Presidente del Consiglio non erano in grado, ma probabilmente neppure volevano, cogliere il collegamento poiché le loro riforme elettorali e costituzionali sono all’insegna dello spezzatino. A sua volta, Forza Italia si é accorta tardivamente che le conseguenze di alcuni elementi dell’Italicum sembrano fatte apposta per impedirle di arrivare al ballottaggio. Le sparse minoranze del Partito Democratico non hanno combattuto nessuna vera battaglia per conquistare un sistema elettorale migliore. Hanno preferito scaramucce di poco conto e nessun impatto cosicché Renzi e Boschi hanno avuto quello che volevano, non tutto, trovandosi, peraltro, obbligati a non pochi cambiamenti nei dettagli della legge rispetto al non impeccabile testo originario, ma parecchio resta ancora da fare. D’altronde, il “tutto” che i renziani perseguivano finiva per essere sostanzialmente un Porcellum appena ripulito che l’attualmente silente Corte Costituzionale non avrebbe potuto e non dovrebbe digerire.
I piccoli aggiustamenti di cui si discute in questi giorni di rilassatezza post-Senatum sono sostanzialmente cosmetici tranne uno. Il premio in seggi dato alla coalizione vincente e non, come è ora scritto nella legge, alla lista é un ritocco importante ancorché non decisivo. La struttura rimane quella di un sistema elettorale proporzionale modificato (alcuni direbbero snaturato) da un premio di maggioranza che rischia anche di essere cospicuo. Con l’Italicum così com’è non si puó fare di meglio, ma sicuramente abolire le candidature multiple, fino a dieci collegi, é una semplice misura di decenza político-elettorale. Quanto ai capilista bloccati é un punto renzian-boschiano irrinunciabile, indispensabile per garantire loro il controllo del gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati.
Temo che sia troppo tardi per fare quella che Vittorio Foa chiamerebbe la “mossa del cavallo”: spiazzare tutti riproponendo, come ha fatto Stefano Folli in un commento su “Repubblica”, una versione del maggioritario francese: doppio turno in collegi uninominali. Per di più, Folli é fin troppo buono. Vorrebbe anche garantire ai piccoli partiti, molti dei quali, in quanto figli minori di scissioni trasformistiche, proprio non se lo meritano, un diritto di tribuna. Bastasse questo per “andare in Francia”, il sacrificio lo si potrebbe fare. Si otterrebbe un sistema elettorale, non cosmeticamente, ma sostanzialmente diverso e sicuramente migliore del non collaudato Italicum.
Nel frattempo é auspicabile che si esprimano tutti coloro che hanno, per tempo, espresso critiche e manifestato riserve. Non é neppure esagerato, data l’importanza del tema “legge elettorale” in una democrazia che vorrebbe cambiare i rapporti fra cittadini ed eletti, ascoltare che cosa ha in mente Napolitano. Insomma, senza nessun rischio di essere accusato di tramare contro la Repubblica, anche il relatore del Mattarellum, sistema elettorale non perfetto, ma nettamente migliore dei suoi due successori, potrebbe farci sentire il suo autorevole parere.
Se il Presidente Mattarella, non soltanto perché parla dal Colle, ma anche alla luce del suo passato (come sarebbe bello sapere come ha votato il giudice costituzionale Mattarella sia sulla “non reviviscenza” del Mattarellum nel 2010 sia sulla macellazione del Porcellum nel 2014), intervenisse, la sua autorevole voce riuscirebbe ad avere un impatto di cui molti, ancorché non tutti, gli sarebbero grati. Potrebbe essere il momento che “definisce” la sua Presidenza. Ovviamente, per chi sa ascoltare e correggersi.
Pubblicato AGL il 19 ottobre 2015
Il vero peso dei voti di Verdini
Pur variamente criticato, sbagliando, l’articolo 67 della Costituzione è chiarissimo e non si presta a deformazioni interpretative: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (corsivo mio). Nuovamente sbagliando, i critici dell’assenza del vincolo di mandato affermano che l’articolo 67 giustifica il trasformismo. Tutt’altro, l’articolo consente ai parlamentari, se lo vogliono, di votare in maniera difforme da quanto decide il loro governo, il loro gruppo parlamentare, il loro partito, gli eventuali gruppi esterni che abbiano favorito o prodotto la sua elezione, nell’intento, se il parlamentare è in grado di argomentarla, di meglio rappresentare la Nazione. Naturalmente, quando il voto dato è importante e clamorosamente “svincolato”, l’opinione pubblica e gli elettori o no di quel parlamentare desiderano giustamente conoscere il perché.
A nessun parlamentare dovremmo concedere di trincerarsi dietro la sua coscienza. A tutti dovremmo chiedere di spiegare con la loro scienza, ovvero con le conoscenze a loro disposizione, di giustificare convincentemente perché hanno votato in un certo modo. Verdini e altri dieci senatori del nuovo gruppo parlamentare Ala hanno esposto una giustificazione semplice e convincente del loro voto a favore della riforma del Senato. Quando erano nel gruppo parlamentare di Forza Italia, Verdini ed altri, però, non tutti, già votarono, in prima lettura, quel pacchetto di riforme. Il testo non è sostanzialmente cambiato. Gli allora contrari hanno cambiato, più o meno opportunisticamente, idea. I già favorevoli non vedono ragione di cambiare il loro voto per seguire le bizzarrie e le peripezie dei loro ex-colleghi di partito. Sono loro, semmai, che dovrebbero spiegare il loro voto difforme rispetto al precedente. Inoltre, punto tutt’altro che marginale, sulle riforme costituzionali assolutamente tutti i parlamentari dovrebbero rivendicare e praticare un voto in scienza e coscienza. Dunque, in quanto cittadini-elettori dovremmo essere molto più preoccupati sia dall’imposizione della disciplina di partito, assolutamente fuori luogo in questo tipo di voti, sia dall’eventuale richiesta del voto di fiducia. Entrambi sono forzature. Entrambi sono violazioni della libertà di voto in materie non soltanto complesse, ma che attengono appieno al rapporto fra parlamentari e elettori.
Il problema risiede nella legge elettorale utilizzata nel 2013 che ha prodotto un parlamento non di eletti, ma di nominati. Il fenomeno delle nomine non finirà con l’Italicum poiché anche un conteggio generoso approda ad una percentuale di nominati che non sarà inferiore al 60 e potrà arrivare fino al 70-75 dei prossimi parlamentari. Quanto a Verdini e ai suoi nulla osta che si spingano fino a votare l’eventuale fiducia al governo, anche se è più probabile che troveranno qualche escamotage regolamentare. Se i loro voti fossero decisivi, toccherà al capo del governo scegliere se accettarli e rimanere in carica oppure se trarre la conseguenza che il governo non ha più una maggioranza politica autosufficiente.
Infine, è sbagliato interrogarsi adesso su che cosa Verdini e i suoi avrebbero già ottenuto in cambio dei loro utilissimi voti. Tutto, o quasi, sarà visibile al momento delle prossime elezioni: chi e quanti dei senatori (e dei deputati) verdini ani saranno ricandidati da quale partito, in quali collegi e in quali posizioni sulla lista. Sarebbe tutta un’altra storia se il sistema elettorale fosse di tipo maggioritario in collegi uninominali. Allora, sì, gli elettori avrebbero un voto pesante, decisivo, promuovendo o punendo i candidati costretti a spiegare quanto hanno fatto in Parlamento . Invece di criticare l’incolpevole Costituzione, gli strali delle critiche debbono essere diretti a chi ha ideato e imposto prima, il Porcellum, poi le piccole revisioni che lo hanno trasformato in porcellinum, chiedo scusa, nell’Italicum.
Pubblicato AGL 7 ottobre 2015
La sinistra soffre di nostalgia
E purtroppo non dispone né di uomini, né di idee forti.
Intervista raccolta da Carlo Valentini per Italia Oggi
Caos Senato. Era o no possibile seguire una strada di discussione costruttiva e di condivisione senza cadere nell’immobilismo e nell’ostruzionismo? Il fatto che una riforma cruciale come quella che muta radicalmente l’assetto costituzionale avvenga tra tatticismi, trabocchetti, offese è il segno che la politica italiana non è ancora diventata adulta? E, soprattutto, dopo questa bagarre e questi strappi, la legislatura continuerà come prima o rimarranno le ferite? Ne parliamo con Gianfranco Pasquino, tra i politologi più arguti, ha diretto Il Mulino e la Rivista italiana di scienza politica, docente emerito (scienza della politica) all’università di Bologna, professore di European studies alla Johns Hopkins University. Sono appena usciti due suoi volumi, Cittadini senza scettro (Egea) e A changing republic, politics and democracy in Italy (ne è coautore, Edizioni Epoké).
Domanda. Partiamo dal suo libro: cittadini con o senza lo scettro?
Risposta. Dal punto di vista sia della nuova legge elettorale sia della non elezione del senato sia dell’aumento del numero di firme per richiedere un referendum sia, infine, della pure augurabile, scomparsa delle province, il pacchetto di riforme Renzi-Boschi comprime e riduce il potere elettorale dei cittadini. Non restituisce affatto lo scettro (della sovranità popolare). Al contrario, lo ammacca, per di più, senza nessun vantaggio per la funzionalità del sistema politico. Peccato che i mass media non abbiano saputo né voluto discutere a fondo la qualità delle riforme, troppo interessati agli scontri, in definitiva poca roba, dentro il Pd e ai trasformisti che si affollano alla corte del fiorentinveloce. Quanto ai costituzionalisti, l’estate ha consentito ai più accondiscendenti di loro di esibirsi en plein soleil.
D. Quali le riforme sbagliate e quali quelle possibili?
R. Tutte le riforme sono sbagliate. Alcune lo sono nel loro impianto stesso; altre lo sono nelle probabili conseguenze. L’Italicum è una versione appena corretta del Porcellum. Se il bicameralismo «imperfetto» va superato, allora la vera riforma è l’abolizione del senato, non questo bicameralismo reso ancora più imperfetto e pasticciato. Bisognava guardare alle strutture e ai meccanismi che funzionano altrove. Quindi la scelta elettorale doveva essere fra il sistema proporzionale personalizzato tedesco e il doppio turno nei collegi uninominali di tipo francese.Una volta deciso di avere una camera rappresentativa delle Regioni il modello migliore era e rimane il Bundesrat: 69 rappresentanti che, populisticamente, costano meno di cento, e che, politicamente, sono molto più efficaci di cento personaggi designati, nominati o ratificati, mai dotati di autonomo potere decisionale e personale. Per il referendum, l’aumento del numero di firme per richiederlo dovrebbe essere compensato con la riduzione del quorum per la sua validità. Per le autonomie locali, bisognerebbe prevedere forti incentivi per l’aggregazione dei piccoli comuni, ma anche qualche «castigo» per chi vuole rimanere per conto suo.
D. Quali saranno le conseguenze sull’intero sistema politico della nuova legge elettorale?
R. Darà una maggioranza assoluta ad un partito, sottorappresenterà le opposizioni, produrrà una camera dei deputati fatta per almeno il 60 per cento, forse il 70, di parlamentari nominati che non avranno nessun bisogno di rapportarsi ad elettori che neppure li conoscono. Pertanto, l’Italicum aggraverà la crisi di rappresentanza.
D. È utile un eventuale referendum contro l’Italicum o creerà più confusione?
R. Sono sempre favorevole ai referendum. Sull’Italicum, però, dovrebbe esprimersi la Corte Costituzionale in coerenza con la sua sentenza n. 1/2014 che ha fatto a pezzi il Porcellum. Dovrebbe bocciare le candidature multiple e imporre una percentuale minima per l’accesso al ballottaggio. Qualsiasi referendum elettorale consente di aprire una discussione vera su pregi, nessuno, e difetti, moltissimi, dell’Italicum.
D. Poi ci sarà un altro referendum. In fondo, al di là delle critiche, vi sarà un referendum su cui esprimersi sulle leggi costituzionali
R. Fintantoché non sarà stravolto, l’art. 138 è limpido. Il referendum costituzionale è facoltativo. Può essere chiesto (qualora la riforma costituzionale non sia stata approvata da una maggioranza parlamentare dei due terzi) da un quinto dei parlamentari oppure da cinque consigli regionali oppure da 500 mila elettori. I referendum chiesti dai governi, da tutti i governi, compreso quello di Matteo Renzi, sono tecnicamente dei plebisciti, fra l’altro monetariamente costosi, e sostanzialmente inutili tranne che per il capo di quel governo. Populisticamente dirà che il popolo è con lui. È lui che lo interpreta e lo rappresenta, non le minoranze dentro il Pd, non l’opposizione politico-parlamentare, meno che mai i gufi. E’ dal popolo che lui sosterrà di avere avuto quella legittimazione che gli manca da quando produsse il ribaltone del governo Letta. Ovviamente si tratta di un inganno.
D. Il presidente del senato riuscirà a gestire la bagarre (per altro già incominciata)?
R. Il presidente del senato si barcamena. Barcolla, ma non tracolla. Certo, lo dico non come critica alla persona di Grasso, sarebbe stato preferibile un presidente con una storia politica e parlamentare alle spalle, con conoscenza diretta dei suoi colleghi. Per fortuna, Grasso può ricevere ottimi consigli dai preparatissimi funzionari del senato. Speriamo li ascolti.
D. Dopo tanto tempo non era comunque arrivato il momento del decisionismo, magari poi emendabile?
R. No, è una grossa bugia quella che finalmente si fanno le riforme dopo decenni di immobilismo. Nei 30 anni anteRenzi abbiamo fatto due riforme elettorali, una bella legge per l’elezione dei sindaci, due riforme costituzionali del Titolo V e siamo anche riusciti a introdurre le primarie. Tutte riforme brutte? Ma quelle che ci stanno arrivando addosso sono almeno belline? Proprio no. Sicuramente emendabili, appena si accorgeranno che hanno squilibrato e impasticciato il sistema. Ma perché non migliorarle subito?
D. Con la riforma costituzionale cambia anche il ruolo del Presidente della Repubblica: continuerà ad avere una funzione di garanzia?
R. Ahimè, temo che il presidente della Repubblica sarà ingabbiato. Non nominerà il presidente del Consiglio poiché questi sarà automaticamente il capo del partito/lista che ha vinto il premio di maggioranza, e pazienza. Ma, più grave, non potrà sostituirlo. Il sistema s’irrigidisce e quindi può anche spezzarsi rovinosamente. Non potrà, il presidente della Repubblica, neppure opporsi alla richiesta faziosa di scioglimento del parlamento. Altro irrigidimento, altro rischio. Potrà, però, bella roba senza nessuna logica istituzionale, nominare cinque senatori nella camera delle regioni.
D. Berlusconi, Grillo, Salvini: tutti e tre fuori gioco alle future elezioni politiche?
R. Il vecchio Berlusconi sarà certamente fuori gioco nel 2018 quando avrà 82 anni. L’allora cinquantenne Salvini sarà pimpante, battagliero, con una nuova felpa colorata, ma consapevole di non potere vincere da solo e altrettanto consapevole che la sua politica gli impone di correre da solo per prendere tutti i voti che può, che saranno molti, ma non abbastanza. Grillo è il giocatore che si trova nelle condizioni migliori. Stando così le cose, continuando l’insoddisfazione degli italiani nei confronti della politica, dell’euro, dell’Unione europea, e rimanendo il premio in seggi da attribuire a partiti e/o liste singole, il candidato di Grillo alla presidenza del Consiglio andrà al ballottaggio e parte dell’elettorato italiano gli consegnerà il proprio pesante voto di protesta. Ne vedremo delle belle.
D. E che ne sarà dell’alleanza Berlusconi-Salvini?
R. Costretti ragionevolmente ad allearsi, ma scoraggiati a farlo dal sistema elettorale. Poi, sicuramente, il centro-destra dovrà fare i conti con altre grane che verranno da Alfano&Co. e dalla crescita di popolarità di una donna politica molto efficace, la Sorella d’Italia Giorgia Meloni.
D. Si riuscirà a ricomporre la sinistra al di fuori del Pd? O l’esempio della Grecia, coi radicali di sinistra fuori dal parlamento, vale anche per l’Italia?
R. La sinistra non sa e non vuole ricomporsi. Non ha nessun punto programmatico forte. Non ha neppure un leader attraente com’è Tsipras in Grecia, o com’è Pablo Iglesias di Podemos in Spagna. La sinistra italiana testimonia la sua nostalgia (non quella degli elettori) e si crogiola nella sconfitta, tutta meritata.
Pubblicato il 2 ottobre 2015






