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Chi viene eletto al Colle non è padrone né notaio @fattoquotidiano

Sento acuta (sic) l’esigenza di passare dal toto nomi presidenziali al toto qualità. Non intendo in nessun modo limitarmi alle qualità che si attaglino al mio presidente preferito (che ho), ma sono convinto che il toto qualità è l’esercizio più fecondo. Bisogna saperlo fare magari non partendo con il piede sbagliato. No, non è vero che, come scrive Galli della Loggia, “i Padri costituenti commisero l’errore di attribuire [al Presidente della Repubblica] tali e tanti poteri da rendere comunque possibile la trasformazione di quella figura … da notaio del sistema politico a suo padrone di fatto”. Né l’uno né l’altro termine sono corretti e, fra l’altro, il loro uso significa non avere capito un bel niente della metafora della fisarmonica formulata da Giuliano Amato e da me, debbo proprio scriverlo, variamente e ulteriormente elaborata e precisata. Quella metafora sta appunto ad indicare che il Presidente non è mai definito e congelato né come notaio né, meno che mai, come “padrone di fatto” del sistema politico.
Quando si accinsero a scrivere gli articoli relativi alla Presidenza della Repubblica, fin da subito i Costituenti si resero conto che non avevano modelli democratici da imitare. Molte democrazie parlamentari erano monarchie. Escluso il presidenzialismo USA, non era neppure il caso di guardare alla Repubblica di Weimar. Rimaneva la Quarta Repubblica francese (Costituzione prima bocciata, poi, ottobre 1946, approvata in un referendum, à la minorité des faveurs (astenuti e contrari più numerosi dei favorevoli), come dichiarò tanto ruvidamente quanto efficacemente il gen. De Gaulle che, lo abbiamo imparato, aveva un’altra idea/progetto di Repubblica). Meglio, decisero i Costituenti, innovare e riuscirono, con virtù e fortuna, a dare vita ad una figura dotata di poteri flessibili, ma, in buona misura, controbilanciati. Su un punto misero subito in chiaro, direi imperiosamente, che il Presidente “rappresenta l’unità nazionale”.
La batteria di poteri istituzionali e politici di cui, consapevolmente e non sbagliando, dotarono il Presidente derivano in parte dai poteri che aveva il monarca in parte da quelli indispensabili al buon funzionamento di una democrazia parlamentare. Non sono affatto poteri assoluti e svincolati. Il Presidente nomina il Presidente del Consiglio, ma sappiamo (e quel che più conta lo sa lui) che deve tenere in grandissimo conto la necessità che quel Presidente del Consiglio ottenga la fiducia delle due Camere. Il Presidente scioglie (ma anche no) il Parlamento quando, “sentiti” i Presidenti delle Camere, ha acquisito la convinzione che quel Parlamento non è (più) in grado di esprimere e sostenere un governo operativo. Qui debbo subito aggiungere che è del tutto raccomandabile che i parlamentari chiamati ad eleggere il Presidente tengano in grande considerazione l’autorevolezza, la competenza e l’affidabilità personale, politica e istituzionale di chi intendono votare.
Tanto nel rappresentare l’unità nazionale (quindi mostrarsi orgogliosamente patriota) quanto, ancor più, nello scegliere il capo del governo e nello sciogliere o no il Parlamento, il Presidente avrà maggiore o minore autonomia a seconda della forza dei partiti e del sistema dei partiti. Potrà, cioè, aprire e suonare la fisarmonica come e quanto preferisce oppure dovrà tenerla chiusa e riporla. Basterà un solo esempio. Se i segretari di alcuni partiti hanno formato una coalizione che ha la maggioranza in Parlamento e si sono accordati sul nome del Presidente del Consiglio, il Presidente ne prenderà atto, ma se gli offrono una rosa di nomi avrà la possibilità di scegliere. Se i partiti non sanno dar vita ad una coalizione di governo, il Presidente potrà, all’insegna della stabilità politica, suggerire, indicare, adoperarsi per una soluzione suonando la fisarmonica alla sua massima estensione. Non diventerà comunque “il padrone di fatto” del sistema politico. Rimarrà un protagonista che opera in nome dell’unità nazionale, che sfrutta al massimo la flessibilità istituzionale che è in tutte le democrazie parlamentari il loro massimo pregio.
La metafora della fisarmonica spiega come e entro quali limiti quel pregio può, anzi, deve manifestarsi e tradursi in realtà “effettuale” (Machiavelli). Ne concludo che i parlamentari che si accingono a votare il prossimo Presidente dovrebbero basare il loro voto anche su una difficile, ma significativa valutazione: “il/la presidenziabile ha le competenze e il carattere per fare il miglior uso della fisarmonica dei suoi poteri costituzionali, per suonarla nella maniera più efficace, politicamente e democraticamente armoniosa?” Quell’armonia dipende oggi anche dai rapporti con coloro che agiscono a livello europeo mettendo a buon frutto la condivisione delle sovranità nazionali come qualsiasi patriota colto sa e vorrebbe fare.
Pubblicato il 6 gennaio 20221 su Il Fatto Quotidiano
Venezuela: qual è il male minore?
Gli storici e spesso anche i politologi raccontano che le democrazie cadono per impotenza, quando né i governanti né i cittadini reagiscono con sufficiente vigore alle sfide dei non democratici. La democrazia venezuelana è crollata circa vent’anni fa per implosione quando i due partiti più importanti e più simili ai partiti europei COPEI e Acción Democratica hanno rivelato di essere gusci vuoti, non avendo saputo mantenere rapporti e legami con gli elettori venezuelani. Dunque, per capire la profondità e la gravità della crisi attuale dobbiamo partire dall’esistenza di una “situazione” (regime non è, perché non è affatto consolidato) di autoritarismo a forti tinte populiste che non ha pienamente risolto la crisi di successione dal fondatore Chavez a Maduro. Fintantoché una parte rilevante dei poteri, non solo facticos, sostiene Maduro, non sarà possibile nessuna transizione, ma, allo stesso tempo, fintantoché parte importante della società venezuelana mantiene il suo stato di mobilitazione, Maduro potrà anche cambiare la Costituzione, coartare il Parlamento, dimissionare i giudici sgraditi e nominare giudici subalterni, incarcerare e uccidere gli oppositori, ma non riuscirà a stabilizzare il sistema politico né a legittimare il suo governo.
L’opinione pubblica internazionale ha già sicuramente condannato Maduro, ma i governi democratici nel resto del mondo manifestano preoccupazioni che non sanno come tradurre in azioni concordate. In Venezuela, come in altri casi di appena minore importanza (penso allo Zimbabwe), si scontrano due principi non compatibili. Il primo principio è quello, tutt’altro che accettato da tutti i governanti e da tutti gli Stati, della difesa dei diritti umani, soprattutto del diritto alla vita e alla dignità, per tutti. Ma, chi decide quando e quanto quei diritti sono stati violati in maniera non più tollerabile da richiedere un intervento esterno? Qui sta il secondo importante principio, quello della sovranità nazionale. A nessuno può essere consentito di interferire negli affari interni di uno Stato. Debbono essere i cittadini di quello Stato a decidere che cosa fare, che cosa non fare, fino a quando tollerare. Se in Venezuela c’è una situazione di guerra civile chi decide come intervenire e a favore di chi? Comunque, qualsiasi intervento esterno sarebbe una palese violazione della sovranità nazionale.
Di fronte a due mali, che è regolarmente la condizione nella quale diceva il grande filosofo politico Isaiah Berlin, ci troviamo a dovere scegliere, quale preferire? Ritenere più importante la sovranità nazionale oppure la tutela delle vite delle donne, degli uomini, dei cittadini? Nel caso specifico del Venezuela, personalmente ho pochi (ma alcuni, sì) dubbi: bisogna salvare le vite, la loro dignità, la possibilità di un futuro migliore. Tuttavia so anche che chi interviene dovrebbe essere adeguatamente attrezzato (non soltanto di armamenti, ma di credibilità politica e etica) per impedire vendette, per stabilizzare la situazione, per creare opportunità di pacificazione fra le parti in causa. È un problema di leadership che, questo sì, esclusivamente i venezuelani hanno il dovere di risolvere. Purtroppo, persone come Nelson Mandela compaiono raramente sulla faccia del mondo.