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Vittorio Sgarbi e dintorni. Il brutto affare delle cariche pubbliche e degli interessi privati @DomaniGiornale

Il liberalismo politico nasce per sostituire nelle decisioni di governo il potere delle risorse, in special modo economiche, con il potere del voto. Fu e rimane un obiettivo tanto ambizioso quanto difficile da conseguire, ma indispensabile per le democrazie e la loro qualità. Ci sono molti modi per fare politica in democrazia: per spirito di servizio e per passione, ma non è da sottovalutate l’ambizione. Ottenere e utilizzare le cariche politiche, di rappresentanza e ancor più di governo, per produrre miglioramenti nella società e nel sistema politico, avendo in ricompensa la rielezione, cariche più elevate, prestigio e riconoscimenti e, al punto più elevato, “entrare nella storia”. Gli ambiziosi che hanno queste motivazioni sono uomini e donne politiche delle quali i cittadini possono fidarsi. Preferiranno e perseguiranno interessi generali, pubblici anche se a scapito di loro eventuali interessi privati. Comunque, riterranno che loro interesse superiore non è l’arricchimento, ma il riconoscimento dell’operato al servizio del paese. L’affermarsi di queste persone in politica è la migliore garanzia della democrazia, non solo liberale, e al tempo stesso, uno degli esiti migliori del suo funzionamento.
In politica, nella politica democratica che è aperta a tutti, nei limiti delle loro capacità, desideri, obiettivi, entrano anche uomini e donne che mirano a proteggere e promuovere i loro interessi privati, le loro attività personali. Raramente, ma eccezionalmente, costoro sono i grandi ricchi. Infatti, sono loro che possono influenzare direttamente le decisioni e i decisori con il denaro e le loro reti di relazioni. Molto più spesso, invece, troviamo chi in qualche modo è riuscito a conquistare una carica elettiva e di governo per la sua popolarità, sull’onda dell’avversione per i politici di mestiere, esibendo qualche sua competenza specifica. Fino a che di sola rappresentanza si tratta, chi volesse perseguire suoi interessi personali dovrebbe convincere il suo partito e i relativi ministri e poi una maggioranza di parlamentari. Potremmo ritenere quell’interesse deleterio per il bene comune, ma se è stato premiato da procedure democratiche, trasparenza e votazioni, l’alternativa praticabile consiste nello sconfiggere la maggioranza in carica e costruire un governo diverso.
Potremmo anche criticare i partiti che reclutano parlamentari di quel tipo. Più grave è, in partenza, la situazione quando il reclutamento dei ministri, vice-ministri e sottosegretari viene effettuato senza tenere conto del potenziale conflitto d’interessi. Questo punto, ovvero che altri esponenti del governo Meloni si trovano in un conflitto d’interessi, è stato sostenuto dall’(”ex”?) Sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. La sua denuncia, molto tardiva, che andrebbe, comunque, verificata, non serve a cancellare il suo personale conflitto di interessi accertato dall’Antitrust. Non è una buona linea difensiva quella che si basa sulla semplice constatazione che, con i suoi scritti, le sue consulenze, le sue inaugurazioni di mostre e musei, tutto rigorosamente a pagamento, il Sottosegretario sta semplicemente continuando la sua (lucrosa) attività professionale. Al contrario, è una cospicua aggravante. Sarebbe sufficiente sottolineare l’alta probabilità che le sue attività private sottraggano tempo al suo compito pubblico che, ovviamente, dovrebbe essere preminente, esclusivo.
Se conflitto d’interessi significa specificamente uso della carica pubblica per obiettivi privati, allora il conflitto esiste, verticalmente. Potrebbe, meglio avrebbe potuto essere evitato se il Sottosegretario avesse con una nobile dichiarazione preventiva, rinunciato alle sue numerose attività professionali, che invece ostenta, per tutta la durata del suo mandato. Data la sua popolarità è certo che le avrebbe sicuramente recuperate con gli interessi, in seguito. Che un conflitto fra la carica pubblica e le attività professionali esista anche per altri uomini e donne di governo in Italia spetta stabilirlo alle varie autorità preposte a questo controllo. Più di un segnale sparso suggerisce che nell’assegnare le cariche di governo probabilmente la Presidente del Consiglio non ha prestato sufficiente attenzione alla tematica del conflitto di interessi. È ora di porre rimedio a situazioni deprecabili, dannose per la funzionalità del governo e la qualità della democrazia.
Pubblicato il 7 febbraio 2024 su Domani
Narrazioni dei tempi che furono
Sostengono i politologi, ma soprattutto gli studiosi di comunicazione politica, che nella politica delle democrazie hanno fatto la comparsa due fenomeni sostanzialmente nuovi: la campagna elettorale permanente e la “narrazione”. In Italia, a livello nazionale, qualcosa di entrambi i generi fu prodotta da Silvio Berlusconi ed è stata ripresa e rilanciata, a modo suo, da Matteo Renzi. A livello locale, a Bologna, nel suo piccolo sono apparsi alcuni frammenti. E’ vero che, pochissimo tempo dopo la sua elezione, Merola annunciò che avrebbe voluto un secondo mandato. Poi, però, non ha saputo strutturare una vera e propria campagna elettorale “permanente” e il corso del suo mandato si è semmai caratterizzato per essere carsico: qualche annuncio seguito da silenzio e poi da altri annunci. Cattivi discepoli del berlusconismo e candidature evanescenti, Sgarbi o no, hanno reso impossibile una qualsivoglia campagna elettorale di rilancio per il centro-destra. Tra un’espulsione e una scomunica neppure il Movimento 5 Stelle ha potuto e saputo programmare una campagna duratura. Naturalmente, gli alti e bassi, le evanescenze, le tensioni interne rendono ancor più difficile la costruzione di una narrazione, più o meno politica. Narrazioni meno politiche e più personali farebbero probabilmente poca presa sull’elettorato bolognese, anche se i 40 mila nuovi elettori potrebbero avere aspettative più sociali che politiche. Comunque, di narrazioni non se ne vede nessuna, neanche abbozzata. Il sindaco procede sfruttando qualche occasione, qualche inaugurazione, qualche monumento (molto importante e commovente quello alla Shoah), ma non sembra avere la capacità e i consulenti in grado di imbastire una narrazione attraente. Totalmente dimentico dell’efficace “narrazione” di Giorgio Guazzaloca (una pregevole “storia bolognese”), il centro-destra traccheggia, avendo già da fin troppo tempo abbandonato l’idea non solo di vincere, ma di essere competitivo. La Lega e la sua candidata procedono esclusivamente sulle code di Salvini che, a Bologna, non sono certamente in grado di portare lontano. Quanto al Movimento 5 Stelle dà l’impressione di non avere trovato nessun filo narrativo della Bologna che c’è e della Bologna che dovrebbe esserci sotto la loro eventuale guida. Dovremmo rallegrarci dell’assenza di narrazioni che, spesso, sono anche manipolazioni? Soltanto in parte. Infatti, l’assenza di narrazioni bolognesi è anche il prodotto dell’incapacità di tutti i finora candidati di spiegare in maniera approfondita che tipo di città hanno vissuto e in quale tipo di città, per di più, presto metropolitana, desiderano e s’impegnano a condurre i bolognesi, di vecchio stampo e di nuova acquisizione. Non bene.
Pubblicato il 30 gennao 2016
Investimenti o boutade?
E’ dal 1999, cioè, da quando il centro-destra con un colpo di fortuna (suo, non di Giorgio Guazzaloca che aveva costruito la sua candidatura e condotto la sua campagna elettorale in maniera molto accurata), che non emerge da quel settore uno sfidante competitivo per gli ex-comunisti, oggi democratici. L’evanescenza del centro-destra ha consentito al Partito Dominante (PD) di farne di tutti i colori fino al commissariamento della città. Molti pensano che il centro-destra, a cominciare da Berlusconi, dia regolarmente Bologna per persa e si occupi d’altro. Subito vengono le smentite da alcuni esponenti del centro-destra, ad esempio da Deborah Bergamini che di candidature dovrebbe per l’appunto (pre)occuparsi. Dall’intervista a questo giornale apprendiamo che Forza Italia e il suo leader non escludono le primarie anche se finora le hanno viste come fumo negli occhi e non hanno mai provato ad organizzarle. Proprio quando sembrava che Deborah Bergamini, avesse trovato e addirittura intendesse mettere in pista un candidato dotato di esperienza politica e di conoscenza della città: Galeazzo Bignami, si è prodotto un fatto nuovo. Intervistato dal Corriere di Bologna, il critico d’arte, già parlamentare del centro-destra, già candidato a sindaco di Ferrara, già sindaco di Salemi, cittadina siciliana commissariata per infiltrazioni mafiose, già assessore in qua e in là, noto per il garbo delle sue esternazioni, Vittorio Sgarbi ha lanciato la sua candidatura a sindaco di Bologna. Ha addirittura iniziato a formare la giunta con due nomi di sinistra, immagino neppure consultati, offrendo con grande generosità la carica di vice-sindaco a Merola. Sgarbi sarebbe ovviamente un (auto)paracadutato che, per ricorrere ad un lessico già usato nel passato per candidati che gli ex-comunisti non riuscivano a trovare, meriterebbe la definizione di briscolone. Subito ritenuta buona da un parlamentare di Forza Italia, l’eventuale candidatura di Sgarbi contribuisce a mettere in evidenza la perdurante confusione del centro-destra bolognese. Al di là di qualsiasi altra considerazione, se candidasse Sgarbi, al quale non è affatto detto che andrebbe il sostegno della Lega, che già ha una sua candidata ufficiale, Lucia Borgonzoni, il centro-destra rinuncerebbe a costruire una sua politica di medio-lungo termine. Sembrerebbe più opportuno che il centro-destra investisse fin d’ora su un candidato radicato nel tessuto politico e sociale bolognese il quale, se sconfitto, opererebbe in Consiglio comunale come leader dell’opposizione che critica, controlla, contropropone preparandosi alla prossima volta. Ecco, questo si chiamerebbe davvero fare politica contribuendo a migliorare il governo della città.
Pubblicato il 21 agosto 2015
