di Gianfranco Pasquino e Marco Valbruzzi
Per arricchire e migliorare il dibattito in corso, che non riguarda soltanto la legge elettorale, ma il ruolo dei partiti e si spinge, percettibilmente, fino alla forma di governo, vorremmo precisare quattro punti secondo noi di grande importanza.
Primo, lo Statuto del Partito Democratico afferma che il Segretario è automaticamente candidato alla carica di Presidente del Consiglio. Giusto. Ricordiamo, però, che nel 2012 il segretario Bersani accettò la sfida di Renzi e, fin troppo generosamente, concesse le primarie. Di più, non avendo nessuno dei candidati superata la soglia del 50 per cento concesse anche il ballottaggio. Nell’aprile 2017 Renzi è stato rieletto alla Segreteria del partito. Quelle furono votazioni per quella specifica carica che non debbono essere definite primarie (quanti guasti continua a fare l’uso indiscriminato di questo termine). Se il Partito Democratico farà, come sembra, una coalizione con altri partiti (ma non aveva giurato e spergiurato di non volere le coalizioni?), il candidato a capo di governo non potrà essere automaticamente il segretario del partito. Dovrà, invece, logicamente e politicamente, essere selezionato con le primarie, proprio come avvenne con Prodi nel fatidico ottobre 2005.
Secondo, abbiamo forse, anche noi, sbagliato nell’insistere sul (mis)fatto che la legge elettorale Rosato, più dell’Italicum, probabilmente non meno del Porcellum, produrrà un Parlamento di nominati. Desideriamo cambiare il termine: parlamentari diventeranno i predestinati. Vogliamo dire che, sì, certo, i partiti possono accampare il diritto di “nominare” (designare) i loro candidati, ma agli elettori deve essere concesso di scegliere fra quei candidati: promuovere e bocciare. È avvenuto così dal 1946 al 1992 quando gli elettori avevano tre/quattro voti di preferenza. È avvenuto nei collegi uninominali del Mattarellum dove, designati dal loro partito, sia lo stesso Mattarella sia Mario Segni furono sconfitti dal voto. Invece, tanto la designazione in un collegio uninominale quanto l’ordine di collocazione in una lista proporzionale determineranno le chance di elezione dei candidati che non potranno fare nulla per cambiare il loro destino. Quasi tutti, anche grazie alle candidature multiple, sapranno di essere e saranno predestinati alla Camera e al Senato. Non dovremmo scandalizzarci, si sostiene poiché anche altrove, dappertutto. è così. Sono i partiti che designano, che nominano, che predestinano. No, non è così.
Terzo, ma non vorrete mica reintrodurre le preferenze, meccanismo produttore di corruzione e che, peggio, consentirebbe poi ai magistrati con loro interventi selettivi di ridefinire la composizione del Parlamento? Ricordiamo che il primo referendum elettorale, 9 giugno 1991, questa è la data da celebrare, portò alle urne, contro praticamente tutti i gruppi dirigenti dei partiti, il 62,5 per cento di italiani con il 90 per cento e più che approvò il ricorso ad una sola preferenza da esprimere, per evitare facili brogli, scrivendo il cognome del/la candidato/a preferito/a. Si tenne una sola elezione politica con la preferenza unica nel 1992, probabilmente quella con meno brogli in assoluto [G. Pasquino, a cura di, Votare un solo candidato. Le conseguenze politiche della preferenza unica, Il Mulino 1993]. Una preferenza servirebbe agli elettori per cambiare l’ordine delle candidature nelle circoscrizioni. La replica è debolissima: gli elettori italiani fanno scarso uso delle preferenze. Uno su tre su scala nazionale, ma sei su dieci nelle regioni meridionali: voto di scambio, voto di scambio, corruzione, magistratura etc. Forse, no, ma…
Quarto, soltanto in Italia e, detto da Paolo Mieli a La7, in Grecia, in Zambia (complimenti per le conoscenze comparate) e in Corea del Nord (al cui proposito nessun commento è possibile), esiste il voto di preferenza. Tagliamo la testa al toro con la tabella qui presentata dalla quale si evince facilmente come un po’dappertutto in Europa all’elettorato siano dati alcuni strumenti per la scelta del candidati al Parlamento.
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Naturalmente, chi sa di essere stato inviato in Parlamento dagli elettori a quegli elettori renderà conto di quello che ha fatto, non fatto, fatto male e da loro imparerà che cosa correggere e quali sono le priorità e le soluzioni auspicate. Chi è stato designato dai capi partito e capi-corrente e predestinato allo scranno parlamentare saprà perfettamente di quali “opinioni” (siamo nel pudicamente corretto) tenere conto, a prescindere da quelle di elettori che non conosce, che non conoscono lui/lei, che non avranno nessuna influenza sulle ricandidature e sulle rielezioni. Questo è quanto sappiamo. Non è poco.
Pubblicato il 18 ottobre 2017
L’ha ribloggato su Il circolo della stanza accanto.