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Come non si scelgono le candidate e i candidati sindaco a Bologna?

La narrazione delle modalità di selezione delle candidature a sindaco di PDS/DS/PD è sconfortante. Non è migliorata. Da ultimo, il “medio” sindaco uscente ha designato il suo successore. Brutt’affare.

Questa è la storia di come non si scelgono le candidate e i candidati sindaco a Bologna

Tre o quattro cose che so sul #PD dell’Emilia-Romagna

FQ
Nel marzo 1999, le primarie per la scelta del candidato sindaco di Bologna non le voleva nessuno. Quando i veti incrociati bocciarono i primi quattro potenziali candidati e il segretario regionale Mauro Zani non accettò di “correre” senza il sostegno di tutto il partito, il Pds fu costretto ad organizzare le primarie. Con il poderoso apporto cammellato del sindacato pensionati della Cgil, ottenne la candidatura Silvia Bartolini la quale, poi, riuscì nell’impresa di consegnare la città a Giorgio Guazzaloca, da lei sempre appellato “macellaio” (ma anche Presidente della Camera di Commercio). Zani battezzò anche il nuovo segretario provinciale, tal Salvatore Caronna che, nel 2004, le primarie proprio non seppe e non volle organizzarle cosicché il partito si vide calato dall’alto Sergio Cofferati (“candidatura degna, anzi”, lunga p a u s a, “degnissima” secondo Romano Prodi), quasi sicuramente il peggior sindaco della città. Nel 2008, andatosene all’ultimo minuto verso buste paga più consistenti (europarlamentare) il Cofferati, fu giocoforza organizzare le primarie.

Però, prima ancora che ci fossero candidature ufficiali, fioccarono gli endorsement (dichiarazioni solenni di sostegno) a favore di Flavio Delbono da parte del Segretario del Pd Pierluigi Bersani e del padre nobile (sic) Romano Prodi il quale avrebbe poi portato in processione e a chiesa il candidato. Vice-Presidente della Regione Emilia-Romagna, consigliere regionale e, soprattutto Assessore al Bilancio (che non controllava né le sue allegre spese né quelle, appena meno allegre, dei consiglieri), Delbono era una manna: liberava tre caselle di pregio. Eletto dopo una mediocrissima campagna elettorale, il Delbono fu indagato e costretto a dimettersi (atto che, secondo Prodi, gli restituiva onorabilità) proprio per i suoi viaggi con amanti a spese della Regione. [Personalmente candidato in quelle elezioni, ne ho scritto in Quasi sindaco. Politica e società a Bologna, 2008-2010, Diabasis Edizioni 2010].

In seguito, il sindaco breve, poco più di otto mesi, patteggiò due volte, riconoscendo quindi la sua colpevolezza, ed è in attesa del terzo processo. Con lui caddero il capo della sua campagna elettorale buttato fuori dalla politica e il segretario provinciale, De Maria che dovette dimettersi. Relativamente giovane ma già sicuro esponente della vecchia guardia, il De Maria venne mandato a Roma dalla ditta, poi ricollocato in Parlamento. Adesso ha già espresso, insieme a tutti i lavoratori in carriera nella vecchia ditta, il suo sostegno per il segretario regionale Stefano Bonaccini, diventato renziano nella seconda ora e qualche minuto, ma subito ricompensato con un incarico, quello di responsabile degli Enti locali. Non sono i rimborsi per spese fraudolenti ad avere causato la rinuncia di un renziano della primissima ora, il deputato Matteo Richetti, fino al 2012 Presidente del Consiglio Regionale.

Infatti, sostenuto dalla vecchia guardia che ha assoluto bisogno di un candidato, Bonaccini, consigliere regionale egualmente inquisito, non seguirà le orme di Richetti. Sono gli “inviti” che vengono dal centro, pardon, dal Largo (del Nazareno) che contano e che hanno spinto fuori dalle primarie il Richetti. Il conformismo dei dirigenti locali, pronti ad ogni acrobazia e a qualsiasi ingoio, farà il resto. Però, non sarà facile convincere il candidato Roberto Balzani, che le primarie contro l’apparato le ha già vinte una volta, per diventare sindaco di Forlì, a lasciare il campo. Vecchia politica? Oh, yes. Bruttissima politica? Ancor più certamente yes. È questo il Partito Democratico di Renzi? La risposta la attendiamo, non proprio spasmodicamente, da un suo tweet: il punto più elevato della sua nuova politica.

Pubblicato 11 settembre 2014

Fuga dalle primarie

Non sono più le primarie di Prodi. Non è soltanto che Prodi ha dichiarato che l’8 dicembre non andrà a votare. Quelle non saranno, comunque, tecnicamente primarie, ma l’elezione del segretario del Partito Democratico ad opera di un’ampia platea di iscritti, di elettori, di simpatizzanti. E’ meglio non confondere l’elezione del segretario di un partito con la designazione di candidati a cariche elettive di governo, locale (sindaci) e nazionale (Presidente del Consiglio e parlamentari). Invece, nell’ottobre del 2005 quelle consultazioni di grande successo che candidarono Prodi alla Presidenza del Consiglio furono effettivamente primarie, molto partecipate. Allora, Prodi era il candidato ufficiale dei Democratici di Sinistra che, avendo rinunciato a presentare un loro candidato, lo appoggiarono e contribuirono in maniera decisiva al suo successo. C’erano già state alcune elezioni primarie, per esempio, quella del gennaio 2005 vinta da Vendola per diventare governatore della Puglia. A Bologna, si potrebbero ricordare anche le non limpidissime primarie del 1998 che incoronarono Silvia Bartolini candidata a sindaco dei DS.

La dichiarazione chiara e netta di Prodi che non andrà a votare per scegliere il segretario del Partito Democratico può certamente essere interpretata in due modi. Nessuno dei candidati in lizza riscuote il suo consenso e la sua approvazione. Peraltro, molti di coloro che si riconoscerebbero come ” prodiani”, anche fra i parlamentari eletti proprio grazie ai loro legami con Prodi, hanno già annunciato il loro sostegno al sindaco Renzi. Potrebbero ripensarci e riposizionarsi? Qualcuno l’ha già fatto. La seconda interpretazione, più plausibile, è che Prodi ritenga che il Partito Democratico non meriti il suo voto perché è andato molto fuori strada rispetto alle sue aspettative. Qualcuno aggiunge che la posizione di Prodi dipende anche dalla delusione provata al momento della mancata elezione alla Presidenza della Repubblica. Chiamandosi fuori e affermando ancora una volta che ha abbandonato la politica attiva, Prodi rinuncia anche a dare qualsiasi apporto alla trasformazione positiva del Partito Democratico. Qualcuno potrebbe inevitabilmente pensare che Prodi lo ritenga non soltanto andato fuori strada, ma addirittura irrecuperabile.

Il quesito adesso è quanti, condividendo l’analisi negativa e pessimistica di Prodi, decideranno di seguirlo nel non-voto. La parziale correzione di rotta di Prodi non pare sufficiente a rimotivare coloro che già nutrivano dubbi sul Partito Democratico, resi più gravi dai brogli e dagli imbrogli in alcune, comunque troppe, situazioni locali di tesseramenti squilibrati e gonfiati. Tocca ai candidati alla segreteria del PD scongiurare una bassa affluenza alle urne. Fermo restando che chi non partecipa ha sempre torto, proprio chi condivide l’analisi di Prodi dovrebbe non chiamarsi fuori, ma andare a votare per il candidato meno peggio che voglia ricostruire il partito. A prescindere da qualsiasi altra considerazione, senza un decente partito di centro-sinistra (Democratico o Socialdemocratico) il sistema politico italiano non riuscirà mai a funzionare in maniera soddisfacente. Da questo punto di vista, l’astensione di Prodi, con le ricadute che potrebbe provocare, è quantomeno un errore.