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Politica, intervista a Gianfranco Pasquino @FuturoEuropa
Gianfranco Pasquino (1942), torinese, laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio si è specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Professore di Scienza politica nell’Università di Bologna dal 1969 al 2012, è stato nominato Emerito nel 2014. Ha insegnato cinque anni (1970-1975) alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, alla School of Advanced International Studies di Washington, D.C., alla Harvard Summer School, all’Università di California, Los Angeles. È stato Fellow di ChristChurch e St Antony’s a Oxford ed é Life Fellow di Clare Hall, Cambridge. Attualmente è Senior Adjunct Professor of European and Eurasian Studies alla Johns Hopkins University SAIS Europe di Bologna. Fra i fondatori della “Rivista Italiana di Scienza Politica”, ne è stato Redattore Capo dal 1971 al 1977 e condirettore dal 2000 al 2003. È anche stato Direttore della rivista “il Mulino” dal 1980 al 1984. Condirettore, insieme a Norberto Bobbio e Nicola Matteucci del Dizionario di Politica (UTET 2016, 4a) di cui ha scritto una trentina di voci, fra le quali “Governi socialdemocratici” e “Rivoluzione“. Co-curatore dello Oxford Handbook of Italian Politics (2015) e autore di Italian Democracy. How It Works (2020) . Già Senatore della Sinistra Indipendente dal 1983 al 1992 e dei Progressisti dal 1994 al 1996, è socio dell’Accademia dei Lincei.
Le recenti elezioni regionali con la sconfitta di Salvini hanno al momento rafforzato il governo Conte, il pericolo è scampato o viste le tensioni con Itala Viva di Renzi il percorso sarà ancora irto di ostacoli?
Sono contento che “le elezioni del secolo” si siano svolte in Emilia-Romagna e del risultato che ne è conseguito, perché se avesse perso la sinistra di Bonaccini ci sarebbe stato un rimbalzo molto forte e sgradevole. Viceversa ha perso Salvini e il governo ha ripreso la sua dinamica, è un esecutivo sostenuto da due partiti più alcune componenti come LEU e Italia Viva, che non sono molto vicine in termini politici. Queste forze hanno aspettative diverse e le persone che ne fanno parte provengono da percorsi diversi, questo porta alla nascita di vari problemi. Purtroppo Renzi possiede una innata capacità di intralciare, danneggiare, sabotare, l’attività di governo; e lo fa perché ha bisogno di spazio e visibilità, ha necessità di interviste, è una vera e propria mina vagante, difficile capire se voglia fare cadere il governo o meno. Non credo sia nel suo interesse, ma già in passato ha commesso errori di questo tipo e non posso escludere che non li commetterà adesso. Farlo ora sarebbe molto grave, perché in caso di elezioni anticipate vorrebbe dire consegnare il paese a Salvini e al centro-destra, anche se in termini non così ampi come loro credono. Questo a meno che Salvini non commetta errori in campagna elettorale, come ha fatto anche recentemente. A maggior ragione bisogna evitare che vinca prima dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Il governo dovrebbe quindi durare fino a gennaio 2022, e penso sia un obiettivo conseguibile.
Già in passato, in occasione degli incontri in Nomisma con il Cattaneo riguardo passate elezioni, lei sosteneva che l’Emilia-Romagna sia un caso particolare nel panorama italiano. Alla luce di questa considerazione possiamo presumere che ci sia una ripresa nazionale della sinistra o siamo di fronte a una vittoria limitata alla situazione particolare dell’Emilia-Romagna?
L’Emilia-Romagna continua a rimanere un caso a sé stante, così come Bologna, non mi pare ci siano i motivi per cambiare idea, ma si possono individuare alcuni elementi importanti. Il primo punto è che laddove il PD si apre ad apporti esterni, che possono convergere su una persona, in questo caso il Presidente Bonaccini aveva lavorato bene, gli si riconoscono doti di onestà e competenza. Ora bisogna trovare qualcuno a livello nazionale che sia capace di amministrare, in maniera onesta, rigorosa, vigorosa, posso citare il caso di Zingaretti che è segretario, ma non parlamentare. Quindi per le prossime elezioni bisognerebbe arrivare ad avere un partito aperto e inclusivo. Trasportare “semplicemente” il modello Emilia-Romagna a livello nazionale mi pare sbagliato. Bisogna agire a seconda delle elezioni, non esportare il modello.
Il Movimento delle Sardine forse non ha portato voti nuovi, ma ha riportato alle urne elettori che si erano disaffezionati e non votavano più. Anche questo è un fenomeno limitato all’Emilia-Romagna o può avere una valenza nazionale in futuro?
Nella misura in cui le Sardine capiranno che devono operare di volta in volta laddove si aprono opportunità, possono essere importanti e a volte anche decisive. Nel caso dell’Emilia-Romagna hanno certamente portato ai seggi persone che altrimenti non sarebbero andate a votare. Questo può succedere anche altrove, che poi possano risultare decisive a livello nazionale è complicato dirlo. Bisognerà vedere come si arriverà alle elezioni, come si presenteranno, che tipo di organizzazione riusciranno a darsi, se con una loro lista e un simbolo specifico. Oppure se vogliono limitarsi a dare indicazioni di voto zona per zona, identificando candidati del centro-sinistra da sostenere. Questo è tutto da verificare. Sarebbe sicuramente utile che la legge elettorale consentisse di dare almeno una preferenza, in questo caso si potrebbe indicare di volta in volta la persona giusta da votare. Votando questa persona automaticamente si voterebbe il partito della sinistra che rappresenta.
Lei pensa che il Movimento delle Sardine possa avere un futuro e non sia destinato a spegnersi in breve tempo?
La possibilità di un futuro esiste, ma il futuro va creato, e quindi devono capire come vogliono organizzarsi, perché una struttura se la devono dare. In altri contesti direi che si deve iniziare dalle elezioni locali. Ci sono quattro elezioni regionali che stanno arrivando, potrebbero provare a rimettersi alla prova. Cercare di capire se possono trovare le persone giuste, puntando a quello che tecnicamente viene chiamato processo di istituzionalizzazione. Andare subito alle elezioni nazionali mi pare complicato, ma tutto questo è ovviamente affidato alla loro capacità di mettere insieme le sparse membra della sinistra.
Le Sardine potrebbero ipoteticamente raccogliere l’eredità del primo Movimento 5 Stelle che si sta disfacendo?
Potrebbero sì, ma in realtà il Movimento 5 Stelle non è partito come le Sardine. Nacque grazie a e con un leader che era Beppe Grillo. I loro quattro coordinatori sono indubbiamente persone con delle capacità, ma mentre il Movimento 5 Stelle è partito dall’alto, loro hanno preso il via dal basso. Riuscire quindi anche a darsi una leadership visibile è un problema, Grillo raccoglieva insoddisfazione a tutto campo, da sinistra a destra. Le Sardine raccolgono i malesseri della sinistra, per cui il loro bacino è più contenuto. Sarei quindi molto cauto nel paragone, anche se hanno certamente dei margini di crescita, mentre il Movimento 5 Stelle è in chiara discesa.
Lei è stato uno dei propugnatori della legge sul conflitto di interessi che non ha mai visto la luce, alla luce del caso Berlusconi a suo tempo, ma anche Casaleggio recentemente, ne vedremo mai la nascita?
Temo di no, perché i conflitti di interesse sono moltissimi, e quindi se si va a una regolamentazione vera troppe persone dovrebbero privarsi di cariche, mi pare molto complicato. Si potrebbe cercare di impedire che chi ha palesi conflitti di interesse vada a ricoprire incarichi di governo. Bisognerebbe riuscire a comprendere cosa è la democrazia nei partiti, e quindi riuscire a disciplinare come i partiti scelgono le candidature, come formano i programmi, le coalizioni in cui si mettono, tutte cose delicatissime.
Il governo Conte ora dovrà mettere in campo provvedimenti per durare, quali?
Il primo problema del governo Conte sarà riuscire a rilanciare l’economia, e non sarà facile, oltretutto il corona-virus sta operando contro l’Italia, paese che esporta molto verso la Cina. Se non si cresce non si producono posti di lavoro, e quindi il malcontento aumenta. Bisogna dare atto al Presidente Conte di avere una grande capacità di raccontarsi, di stare sulla cresta dell’onda spiegando le cose in maniera chiara e semplice. Ma l’onda è molto bassa, a meno che non scatti qualcosa a livello europeo tipo la green economy.
Anche i nodi come i decreti immigrazione ora verranno al pettine, e non sarà facile districarli.
Sì, ma anche il problema immigrazione al momento ha perso la sua presa, non è più il problema maggiormente saliente, al primo posto metterei il lavoro e l’economia, magari rivalutando anche il reddito di cittadinanza. Salvini ha cavalcato il problema immigrazione, ma oggi mi pare che questo abbia meno peso sulle opinioni degli elettori. La competizione rimane apertissima.
Pubblicato il 28 febbraio su FuturoEuropa.it
Buongoverno la lezione del voto
In Emilia-Romagna ha avuto ragione il Presidente uscente Stefano Bonaccini a impostare la campagna elettorale su tematiche specificamente regionali. Invece, ha sbagliato e ha perso nettamente Matteo Salvini cercando di utilizzare il voto degli emiliani-romagnoli come un’arma contro il governo nazionale. Non soltanto tutti i dati disponibili dicono che da tempo la Regione Emilia-Romagna è in testa a quasi tutte le graduatorie nazionali, ma la candidata della Lega appariva inadeguata tanto che stava sempre, non solo figurativamente, almeno due passi dietro Salvini. La seria battuta d’arresto di Salvini nella sua apparentemente irresistibile avanzata si accompagna anche al sorpasso in termini di voti del Partito Democratico sulla Lega che era diventato il primo partito nelle elezioni europee del non lontano maggio 2019. La crescita elettorale del PD, comunque, l’argine effettivo nei confronti della Lega, è quasi sicuramente dovuta anche alla intensa mobilitazione delle “sardine” contro Salvini stesso e la sua propaganda sempre ai limiti delle offese e dell’odio.
Proprio nei luoghi, da Bologna a Parma, dove era nato a suon di “vaffa” indirizzati per lo più contro il Partito Democratico e i suoi dirigenti, il Movimento 5 Stelle registra la sua caduta ai livelli più bassi del consenso elettorale. Paga il prezzo di una leadership nazionale inadeguata e in via di trasformazione, delle sue incertezze se presentarsi o no e se rivendicare o no la (bontà della) sua coalizione di governo con il PD. L’insoddisfazione politica e il desiderio di profondo cambiamento che il Movimento aveva intercettato e interpretato si sono oggi diretti, almeno in Emilia-Romagna, altrove. In buona misura è possibile e corretto sostenere che le sardine hanno saputo cogliere una parte di quella insoddisfazione soprattutto fra molti di coloro che, nell’ampio ambito della sinistra, erano preoccupati, scettici, sconfortati. Le sardine hanno ottenuto un buon successo di mobilitazione, ma adesso il compito diventa più difficile: come organizzare e mantenere la mobilitazione, quale struttura leggera, ma efficiente, costruire?
La mancata “spallata” salviniana e, più in generale, della destra, al governo è una buona notizia per il Presidente del Consiglio e per gli italiani che pensano che la stabilità politica è indispensabile per rimettere in moto l’economia e fare alcune importanti riforme. Con moderazione, il Partito Democratico e il suo segretario possono rallegrarsi senza, però, abbandonare l’arduo compito di costruire una struttura politica più aperta e più capace di includere le diversità della sinistra. Triste sembra, invece, il destino dei Cinque Stelle incapaci di bloccare le ingenti perdite verificatesi anche nel voto in Calabria. Ragionando, dovrebbero cercare di guadagnare tempo restando al governo, rivendicando le loro riforme nella speranza che l’elettorato torni da loro. L’Emilia-Romagna dice che il buongoverno può essere premiato.
Pubblicato AGL il 28 gennaio 2020
Dopo il voto regionale chi ha vinto e chi ha perso? L’analisi e le conseguenze #intervista @LumsaNews
Lumsanews ha intervistato il politologo Gianfranco Pasquino sugli esiti del voto
Intervista raccolta da Diana Sarti
All’indomani dei risultati elettorali ottenuti dai partiti nelle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, Lumsanews ha intervistato il politologo Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna, per analizzare gli esiti del voto e i risvolti che questo avrà.
Quale partito esce rafforzato da questa tornata elettorale?
“Sicuramente il Partito democratico che in Emilia Romagna riesce a effettuare il controsorpasso sulla Lega. La Lega lo aveva sorpassato alle elezioni europee del maggio 2019 e in queste elezioni invece c’è stato il controsorpasso del Pd. Chi ne esce malissimo è invece il Movimento 5 Stelle in entrambe le regioni. La Lega non ne esce benissimo perché aveva investito molto sulle elezioni in Emilia Romagna e invece ha perso nonostante tutto quello che Matteo Salvini potrà dire.”
Le elezioni regionali hanno evidenziato tutte le difficoltà del M5S. È corretto parlare di ritorno al bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra?
“Penso di no. I partiti devono essere contati quando contano, questa è la lezione di Giovanni Sartori. Vale a dire quando sono in grado di dare vita a coalizioni di governo o quando dall’opposizione sono in grado di influenzare l’azione di governo. Il sistema partitico italiano è multipartitico. Non siamo nel bipolarismo anche se qualche volta può esserci una competizione bipolare come nel caso delle elezioni regionali.”
L’alta affluenza che si è registrata alle urne in Emilia Romagna (67,7%) come la interpreta? Quanto hanno pesato le Sardine?
“Il paragone andrebbe fatto tra le elezioni amministrative di ieri e le elezioni europee del 2019 perché le elezioni regionali del 2014 videro il livello più basso di affluenza, una parte di dissenzienti di sinistra non andò a votare. Credo comunque che una leggera crescita di affluenza ci sia stata. Gli elettori sapevano che la posta in gioco era molto alta. La scelta era tra mantenere la situazione attuale che ha dato grandi vantaggi alla regione oppure provare con una candidata inesperta per avere qualche cosa di diverso.
Le Sardine poi hanno contribuito a svegliare una parte di elettorato di sinistra. Probabilmente hanno anche convinto i giovani che bisogna andare a votare anche quando è la prima volta. Il loro voto ha avuto effetti positivi per la Sinistra nel suo insieme.”
Quali riflessi ci saranno sul governo? Il Pd potrebbe rivendicare più potere all’interno della maggioranza.
“Il Pd sbaglierebbe a rivendicare più poteri. Quello che conta sono i numeri in Parlamento e il M5S continua a essere più grande del Pd in Parlamento. È nell’interesse del Pd e dei 5S continuare in questa esperienza. Il Pd semmai deve ricordare ai 5s che le cose devono essere fatte. Le riforme concordate devono essere fatte o riformate a loro volta. Le due scadenze chiave sono la fine della legislatura nel marzo 2023 e poi l’elezione del Presidente della Repubblica nel gennaio del 2022.”
Pubblicato il 27 Gennaio 2020
Né martire né furfante, per ora #gregoretti
Con il voto dei suoi cinque senatori leghisti, Matteo Salvini ha ottenuto quel che, dopo qualche giravolta, voleva. La Giunta delle autorizzazioni a procedere ha deciso di inviare all’aula del Senato la raccomandazione di consentire l’apertura del processo nei suoi confronti per sequestro di persona. Il 17 febbraio saranno, dunque, i senatori a stabilire, non la colpevolezza oppure no del loro autorevole collega, ma l’esistenza di materiale sufficiente a che quel processo si tenga. Finora, l’intera vicenda non è stata edificante. Si è svolta, non all’insegna dell’analisi dei fatti e dei documenti, ma dell’uso più o meno favorevole di quell’evento. Da un lato, Salvini si è fatto guidare dalla sua convinzione di poterne trarre comunque un qualche tornaconto elettorale. Dall’altro, la maggioranza che sostiene il governo ha mirato, disertando la riunione, a evitare che si giungesse alla decisione. In estrema sintesi, il Movimento 5 Stelle e, soprattutto, il Partito Democratico hanno pensato che fosse preferibile procrastinare qualsiasi decisione affinché non “interferisse” con le cruciali elezioni in Emilia-Romagna.
L’ex-Ministro degli Interni, impegnato pancia a terra in queste elezioni, ha prima proclamato di avere difeso gli interessi degli italiani e che, quindi, un eventuale processo avrebbe coinvolto tutti gli italiani. Poi, ha scelto, sempre con lo sguardo rivolto alle elezioni, di presentarsi come vittima di quei “giustizialisti” dei Cinque Stelle e del PD, quasi un martire. In qualche misura, mi pare, ma il mio giudizio non può che essere soggettivo, che Salvini abbia ecceduto –comportamento che gli è alquanto congeniale. Ha addirittura annunciato, in maniera del tutto prematura, che nelle carceri italiane, a lui ex-Ministro degli Interni ben note, si dedicherà a un libro, Le mie prigioni, proprio come quello scritto dal patriota Silvio Pellico, gettato in inospitali carceri austriache. Il lato più sgradevole della “difesa” di Salvini è l’appello al popolo, quasi una chiamata di correo a coloro che lo hanno votato e lo sostengono, contro la magistratura, contro le esistenti norme e regole dei procedimenti giudiziari. Questo elemento non deve essere perso di vista, ma fortemente criticato.
Criticabile, però, in una certa misura, è anche la strategia di entrambi i partiti di maggioranza. Le date erano note perché fissate da parecchio tempo e le intenzioni dell’opposizione e del Presidente della Giunta, Gasparri, chiarissime fin dall’inizio. Votare motivatamente a favore dell’autorizzazione a procedere, ovvero a consentire che prima il Senato poi il Tribunale dei ministri si esprimessero, era procedura più lineare, inoppugnabile. Adesso la parola passa agli elettori emiliano-romagnoli che sanno che l’oggetto della sfida di domenica 26 gennaio non è stabilire se Salvini è un martire o un furfante, ma decidere chi governerà la regione: il presidente in carica Bonaccini o la candidata leghista Borgonzoni (non Salvini)? Il resto a suo tempo.
Pubblicato AGL il 21 gennaio 2020
Perché l’Emilia, non il Mattarellum, dovrebbe preoccupare il governo. Parla Pasquino #Intervista @formichenews
Il politologo a Formiche.net: nessun contraccolpo sul governo dalla decisione della Consulta, le leggi elettorali riguardano il Parlamento e non l’esecutivo. Se in Emilia vincerà Bonaccini il governo dovrà stappare un prosecco. E non chiamatelo Germanellum
Intervista raccolta da Maria Scopece
Le discussioni sulla nuova legge elettorale proporzionale, cosiddetta “germanellum”, e le decisioni della Consulta su due quesiti referendari, la proposta Calderoli e il taglio dei parlamentari, agitano le acque della politica italiana. Allo stesso tempo il voto regionale in Emilia Romagna e in Calabria mettono alla prova la tenuta della coalizione governativa giallorossa. Di queste nuove sfide per l’esecutivo ne abbiamo parlato con il prof. Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna.
Il germanellum può essere una buona legge per la cultura politica italiana?
Prima di tutto io sconsiglio in maniera più assoluta di ricorrere al latino per definire le leggi elettorali italiane. Queste espressioni sono tutte fondamentalmente sbagliate e quando va bene sono fuorvianti, quindi da buttare. Questa elegge elettorale non la chiamiamo germanellum e nemmeno germanicum perché in comune con il sistema elettorale tedesco questa legge ha solo la clausola di esclusione, il 5%, tutto il resto sono prerogative italiane e fatte abbastanza male. Per esempio il diritto di tribuna con il sistema elettorale tedesco non c’entra nulla, inoltre il sistema tedesco ha metà dei parlamentari eletti in collegi uninominali mentre nella legge proposta in Italia non c’è nulla di tutto questo. Funziona? Non lo so. C’è il voto di preferenza? Non lo so ma se non c’è quello che so è che una brutta legge proporzionale.
Quali sono i partiti che ne potrebbero trarre giovamento?
Non so chi può avere interesse e spesso chi ha interesse sbaglia perché non sa come perseguire l’obiettivo che vuole. Certo una legge proporzionale consente a molti partiti di tornare in Parlamento, se qualcuno vuole di più deve proporre un maggioritario fatto bene.
Come potrebbe cambiare il sistema partitico italiano nel caso in cui entrasse in vigore una legge di tipo proporzionale?
Nel caso in cui entri in vigore una legge proporzionale non cambia nulla. I partiti che ci sono tornano tutti in Parlamento a esclusione di Leu per via della clausola di esclusione del 5% e forse a esclusione di Italia Viva perché non ha ancora raggiunto la soglia del 5%.
E secondo lei non ha possibilità di raggiungerla nel tempo che ci separa dalle prossime elezioni?
Potrebbe raggiungerla ma la legge elettorale non va costruita né per fare entrare in Parlamento Italia Viva né per tenerla fuori. La clausola del 5% sta bene in un sistema proporzionale perché cerca di limitare la frammentazione del sistema partitico. Se però a questa legge si aggiunge il diritto di tribuna allora viene incentivata la frammentazione perché alcuni partiti cercheranno di entrare in Parlamento anche con quelle clausole che, tra l’altro, sono cervellotiche. Quindi ci si troverà con sette, otto, dieci parlamentari che appartengono a qualche schieramento piccolissimo.
Quindi il cavillo che favorisce la frammentazione è nel diritto di tribuna.
Sì, il diritto di tribuna favorisce la frammentazione, ma una legge elettorale proporzionale fotografa l’eventuale frammentazione non spinge all’aggregazione. Questo è sicuro.
Una legge proporzionale di solito prevede che le alleanze si facciano una volta acquisito il risultato delle urne mentre il Pd ha posto il tema di un’alleanza pre-elettorale con il M5S. Come si risolve questo rebus? Come possono comportarsi il M5S e il Pd in relazione alle alleanze nel caso in cui dovesse essere varata una norma proporzionale?
Tutte le leggi proporzionali nelle democrazie parlamentari che conosciamo dell’Europa occidentale hanno delle coalizioni di governo che si formano in Parlamento. È stato così anche in Italia tra il 1946 e il 1994, non c’è nulla di cui stupirsi. Se noi vogliamo che vinca un partito solo è necessario varare un sistema elettorale maggioritario che, probabilmente, è quello inglese ma sbaglieremmo a pensare a una traduzione automatica del sistema inglese in Italia perché nel sistema inglese funziona così perché ci sono solo due grandi partiti che possono raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Altrove non succederebbe così e la mia previsione è che il sistema inglese in Italia troverebbe un sistema con tre-quattro partiti in Parlamento ancora costretti a fare una coalizione. Intendiamoci non c’è nulla di male a fare le coalizioni in Parlamento.
Perché fare coalizioni preventive, come dice il Pd con il M5S, se si ha un sistema elettorale proporzionale?
Secondo me è un errore perché bisognerebbe riuscire a ottenere il massimo dei voti e quindi è meglio che il M5S corra da solo senza dire con chi si alleerà ed è meglio che il Pd corra da solo per dire “votate noi perché siamo la garanzia che faremo un governo decente”. Fare un’alleanza precedente alle elezioni rischia di far perdere voti a un versante, tutti gli elettori M5S che non vorrebbero mai un governo con il Pd, e all’altro, gli elettori del Pd che voterebbero Pd ma non per farli andare al governo con il M5S. È semplicemente sbagliato.
La Consulta è chiamata a prendere due decisioni importanti, da una parte c’è il referendum sull’eliminazione della quota proporzionale dalla legge elettorale e dall’altra il referendum contro il taglio dei parlamentari. Secondo lei le decisioni della Consulta possono avere effetto sulla durata del Governo o, in vista delle politiche, in termini di alleanze?
Nella mia infinita ingenuità mi auguro sempre che la Consulta decida sulla base del quesito che le è stato presentato, se il quesito è accettabile o meno, e non si chieda se accettando il referendum la vita del governo viene allungata o accorciata. Io credo che il referendum contro la riduzione del numero dei parlamentari sia accettabile, coglie dei punti che sono rilevanti. Se i cittadini votano contro la riduzione del numero dei parlamentari la situazione resta immutata e non c’è alcun problema giuridico.
Più problematico potrebbe essere il quesito posto dal senatore Calderoli.
Qui la situazione è più delicata. La legge Rosato è una legge proporzionale per due terzi e maggioritaria per un terzo, l’eventuale riforma punta a rendere il sistema ancora più proporzionale. Di solito la Consulta risponde, anche se non sempre in maniera troppo convinta e convincente, che bisogna che la legge che rimane sia immediatamente applicabile. La legge che rimane dal quesito di Calderoli è quasi immediatamente applicabile ma poiché richiede collegi uninominali richiede una stesura, una riflessione, un ritaglio dei collegi quindi la Consulta potrebbe rilevare che legge non sia direttamente applicabile. Al che, se fossi un sostenitore di Calderoli, penserei che dovrebbe essere il Parlamento, in caso di esito positivo del referendum, a disegnare i collegi e nel mentre varrà la legge elettorale vigente.
Il governo subirà contraccolpi dalle decisioni della Consulta?
Il governo dovrebbe essere totalmente disinteressato, succeda quel che succeda, le leggi elettorali guardano al Parlamento e non al governo.
Invece le prossime elezioni in Emilia Romagna che effetto possono avere sul governo?
Se vince Bonaccini il governo dovrà necessariamente brindare, trovare prosecco buono ed essere contento. Se vince Salvini invece dovrà preoccuparsi. Però dal punto di vista sostanziale l’esecutivo non ha nulla da temere perché quelle sono le elezioni per eleggere il presidente dell’Emilia Romagna per i prossimi cinque anni. Il Governo si fonda sulla maggioranza parlamentare che ha attualmente, quei numeri non vengono intaccati. Certo è un brutto segno se in Emilia Romagna passa il centro destra ma i numeri in Parlamento ci sono. Potrei aggiungere che, in caso di vittoria del centro destra, il governo potrebbe pensare che è necessario rinsaldare l’alleanza governativa e andare avanti con le riforme proprio per convincere gli italiani a riconfermarli e per far scoppiare la bolla del consenso elettorale di Salvini.
Pubblicato il 14 gennaio 2020 su Formiche.net
Emilia-Romagna, il politologo Pasquino a @tpi: “Bonaccini senza carisma, Salvini ignorante, Borgonzoni incapace”
Intervista al politologo sulle elezioni del 26 gennaio: “Vince chi fa meno errori. Le sardine? Possono spostare voti a vantaggio del centrosinistra” di Enrico Mingori
A Bonaccini “manca il carisma”, Salvini è “un ignorante” e Borgonzoni “non saprebbe da che parte cominciare per governare l’Emilia-Romagna”. Gianfranco Pasquino ci va giù pesante quando parla dei protagonisti delle elezioni regionali più attese degli ultimi anni. Il 26 gennaio in Emilia-Romagna si decide il nuovo governatore, ma – forse – anche il futuro del governo giallorosso.
“Vince chi fa meno errori nell’ultima settimana di campagna elettorale”, riflette il politologo, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna ed ex senatore (fu in parlamento con la Sinistra Indipendente e i Progressisti tra gli anni Ottanta e Novanta).
Professore, per oltre cinquant’anni le elezioni in Emilia-Romagna sono state poco più di una formalità per il centrosinistra. Adesso per la prima volta la partita sembra davvero aperta. Perché?
La partita è aperta perché la destra è cresciuta in questo paese e, in maniera un po’ sorprendente, anche in Emilia-Romagna: c’è un leader trascinante al quale piace fare campagna elettorale, che è Matteo Salvini, e c’è l’aspettativa che lui riesca a sconvolgere gli equilibri dell’Emilia-Romagna all’insegna di uno slogan ben scelto: “Liberate l’Emilia-Romagna dal controllo esercitato sulla regione prima dal Partito comunista e poi dal Partito democratico”.
In questa campagna elettorale, oltre ai candidati, c’è un nuovo protagonista: il popolo delle sardine. Che ruolo gioca questo movimento? E può spostare dei voti?
Il popolo delle sardine probabilmente sposterà dei voti, se – come sembra – è essenzialmente un movimento di giovani. I giovani generalmente non sempre votano la prima volta: se le sardine riusciranno a portare a votare una parte di questi giovani, potrebbe essere un vantaggio per Bonaccini.
Le elezioni dell’Emilia-Romagna non sono mai state così attese a livello nazionale. Se vince la Lega, cade il Governo?
Bonaccini fa bene a sottolineare che si vota per la Regione. Ma è chiaro che se il centrodestra riuscirà a ottenere questa vittoria insperata aumenterebbero le pressioni sul presidente della Repubblica e da parte dell’opinione pubblica per andare a verificare il consenso dell’attuale governo nel paese. In queste elezioni regionali c’è, eccome, una valenza nazionale. E sarebbe sbagliato non sottolinearla.
Ius soli o finanziaria? L’uno non esclude l’altra. Parola di Pasquino @formichenews
Il pregio del bicameralismo è che rende possibile esperire una pluralità di compiti grazie ad un’accurata divisione del lavoro a condizione che la maggioranza sia coesa e intelligente. Il commento di Gianfranco Pasquino
Perché mai bisognerebbe contrapporre i diritti sociali ai diritti civili? E addirittura anteporre i diritti sociali ai diritti civili? Più chiaramente, qualcuno, mi sembra di avere capito che è, fra gli altri, la posizione di Romano Prodi, ritiene che il Partito Democratico ha sbagliato a perseguire e garantire i diritti civili degli omosessuali e dei trans gender prima e a scapito del diritto al lavoro. Questa posizione ha subito trovato conforto, più o meno opportunistico, da un lato, in Di Maio che ha dichiarato il suo essere “sconcertato” dalla proposta di Zingaretti di formulare leggi in materia di ius soli e di ius culturae, dall’altro, nel Presidente dell’Emilia-Romagna il PD Stefano Bonaccini per il quale la revisione della plastic tax viene molto prima dell’estensione del diritto di cittadinanza. Se interpreto correttamente questa posizione, il timore è che se il Parlamento, già oberato dalla Finanziaria, s’impegnasse ad analizzare e valutare i disegni di legge in materia di cittadinanza, non troverebbe il tempo per rivedere la plastic tax e altro. Questo timore sembra essere condiviso da Forza Italia e cavalcato da Salvini e Meloni.
Nella storia della conquista e dell’espansione dei diritti, splendidamente scritta dal sociologo inglese T.H. Marshall, sono venuti prima i diritti civili, quelli del cittadino, libertà di espressione, associazione, culto, proprietà; poi quelli politici, votare ed essere eletti, creare partiti, fare propaganda; infine, ma non dappertutto, i diritti sociali, salute, istruzione, lavoro, assistenza, pensione. La sequenza ha richiesto più o meno tempo, in qualche sistema politico, pure democratico, non è ancora stata completata (v. la salute negli USA). Inoltre, con il governo della signora Thatcher, molti studiosi (ma anche il regista Ken Loach!) hanno notato e fatto rilevare che il taglio dei diritti sociali, lavoro e salute, finiva per incidere negativamente sui diritti politici e persino su quelli civili. Privati del lavoro, molti cittadini non avevano più le risorse per utilizzare i loro diritti civili e politici.
Non elaboro il punto che un Parlamento bicamerale organizzato in Commissioni non avrebbe il tempo di procedere in un suo ramo alla discussione, emendamento e approvazione della Finanziaria, rivedendone aspetti delicati, come la plastic tax (sic), mentre l’altro ramo si dedica ai pure molto delicati ed eventualmente, ma non inevitabilmente, complicati disegni di legge in materia di ius soli e ius culturae. Non è così. Infatti, il pregio del bicameralismo è che rende possibile esperire una pluralità di compiti grazie ad un’accurata divisione del lavoro a condizione che la maggioranza sia coesa e intelligente. Mi preme, invece, sottolineare che coloro che cittadini non sono rischiano in questo paese di trovarsi esposti allo sfruttamento. In maniera leggermente diversa, ma compatibile, sia lo ius soli sia lo ius culturae costituiscono due strade percorribili affinché i migranti nati in questo paese da genitori stranieri ottengano la cittadinanza su loro richiesta in base a chiari requisiti di tempo e di completamento di un ciclo educativo. Divenuti italiani, potranno anche godere dei diritti sociali fra i quali quello al lavoro. Oggi in troppe situazioni i migranti privi di cittadinanza vedono i loro diritti sociali elusi e spesso calpestati. I diritti civili sono la precondizione cruciale per godere dei diritti sociali. Insieme i due grappoli di diritti si rafforzano. Quando mancano i diritti civili, l’accesso ai diritti sociali dipende dall’arbitrarietà, è raro, episodico oppure tristemente negato. L’esito è una società ingiusta.
Pubblicato il 19 novembre 2019 su formiche.net
L’Emilia Romagna? Un test nazionale che il Pd non può perdere. Firmato Pasquino @formichenews
Sì, le elezioni in Emilia-Romagna sono un test nazionale, ma la Lega può permettersi di non vincere. Il Partito democratico e i suoi sostenitori non possono permettersi di perdere. Il Movimento 5 Stelle, invece, non sa più cosa può o non può permettersi. Il commento del politologo Gianfranco Pasquino
Lo sanno tutti che il 26 gennaio 2020 si voterà per eleggere il Presidente della regione Emilia-Romagna. Che c’è un Presidente in carica, Stefano Bonaccini, giustamente ricandidato dal Partito Democratico, e che c’è una sfidante della Lega, Lucia Borgonzoni. Sanno anche, gli elettori, mentre i commentatori si esibiscono in spericolate arrampicate sugli specchi, che molti pensano che la sfida abbia sapore, ma, quel che più conta, effetti nazionali. Infatti, vincendo l’Emilia-Romagna, regione simbolo della sinistra, anche più della Toscana, la Lega e il centro-destra rivendicheranno la guida del paese. Sosterranno, lo scrivo con parole colte, che il governo legale, quello prodotto dal Parlamento eletto nel marzo 2018, non rappresenta più il paese reale, quello che, elezione locale dopo elezione locale, dimostra l’esistenza di una maggioranza numerica (probabilmente anche politica) del centro-destra.
Non c’è nessuna contraddizione a pensare che in un’elezione importante si possano ritrovare ed esprimere due significati. Il balletto della, non so come chiamarla, dirò sinistra (almeno fino quando non irromperà Renzi…) che mira a restringere l’effetto delle elezioni al solo ambito locale, è scomposto e mal posto. Lo è soprattutto, ma attendo le autorevoli parole di Dario Franceschini, per coloro che vorrebbero costruire un’alleanza “organica” fra PD e Cinque Stelle, che numeri alla mano, è la sola potenzialmente in grado di impedire una prossima vittoria nazionale del centro-destra.
In preda a sue convulsioni politiche e personali, Di Maio non sa decidere che cosa sia meglio: appoggiare esplicitamente il candidato del PD (convintamente mi pare troppo per lui e per i Cinque Stelle emiliano-romagnoli che hanno prosperato sulle passate difficoltà del PD e sulla insoddisfazione grande di parte dell’elettorato di sinistra, insoddisfazione non terminata che sta parzialmente confluendo nella Lega) oppure fare altro, al momento del tutto imprecisato, fino al suicidio non assistito di non presentare liste. Nel caso della non presentazione delle liste pentastellate, già di per sé brutto messaggio, e della successiva sconfitta del candidato del PD, non resterebbe che prendere atto che la coalizione nazionale Cinque Stelle-Partito Democratico non soltanto è del tutto occasionale, ma non ha, almeno fintantoché Di Maio rimarrà capo politico del Movimento, nessuna probabilità di estendersi e rafforzarsi.
La notizia potrebbe persino essere buona per il governo Conte. Disarticolati sul territorio, i due temporanei alleati nazionali sanno che le elezioni politiche sarebbero per loro disastrose. Quindi, fra tensioni e conflitti e un tristissimo stillicidio di noiosissime dichiarazioni tireranno a campare, oramai lo sanno tutti, fino alla lontanissima data dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica (gennaio 2022). Non basteranno le molte “sardine” (dimostranti) in Piazza Maggiore a Bologna e neppure i giornalisti di “Repubblica” che sostengono che il PalaDozza non era pieno come se questo fatto ridimensionasse i voti che andranno alla Borgonzoni. Incidentalmente, il sottoscritto che, tifoso di basket e abbonato Virtus, il PalaDozza lo conosce bene, giovedì sera ci è andato e può assicurare che era sostanzialmente al completo con un centinaio di persone in piedi.
Where do we go from here? Qualcuno direbbe, magari lo dico io, che bisogna ripartire dalla realtà: alzare la posta senza fare paragoni alla Zingaretti fra gli anni Venti del secolo scorso e i “nostri” imminenti anni Venti. Sì, le elezioni in Emilia-Romagna sono un test nazionale, ma la Lega può permettersi di non vincere. Il Partito Democratico e i suoi sostenitori non possono permettersi di perdere. I Cinque Stelle sono forse già allo stadio che non sanno neppure più che cosa possono permettersi e no.
Pubblicato su formiche.net
Chi sta arrivando all’ultima spiaggia?
Milano Marittima che, lo ricordo ai lettori, è una cittadina balneare in Romagna, non ha portato fortuna al Matteo Salvini dell’oramai celebre bagno chiamato Papeete. È molto probabile che ad agosto il Capitano della Lega non pensasse alle elezioni della regione Emilia-Romagna. Dopo la sua dolorosa (auto)esclusione dal governo nazionale e la gioiosa vittoria nella regione Umbria, Salvini ha deciso per molte buone regioni di tentare con una sua candidata di conquistare la Presidenza dell’Emilia-Romagna. Da un paio di settimane “batte” tutto il territorio della regione con una miriade di iniziative. Gli piace fare campagna elettorale, interloquire con chi va ai suoi comizi, prestarsi ai selfie, provocare. È una presenza corposa che i suoi avversari fanno fatica ad arginare. Le elezioni in Emilia-Romagna sono rapidamente diventate un duello “Salvini contro il Partito Democratico”. Per la prima volta dalla nascita dei governi regionali nel 1970 quella che è possibile e corretto chiamare l’egemonia della sinistra è messa seriamente in discussione. La sinistra ha garantito il buongoverno della regione. L’ha fatta crescere e diventare la seconda, prima è la Lombardia, o terza, la competizione è con il Veneto, regione italiana con riferimento agli indicatori che contano: reddito, livelli di occupazione, tessuto industriale, servizi sociali e, naturalmente, benessere.
Nelle elezioni di maggio 2019 per il Parlamento Europeo la Lega è sorprendentemente diventata il primo partito in Emilia-Romagna, superando, seppur di poco, il Partito Democratico. Il Presidente della regione, Stefano Bonaccini, è un politico del PD, sicuramente non-carismatico, ma amministratore capace e esperto. Cerca di portare il confronto proprio sul piano delle sue qualità di governo rispetto a quelle, sostanzialmente ignote, della leghista Lucia Borgonzoni, già sottosegretaria alla Cultura, che tre anni fa obbligò il sindaco del Partito Democratico al ballottaggio.
In un certo senso, il voto degli emiliano-romagnoli che cinque anni fa produssero la sorpresa di un’altissima astensione, votò meno del 40%, come clamorosa protesta contro i non pochi scandali dei rimborsi dei Consiglieri del PD e non solo, conterà doppio. Certo, tutti sanno che si vota per la regione, ma sono anche abbondantemente consapevoli che il loro voto è destinato ad avere conseguenze nazionali. Se vince la candidata della Lega, Salvini si ascriverà la vittoria e sosterrà ancora una volta, ma con più forza, che il governo giallo-rosso è abusivo, non rappresenta la maggioranza degli italiani, deve andarsene. Nelle democrazie parlamentari i governi possono rimanere in carica finché godono della fiducia del parlamento, ma una sconfitta in Emilia-Romagna, dove il Movimento 5 Stelle non ha neppure deciso se presentarsi, sarebbe più che un pessimo segnale per il governo Conte (e per il Partito Democratico). Indicherebbe che la non coesa alleanza che lo sostiene è già quasi arrivata all’ultima spiaggia.
Pubblicato AGL il 15 novembre 2015