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Francesca Albanese e la cittadinanza onoraria di Bologna, Gianfranco Pasquino: «Lepore sbaglia, questo Pd non avrà il mio voto» #intervista @corrierebologna

intervista di Francesco Rosano
Il professore emerito di Scienza politica critica la scelta caldeggiata dal sindaco Matteo Lepore: «La relatrice Onu non ha tutti i meriti che le vengono attribuiti, è una donna aggressiva e assolutista. Il primo cittadino così insegue la sinistra estrema»

«Un partito che dà la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese è un partito che non avrà il mio voto». Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, critica con forza il riconoscimento alla relatrice speciale Onu per la Palestina voluto dal Pd e dal centrosinistra. E mette in guardia dem e Cgil dal rischio di seguire un movimento di proteste pro Gaza che non sono in grado di governare: «Serve una sinistra che sblocca, non che blocca».

Professore, prima la consegna a Reggio Emilia del Primo Tricolore ad Albanese con la contestazioni e la pubblica reprimenda al sindaco Marco Massari, adesso la cittadinanza onoraria a Bologna caldeggiata dal sindaco Matteo Lepore. Come giudica questo rapporto tra i dem e la relatrice speciale Onu?
«Io credo che il Pd non stia dando un buona immagine di sé. Il Pd è un partito importante, indispensabile nello schieramento italiano, che dovrebbe tenere conto di sensibilità diverse. Francesca Albanese è una donna aggressiva e assolutista, che non ha tutti i meriti che le vengono attribuiti e che si è comportata in modo molto maleducato. Non le avrei dato la cittadinanza onoraria, la sua attività non ha dato nessun contributo specifico alla causa della pace, ed è il motivo per cui il Pd non avrà il mio voto».

Perché Palazzo d’Accursio si è mosso in questa direzione allora?
«Il sindaco Lepore aveva già sbagliato una volta esponendo la sola bandiera palestinese, in certi conflitti prendere parte senza argomentare in maniera approfondita non è mai un buon segnale. Adesso riconoscere addirittura una cittadinanza onoraria per meriti che non ci sono vuole dire rincorrere l’elettorato di sinistra estrema. Ma siamo sicuri che i pro Pal che distruggono le vetrine siano anche elettori e non solo distruttori?».

Quello del sindaco le sembra un autogol?
«Non mi interessa se Lepore fa un autogol, ma che giochi una partita diversa che giovi a tutti i bolognesi».

C’è molto nervosismo nell’area riformista del Pd. Dall’europarlamentare dem Elisabetta Gualmini in poi, molti stanno esprimendo insofferenza per questa «comunione» con le posizioni della relatrice Onu. Crede ci saranno contraccolpi nel partito?
«Non so cosa succederà, ma ho espresso subito il mio apprezzamento a Gualmini e le ho detto che è giusto combattere certe battaglie dentro il Pd, non in futuri partitini che potrebbero nascere. È il Pd che deve cambiare».

Bologna è una delle città dove le mobilitazioni per Gaza sono state più intense. Perché secondo lei?
«Con ogni probabilità dipende dal numero di studenti universitari presenti in città. Il problema è che c’è la convinzione che qui ci sia un clima di permissivismo, che si possano fare della cose che altrove non sarebbero possibili. La rottura delle vetrine, l’assalto alla stazione, i blocchi stradali non sono l’espressione di una sinistra che mi piace e che fa avanzare il Paese».

Lei critica le proteste e il «permissivismo» in città, sembra quasi che si ritrovi nelle posizioni del centrodestra bolognese.
«C’è un fondo di verità in quello che dicono, fermo restando che l’ordine che loro vogliono è quello della quiete che non disturba il governo, io voglio l’ordine del movimento, bisogna sapere sostenere e guidare coloro che si muovono, non vedere negozi distrutti e agenti assaliti».

La Cgil, in tutto questo, è andata un po’ al traino dei sindacati di base che sono stati i veri animatori delle proteste.
«Sono state alcune delle parole d’ordine di Landini ad aprire la strada ai sindacati di base, come quando ha parlato di “rivolta sociale”. Esagera lo scontro perché non ha una linea politica e obiettivi chiari. La Cgil che ricordo io aveva un servizio d’ordine che conteneva e i facinorosi, evidentemente non è più così».

Pubblicato il 10 ottobre 2025 sul Corriere di Bologna

“Fuori di testa” Il bestiario di Pasquino rivolto a politici e comunicatori @corrierebologna

Con Gianfranco Pasquino non si sta mai seduti comodamente sul divano della ragione. Non ci sarebbe bisogno di specificarlo, ma si tratta di un complimento per un intellettuale che ha avuto una brillantissima carriera senza mai tenersi i sassolini nelle scarpe. Che ha avuto incarichi prestigiosi (è professore emerito di Scienza Politica dell’Università di Bologna e socio dell’Accademia dei Lincei) ma senza mai rinunciare a dire i «sì» che voleva dire e i «no» che servivano, che erano necessari. In un mondo, come quello accademico, incentrato molto sulle relazioni non è una strada scontata da seguire. Dentro questo spartito si può leggere anche la sua ultima fatica letteraria «Fuori di testa» errori e orrori di politici e comunicatori scritto per paesi edizioni e che verrà presentato domani all’Ambasciatori alle ore 18. E naturalmente visto che lo spirito combattivo del Prof non si esaurisce mai, chi è stato invitato a presentare il libro? Comunicatori e politici. Tra gli altri ci saranno l’assessore regionale alla Cultura, Mauro Felicori e il senatore Marco Lombardo mentre a introdurre la serata sarà Marco Crisci di Geopolis.

Qualche tempo fa presentando il suo libro «Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa, a cosa serve» edizioni Utet, il professor Pasquino disse che quello sarebbe stato il suo ultimo libro. Per fortuna era una bugia. E così è nato «Fuori di testa», un diario quotidiano in cui racconta le sue giornate bolognesi, le sue partecipazioni alle trasmissioni politiche in tv, i suoi editoriali per Domani, i suoi scritti, le sue letture, la presentazione dei suoi libri in giro per l’Italia, gli incontri con gli ex studenti, le discussioni al Mulino e all’Accademia dei Lincei, l’amore per il Torino e per la sua Virtus, i figli. C’è il suo consueto «scrivere contro» pronto con la matita rossa, soprattutto quando si parla di riforme costituzionali e della riforma del premierato voluta dalla premier Giorgia Meloni che, per usare un eufemismo, non convince il Prof. Gli strali di Pasquino sono rivolti contro politici e comunicatori accusati di superficialità e di molto altro. L’ultima puntata del diario è dedicata non a caso alla giornata di celebrazioni per l’Archiginnasio d’oro a Romano Prodi, al suo abbraccio immortalato dai fotografi con l’ex presidente del Consiglio, pagine che diventano l’occasione per una riflessione sulla sua città d’adozione, Bologna, sulle persone che hanno scelto di viverla e di viverci. Perché partendo dalla «dichiarazione d’affetto» per la città di Prodi che ne ricorda le sue tante eccellenze, l’autore del libro conclude che effettivamente «Bologna e i suoi cittadini, anche quelli acquisiti, hanno qualcosa in più».

Pubblicato il 6 ottobre sul Corriere di Bologna

Fuori di testa
Gianfranco Pasquino
Paesi Edizioni

Stop al terzo mandato per Bonaccini, il politologo Pasquino: «Giusto, la successione? Gualmini e Conti possibili candidate» #intervista @corrierebologna

Il dibattito sulla legge che fissa il limite e l’emendamento leghista bocciato:  «La norma così va benissimo, è stata pensata per evitare l’accentramento, il ricambio serve alla democrazia. Potrebbe candidarsi alle Europee, lo farà?»

Intervista raccolta da Marco Madonia

«Un lavoro sono in grado di trovarmelo da solo», disse Mario Draghi per scacciare i dubbi su un suo ipotetico ruolo politico dopo la rielezione al Quirinale di Mattarella. Il politologo Gianfranco Pasquino cita l’ex premier per smontare la richiesta di terzo mandato. «Zaia, Bonaccini e De Luca non sono Draghi..», dice il professore emerito dell’Alma Mater che benedice il voto che ha bocciato l’emendamento leghista.

Perché lei è contrario all’innalzamento del limite dei due mandati per presidenti delle Regioni e sindaci delle grandi città?
«La legge così com’è va benissimo, è stata pensata per impedire un eccessivo accentramento nelle stesse persone. Il ricambio è un elemento di salute della democrazia. La concentrazione di poteri non va mai bene, perché poi quel potere può essere usato per fini personali. Andare oltre i 10 anni è una forzatura».

In Veneto se Zaia si ricandidasse vincerebbe a mani basse.
«Non si cambiano le leggi in riferimento alle persone, mica si interviene perché si vuole salvare Zaia, Bonaccini o perché non si sa quale sarà la reazione di De Luca. In questo caso la motivazione è chiarissima. La Lega dice che gli elettori voterebbero Zaia? È un modo di ragionare profondamente populista, le leggi si osservano e basta».

Però le leggi si possono cambiare.
«Sì, ma a bocce ferme, non quando si sta giocando la partita».

Chi vuole modificare il tetto dice che non vale per la premier Meloni che potrebbe fare ben più di due mandati. Anche Andreotti ne fece di più.
«Andreotti ha fatto il presidente del Consiglio sette volte. Lui come Meloni sono indicati dal Parlamento. Il paragone con i governatori eletti dai cittadini è sbagliato».

Anche i parlamentari non hanno limiti.
«Ma rappresentano il potere legislativo, mica l’esecutivo. È diverso».

Nel Pd il no al terzo mandato è lo strumento di Schlein per mettere fuorigioco Bonaccini?
«E se io dicessi il contrario? Bonaccini vuole continuare a fare il presidente della Regione per stare al centro del campo e condizionare la segretaria».

Alle Europee Bonaccini potrebbe fare il pieno di preferenze. Resterebbe al centro.

«Benissimo, si faccia candidare e poi discutiamo se le preferenze valgono per il Parlamento europeo o per il partito nazionale»

E il centrodestra?

«Salvini cerca di recuperare consensi su Meloni e vuole il terzo mandato di Zaia perché può essere uno sfidante pericoloso per la leadership della Lega. Le regole, però, vengono prima dei destini personali».

In Regione, senza Bonaccini, il centrosinistra rischia di perdere?
«Sarebbe preoccupante se il centrosinistra in una regione come l’Emilia-Romagna non fosse in grado di trovare una candidatura autorevole».

Dopo Errani non è che ci fosse la fila per fare il governatore.
«Se vuole possiamo fare un toto candidature».

Prego.
«Elisabetta Gualmini ha un curriculum di rilievo e ci sta pensando, anche Isabella Conti lo può fare. In un partito ci dovrebbero essere almeno cinque possibili candidati, altrimenti la questione è grave».

Italia Viva dice che il no delle opposizioni ha evitato un inciampo al governo.
«Questi sono escamotage, votare per opportunismo che senso ha? Cosa sarebbe successo se avessero votato si? La situazione della sinistra sarebbe migliorata? Il Paese ne avrebbe avuto un beneficio? Si tratta solo di stratagemmi che ingannano elettori. Del resto, Salvini sapeva che avrebbe perso».

Salvini non è bravissimo con le previsioni. .
«A maggior ragione, dovrebbe smetterla di fare queste operazioni. A meno che avesse un altro obiettivo, ma questo io non lo so».

Pubblicato il 24 febbraio 2024 sul Corriere di Bologna

Gianfranco Pasquino: «Bobbio e Sartori veri maestri. Destra e sinistra superate? Dicono che persone siamo» #intervista @corrierebologna

Intervista raccolta da Fernando Pellerano

Il politologo: «Che orgoglio la missione da osservatore nel Cile di Pinochet. Avrei voluto vedere la Grecia di Pericle e la Francia degli illuministi»

1 Partiamo dolcemente: il suo primo bacio (alla francese).
Gabriella (Gaby), compagna di classe al Ginnasio, generosa distributrice di baci francesissimi.
2 Proseguiamo pericolosamente: ha capito qual è il senso della vita?
Scopo e senso: diventare e rimanere persone decenti.
3 Qual è la sua Madeleine?
L’odore e il rumore del mare a Zoagli.
4 Che infanzia ha vissuto, che bambino è stato?
Bambino tranquillo, giudizioso, mai primo della classe, capace di stare da solo, infanzia serena, mamma dolcissima.
5 Quando ha capito qual era la sua strada (professionale) e se è soddisfatto?
La laurea con Norberto Bobbio e il post laurea con Giovanni Sartori sono stati incontri decisivi. Ne sono molto soddisfatto personalmente. E anche loro, me l’hanno detto, sono stati contenti di avermi avuto come allievo.
6 Bologna.
La città che ho scelto per insegnare e nella quale sono nati i miei figli. Oggi la sento «stretta», un po’ provinciale.
7 Un (altro) luogo del cuore.
Lo stadio Filadelfia a Torino. Non solo calcio, ricordi, speranze, una stagione, almeno dieci anni, della mia vita. Andavo con il tram tornavo dalla mia mamma che era in attesa del racconto della partita e dintorni.
8 Un libro, un film, una canzone, un’opera d’arte.
Canetti, Auto da fé; Una giornata particolare; Azzurro; il quadro Guernica; ma debbo assolutamente aggiungere Beethoven, La nona sinfonia.
9 Il suo piatto e il suo frutto preferito?
Spaghetti aglio, olio e peperoncino. Arancia rossa di Sicilia.
10 Il suo passatempo/hobby preferito.
La musica sinfonica, il cinema.
11 Una cosa che la fa arrabbiare o che detesta?
La superficialità e le prepotenze.
12 La gioia e la delusione più grande che ha vissuto?
Grande gioia pubblica: osservatore parlamentare in Cile nel 1988 quando gli elettori bocciarono il plebiscito di Pinochet e aprirono la strada al ritorno della democrazia. Delusioni personali tutte dimenticate, ma le persone che mentono e non rispettano gli impegni presi sono sempre grandi delusori.
13 C’è stata un’occasione in cui un «angelo» le ha salvato la vita?
Più di vent’anni fa, il prof. Claudio Rapezzi, recentemente scomparso, mi ha tirato fuori da una brutta embolia polmonare.
14 Il viaggio che non ha mai fatto?
Avrei voluto andare nella Grecia di Pericle. Poi visitare la Francia degli illuministi.
15 L’opera/lavoro che non ha realizzato e quella di cui è più fiero?
Sono molto affezionato ad alcuni libri che ho scritto, ad esempio, Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana (2021) e Tra scienza e politica. Una autobiografia (2022) oltre che alle lezioni e conferenze di Scienza politica che ho tenuto in Italia e fuori. Vorrei scrivere un’analisi comparata delle democrazie, ma con grande tristezza sento che mi manca l’energia.
16 Un pregio e un difetto del suo carattere.
Intransigente con me e con gli altri, e non riuscire a fare finta del contrario.
17 Un talento che le sarebbe piaciuto avere?
Essere un grande pianista, un virtuoso applauditissimo in giro per il mondo.
18 Il suo eroe/eroina?
Tutti/e coloro che combattono per la libertà anche degli altri e per la giustizia sociale. Gli antifascisti.
19 Crescendo si tende a ripetere «era meglio ai miei tempi»: la pensa così anche lei?
Non faccio comparazioni che non siano puntuali e precise. Ci sono (stati) alti e bassi. È cresciuto il divario tra quello che vorremmo e l’impegno che ci mettiamo nel perseguirlo. Ero più giovane e in salute.
20 Cosa le piace e cosa non le piace della società del 2023?
Non mi piacciono egoismi, corporativismi, discriminazioni. Mi piacciono quelli che pagano di persona e non lo esibiscono (vale anche per le società prima e dopo il 2023).
21 Il nuovo mondo digitale: lo rifiuta o cerca di comprenderlo e utilizzarlo?
Una sfida quotidiana che mi ha migliorato la vita, ma che vinco soltanto con l’aiuto, e qualche sbuffo, di mio figlio Emanuele.
22 L’evento storico (a cui ha assistito) che l’ha colpita di più?
La caduta del Muro di Berlino 8-9 novembre 1989, anche perché ricordavo nitidamente la commozione e la tristezza dei miei coetanei di molti Paesi europei che studiavano il francese a La Rochelle quel 13 agosto 1961, quando il muro venne innalzato.
23 Quale consiglio darebbe a un giovane che ha concluso la scuola dell’obbligo?
Continuare a studiare, studiare, studiare.
24 E a una coppia che sta per avere un/a figlio/a?
Congratulazioni, che non sia l’unico.
25 Cosa ama e detesta negli uomini e cosa nelle donne?
In entrambi detesto l’ipocrisia. Di entrambi apprezzo il sense of humor e la sincerità.
26 Il suo rapporto con la/e religione/i.
Agnostico, senza inquietudine e senza vanto.
27 Destra e sinistra sono categorie politiche superate?
Neanche per sogno. Dicono molto anche su che tipo di persone siamo e che società vorremmo.
28 Una riflessione sul sesso a partire dal ricordo della sua «prima volta».
Allegria, compagna sorridente e divertita, che aveva iniziative. Il sesso serve a conoscersi meglio. È un’esperienza gratificante, gradevolissima, mai del tutto priva di affetto.
29 Dall’alto dei suoi anni: come trattare il tempo che inesorabilmente passa?
Capire che ci sono attività che non possiamo più né progettare, né fare. Nutrire una sana nostalgia per quello che non siamo riusciti a completare.
30 Il motto della sua vita.
Gutta cavat lapidem.

Pubblicato il 24 settembre su Corriere di Bologna

Chi si candida deve dirci le idee dei prossimi 10 anni #congressopd #intervista @corrierebologna

Intervista raccolta da Micaela Romagnoli

Professor Pasquino, come lo vede il Pd in questo momento, verso il congresso?

«È un partito che si è accomodato al 20%, poi di tanto in tanto si tortura, dicendo di aver sbagliato per aver perso la rappresentanza di questi o di non riuscire più a parlare con quelli. Ma sono lacrime di coccodrillo; non fanno nulla per rimediare a una situazione che per me è insoddisfacente».

Che fare allora?

«Il partito è stato costruito male. Noi (Mauro Zani ed io), nel 2007, dicemmo che non bisognava farlo così, che si poteva giungere a un accordo tra ex-democristiani, ex-comunisti e altri. Ma che andava fatto lentamente, collaborando nelle zone locali, creando soprattutto un pensiero nuovo. Mancò la cultura politica. Possiamo raccontarci tutto quello che vogliamo sui leader, ma nessuno sarà mai adeguato se non è in grado di produrre e diffondere una nuova cultura politica».

Cosa significa?

«Che del Movimento 5 Stelle non ci interessa nulla, di Calenda e di Renzi non ci interessa nulla, che bisogna guardare a come si costruisce un partito progressista, socialdemocratico. C’è spazio in Europa per un partito socialdemocratico e laburista, bisogna pensare a come costruirlo in Italia. Questa operazione, invece, non è nemmeno ancora cominciata».

Dalle sue parole emerge un certo pessimismo.

«Sì. Vedo persone che si candidano, però io voglio sapere cosa vorrebbero fare, che cosa pensano di un partito socialdemocratico, socialista, progressista, laburista. E che idea abbiano della giustizia sociale, il rapporto tra merito ed eguaglianza, cosa debba essere la democrazia nei prossimi 10 anni in Italia, se toccare o meno la Costituzione».

Che risposte dovrebbero arrivare?

«Siamo un partito che è fermamente democratico, ma che sa che la democrazia di tanto in tanto deve essere riformata. Pensiamo che una società giusta sia quella in cui tutti i cittadini hanno opportunità e quindi vogliamo intervenire a ogni livello della vita: dai bambini, con scuole efficienti, consentendo a chi è bravo di andare avanti, evitare che i cervelli se ne vadano all’estero. Il Pd del prossimo futuro è un partito di opportunità, che si possono sfruttare al meglio attraverso lo Stato, con l’utilizzo di una burocrazia efficiente. Ci sono situazioni che richiedono interventi di riduzione delle disuguaglianze, ma non vogliamo una società di eguali, bensì di persone che vengano valutate anche sulla base del loro merito, che deve essere ricompensato. Quindi bisogna chiamare in causa i sindacati».

Perché?

«Un partito di questo genere deve sfidare i sindacati, che fra l’altro non si prendono nemmeno la responsabilità del fatto che un sacco di loro iscritti votino per la Lega e probabilmente per Fratelli d’Italia. Vorrei sentire parole di autocritica, perché sono loro che hanno perso i voti, non tanto il partito, ma loro».

Alcuni sostengono che il partito debba tornare a sinistra… lei?

«Non c’è mai stato. Non vuole dire niente tornare a sinistra. Ci si valuta sulle politiche che si fanno, non sulla collocazione geografica».

E sul tema dell’unità?

«Il partito non deve essere di correnti. Deve essere plurale, può accogliere tante posizioni, purché si sappia che una volta presa una decisione a quella si collabora o quanto meno non la si ostacola».

Un lavoro difficile.

«Certamente. Dopo di che rimarrà al 20%, inchiodato lì. E alcuni saranno anche soddisfatti; entrano in Parlamento, ci stanno una o due legislature, magari tornano sul territorio e si fanno un’attività di consulenza. Il Pd, soprattutto quello di Bologna e quello dell’Emilia-Romagna, è un datore di lavoro straordinariamente generoso».

Le primarie per il segretario? Sì o no?

«Intanto, l’elezione del segretario di un partito non è una primaria. Quando Letta dice: “solo 2 candidati” sbaglia, debbono essercene molti di più. Alcuni di noi pensano che il segretario di un partito debba essere eletto solo dagli iscritti».

Chi vedrebbe alla leadership? Bonaccini?

«Ripeto. Nessuno mi ha detto che partito vuole costruire, magari guardando come sono costruiti i partiti di sinistra in Europa. Non so che idea abbia, ma se è l’idea di partito che aveva Renzi credo che sia inadeguata».

Nostalgia del partito che fu?

«Certo, perché nel Pci, a cui io non fui mai iscritto ma i cui elettori mi votarono in Parlamento, c’era un dibattito serio, argomentato; c’era gente che leggeva libri e articoli, si faceva una sua opinione. Qua al massimo leggono qualche tweet e si presentano in qualche talk show televisivo».

Pubblicato il 7 ottobre 2022 su Il Corriere di Bologna

“Harvard, Bobbio e pure il calcetto con Mario Draghi. Le confessioni di un predicatore” di Olivio Romanini #recensione @corrierebologna #TraScienzaePolitica @UtetLibri @olivioromanini

La mia idea di sinistra @corrierebologna

Sinistra è costruire una società giusta. Sinistra è fare funzionare una società giusta. Sinistra è migliorare una società giusta. Giusta è quella società che sa e riesce a garantire eguaglianze (al plurale) di opportunità a donne e uomini, giovani e anziani, nel corso del loro tempo di vita. Una società giusta richiede l’intervento della politica non soltanto all’inizio della vita delle persone, ma ad ogni momento del loro percorso, a fronte di qualsiasi inconveniente e difficoltà. Le scelte della società giusta sono il prodotto di un confronto sempre aperto fra tutti i partecipanti, interessati e informati. La scena politica, aperta, trasparente e inclusiva, è il luogo del confronto. La società è giusta quando cittadini sono in grado di manifestare soddisfazione o contrarietà rispetto alle scelte fatte, non fatte, fatte male e sanno organizzarsi per cambiarle. La società della sinistra è giusta non perché persegue l’eguaglianza di tutti/e su tutto, ma perché consente e acconsente alle diversità che derivano e rispettano le preferenze di tutti/e e di ciascuno/a. Tutte le diseguaglianze fra le persone sono accettabili nella misura in cui sono diseguaglianze buone che conducono ad esiti nei quali nessuno perde e chi avanza fa crescere con il suo successo le opportunità per tutti. La società giusta non è mai immobile. Attraversata da tensioni e conflitti, da ambizioni e da sfide, la società giusta si ricompone grazie alla politica, competitiva e democratica, ai livelli definiti e preferiti dai cittadini/ e.

Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza politica, Università di Bologna

24 maggio 2021

Quasi sindaco: Quel che debbo ricordare, per voi e per me #Politica #Società #Bologna

Di tanto in tanto, ultimamente abbastanza di frequente, qualcuno su twitter ricorda che mi sono candidato a sindaco di Bologna nel 2009 e ho raccolto circa 4 mila voti (4.448 per la precisione), meno del 2 per cento. La mia versione dei fatti, non contraddetta da nessuno, si trova nel volumetto Quasi sindaco. Politica e società a Bologna 2008-2010, Diabasis 2010. Qui di seguito colloco alcune riflessioni successive che mi pare abbiano un certo interesse, non solo personale. Qualunque sia invece l’interesse dei twittatori a corto di competenze e argomenti che brandendo quella sconfitta elettorale credono di disinnescare i miei tweet, il loro risultato si ferma allo 0% virgola niente.

Quasi sindaco: Quel che debbo ricordare, per voi e per me

Ricordo di avere trascorso il mese di agosto 2010 a scrivere dolorosamente il resoconto della campagna elettorale del 2009 della lista “Cittadini per Bologna” da me guidata. Avevo il dovere politico e morale di lasciare una traccia scritta di quello che avevamo fatto, perché, come, con quali conseguenze. Quel libro, poi divenuto libro e pubblicato con il titolo Quasi sindaco. Politica e società a Bologna 2008-2010, fu respinto da Feltrinelli e da Donzelli, ma anche da Pendragon, editrice bolognese di politica, prima di essere gentilmente accettato dal Direttore Editoriale di Diabasis, Alessandro Scansani, scomparso poco dopo la pubblicazione al quale sono enormemente grato. Non ho nulla da cambiare di quel resoconto. A dieci anni di distanza, trovo che è opportuno, per me e per coloro che vogliono saperne di più e non si limitano a contare i non molti voti che la nostra lista ottenne, fare un bilancio articolato. Ci furono conseguenze quasi immediate e conseguenze più lente, tutte interessanti, molto istruttive, per coloro che sono disposti e sanno imparare.

A due mesi dalle elezioni, il Direttore di “Repubblica-Bologna” non si era ancora fatto vivo. Ne ero stato collaboratore abbastanza assiduo per circa vent’anni. Naturalmente, avevo smesso di scrivervi non appena divenni candidato, nel gennaio 2009. Era sottinteso, anzi, concordato, che alla fine dell’avventura avrei ripreso a scrivere e che i tempi li avrebbe dettati il Direttore Aldo Balzanelli. La situazione, però, si era fatta più difficile, in un certo senso anche imbarazzante. Infatti, Balzanelli, in special modo, ma anche i suoi cronisti, la maggior parte dei quali conoscevo personalmente, avevano scelto una linea non proprio equilibrata, non dico equidistante, fra me e il candidato del PD. Il loro sostegno al candidato del Partito Democratico era evidente ed esplicito, fondamentalmente acritico. Nei miei confronti, la linea fu indifferenza oppure racconti sottilmente denigratori, persino a fronte di mie smentite ufficiali, due soltanto poiché non potevo sprecare il mio tempo prezioso, una delle quali clamorosa. Non proposi mai di scambiare il mio sostegno al candidato del PD con cariche (oggi diremmo “poltrone”), meno che mai per me personalmente. Balzanelli si rifiutò di accettare la mia smentita.

All’inizio dell’agosto, in occasione della commemorazione della strage di Bologna, 2 agosto, attesi invano la richiesta da parte di Balzanelli di un articolo, quanti ne avevo già scritti in materia per Repubblica! Ero anche stato il presentatore al Senato nella seconda metà degli anni ottanta, unitamente al repubblicano Libero Gualtieri, di un disegno di legge per l’abolizione del segreto di Stato. Il Corriere di Bologna mi aveva variamente fatto sapere che avrebbe gradito la mia collaborazione. Parlai con il direttore Armando Nanni per farmi ospitare una riflessione sulla strage. Pubblicato proprio il 2 agosto con il titolo Il dovere del rito e le lezioni per la memoria fu l’inizio di una lunga serie di articoli. La mia collaborazione cessò “a mia insaputa” subito dopo un articolo nel quale avevo stigmatizzato la decisione del PD di candidare il democristiano Pierferdinando Casini nel Collegio senatoriale di Bologna centro (lo metto qui in appendice) Ne seguì un lungo totale silenzio del direttore Ernesto Franco che in questo modo pose fine senza nessuna comunicazione ufficiale alla mia collaborazione. Me lo confermò in una brevissima telefonata quando a metà marzo 2018 se ne tornò a dirigere il Corriere del Trentino. Quanto a Balzanelli, replicò immediatamente, credo addirittura già nel pomeriggio del 2 agosto, al mio articolo, non con una telefonata, ma con una inopinata, “graziosa” e succinta mail: “Vedo che hai iniziato a scrivere sul Corrierino…” Non molto tempo, nei primi mesi del 2010, Balzanelli venne chiamato/mandato a Roma. Il suo successore, Giovanni Egidio, non mi ha cercato mai. I suoi cronisti mi hanno fatto nel decennio trascorso una sola intervista, non pubblicata perché fuori della linea del giornale (del partito?).

All’inizio di agosto 2009, i vigili mi recapitarono sette-otto contravvenzioni di importo vario dai mille ai 5 mila Euro ciascuna per affissione di manifesti elettorali della lista Cittadini per Bologna fuori dagli spazi appositi. Nessuna fotografia nessuna posssibilità di contestazione, ma le multe dovevano essere convalidate dal Prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, al quale portai tutta la documentazione convinto che nessuno dei miei collaboratori avesse violato i regolamenti elettorali. Com’era nei suoi poteri, il Prefetto non diede seguito a quella che, qui mi assumo tutta la responsabilità di quello che scrivo, era una palese rappresaglia: “a Pasquino gliela facciamo pagare”. Letteralmente. Per questa piccola cronaca può essere utile aggiungere che il capo della campagna elettorale di Delbono tal Claudio Merighi (che, poi, fu inviato a “lavorare” alla Coop) era proprio un vigile.

Troppi hanno dimenticato che subito dopo l’estate 2009 le voci sulla gestione disinvolta dei rimborsi spese per viaggi e conferenze, da Ischia a Cancún, Messico, con tanto di foto, a opera dell’Assessore al Bilancio e vice-Presidente della Regione Emilia-Romagna Flavio Delbono si fecero più frequenti, più intense, più dettagliate. Non entro nei particolari, ma il Delbono promise e versò soldi alla sua compagna occasionale, dipendente della Regione, per “comprarne” il silenzio. La situazione divenne talmente imbarazzante per il Partito Democratico di Bologna che sotto quelle pressioni il sindaco Delbono si sentì costretto a dimettersi, il 24 gennaio 2010. Le sue dimissioni furono salutate da alcune dichiarazioni che parlano da sole. Il segretario della federazione del PD di Bologna, Andrea De Maria, affermò che le dimissioni erano “un atto di serietà e responsabilità”. Ancora più enfatiche le parole di colui che “Repubblica” (25 gennaio 2010) presentava come, e in effetti era stato, il grande sponsor di Delbono: “Il suo è un gesto di grande sensibilità nei confronti di Bologna. …. [le sue dimissioni] dimostrano un senso di responsabilità verso la comunità che va al di là dei propri obblighi e delle proprie convenienze. Delbono ha confermato, a differenza di altri [riferimento per me non comprensibile, GP], di saper mettere al primo posto il bene comune e non le sue ragioni personali”. In seguito, i magistrati ritennero che Delbono non aveva tenuto in grande conto “il bene comune” utilizzando fondi della Regione proprio per “sue ragioni [spese] personali”. Prodi si adoperò ancora a favore di Delbono facendo pressione sul Direttore del Bologna Center affinché fosse richiamato ad insegnare. L’Academic Council non prese in considerazione questa richiesta. In seguito anche Stefano Zamagni, docente e vicedirettore del Bologna Center, ma anche co-autore con Delbono di un testo di economia che Il Mulino dovette “purgare” di molte pagine che configuravano un plagio, tentò di fare riassumere Delbono. L’Academic Council respinse nuovamente la proposta.

Nel frattempo, Bologna fu inevitabilmente commissariata, un fenomeno impensabile che ha macchiato la storia di una città considerata un modello di buongoverno e progressista. Dal 17 febbraio 2010 al 24 maggio 2011 il prefetto Annamaria Cancellieri fu il commissario governativo in carico degli affari correnti e di preparare nuove elezioni. Cancellieri, spesso definita “papessa”, acquisì notevole popolarità, probabilmente anche effetto di una ripulsa della politica e dei politici del PD, tanto che molte voci della “società civile” si levarono per una sua candidatura a sindaco che le consentisse di proseguire il lavoro iniziato. Alcuni nel PD chiesero, però, che si sottoponesse alle primarie. Fra i nomi che circolarono riscuotendo approvazione c’era quello di Maurizio Cevenini, a lungo consigliere comunale, presenzialista vero poiché partecipava in effetti a una pluralità di cerimonie non solo politiche, ma sociali e culturali della città, soprattutto notissimo per celebrare un numero molto elevato di matrimoni (già nell’ottobre 2009 superò la cifra di 4 mila) con grazia e gentilezza nella Sala Rossa del Comune. Per sbarazzarsi della sua ingombrante presenza a Palazzo Accursio, la sede del sindaco, il PD decise in conformità a una astrusa regola sul numero dei mandati, di imporgli di candidarsi al Consiglio Regionale. Fu eletto con il record di preferenze: più di 19 mila.

La sua candidatura alle primarie con le quali il PD si sentiva costretto a cercare il candidato sindaco era un fatto naturale. Cevenini iniziava quella che si suole chiamare la corsa in sicuro vantaggio: notissimo, apprezzato, impeccabile. La prima incrinatura si ebbe quando le telecamere in occasione della sfilata del 2 agosto per la strage alla stazione di Bologna inquadrarono uno scambio fra il segretario nazionale del PD, Pierluigi Bersani, e il segretario di Bologna Raffaele Donini nel quale entrambi facevano commenti molto poco lusinghieri (sì’, questo mio aggettivo è un gigantesco eufemismo) sulle qualità politiche di Cevenini, commenti subito riportati dalla stampa locale. Il 25 ottobre 2010 Cevenini ebbe un malore, fu ricoverato in clinica, annunciò il suo ritiro dalle primarie spianando la strada alla vittoria di Virginio Merola nel maggio 2011 alla quale contribuirono anche le 13 mila preferenze ottenute da Cevenini stesso, (ri)candidato al Consiglio comunale. Un anno dopo, l’8 maggio 2012, Cevenini si suicidò buttandosi dal settimo piano della torre della Regione Emilia-Romagna. Conservo con cura e commozione una copia da lui regalatami della sua autobiografia politica, scritta con la figlia Federica: Bologna nel cuore. Il Cev raccontato a mia figlia, Bologna, Pendragon, data di pubblicazione 10 gennaio 2011. La dedica di suo pugno legge: “Da quasi sindaco a quasi sindaco. Non sanno che cosa si sono persi”. Non lo sapranno mai, ma non hanno neppure mai mostrato un minimo interesse a sapere qualcosa.

Post-scriptum. Nelle elezioni politiche nazionali del febbraio 2013 Andrea De Maria fu candidato alla Camera dei deputati unitamente a Sandra Zampa, l’assistente di Romano Prodi. Entrambi in posizioni nelle liste bloccate che ne garantivano l’elezione. Dichiarai che la presenza di queste due candidature rendeva impossibile il mio voto al PD alla Camera dei deputati.

Il 19 giugno 2016 Merola è stato rieletto sindaco sconfiggendo al ballottaggio 54,64 contro 45,36% la candidata della Lega Lucia Borgonzoni (divenuta sottosegretaria alla Cultura nel governo Conte).

Nel marzo 2018 De Maria è stato rieletto alla Camera dei Deputati e rimane l’uomo forte del PD di Bologna.

Questo vi dovevo, care elettrici e elettori della Lista “Cittadini per Bologna”. No, purtroppo, no, proprio non siamo riusciti a cambiare la politica (e le persone) del partito che ha dominato la città. Certamente, abbiamo salvato la nostra anima.

 

Appendice

Sacrifici da meritare

Vorrei offrire ai dirigenti locali del Partito Democratico qualche argomento da contrapporre alla segreteria nazionale per evitare troppi sacrifici in termini di candidature al Parlamento nazionale. Primo, fare valere il criterio di una sana rotazione dopo i famosi/famigerati due mandati, non in maniera automatica, ma esprimendo anche una valutazione sull’operato del/la parlamentare uscente-entrante. Secondo criterio, inteso a dare buona rappresentanza politica agli elettori, ricandidare chi viene ripresentato nello stesso collegio della precedente elezione. Lì potrà spiegare ai suoi elettori le molte cose successe nella delicata, soprattutto per il PD, legislatura che si è conclusa, chiarendo, mio mantra, che cosa ha fatto, non fatto, fatto male e perché. Sarebbe un’ammirevole e utilissima operazione pedagogica che restituisce dignità alla politica. Terzo, scegliere le nuove candidature, anche valutando quelle che da Roma vorrebbero paracadutare, in base a due elementi essenziali: la storia politica, sociale, professionale e la sua rappresentatività delle idee del PD, della sua storia, del suo progetto. Naturalmente, da parte del paracadutato/a dovrebbe anche esserci una disponibilità a garantire la sua presenza sul “territorio”, non solo a fare passerella, ma a interloquire con gli elettori tutti, con le associazioni, persino con le banche. A questo punto, a PierFerdinando Casini (eletto alla Camera per la prima volta nel 1983) fischieranno le orecchie, ma so che personalmente se ne infischia. Tuttavia, da un lato, mi pare difficile inserire Casini nella storia del PD; dall’altro, mentre serpeggia l’inquietudine nella “base”, fra malumori e maldipancia, è giusto chiedersi se la candidatura di Casini, quanti voti porterà?, non segnali la direzione di marcia del PD, verso il centro-destra. Infine, per chi ritiene che la buona rappresentanza parlamentare è la premessa di qualsiasi governabilità decente, le candidature vanno scelte in base alla loro qualità, non perché sono “in quota di” qualcuno, né di Prodi né di Franceschini, ad esempio, ma perché rappresentano le idee del Partito Democratico. Si tratta di elezioni nazionali che, dunque, non dovrebbero in nessun modo avere riflessi sulla composizione della giunta di Bologna. Qualsiasi rimpasto andrebbe fatto con riferimento alle esigenze di garantire un miglior funzionamento del governo locale, non a ricompensare qualcuno perché non ha “ottenuto” candidature al Parlamento né a produrre un qualche riallineamento fra chi ha vinto e chi ha perso nel Partito Democratico. Che brutta storia.
Corriere di Bologna, 11 gennaio 2018

 

 

Sacrifici da meritare

Vorrei offrire ai dirigenti locali del Partito Democratico qualche argomento da contrapporre alla segreteria nazionale per evitare troppi sacrifici in termini di candidature al Parlamento nazionale. Primo, fare valere il criterio di una sana rotazione dopo i famosi/famigerati due mandati, non in maniera automatica, ma esprimendo anche una valutazione sull’operato del/la parlamentare uscente-entrante. Secondo criterio, inteso a dare buona rappresentanza politica agli elettori, ricandidare chi viene ripresentato nello stesso collegio della precedente elezione. Lì potrà spiegare ai suoi elettori le molte cose successe nella delicata, soprattutto per il PD, legislatura che si è conclusa, chiarendo, mio mantra, che cosa ha fatto, non fatto, fatto male e perché. Sarebbe un’ammirevole e utilissima operazione pedagogica che restituisce dignità alla politica. Terzo, scegliere le nuove candidature, anche valutando quelle che da Roma vorrebbero paracadutare, in base a due elementi essenziali: la storia politica, sociale, professionale e la sua rappresentatività delle idee del PD, della sua storia, del suo progetto. Naturalmente, da parte del paracadutato/a dovrebbe anche esserci una disponibilità a garantire la sua presenza sul “territorio”, non solo a fare passerella, ma a interloquire con gli elettori tutti, con le associazioni, persino con le banche. A questo punto, a PierFerdinando Casini (eletto alla Camera per la prima volta nel 1983) fischieranno le orecchie, ma so che personalmente se ne infischia. Tuttavia, da un lato, mi pare difficile inserire Casini nella storia del PD; dall’altro, mentre serpeggia l’inquietudine nella “base”, fra malumori e maldipancia, è giusto chiedersi se la candidatura di Casini, quanti voti porterà?, non segnali la direzione di marcia del PD, verso il centro-destra. Infine, per chi ritiene che la buona rappresentanza parlamentare è la premessa di qualsiasi governabilità decente, le candidature vanno scelte in base alla loro qualità, non perché sono “in quota di” qualcuno, né di Prodi né di Franceschini, ad esempio, ma perché rappresentano le idee del Partito Democratico. Si tratta di elezioni nazionali che, dunque, non dovrebbero in nessun modo avere riflessi sulla composizione della giunta di Bologna. Qualsiasi rimpasto andrebbe fatto con riferimento alle esigenze di garantire un miglior funzionamento del governo locale, non a ricompensare qualcuno perché non ha “ottenuto” candidature al Parlamento né a produrre un qualche riallineamento fra chi ha vinto e chi ha perso nel Partito Democratico. Che brutta storia.

Pubblicato il 12 gennaio 2018

Le due staffe di Virginio

La scelta di prendere la tessera di due partiti? schieramenti? aggregazioni? potenzialmente in competizione, è intrigante. Virginio Merola, iscritto al PD e dal PD fatto eleggere sindaco di Bologna, annuncia che vuole avere due tessere. Vuole aggiungere, cioè, quella del Campo Progressista guidato, forse, meglio, coordinato dall’ex-sindaco di Milano Giuliano Pisapia. La notizia è che, pur rimanendo difficile dire cosa effettivamente è, Campo Progressista ha aperto il tesseramento. E Merola si affretta a fare un gesto politico eclatante: iscriversi. Segnala così una qualche distanza dal PD ufficiale che per ora tollera questo comportamento “doppio”, ma che dovrebbe esserne preoccupato. Al momento, non è chiaro come finirà l’avventura un po’ velleitariamente intrapresa da Pisapia, con qualche abbraccio di troppo, qualche impuntatura, il suo rifiuto a essere leader e non solo coordinatore, la sua rinuncia preventiva a qualsiasi candidatura per il Parlamento. Dal canto suo, Merola dichiarò tempo fa che sarebbe andato dal notaio a ufficializzare che al termine del suo secondo mandato da sindaco non avrebbe cercato altre cariche (elettive?). Dobbiamo dedurne che la sua tessera di Campo Progressista non nasconda ambizioni politiche-parlamentari. Allora, quella tessera è soltanto un segnale di vicinanza politica, di sostegno a un’operazione di una sinistra più capace di frammentarsi che di ri-strutturarsi? Sta arrivando la prima stretta quando Pisapia dovrà decidere se ha raccolto abbastanza adesioni e risorse da presentare le liste del suo Campo per portarlo in Parlamento. Merola darà una mano alla ricerca di candidati/e all’altezza, magari addirittura facendo scouting à la Bersani fra i molti insoddisfatti nel PD bolognese e i molti preoccupati per le nomine alle quali i renziani non rinunceranno di sicuro? Poi verranno due passaggi ancor più delicati: la campagna elettorale e il voto. Per chi farà campagna elettorale o, semplicemente, si esprimerà il sindaco? A chi finirà per dare il suo voto? Il Partito Democratico ha palesemente molte difficoltà nell’elaborare una linea chiara e univoca nell’attuale situazione, ma potrà tollerare che uno dei suoi esponenti di vertice tenga i piedi in due staffe? A meno che Merola non pensi e non lavori per fare del PD qualcosa che riesca a inglobare i dissenzienti che si muovono nei suoi dintorni oppure che cerchi ambiziosamente di portare il PD bolognese tutto dentro il Campo Progressista, le sue due tessere sono l’annuncio di molta confusione sotto il cielo e a Palazzo d’Accursio.

Pubblicato il 22 novembre 2017