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Il proporzionale non fermerà la Lega #intervista @LaVeritaWeb

AUTOREVOLE Gianfranco Pasquino è docente alla Johns Hopkins school of advanced international studies

 

Intervista raccolta da Alessandro Rico per La Verità

Gianfranco Pasquino è uno dei più noti e stimati professori di scienza politica italiani. È stato tre volte senatore per Sinistra indipendente.

Professore, lei ha criticato la riforma per il taglio dei parlamentari. Perché? Che difetti ci vede?

Quelli che ci vedono gli stessi riformatori, che infatti dicono di voler approvare dei correttivi. Solo che non sanno quali.

Be’, li hanno indicati.

Tutte cose a caso: regolamenti, sfiducia costruttiva, nuova legge elettorale… Non si fanno le riforme dicendo “poi le riformeremo”.

Il principio di rappresentanza ne esce inficiato?

Quello era già stato inficiato dal Porcellum, dalla Legge Rosato e dall’abortito Italicum. E certamente non è stato difeso dall’attuale legge elettorale.

Si riferisce all’abolizione delle preferenze?

Esatto. Gli elettori dovevano scegliere candidati nominati e per di più paracadutati. Questi problemi resteranno se non tornano le preferenze o se non si prevedono collegi uninominali.

Faccio l’avvocato del diavolo. Negli altri Paesi, in rapporto alla popolazione, i deputati sono meno che in Italia.

Be’, si faccia pagare dal diavolo, perché non è vero.

No?

In Germania sono più di 600 i parlamentari nel Bundestag, ma ce ne sono anche 69 nel Bundesrat, che rappresentano davvero i Länder. Il principio di rappresentanza non è affatto intaccato.

E negli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti sono una repubblica presidenziale, dove dunque gli elettori votano il presidente. E ci sono 50 Stati con altrettanti governatori e due Camere, tutti eletti.

Sì, ma il Congresso ha 535 deputati totali, per una popolazione di oltre 300 milioni di abitanti.

Però i rappresentanti sono tutti eletti in collegi uninominali. Che sono un altro modo per recuperare il principio di rappresentanza. Allora li diano anche a noi.

Luciano Violante ha rilevato che la riforma italiana creerebbe collegi di 300.000 elettori per un singolo senatore, con enormi aggravi di costi per le campagne elettorali e il rischio che la politica finisca preda delle lobby dei finanziatori.

I senatori americani vengono eletti sulla base di collegi ben più grandi e, naturalmente, le lobby hanno il loro peso. Violante ha ragione a evidenziare questo pericolo. Avrebbe fatto bene a scoprirlo anche prima, quando sosteneva le riforme del governo Renzi.

A proposito di renziani: Roberto Giachetti è uno di quelli che ha votato la riforma e poi ha annunciato l’avvio della campagna referendaria per abrogarla. Siamo così prigionieri dell’antipolitica che dobbiamo inventarci certe circonvoluzioni?

Su Giachetti non commento.

No?

Giachetti e le sue giravolte si commentano da sé.

Ah ecco…

È chiaro che questa riforma ha un alto contenuto antiparlamentare, mascherato da slogan tipo “tagliamo le poltrone”. Il punto è che l’antiparlamentarismo storicamente ha la tendenza a erodere la democrazia.

Vede questo rischio?

Sì, ma d’altronde l’erosione è cominciata da tempo. Quando i grillini dicevano “uno vale uno”… Un parlamentare non vale un cittadino: vale ovviamente molto di più.

Vale di più?

Certo, perché ha il compito di fare le leggi che regolano i comportamenti dei cittadini.

E della ventata giovanilista che pensa? Si parla di voto ai sedicenni. Così non perdiamo quella saggezza antica, che nelle istituzioni prevedeva una sorta di «freno» generazionale?

Chi ha parlato di voto ai sedicenni non avrà fatto tutti questi ragionamenti. Voleva soltanto un attimo di visibilità.

È tutto più prosaico, insomma.

Il voto ai sedicenni lo si dà se si stabilisce che la maggiore età comincia a 16 anni. Altrimenti sarebbe una riforma scombinata.

Quindi lei è contrario?

Qualcuno dice: facciamo votare i giovani perché se no saranno governati dai vecchi, che si ostinano a non morire. Benissimo: ma allora a scuola insegniamola davvero, l’educazione civica. Insegniamola davvero, la storia, non solo fino alla seconda guerra mondiale. Insegniamo che la Costituzione è un documento storico-politico e non solo un insieme di norme.

Citava la repubblica presidenziale. Visto che, alla debolezza del sistema politico e partitico, in questi anni è corrisposto un rafforzamento della figura del capo dello Stato, non sarebbe meglio se potessimo eleggerlo direttamente?

Senza cambiarne i poteri? In Austria il capo dello Stato viene eletto direttamente, ma per certi versi ha poteri persino più limitati del nostro.

Andiamo per ordine. Lei è per l’elezione diretta?

Si può anche fare.

E per quanto riguarda i poteri?

Basta la chiarezza. Bisogna dire se si vuol fare il presidenzialismo all’americana o il semipresidenzialismo alla francese….

Qual è il modello migliore?

Io da anni mi esprimo in favore del semipresidenzialismo alla francese, che prevede anche la figura del primo ministro. Ma sono a favore pure del sistema elettorale francese e contrario al proporzionale, che frammenterebbe il Parlamento, mentre il maggioritario con doppio turno e clausola di accesso al secondo turno incentiverebbe anche la creazione di coalizioni.

La controindicazione: ritrovarsi un presidente di un partito e un premier di un altro.

La coabitazione non mi preoccupa. In Portogallo hanno un primo ministro socialista e un capo dello Stato di centrodestra, ma non ci sono guasti.

I partiti di maggioranza vogliono il proporzionale per neutralizzare il 30% della Lega.

Il 30% della Lega resta il 30% pure nel proporzionale.

Nella prima Repubblica, il Pci, con il 30%, non ha mai governato.

Perché non trovava alleati. La Lega ce li ha. Anzi, sono loro che corrono affannati verso il Carroccio. Per cui, se l’obiettivo del proporzionale è marginalizzare la Lega, è una battaglia persa.

Dice?

Sì. Ma in realtà loro non vogliono il proporzionale.

Che vogliono?

Il proporzionale con qualche premietto. Vogliono pasticciare. Di proporzionali ne esistono diverse varianti. Andrea Orlando ha proposto il modello spagnolo.

Non va bene?

Il punto è che lì inevitabilmente si sono creati due enormi collegi elettorali: Madrid e Barcellona. Da noi sarebbero Roma, Milano e forse Napoli.

Collegi troppo grandi?

Il proporzionale funziona se ci sono collegi medio-piccoli, che non eleggano più di dieci deputati. E se non ci sono giochetti, tipo il recupero dei resti.

E la soglia di sbarramento?

In collegi del genere sarebbe automatica una soglia a circa il 9%. Senza pasticci.

Che pensa di un partito di governo, il M5s, che demanda le decisioni più controverse a una piattaforma Web?

È un segno dei tempi. Ne prendo atto. Credo che gli stessi parlamentari ormai si siano resi conto che qualcosa lì non funziona.

Malumori, defezioni alla festa di partito, onorevoli in fuga…

D’altro canto, non è che altrove il panorama sia migliore.

A che allude?

A un partito personale com’è Forza Italia. A un partito leaderistico, come quello di Giorgia Meloni. A un Capitano della Lega che ha accentrato su di sé poteri enormi, provocando una crisi di governo senza consultare nessuno. Per cui non me la sento di dare addosso solo ai 5 stelle.

Il Pd è percepito come il partito dell’establishment. Governando con il M5s si rifarà una verginità?

In politica le verginità non si ricostruiscono. Il Pd non sa nemmeno che cos’è. Chi ha deciso la svolta giallorossa? C’è stata una discussione aperta? La classe dirigente sa qual’è la sua cultura politica?

Qual è quella di Renzi?

La sua arroganza personale, la sua presunzione, la superficialità, il desiderio di magnificare sé stesso. Però Renzi s’è ritagliato una bella nicchia e ora ha un potere di ricatto sul governo. A lui sì che serve il proporzionale.

Terrebbe in scacco il sistema.

Ma se è vero quello che le ho appena detto sullo sbarramento “naturale”, lui al 9% non ci arriva.

Per giustificare la svolta, invece, Luigi Di Maio aveva parlato di partito postideologico. C’è qualcosa di profondo lì, sul piano della cultura politica? O è trasformismo?

È voglia di restare dove si è arrivati faticosamente. Di ideologia i 5 stelle non sanno nulla. Prendono posizione e la mantengono fin quando sono sulla cresta dell’onda. Sono dei surfisti della politica.

Legge così il loro voto al Parlamento Ue contro la commissione d’inchiesta sulle ingerenze russe, che citava il caso Savoini?

Questa me l’ero persa. La commissione d’inchiesta è passata?

No. E i grillini sono stati decisivi. Hanno votato come il Carroccio.

Mi pare molto grave. Vede? Evidentemente si tengono aperta la porta dell’alleanza con la Lega.

Professore, le devo fare una domanda da un milione.

Le do l’Iban?

Ah ah ah. Era un modo di dire.

Sentiamo.

La globalizzazione ha lasciato dietro di sé ampi strati di malcontento. Gli Stati nazionali sono inadeguati alle grandi sfide geopolitiche. Si rafforzano imperi regionali di carattere autoritario. Dove va questo nostro mondo?

La globalizzazione è un vento fluttuante. Ha accresciuto le diseguaglianze, ma ha pure consentito la democratizzazione e ha ridotto la povertà nel Terzo mondo. Le risposte date al problema delle diseguaglianze sono diverse e ciascuna può funzionare a suo modo.

A cosa pensa?

Ad Australia e Canada. In Australia hanno imposto l’“anglosassismo”. In Canada c’è il multiculturalismo. Una cosa è certa: la globalizzazione dobbiamo imparare a governarla.

Pubblicato il 14 ottobre 2019 su La Verità

Italia non è Europa: solo da noi sono proibite le preferenze

di Gianfranco Pasquino e Marco Valbruzzi

Per arricchire e migliorare il dibattito in corso, che non riguarda soltanto la legge elettorale, ma il ruolo dei partiti e si spinge, percettibilmente, fino alla forma di governo, vorremmo precisare quattro punti secondo noi di grande importanza.

Primo, lo Statuto del Partito Democratico afferma che il Segretario è automaticamente candidato alla carica di Presidente del Consiglio. Giusto. Ricordiamo, però, che nel 2012 il segretario Bersani accettò la sfida di Renzi e, fin troppo generosamente, concesse le primarie. Di più, non avendo nessuno dei candidati superata la soglia del 50 per cento concesse anche il ballottaggio. Nell’aprile 2017 Renzi è stato rieletto alla Segreteria del partito. Quelle furono votazioni per quella specifica carica che non debbono essere definite primarie (quanti guasti continua a fare l’uso indiscriminato di questo termine). Se il Partito Democratico farà, come sembra, una coalizione con altri partiti (ma non aveva giurato e spergiurato di non volere le coalizioni?), il candidato a capo di governo non potrà essere automaticamente il segretario del partito. Dovrà, invece, logicamente e politicamente, essere selezionato con le primarie, proprio come avvenne con Prodi nel fatidico ottobre 2005.

Secondo, abbiamo forse, anche noi, sbagliato nell’insistere sul (mis)fatto che la legge elettorale Rosato, più dell’Italicum, probabilmente non meno del Porcellum, produrrà un Parlamento di nominati. Desideriamo cambiare il termine: parlamentari diventeranno i predestinati. Vogliamo dire che, sì, certo, i partiti possono accampare il diritto di “nominare” (designare) i loro candidati, ma agli elettori deve essere concesso di scegliere fra quei candidati: promuovere e bocciare. È avvenuto così dal 1946 al 1992 quando gli elettori avevano tre/quattro voti di preferenza. È avvenuto nei collegi uninominali del Mattarellum dove, designati dal loro partito, sia lo stesso Mattarella sia Mario Segni furono sconfitti dal voto. Invece, tanto la designazione in un collegio uninominale quanto l’ordine di collocazione in una lista proporzionale determineranno le chance di elezione dei candidati che non potranno fare nulla per cambiare il loro destino. Quasi tutti, anche grazie alle candidature multiple, sapranno di essere e saranno predestinati alla Camera e al Senato. Non dovremmo scandalizzarci, si sostiene poiché anche altrove, dappertutto. è così. Sono i partiti che designano, che nominano, che predestinano. No, non è così.

Terzo, ma non vorrete mica reintrodurre le preferenze, meccanismo produttore di corruzione e che, peggio, consentirebbe poi ai magistrati con loro interventi selettivi di ridefinire la composizione del Parlamento? Ricordiamo che il primo referendum elettorale, 9 giugno 1991, questa è la data da celebrare, portò alle urne, contro praticamente tutti i gruppi dirigenti dei partiti, il 62,5 per cento di italiani con il 90 per cento e più che approvò il ricorso ad una sola preferenza da esprimere, per evitare facili brogli, scrivendo il cognome del/la candidato/a preferito/a. Si tenne una sola elezione politica con la preferenza unica nel 1992, probabilmente quella con meno brogli in assoluto [G. Pasquino, a cura di, Votare un solo candidato. Le conseguenze politiche della preferenza unica, Il Mulino 1993]. Una preferenza servirebbe agli elettori per cambiare l’ordine delle candidature nelle circoscrizioni. La replica è debolissima: gli elettori italiani fanno scarso uso delle preferenze. Uno su tre su scala nazionale, ma sei su dieci nelle regioni meridionali: voto di scambio, voto di scambio, corruzione, magistratura etc. Forse, no, ma…

Quarto, soltanto in Italia e, detto da Paolo Mieli a La7, in Grecia, in Zambia (complimenti per le conoscenze comparate) e in Corea del Nord (al cui proposito nessun commento è possibile), esiste il voto di preferenza. Tagliamo la testa al toro con la tabella qui presentata dalla quale si evince facilmente come un po’dappertutto in Europa all’elettorato siano dati alcuni strumenti per la scelta del candidati al Parlamento.

Clicca sulla tabella per ingrandire l’immagine

Naturalmente, chi sa di essere stato inviato in Parlamento dagli elettori a quegli elettori renderà conto di quello che ha fatto, non fatto, fatto male e da loro imparerà che cosa correggere e quali sono le priorità e le soluzioni auspicate. Chi è stato designato dai capi partito e capi-corrente e predestinato allo scranno parlamentare saprà perfettamente di quali “opinioni” (siamo nel pudicamente corretto) tenere conto, a prescindere da quelle di elettori che non conosce, che non conoscono lui/lei, che non avranno nessuna influenza sulle ricandidature e sulle rielezioni. Questo è quanto sappiamo. Non è poco.

Pubblicato il 18 ottobre 2017

Le promesse sulla legge elettorale #OscuriDesiderideiPolitici

Care (e)lettrici e (e)lettori che sulle spiagge fra un bagno e l’altro e fra una bibita e un gelato vi chiedete con quale legge si andrà a votare, prestate un po’ di attenzione anche saltuaria a quel che dicono i politici. Vogliono farvi credere che preparano una legge buona per voi e per il sistema politico che diventerà finalmente governabile. È l’oggetto di loro oscuri desideri. Per metà non sanno di cosa parlano poiché i meccanismi elettorali hanno sempre qualche elemento di complessità che sfugge loro, per l’altra metà, manipolano.

Primo punto, non credete a chi vi dice che purtroppo stiamo tornando alla proporzionale. Il ritorno è avvenuto già nel 2005 con la legge del centro-destra nota come Porcellum e sarebbe continuato con l’Italicum (non casualmente gradito anche a Berlusconi), entrambe leggi proporzionali “distorte” da un premio di maggioranza. I critici del ritorno, in realtà, desiderano non una legge elettorale maggioritaria come l’inglese o la francese, entrambe applicate in rischiosissimi collegi uninominali, ma un premio di maggioranza per trasformare un consenso elettorale del 30/40 per cento di voti in un gruppo parlamentare con 54 per cento di seggi. Meglio di no, meglio non stravolgere artificialmente la rappresentanza proporzionale, visto anche che né con Berlusconi né con Renzi al governo abbiamo avuto stabilità e efficacia decisionale.

Secondo, è’ tornato in auge, ma non sono sicuro lo sia davvero mai stato, il sistema elettorale tedesco che, con buona pace del Direttore de “Il Foglio” e di troppi altri, non è un proporzionale “puro” non foss’altro perché ha una bella clausola del 5 per cento per accedere al Parlamento. Allo stato dei consensi rilevati da tutti i sondaggisti, quella clausola escluderebbe dal Parlamento Angelino Alfano, Giorgia Meloni, il Movimento Democratico Progressista. Otterrebbero seggi il PD, il Movimento Cinque Stelle, Forza Italia e la Lega Nord (no, non sono sicuro che questa sarà la graduatoria). Sono sicuro che qualsiasi premio di maggioranza fantasiosamente inserito nel sistema tedesco lo snaturerebbe e imporrebbe di chiamarlo in un altro modo.

Terzo, sotto traccia tutti sanno, più di chiunque lo sanno i parlamentari, che quello che interessa davvero sia a Berlusconi sia a Renzi è avere il potere di nominare i propri parlamentari. Il sistema davvero tedesco elegge metà dei parlamentari in collegi uninominali, anche per questo i due leader ne vorrebbe una correzione/stravolgimento. Quanto alla reintroduzione delle preferenze per dare agli elettori un po’ di potere nell’elezione dei parlamentari, è alquanto offensivo per gli italiani sostenere che il voto di preferenza è veicolo di corruzione come se i parlamentari in carica dal 2013, nessuno eletto con voti di preferenza, non fossero incappati in molti casi di corruzione e di altri reati connessi.

Soprattutto, alza la voce Matteo Renzi, quarto punto, niente coalizioni. Lui sostiene che la coalizione la fa(rà) con i cittadini. Peraltro, il governo che Renzi ha guidato da febbraio 2014 al dicembre 2016 era un classicissimo governo di coalizione: Partito Democratico, Scelta Civica, Nuovo Centro Destra. Quel che più conta, però, è che la politica è proprio l’arte di fare coalizioni anche di governo. Non sarà mica un caso se tutte le democrazie parlamentari dell’Europa occidentale, ma anche la democrazia semipresidenziale francese, hanno governi di coalizione? Aggiungo che tutte queste democrazie, ad eccezione di Gran Bretagna e Francia, usano da molto tempo, alcune da sempre, leggi elettorali proporzionali.

Allora, concludo, il compito per le vacanze dei politici che non ne sanno abbastanza e per quelli che fanno furbesche manipolazioni è: non inventatevi nulla. Avete già dato molto e male. Studiate le leggi elettorali europee per importarne il meglio. Al momento opportuno gli elettori vi valuteranno anche con riferimento alla legge con la quale saranno costretti a votare (o no).

Pubblicato AGL 8 agosto 2017

Le mie risposte alle domande* de “Il Sole 24 ORE” su pregi e difetti dell’ #Italicum

1) La riforma che la Camera si avvia ad approvare è buona o cattiva?

– Piuttosto cattiva

2) Se dovesse elencarne i meriti in tre punti, quali citerebbe?

– Un solo merito: il ballottaggio che dà potere reale agli elettori

3) In cosa invece la ritiene sbagliata o migliorabile?

– Sbagliato il premio alla lista; sbagliate le candidature multiple; sbagliata la bassa soglia (3%) per l’accesso al Parlamento

4) I sostenitori della legge ne sottolineano la spinta a favore della governabilità. Lei è d’accordo? E in che modo ciò avverrà?

– Non sanno di che cosa parlano. In nessuna democrazia europea la governabilità dipende dal premio di maggioranza

5) Al contrario i detrattori ne sottolineano i limiti in termini di rappresentatività. Vede anche lei un rischio in questo senso?

– La rappresentatività dipende solo parzialmente dal numero dei partiti “rappresentati” in Parlamento. Dipende dalla competizione fra i partiti costretti ad essere rappresentativi per vincere. Il rischio è troppo potere ad un partito che si convinca di essere il rappresentante della Nazione

6) Una delle obiezioni della Consulta al Porcellum è l’eccessiva disproporzionalità del premio di maggioranza attribuito senza stabilire una soglia minima. L’Italicum prevede una soglia del 40 per cento per ottenere il premio del 15 per cento. Si risponde così alle osservazioni della corte?

– Il premio va al partito che vince al ballottaggio, dunque, ottenendo anche solo un voto in più del 50 per cento dei voti espressi. Di volta in volta si saprà quale percentuale degli aventi diritto sarà rappresentata dai votanti al ballottaggio. Rimane che al primo turno quel partito potrebbe avere ottenuto anche solo il 26 per cento dei voti. Poiché gli verranno assegnati il 54 per cento dei seggi parlamentari, il premio ammonterà ad un sonante  28 per cento. La Corte dovrebbe essere fortemente insoddisfatta

7) Non è un’anomalia in sé applicare un premio di maggioranza sulla base di un sistema proporzionale?

 – Il premio di maggioranza su un sistema proporzionale non è un’anomalia italiana. Già lo abbiamo, con buoni esiti, per l’elezione dei Consigli comunali e dei sindaci

8) La soglia di sbarramento è stata portata al 3 per cento per tutti i partiti. Se si voleva davvero fronteggiare la frammentazione non era meglio una soglia più alta, magari del 5 come in Germania?

– Ovviamente, sì: 5 per cento. Fare come in Germania è molto spesso una cosa buona e giusta

9) Non si rischia in questo modo la “balcanizzazione” delle opposizioni in presenza di un primo partito rafforzato dal premio?

– Fare come nei Balcani è per lo più la cosa cattiva e sbagliata, ma sia Renzi sia Berlusconi erano, e probabilmente continuano ad essere, con motivazioni diverse, d’accordo sulla balcanizzazione delle opposizioni

10) L’altra importante obiezione della Consulta al Porcellum riguarda le lunghe liste bloccate, che non permettevano all’elettore di riconoscere il futuro eletto. La soluzione del capolista bloccato e delle preferenze per tutti gli altri non è un ibrido al ribasso? Soddisfa le indicazioni della Consulta?

– Ibrido pessimo, riprovevole. Lascio il giudizio all’incerta giurisprudenza della Corte. La mia soluzione sarebbe, in linea con il referendum del 1991, una sola preferenza

11) L’Italicum prevede la possibilità di candidature plurime per il posto di capolista. Con il rischio che un elettore scelga un partito in virtù dell’appeal di un capolista ritrovandosi poi ad eleggere un altro candidato. Questo non va contro l’indicazione della Consulta sulla riconoscibilita?

– Ovviamente sì. Cancellare con un tratto di pennarello le candidature multiple (10) sarebbe un atto di semplice decenza

12) Il premio di maggioranza, sia in caso di vittoria al primo turno sia in caso di vittoria al ballottaggio, attribuisce alla prima lista un vantaggio alla Camera di circa 25 deputati. Dal momento che la legge è stata pensata soprattutto in chiave di governabilità, non è un margine troppo esiguo?

– E’ un margine sufficiente per un partito che abbia una vita interna vivace e democratica

13) L’Italicum vieta espressamente gli apparentamenti tra partiti tra il primo e l’eventuale secondo turno di ballottaggio, apparentamenti consentiti in altri sistemi con ballottagio. Non si rischia in questo modo di comprimere troppo il confronto democratico dando tutto il potere ai partiti maggiori?

– La domanda contiene parte della risposta. La parte più importante è che in tutta Europa, tranne in Spagna, almeno finora, i governi sono di coalizione. Sarebbe opportuno consentire le coalizioni al primo turno oppure, almeno, come per i sindaci (la buona legge fatta nel 1993 dal Parlamento su impulso dei referendari, gli apparentamenti per il ballottaggio

14) Non è anomalo posticipare l’entrata in vigore dell’Italicum al luglio 2016 privando il Paese di un efficiente sistema elettorale in caso di necessità?

-Piuttosto che di anomalia parlerei di scommessa o di spadina di Damocle sulla testa dei parlamentari. Comunque, molti dicono, ma non è questa la mia opinione, che, in caso di necessità, evidentemente procurata, ci sarebbe il sistema proporzionale delineato dalla Corte. Pasticcio più pasticcio meno: rassegnatevi

15) L’Italicum vale solo per l’elezione della Camera dei deputati dal momento che c’è un legame politico con la riforma costituzionale ora all’esame del Senato per la terza lettura che abolisce il Senato elettivo trasformandolo in Camera delle Autonomie. Non è irrazionale, nel caso in cui la riforma costituzionale non andasse in porto, andare a votare con due sistemi diversi (l’Italicum per la Camera e il proporzionale Consultellum per il Senato)?

–  A questa domanda passo. Che cosa si può suggerire a sedicenti riformatori pasticcioni? Ricordare loro che un sistema politico è per l’appunto un sistema, non un supermercato, nel quale ciascuna delle componenti è in relazione con le altre e che, di conseguenza, cambiarne una significa dovere tenere conto dell’impatto sulle altre

16) C’è il rischio di introdurre un presidenzialismo di fatto con il maggioritario Italicum e una sola Camera elettiva, come sostengono gli oppositori di questa riforma elettorale?

– Sì, c’è soprattutto il rischio di eccessiva concentrazione di poteri nelle mani del Primo ministro. Non è presidenzialismo. E’ piuttosto il “premierato forte”, che nonostante alcuni cattivi maestri provinciali (che non sanno neanche cosa sia l’analisi comparata dei sistemi politici) e i loro ossequiosi allievi, non esiste da nessuna parte e che toglierà non pochi poteri al Presidente della Repubblica rendendogli impossibile svolgere il ruolo di arbitro, di garante, di contrappeso, persino di rappresentante dell’unità nazionale

*Italicum, 16 domande per capire la riforma – Il Sole 24 ORE 01 maggio 2015 (pagg 11/14)

La terza Repubblica

Pubblicato su terzarepubblica.it il 3 maggio 2015

Qualcosa da sapere sui sistemi politici

testata

Diradare la confusione e sventare la manipolazione è possibile

Chi facesse attenzione al dibattito sui partiti, sulle istituzioni, sulle democrazie (con quella italiana che, “governata” da Renzi, starebbe subendo una “deriva autoritaria”) finirebbe per pensare che, in fondo, in Italia, si può dire davvero di tutto. Se nessuno sa che cosa sono i partiti, se molti ritengono che in materia di riforme elettorali e istituzionali tutto è opinione e niente è strafalcione, se ciascuno definisce la democrazia come gli pare (magari dimenticandosi che un po’ di “potere del popolo” è l’elemento costitutivo e irrinunciabile di qualsiasi definizione decente), se anything goes, allora everything diventa confusissimo. Diradare la confusione e sventare la manipolazione è possibile per coloro che abbiano studiato e posseggano gli strumenti per analizzare e spiegare la politica, per l’appunto: partiti, istituzioni e democrazie.
No, non bisogna confondere le preferenze personali, che comunque, dovrebbero essere argomentate e giustificate, con le conoscenze disponibili che hanno solide basi nella storia e nella comparazione fra sistemi e attori politici. No, non sono accettabili le affermazioni che fanno di tutta l’erba un fascio, ma che non sanno neppure di che erba parlano. Che sia non soltanto possibile, ma addirittura corretto affermare che sono proprio le limitatissime conoscenze sulla politica e sulle istituzioni a dare, in Italia, solido e continuo alimento, allo stesso tempo, tanto all’antipolitica quanto alla cattiva politica? E’ certamente vero che non si può chiedere agli italiani di diventare tutti “scienziati della politica”. Tuttavia si potrebbe e dovrebbe chiedere ai commentatori politici, ai giornalisti, non soltanto quelli “di punta”, quelli che stanno, questa è l’espressione di moda, “sul pezzo”, magari addirittura ai dirigenti politici, di studiare un po’ di scienza politica.
Il florilegio di errori gravi e di manipolazioni è talmente vasto che condurrebbe alla stesura di un non del tutto inutile libro. Parto dall’attualità. Si può consentire al Presidente del Consiglio di dichiarare che l’Italicum (una legge elettorale proporzionale con scrutinio di lista e premio di maggioranza) è un Mattarellum (una legge elettorale maggioritaria per l’elezione di tre quarti dei parlamentari in collegi uninominali) con le preferenze? Aberrante. Si può accettare, senza contraddirla, che il Ministro Boschi sostenga che non si tratta di “capilista bloccati”, ma di “rappresentanti di collegio” che in quel collegio potranno essere, anzi, sicuramente molti saranno, paracadutati, che in quel collegio non avranno nessun obbligo, né politico, di fare campagna elettorale, né giuridico, di residenza, che in quel collegio non avranno nessuno sfidante, che, addirittura, grazie alla possibilità di candidature multiple (dieci) potrebbero trovarsi a “rappresentare” più collegi? Allucinante. E’ possibile accettare la critica al capo del governo italiano di non essere stato “eletto” quando, tecnicamente, non esiste in nessuna democrazia parlamentare l’elezione popolare diretta del capo del governo? Quando tutti dovrebbero sapere che i capi di governo nelle democrazie parlamentare devono godere di un rapporto di fiducia con il loro Parlamento? Quando abbiamo visto che persino i capi di governo nel sistema politico inglese sono sostituibili dal loro partito (come Thatcher e Blair)? Che se, a ogni sostituzione di capo di governo ad opera del suo partito o della sua maggioranza, fosse necessario tornare alle urne verrebbe bruciata una delle qualità dei modelli parlamentari di governo: la loro adattabilità.
Di converso, è giusto sostenere che l’avere ottenuto un’alta percentuale di voti nelle elezioni europee offre al capo del partito che ha effettivamente vinto quelle elezioni la legittimazione elettorale “nazionale” che gli manca? Esistono nelle democrazie, parlamentari, presidenziali, semi-presidenziali, partiti che aspirano a definirsi “della Nazione”, senza cogliere il rischio, questo sì, effettivo, di una concezione autoritaria della dinamica politico-partitica che delegittimerebbe i concorrenti ? Infatti, i concorrenti di un eventuale Partito della Nazione potrebbero essere facilmente incasellati come rematori “contro-Nazione”. Davvero esistono sistemi elettorali che impediscono di sapere chi ha vinto le elezioni la sera stessa del voto? Certamente, sì: ad esempio, proprio l’Italicum nel quale il ballottaggio fra i due partiti più votati prorogherà la conoscenza del vincitore di una, se non addirittura due settimane.
Le democrazie che funzionano meglio sono quelle nelle quali l’alternanza è possibile ad ogni elezione, che non significa che avviene ad ogni elezione. Altrimenti, che splendida democrazia sarebbe stata quella italiana dal 1994 al 2013 con tutti i governi rimpiazzati dall’opposizione in ogni elezione di quel periodo! Altrove, in assenza di una vera e propria alternanza completa si hanno ricambi parziali nelle coalizioni di governo. Con il premio alla lista o al partito, l’Italicum cancella un’altra peculiarità delle democrazie parlamentari europee, che, incidentalmente, funzionano praticamente tutte meglio di quella italiana: la necessità di formare coalizioni di governo. Bi- (anche quando sono Grandi Coalizioni: Germania e Austria) o multipartitici, i governi di coalizione sono regolarmente più rappresentativi di elettorati compositi e spesso sono in grado di fare riforme importanti. Il Patto del Nazareno, per le mentalità non complottistiche, può essere letto come una coalizione per fare le riforme, sulla cui qualità, ovviamente, è lecito e opportuno avere dei dubbi. Non si possono avere dubbi sulla pessima qualità del dibattito politico italiano, sulla quasi scomparsa di cultura e culture politiche in questo paese. Riflettendo sui miei saggi che, in qualche caso, hanno trent’anni di vita, ma, come si dice, sono attualissimi, è possibile imparare molte cose sui partiti, sulle istituzioni, sulle democrazie, diventando commentatori e cittadini migliori.

Articolo scritto per il Laboratorio della contemporaneità della Casa della Cultura