Gli storici e spesso anche i politologi raccontano che le democrazie cadono per impotenza, quando né i governanti né i cittadini reagiscono con sufficiente vigore alle sfide dei non democratici. La democrazia venezuelana è crollata circa vent’anni fa per implosione quando i due partiti più importanti e più simili ai partiti europei COPEI e Acción Democratica hanno rivelato di essere gusci vuoti, non avendo saputo mantenere rapporti e legami con gli elettori venezuelani. Dunque, per capire la profondità e la gravità della crisi attuale dobbiamo partire dall’esistenza di una “situazione” (regime non è, perché non è affatto consolidato) di autoritarismo a forti tinte populiste che non ha pienamente risolto la crisi di successione dal fondatore Chavez a Maduro. Fintantoché una parte rilevante dei poteri, non solo facticos, sostiene Maduro, non sarà possibile nessuna transizione, ma, allo stesso tempo, fintantoché parte importante della società venezuelana mantiene il suo stato di mobilitazione, Maduro potrà anche cambiare la Costituzione, coartare il Parlamento, dimissionare i giudici sgraditi e nominare giudici subalterni, incarcerare e uccidere gli oppositori, ma non riuscirà a stabilizzare il sistema politico né a legittimare il suo governo.
L’opinione pubblica internazionale ha già sicuramente condannato Maduro, ma i governi democratici nel resto del mondo manifestano preoccupazioni che non sanno come tradurre in azioni concordate. In Venezuela, come in altri casi di appena minore importanza (penso allo Zimbabwe), si scontrano due principi non compatibili. Il primo principio è quello, tutt’altro che accettato da tutti i governanti e da tutti gli Stati, della difesa dei diritti umani, soprattutto del diritto alla vita e alla dignità, per tutti. Ma, chi decide quando e quanto quei diritti sono stati violati in maniera non più tollerabile da richiedere un intervento esterno? Qui sta il secondo importante principio, quello della sovranità nazionale. A nessuno può essere consentito di interferire negli affari interni di uno Stato. Debbono essere i cittadini di quello Stato a decidere che cosa fare, che cosa non fare, fino a quando tollerare. Se in Venezuela c’è una situazione di guerra civile chi decide come intervenire e a favore di chi? Comunque, qualsiasi intervento esterno sarebbe una palese violazione della sovranità nazionale.
Di fronte a due mali, che è regolarmente la condizione nella quale diceva il grande filosofo politico Isaiah Berlin, ci troviamo a dovere scegliere, quale preferire? Ritenere più importante la sovranità nazionale oppure la tutela delle vite delle donne, degli uomini, dei cittadini? Nel caso specifico del Venezuela, personalmente ho pochi (ma alcuni, sì) dubbi: bisogna salvare le vite, la loro dignità, la possibilità di un futuro migliore. Tuttavia so anche che chi interviene dovrebbe essere adeguatamente attrezzato (non soltanto di armamenti, ma di credibilità politica e etica) per impedire vendette, per stabilizzare la situazione, per creare opportunità di pacificazione fra le parti in causa. È un problema di leadership che, questo sì, esclusivamente i venezuelani hanno il dovere di risolvere. Purtroppo, persone come Nelson Mandela compaiono raramente sulla faccia del mondo.