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Le lezioni da imparare dalla sconfitta con il tycoon @DomaniGiornale

Quella che si è combattuta al Golf Club di Turnberry, Scozia, di proprietà personale del Presidente USA Donald Trump, è stata una battaglia importante, ma non campale e, meno che mai definitiva nella guerra dei dazi da Trump voluta. Quasi tutti i commentatori sostengono che Trump ha imposto una pesante sconfitta alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e di conseguenza all’Unione Europea e a tutti gli Stati membri compresa l’Ungheria dello stupidamente giubilante Viktor Orbán. Tutti i commentatori sollevano molti dubbi sull’effettiva praticabilità di alcune misure concordate, in particolare, l’obbligo di acquisto di energia e equipaggiamento militare USA per 750 miliardi di dollari e di investimento di 250miliardi sul mercato USA. Si preannunciano molte, inevitabili, costose e prolungate controversie fra USA e UE che potrebbero essere un serio danno collaterale di questa guerra.
Nel frattempo, naturalmente, opportunamente e tristemente, tutti i produttori e investitori europei, grandi, medi e piccoli, stanno facendo il conto delle molto probabili perdite e ingegnandosi a trovare alternative e rimedi. Almeno in parte, con fantasia creativa, i migliori operatori economici ci riusciranno, ma ad una sconfitta, politica prima ancora che economica, dovranno essere le autorità politiche e istituzionali europee a dare una riposta potente e inequivocabile, elaborata congiuntamente e fermamente condivisa.
Senza nessuna caccia alle streghe (sic), bisogna subito chiedersi se coloro che, come, Imperterritamente, Giorgia Meloni e la stessa von der Leyen, predicavano l’attesa e preannunciavano la ricerca di accordi con l’imprevedibile Trump, non abbiano gravemente indebolito la posizione negoziale dell’Unione e, quindi, non siano almeno in parte responsabili della pesantezza della sconfitta. Al proposito ricorrere al senno di poi è un’operazione che può essere molto fruttuosa. Peraltro, il senno di prima consigliava chiaramente di non presentarsi come appeasers alla Neville Chamberlain 1938, che traduco liberamente come calabrache e calabrachette.
Andare a cercare, talvolta con insistenza, di comprendere le ragioni dei comportamenti irragionevoli di Trump non era un gesto generoso e potenzialmente utile. Al contrario, era, come ha scritto su queste pagine Nadia Urbinati, un segno penoso di vassallaggio, degenerazione di un tipo di sovranismo. Per di più questo vassallaggio suggeriva a Trump che, non credendo fino in fondo alle sue minacce, l’Unione Europea non stava dedicando abbastanza tempo e energie alla formulazione di contromisure da temere per qualità e per efficacia. L’imposizione di dazi più o meno pesanti aveva e mantiene come obiettivo trumpiano anche quello di dimostrare che l’Unione Europea non è (ancora) una grande potenza e comunque non sa e non riesce a comportarsi come tale. “Parassiti” (termine usato dal Vice-Presidente Vance) in materia di difesa militare, “profittatori”, secondo Trump, grazie alla libertà di commercio tutelata dagli USA, gli europei si meritano non una, ma molte lezioni. Probabilmente, sì, molte sono le lezioni da imparare mentre i dazi iniziano il loro accidentato e balordo percorso. La lezione politica più importante, però, la dovrebbero già conoscere tutti: l’Unione fa la forza. Jean Monnet e Altiero Spinelli l’hanno scritta e praticata in tutte le salse, senza tentennamenti. Fare i free riders (no, non i “portoghesi”) nell’Unione Europea indebolisce l’Unione senza dare molti vantaggi e premi a chi devia. La seconda lezione consegue. Bisogna porsi subito l’obiettivo di potenziare la leadership politica e istituzionale dell’Unione. Ursula von der Leyen deve essere la prima a interrogarsi sui suoi errori, su quelli della Commissione e sulle malaugurate prese di distanza di alcuni capi di governo europei. Governare la prima sconfitta e prepararsi alla battaglia prossima ventura richiede autocritica e visione. Von der Leyen 2.0 è sufficientemente attrezzata?
Pubblicato il 30 luglio 2025 su Domani
Europeismo o sovranismo? Il prof. Pasquino spiega perché Fitto è tra due fuochi @formichenews

La nomina di Raffaele Fitto vicepresidente non è una faccenda di italianità e neppure di bontà/generosità. Attiene alla visione d’Europa che la Commissione e il Parlamento esprimeranno e cercheranno di attuare seguendo, mi auguro, in massimo grado le indicazioni di due europeisti italiani: Letta, Enrico e Draghi, Mario. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica
Back to basics. Nell’Unione Europea la regola fondamentale per la formazione della Commissione è chiara. I governi nominano il/la loro Commissario/a, magari dopo avere scambiato qualche, più di una, idea con la Presidente della Commissione. La delega primaria, specifica, il cosiddetto portfolio, di quel Commissario dipende, in buona parte dalle sue competenze e attività pregresse, ma, in una (in)certa misura dalle necessità operative della Commissione, cioè quali compiti debbono essere svolti, quali rimarrebbero altrimenti scoperti. Con buona pace degli italiani, questa distribuzione non ha nulla a che vedere con il pure glorioso Manuale Cencelli.
Una volta nominato e “attrezzato”, ciascuno dei Commissari affronterà lunghe ed esaurienti udienze con le commissioni parlamentari di merito che, uso l’efficacissimo termine inglese, lo metteranno sulla griglia. Lì viene misurata la sua competenza, valutati i suoi propositi, meglio che ne abbia di precisi e praticabili, soppesato il suo tasso di europeismo. In quell’occasione non saranno pochi i parlamentari europei a ricordare ai commissari in pectore che chi entra a fare parte della Commissione deve dimenticare la sua provenienza nazionale e porre gli interessi e gli obiettivi europei molto al di sopra, meglio se del tutto, agli obiettivi, interessi, preferenze del suo Paese e del governo che l’ha nominato. Sappiamo dalle memorie scritte da molti commissari che si sono effettivamente impegnati in questo senso e, ex post facto, ne sono molto lieti e orgogliosi.
Sono sicuro che letizia e orgoglio sono i sentimenti che esprimerà anche l’uscente ottimo commissario Paolo Gentiloni. Fin d’ora mi auguro che al termine del suo mandato anche Raffaele Fitto vorrà e potrà raccontare con grande soddisfazione una storia simile. Sì, salvo errori e malaffari dei suoi sponsor italiani, Fitto farà certamente parte della prossima imminente Commissione europea. Questo suo ruolo non è minimamente in discussione. Quello che liberali, verdi e socialisti del Parlamento europeo mettono in discussione e respingono è l’opportunità di affidare una vicepresidenza di peso a chi è stato nominato da un governo sovranista che andrebbe a scapito della coesione e dell’efficacia della Commissione e sarebbe imbarazzante per lo stesso Fitto schiacciato tra i due fuochi di un europeismo che avanza e un sovranismo che gira all’incontrario le lancette dell’orologio, lo dico con tutta l’enfasi retorica di cui sono capace, della storia.
Male fanno e molto sbagliano coloro che, contro lo spirito dell’europeismo, chiedono al Partito Democratico di schierarsi seguendo improponibili appartenenze nazionali a favore di Fitto vicepresidente “pesante”. Non è una faccenda di italianità e neppure di bontà/generosità. Attiene alla visione d’Europa che la Commissione e il Parlamento esprimeranno e cercheranno di attuare seguendo, mi auguro, in massimo grado le indicazioni di due europeisti italiani: Letta, Enrico e Draghi, Mario.
Dal canto suo, Fitto avrà modo di esprimere il suo parare nelle audizioni. Finora, però, fanno testo le opinioni espresse da Giorgia Meloni e soprattutto il suo voto contrario a von der Leyen. Il resto si vedrà poiché rimangono molti i modi di essere influenti anche fuori da una non meritata vicepresidenza di peso e di prestigio.
Pubblicato il 12 settembre 2024 su Formiche.net

Fuori di testa
Errori e orrori di politici e comunicatori
Paesi Edizioni
«Draghi guida dell’Ue? Dipende da Macron… Sbagliato il no al Patto» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Secondo il politologo «Draghi ha risposto a una domanda, cioè cosa dovrebbe fare e cosa dovrebbe essere l’Europa. ha esplicitato un programma, resta da vedere se egli stesso sia la persona giusta per concretizzarlo»
Professor Pasquino: quante possibilità concrete ci sono di vedere Draghi alla guida della Commissione o del Consiglio europeo?
Certamente la figura di Draghi è visibilissima, notissima e in qualche modo utilissima a molti, se vogliamo risolvere problemi di un certo tipo. Al momento vedo alcune opportunità, ma non tantissime, che possa essere lui a guidare le prossime istituzioni europee. Bisognerà accertare l’esito del voto, vedere quanti seggi prenderanno le varie famiglie, verificare quale maggioranza si formerà e soprattutto chi, eventualmente, si intesterà la proposta Draghi, visto che qualcuno deve presentarla. Nel caso del Consiglio europeo dovrà essere avanzata da più capi di governo, per la Commissione occorre un accordo tra le varie famiglie politiche. Insomma non è un’operazione facilissima, ma neanche impossibile.
Salvini dice che i suoi non lo voteranno mai, Tajani dice che Draghi non è del Ppe: potrebbe essere Macron a prendersi carico della proposta?
Macron ha detto anche con una certa enfasi che lo vorrebbe alla guida dell’Europa. Se però il presidente francese è sufficientemente scafato, e penso di si, nel momento in cui lo proponesse dovrebbe aver già parlato con altri, a partire dai tedeschi. Su Salvini, beh, quello che dice Salvini non importa a nessuno, visto che non ha voti. Per quanto riguarda il Ppe c’è un problema di divisione al suo interno, e infatti ci sono ampi spazi di dissenso verso il bis di Ursula von der Leyen.
Sarà difficile che si accorderanno su una proposta unitaria. Se nemmeno il suo partito è d’accordo, il bis di von der Leyen è impossibile?
Mi pare assolutamente improbabile, a meno che Giorgia Meloni riesca a fare breccia e voglia lei intestarsi la spinta decisiva per il bis. Ma ritenevo questa ipotesi credibile fino a qualche settimana fa, ora molto meno.
Draghi di recente ha fatto un paio di discorsi sul futuro dell’Europa: sono il suo manifesto politico?
Draghi ha risposto a una domanda, cioè cosa dovrebbe fare e cosa dovrebbe essere l’Europa per competere a livello globale. Ha esplicitato un programma, resta da vedere se egli stesso sia la persona giusta per concretizzare quel programma in politiche effettive. Il punto di debolezza per Draghi a livello europeo è esattamente lo stesso che aveva in Italia, cioè che non ha un partito alle spalle, non ha interlocutori affidabili e quindi dovrà muoversi in acque sconosciute.
Beh, il gruppo Renew di Macron, come detto, lo sostiene apertamente…
Sì, ma Macron probabilmente non andrà bene alle Europee. Marine Le Pen in Francia prenderà più voti, e questo renderà difficili le trattative condotte da Macron. Se Renew andasse davvero bene allora questa sarebbe una spinta per Draghi, ma ho l’impressione che difficilmente sarà così.
Si parla anche di una maggioranza di centrodestra, dalla quale per la prima volta sarebbero esclusi i Socialisti: che ne pensa?
È assolutamente improbabile. E anche se fosse non sarebbe una maggioranza a trazione Salvini-Le Pen ma la guida sarà Meloni.
Pensa abbia l’esperienza tale per condurre le danze post voto?
Meloni ha le capacità politiche per riuscire a incidere. I numeri faranno la differenza ma non è chiaro cosa voglia perseguire esattamente e dipenderà anche dalla sua immaginazione politica.
Vuole essere quella che influisce o quella che determina?
Io credo che il problema sia che sovranismo significa meno Europa, un’Europa delle nazioni o delle patrie che è diversa da quella federalista che vogliono popolari, liberali e altri. Meloni certamente conterà più in Europa, ma che riesca a determinare chi guiderà l’Europa nei prossimi cinque anni mi pare un po’ più complicato.
Negli scorsi giorni tutti i partiti si sono astenuti sul nuovo Patto di stabilità: l’Italia ha un problema di credibilità in Ue?
Di credibilità ne abbiamo sempre avuta poca. Quando Giorgetti e Gentiloni sono d’accordo sono d’accordo anche io, perché significa che c’è qualcosa di buono. E quindi penso sia stato un errore non votare il Patto, soprattutto da parte del Pd. Quel patto serve anche all’Italia e prima o poi saremo costretti ad applicarlo. Una volta concordate le misure, è opportuno assumersi le proprie responsabilità.
Anche il centrodestra si è astenuto, andando contro il ministro Giorgetti…
La decisione ha creato qualche problema al governo, visto che ha fatto una cosa quando il ministro dell’Economia diceva di farne un’altra. Ma continuo a pensare che è bene che Giorgetti rimanda dov’è, piuttosto di mettere al suo posto un vassallo di Giorgia Meloni. Giorgetti deve continuare a combattere le sue battaglie, che sono fondamentalmente giuste.
A proposito di Lega, Vannacci sarà candidato nelle sue liste: che ne pensa?
Faccio un appello: andate a votare perché sono elezioni molto importanti e perché è giusto che i cittadini europei scelgano i loro parlamentari. Non votate chi non ha alcuna competenza in materia, chi non ha mai parlato di Europa e chi le farebbe solo del male. Che è l’identikit di Vannacci. La sua candidatura è uno specchietto per le allodole, ma spero che le allodole votino per qualcun altro.
Pubblicato il 26 aprile 2024 su Il Dubbio
Trovata una lettera di Giorgia Meloni a Emmanuel Macron @formichenews

Caro Emmanuel,
ho appreso dai giornali che intendi candidare Mario Draghi alla Presidenza della Commissione Europea. Ottima idea. Oltre ad essere un grande europeista, Draghi è italiano, quindi, almeno potenzialmente un patriota. Sono stata una ferma e coerente oppositrice del suo pasticciato governo. Lui ha cavallerescamente apprezzato e mi ha portato molta fortuna politica e elettorale. Non ho pensato di candidarlo a niente dopo averlo sentito dire, con una certa durezza al limite dell’irritazione: “Un lavoro sono in grado di trovarmelo da solo”. Immagino che tu gli abbia parlato de visu della tua pensata, pardon offerta, e che lui ti abbia autorizzato a farla circolare come ballon d’essai per vedere che effetto che fa. Allora, lasciami dire con nettezza che, in questa Unione Europea che io voglio cambiare e cambierò, ci sono delle procedure e delle regole da osservare. Noi, uomini e donne di destre, siamo molto rispettosi dell’esistente, delle tradizioni, delle gerarchie e, non da ultimo, dei risultati dei ludi cartacei, di nuovo, pardon, delle elezioni, in questo caso europee. Non ti nascondo che i miei Fratelli d’Italia sono fiduciosissimi in un ottimo esito: triplicare il numero dei nostri seggi parlamentari. Poi ci vedremo nel Consiglio dei capi di governo, naturalmente lo champagne lo porti tu, e discuteremo.
Hai già convinto i presidenti dei Popolari e dei Socialisti e Progressisti a rinunciare ai loro Spitzenkandidaten? Oppure con qualche vostra trama sotterranea e oscura avete raggiunto un ennesimo accordo di spartizione come quelli sui quali noi, non da oggi, sosteniamo avete costruito un’Europa dei banchieri e dei burocrati? Immagino che farai un bellissimo rotondissimo discorso per argomentare la validità, impossibile da mettere in dubbio, del tuo candidato. Non avendo sponsor partitici e non essendosi Draghi mai, proprio mai sottoposto al vaglio elettorale, sosterrò con fermezza, con un filo d’irritazione nella mia voce, che è ora di cambiare e quindi di scegliere una candidatura che rappresenti il popolo europeo o, se preferite, i popoli europei. Comunque, a proposito di rispetto delle regole, sia chiaro che Draghi è in quota della Francia, vale a dire, tu, caro Emmanuel, avrai giocato la tua carta, il tuo asso, ovviamente, di denari, e non potrai nominare nessun commissario francese.
Tutto questo mi pare abbastanza prematuro, ma le mie considerazioni rimangono. Vedremo nella campagna elettorale quali temi emergeranno, uno dei quali, lo annuncio da subito, dovrà essere sicuramente prendere atto che il duetto Germania-Francia ha esaurito, oramai da qualche tempo, la sua carica propulsiva. É ora di sostituirlo con una governance pluralista nella quale l’Italia da me solidamente e stabilmente governata ambisce essere una componente centrale e lo e merita. La campagna elettorale servirà anche a Draghi, se lo vorrà, per esprimersi sulle priorità dell’Unione Europea prossima ventura. Mica si limiterà a rimandarci a quanto ha detto e fatto nel passato? Infine, noi, Fratelli d’Italia, auspichiamo l’emergere di una pluralità di candidature. Diremo di più e a voce molto più alta dopo il voto che ci premierà e ci darà maggior peso politico. Il commissario italiano lo sceglierò io, personalmente. Non sarà un ultrasettantenne e avrà il compito di rappresentare un’altra visione d’Europa.
Bons baisers da Roma
Giorgia
Gianfranco Pasquino
Professore emerito di Scienza politica, Accademico dei Lincei, europeista
Pubblicato il 15 dicembre 2023 su Formiche.net
Le democrazie e la lezione della Polonia @DomaniGiornale

L’esito delle elezioni in Polonia, anzitutto sfavorevole al PIS, il partito Diritto e Giustizia, al governo da non pochi anni, in secondo luogo, premiante in termini di voti per Coalizione Civica, l’opposizione progressista pro-Europa, contiene molti insegnamenti. Il primo insegnamento, poiché la partecipazione elettorale è cresciuta significativamente giungendo ad un invidiabile 73 cento, dice che quando cittadini e cittadine percepiscono, anche grazie alla campagna elettorale, che la posta in gioco è alta, decidono di dedicare parte del loro tempo e delle loro energie per andare alle urne, per farsi contare e contare. Ottimo insegnamento democratico. Ne consegue anche che l’importante affermazione di Coalizione civica dipende dall’essere riuscita a caratterizzarsi come schieramento a favore dell’Unione Europea, quella che c’è e che può essere migliorata, contro le politiche di impronta sovranista del PIS. Vero e sincero europeista di lungo e coerente corso, Donald Tusk si è battuto anche in nome dello Stato di diritto, della rule of law, e contro le ripetute violazioni dei principi e dei valori che stanno alla base degli Stati democratici e della stessa Unione Europea. Una parte decisiva dell’elettorato polacco ha indicato con il suo voto che ritiene importantissimi proprio quei principi e quei valori che stanno in totale contraddizione con l’immagine che vuole dare di sé il Partito del Diritto e della Giustizia e con i contenuti delle sue politiche ripetutamente stigmatizzati dal Parlamento europeo e sottoposti a sanzioni dalla Commissione Europea.
A essere comunque sconfitto non è soltanto il sovranismo e il suo esercizio, ma gli elementi di più o meno sottile autoritarismo che permeano l’ideologia e la pratica politica del PIS e dei suoi governanti e dirigenti. Rimane da temere quanto quei governanti e dirigenti intenderanno fare per non cedere il potere politico alla coalizione che sta formandosi a sostegno del probabile governo guidato da Tusk.
La lezione “polacca” di maggiore rilevanza riguarda la democrazia, le definizioni del suo stato attuale, le analisi che si concentrano sulla sua, non meglio precisata e troppo spesso ripetitivamente, quasi compiaciutamente, denunciata, crisi, le sue prospettive future, qui in Europa e altrove. A chi ha gli strumenti per ascoltare e capire, i risultati polacchi mandano il messaggio che, fintantoché esistono le condizioni minime, di base per una competizione politico-elettorale equa, i cittadini hanno la possibilità di cambiare idee, voto, governi. In Polonia, non era in crisi la democrazia in quanto tale, come ideale. Era sotto attacco da parte di alcune elite, comprese quelle religiose cattoliche, il funzionamento delle istituzioni, a partire dall’ istituzione giudiziaria e dal rapporto governo/parlamento. Non esisteva una crisi generalizzata, tutto coinvolgente. Esistevano problemi di funzionamento e di funzionalità. La situazione appariva, ed effettivamente è, seria e delicata poiché quei problemi, in piccola misura fisiologici, venivano talvolta sfruttati e manipolati talvolta deliberatamente creati dalle elite politiche sovraniste appoggiate da elite economiche e religiose.
La democrazia si conferma il memo peggiore dei modelli di governo realmente esistenti poiché consente a tutti i protagonisti, popolo (sì, scelgo proprio questo termine che è la traduzione di demos) e elite, di imparare. Quando toccano il fondo i modelli autoritari e totalitari di governo si infrangono in misura diversa e variabile. Le democrazie rimbalzano.
Pubblicato il 18 ottobre 2023 su Domani
Dopo cento giorni, un bilancio sulle priorità di un uomo, certo non solo, al comando #GovernoDraghi
Cento e più giorni di Draghi: due grandi compiti, pandemia cum vaccinazioni e Piano di Ripresa e Resilienza. Entrambi affrontati costruendo su quel che di buono aveva fatto Conte, entrambi portati avanti con il PNRR giunto all’esame della Commissione. Draghi ha tutt’altro che sospeso la politica. Ha fatto e continua a fare scelte decisamente politiche fra le quali quella di “neutralizzare” i politici. Salvini rilancia e i dati gli rispondono. Letta propone e Draghi risponde che non è il tempo. Un uomo, non solo, ma certo al comando.
I 100 giorni di Draghi promossi dal prof Pasquino, ma… @formichenews
Piano di ripresa e resilienza, pandemia, equilibri parlamentari e con le forze politiche. L’alunno Mario Draghi passa a pieni voti gli esami dei primi 100 giorni di governo, eppure è utile non dimenticare che gli esami non finiscono mai. I voti di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, in libreria con “Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana” (Utet 2021)
Cento giorni non sono né tanti né pochi per valutare l’operato dell’alunno Mario Draghi, presidente del Consiglio. Reduce da un lungo periodo di Erasmus trascorso alla prestigiosa e ben frequentata Università di Francoforte, Draghi ha dimostrato di essere un alunno con notevoli basi nelle materie economiche. Il suo primo esame relativamente al quesito “Come scrivere un Piano di ripresa e resilienza” è stato svolto, con un qualche aiuto di provenienza Conte. La maggior parte dei commenti di più o meno improvvisati e preparati valutatori è stata positiva, ma quello che conterà davvero sarà il giudizio del professoroni della Commissione europea. Tuttavia, va segnalato che l’alunno Draghi ha dimostrato di avere le conoscenze necessarie anche ad una eventuale rapida riscrittura di alcune parti del suo tema. Si attende, pertanto, un voto buono, se non molto buono, probabilmente 8 più.
Il secondo esame che l’alunno Draghi ha dovuto affrontare è stato quello della pandemia in corso, il corso di Pandemia. Anche in questo caso ha saputo fare buon uso dell’aiutino da parte dell’alunno che l’aveva preceduto. Però, Draghi ha saputo (con qualche scambio con il suo vicino di banco, il ripetente Roberto Speranza) imprimere una accelerazione in particolare per quel che riguarda la vaccinazione e resistere a pressioni provenienti dal malvagio Franti Salvini per cervellotiche riaperture anticipate. La capacità di Draghi di saper fare di conto (non è chiaro alla Commissione se vi sia stato un pur legittimo ricorso ad algoritmi di vario tipo) e, soprattutto, la misurabilità dei fenomeni contagi, ricoveri, decessi, consentono di dare un voto alto, 9, all’operato in questo ambito, in attesa della molto ardua prova della produzione di un migliaio di Decreti Attuativi.
Fra le materie obbligatorie portate all’esame dall’alunno Draghi ve ne sono state due, particolarmente importanti per il proseguimento degli studi, ma anche abitualmente non prescelte per la loro difficoltà dalla grandissima maggioranza degli studenti: rapporti con il Parlamento e comunicazione politica. Il primo tema è stato affrontato inizialmente con grande cautela, con il rispetto dovuto, da un lato, alla complessità dei rapporti in un Paese nel quale vibra alto l’antiparlamentarismo, dall’altro, alla presenza in Parlamento, seppur non proprio frequentissima di vecchi volponi e di giovani volpine. Incoraggiato dal non avere sbagliato nessuno dei suoi primi colpi, l’alunno Draghi si è dimostrato capace di confrontarsi con tutti gli interlocutori, talvolta disarmandoli con le migliori conoscenze rese più gustose da un sottile sense of humour che alcuni componenti della Commissione giudicatrice (soprattutto chi redige questo verbale) hanno particolarmente apprezzato. Test superato con il punteggio 9.
Nel suo Erasmus, Draghi aveva dovuto comunicare con assemblee ristrette di persone che sostanzialmente parlavano la sua lingua e che non si attendevano grandi discorsi “esortativi” quanto piuttosto linee guida, decisioni e motivazioni convincenti. La prova orale della sua capacità di comunicazione politica, nota la Commissione, è avvenuta, oltre che nei discorsi al/in Parlamento, nelle conferenze stampa con giornalisti non molti dei quali particolarmente preparati. La Commissione ha rilevato con apprezzamento le propensioni dell’alunno Draghi alla precisione, alla concretezza, a risposte semplici, facilmente comprensibili, dirette anche ad un uditorio più vasto. Su questo terreno, il candidato ha mostrato notevoli e positive differenze rispetto ai politici verbosi e sussiegosi, ma anche ai professori inclini a presentarsi come quelli che ne sanno di più. Anche in questa materia Draghi merita un 9.
Nel giudizio riassuntivo allegato alla pagella, la Commissione ha sentito il dovere di segnalare due elementi. Primo, che molto alte sono le aspettative relativamente alle prestazioni future del diplomato Draghi. Rischiano di distrarlo dai compiti ancora in corso. Secondo, unanimi i Commissari ritengono di avvertire Draghi, promuovendolo con alti voti, che gli esami non finiscono mai.
Pubblicato il 23 maggio 2021 su formiche.net
Crossing Europe #4marzo Il futuro dell’Europa. Conoscenza dell’UE e suo funzionamento. Prospettive future
4 marzo 2021 ore 11 – 13
Gli studenti del Liceo Sabin di Bologna incontrano online il prof. Gianfranco Pasquino per discutere di
Unione Europea: il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo
Sua costruzione storicopolitica: perché, quando, come, chi
Le istituzioni europee: Consiglio dei Capi di Stato e di Governo; Parlamento; Commissione…
Il futuro della UE
Crossing Europe è realizzato in collaborazione con l’Associazione di docenti dell’Università di Bologna «Parliamone ora»
Se Roma piange Bruxelles non ride
La critica al governo Conte e allo stesso Presidente del Consiglio per i ritardi nella preparazione del Piano di Ripresa è, al momento, prematura. Infatti, la prima bozza di quel Piano è attesa dalla Commissione per metà febbraio. Poi, sulla base dei commenti, dei rilievi, dei suggerimenti che certamente ci saranno e saranno utili, il testo definitivo dovrà essere consegnato entro la fine di aprile. Sul merito, Conte ha accettato buona parte delle critiche e delle indicazioni di ItaliaViva la cui uscita dal governo adesso è un atto assolutamente pretestuoso, tecnicamente irresponsabile. Direi doppiamente irresponsabile. Renzi vuole avere la possibilità di continuare a sparare bordate contro il governo rifiutando qualsiasi responsabilità, ma la tempo stesso agisce in maniera irresponsabile rispetto agli impegni presi dal governo italiano con la Commissione Europea. La destabilizzazione di un governo, di qualsiasi governo, è sempre sgradita nell’ambito dell’Unione Europea poiché crea incertezza e incide sull’attività degli operatori economici. Non è un caso che tra ieri e oggi lo spread fra il valore dei titolo di Stato tedeschi e quelli italiani sia subito salito. Un conto, poi, sono le elezioni tenute alla loro scadenza naturale. Un conto molto diverso è una campagna elettorale improvvisa e improvvisata in un clima invelenito come è quello italiano attuale con un probabile cambio di maggioranza in vista. Se vincessero i sovranisti italiani, la Commissione sarebbe ancora più preoccupata non soltanto per il rispetto degli accordi raggiunti con Conte, ma per l’atteggiamento complessivo di Salvini e Meloni nei confronti delle politiche europee che richiedono cooperazione e solidarietà non recupero di sovranità nazionali.
Agli occhi della Commissione, il governo Conte 2 ha (aveva?) molti pregi. Il Presidente del Consiglio aveva negoziato e lottato seriamente e tenacemente. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, già europarlamentare, è noto e apprezzato. Il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni costituisce il terzo pilastro grazie al quale la Commissione e gli altri governi dell’Unione Europea hanno ritenuto che l’Italia procedesse a un’efficace utilizzazione degli ingenti fondi che le sono stati attribuiti. Insomma, forse non per la prima volta, ma più che nel passato, l’Italia aveva acquisito notevole credibilità nell’Unione Europea anche agli occhi dei molto, talvolta troppo, sospettosi “paesi frugali”. Questo capitale, che vale molto più di qualche miliardo di Euro, rischia di disperdersi nel corso della crisi. Non andrà soltanto perduto del tempo per preparare al meglio i numerosi progetti italiani di investimenti e di modernizzazione, di rilancio. C’è il rischio che un nuovo governo di composizione politica diversa, da un lato, voglia o sia costretto a rinegoziare, dall’altro, si trovi obbligato a attuare progetti approvati e finanziati, ma non condivisi, perché non suoi. Senza il sostegno dell’Unione Europea l’Italia non va da nessuna parte, ma se l’Italia va male tutta l’Unione riceverà un contraccolpo. A Bruxelles si fibrilla.
Pubblicato AGL il 15 gennaio 2021



