Home » Posts tagged 'Corriere di Bologna' (Pagina 2)
Tag Archives: Corriere di Bologna
Se fa irruzione il non dibattito
No, alla Festa dell’Unità di Bologna non si può discutere di chi sarà il prossimo segretario del Partito democratico a Bologna. Qui, avrebbero dovuto annunciare, non si fa politica. Giusto, anche perché è difficile trovare qualcosa che somigli alla politica in gran parte del dibattito in corso sulla leadership locale. A volte sembra che l’argomento più forte contro Francesco Critelli, l’attuale segretario, sia il suo non essere renziano: colpa, ovviamente, gravissima. Non sappiamo, in verità, se il non-renzianesimo abbia pesato, come e quanto, sul suo governo del partito locale e sui risultati ottenuti. Non è interessante neanche sapere se il suo sfidante ufficiale, Luca Rizzo Nervo (che ricordo un tempo delboniano sfegatato) abbia una precisa idea di quale partito bolognese vorrebbe costruire. Non importa poiché nel non-dibattito ha fatto irruzione la richiesta che sia Renzi in prima persona a intervenire. Il segretario nazionale dovrebbe imporre ai renziani locali, alcuni addirittura più renziani di lui, di ricompattarsi dietro un unico candidato. Altro che i cento fiori maoisti che dovrebbero sbocciare poiché producono idee. A Bologna il fiore dovrebbe essere uno solo scelto dal capo della fazione nazionale maggioritaria per omologarlo al vertice. A questo si ridurrebbe il famoso Partito di Bologna, un tempo oggetto di (fin troppo e non del tutto giustificato) vanto? Così il Pd tornerebbe a parlare con la gente?
Magari qualcuno vorrebbe sapere se Critelli è responsabile di non avere fatto funzionare adeguatamente la struttura; di non aver dedicato abbastanza attenzione e tempo al reclutamento e al coinvolgimento degli iscritti; di essersi dimostrato incapace di elaborazione politica. Qualcun altro potrebbe volere sapere in quali occasioni, quante volte, in quale modo, Luca Rizzo Nervo abbia espresso nelle sedi di partito, oppure in pubblico, le sue critiche all’operato e alle omissioni di Critelli. C’è chi pensa che siamo solo alla prima tappa d’un percorso privo di contenuto politico, nel quale è inutile, dannoso, persino controproducente parlare di quale tipo di partito dovrebbe essere/diventare il Pd di Bologna. D’altronde, nella campagna per la sua rielezione, Renzi ha dedicato pochissime parole al partito che vorrebbe. Non gli interessa. Quella che conta è la seconda tappa: la scelta delle candidature al parlamento. Disperso in una legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale il premio di maggioranza, i posti per il Pd saranno comunque meno che nel 2013. Ecco, allora la carica dei renziani. Critelli non garantisce nessuno di loro. Neppure Humphrey Bogart riuscirebbe a convincermi che questa “è la politica, bellezza”.
Pubblicato il 1° settembre 2017
Un destino civico e baro
Un destino civico e baro ha travolto i candidati del Partito Democratico nei ballottaggi in Emilia-Romagna (e non solo). Raffinati analisti gongolano: tutti i comuni della Regione, ma anche quelli, per esempio, della vicina Toscana, sono diventati “contendibili”. Allegria! Non sarebbe, però, necessario che per onorare la contendibilità il PD perda tutti i ballottaggi. Comuni contendibili, ma qualche volta vincibili e vinti, questo dovrebbe bastare anche ai più esigenti degli analisti. Invece, a giudicare dalle reazioni dei dirigenti e degli aspiranti tali non sarà facile trovare una contendibilità vittoriosa. Sparando cifre sbagliate sulla votazione con la quale Renzi ha frettolosamente riconquistato la segreteria, comunque le più basse delle cinque elezioni finora svolte nel PD, i renziani dicono che il segretario nazionale non è in discussione (ma le cariche locali sì che le volevano “riallineate”). Magari, quando si perde alla grande, si dovrebbero mettere in discussione le idee e le politiche di quel segretario e le alternative proposte dai coraggiosi che non temono di essere sbeffeggiati e chiamati traditori. Chi non voglia rincorrere Merola che, anche in questo caso, ne ha dette di molte e rischia che qualcuno gli faccia il “tagliando” di metà mandato (no problem: sostituirlo proprio non si può), nota che le idee finora circolate sono poche e contraddittorie. Se sono i candidati civici che sconfiggono quelli del PD, bisogna sfidarli quei civici o cooptarli? “Aprirsi alla società”, come dice l’inarrivabile Via Rivani (citata dal Corriere di Bologna), però, “non con i civici”, sembra acrobatico. E se fossero state, da un lato, le inadeguatezze dei sindaci in carica e, dall’altro, le nuove candidature del PD a scoraggiare gli elettori, molti dei quali hanno ancora una volta preferito l’astensione? Non basta aprirsi alla società, escludendo i civici che, pure, qualche pezzettino di società sembrano in grado di raggiungerlo, mobilitarlo, rappresentarlo, bisogna, sostengono i sindaci della Romagna, che il PD sia “più radicale”. Quest’aggettivo l’abbiamo tutti già sentito. Qualche volta avremmo anche voluto che il contenuto di questa radicalità fosse spiegato. Più di sinistra? Su quali tematiche, con quali modalità? Combattendo l’antipolitica, a cominciare da quella che -rottamazione, poltrone, disintermediazione- il segretario Renzi agita di tanto in tanto?, dunque, facendo politica, ovviamente, sul “territorio” (meno tweet?), e mostrando la dignità di un impegno oppure risistemandosi nelle posizioni giuste per andare/tornare in Parlamento? Un destino, civico o no, tutto da costruire interloquendo con una società, contendibile, che dichiara con il suo voto di essere insoddisfatta del Partito Democratico di oggi.
Pubblicato il 2 luglio 2017
I poteri forti sono nel passato
Appena sceso nella stazione dell’Alta Velocità di Bologna, il viaggiatore chiede: “chi comanda?”. Perplesso, il cittadino bolognese ricorda che, qualche tempo fa, avrebbe avuto la risposta pronta e sicura: il Partito Comunista Italiano, grande, rappresentativo, popolare che controllava generosamente tutto quello che si muoveva, o no, in città. A seconda dei casi, le decisioni le prendeva il “suo” sindaco, ma, più spesso, il segretario della Federazione, e nessuno neanche si poneva il problema di quali fossero i poteri forti. Incuriosito, il viaggiatore vorrebbe saperne di più. Dunque, domanda (ha letto qualche bel libro di scienza politica): la città è oramai caratterizzata da un sano pluralismo competitivo? All’insegna dell’innovazione e del confronto c’è chi vince, mai tutto, e c’è chi perde, mai tutto, e la città cresce, si trasforma migliora? Alquanto rattristato il cittadino risponde che: no, non è proprio così.
Ciascuno dei gruppi che contano, in verità, pochi, si sono ritagliati degli spazi di discrezionalità: dalle cooperative ai sindacati, dalla Chiesa agli industriali, dalle Fondazioni bancarie all’Unipol, persino l’Università e i suoi collettivi. Di decisioni “forti”, però, la città non ne ricorda nessuna almeno da una ventina d’anni. Qualche volta sbucano mecenati senza nessun legame con la politica i quali con impegno e visione prendono iniziative importanti e le attuano. Di tanto in tanto, la città sembra appesa alle parole del vescovo e di colui che fu Presidente del Consiglio per due volte. Entrambi centellinano il limitato potere di cui dispongono e lo usano in alcune poche occasioni, sapendo che se lo facessero troppo spesso lo sciuperebbero. Quanto ai partiti non è come altrove questione di particolare discredito delle loro fatiscenti ed evanescenti strutture. Piuttosto è in dubbio, questo sì davvero forte, la loro capacità di reclutare, di selezionare, di promuovere personale politico adeguato.
Del sindaco in carica, del Commissario governativo che l’ha preceduto, del sindaco paracadutato, il cittadino un po’ si vergogna e tace. Alla fine, al viaggiatore che ancora non ha ricevuto risposta soddisfacente, fa notare, piuttosto rattristato, che in città nessuno ha nemmeno il potere di rendere agibile la piazza davanti al Teatro comunale e di tenere puliti i muri. Altro che poteri forti! Quello che tiene banco in città sono i veti reciproci, incrociati che bloccano qualsiasi decisione di rilievo. Nostalgia del passato, chiede il viaggiatore? No, preoccupazione, forte, risponde il cittadino, per un presente di immobilismo e per un futuro che nessuno sta costruendo.
Pubblicato il 18 maggio 2017
Una bella storia bolognese
Un giorno del 2008 Giorgio Guazzaloca mi telefonò chiedendomi, con leggera, inusuale esitazione, la disponibilità a scrivere la prefazione a un libro su di lui. Chiesi di vedere il libro (scritto da Alberto Mazzuca, Guazzaloca. Una vita in salita) e scrissi un testo intitolandolo “Una storia bolognese”. Il riferimento era al volumetto Una storia italiana mandato in omaggio nel lontano 1994 dal candidato Berlusconi a milioni di elettori. Nel ringraziarmi Guazzaloca mi comunicò la sua iniziale perplessità a vedersi “confinato” nel ristretto ambito bolognese, ma subito la lettura lo convinse della bontà del titolo oltre che, non lo nascondo, del contenuto. La sua conquista al ballottaggio della carica di sindaco nella città rossa per eccellenza in quel fatidico giugno 1999 fu proprio il coronamento di una storia bolognese. Il candidato “civico” Guazzaloca non sbucava dal nulla, ma da una vita di lavoro, cominciata da ragazzo come macellaio, di capacità di governo di associazioni, da quella dei macellai fino alla Presidenza per 13 anni della Confcommercio, coronata con la decisione di sfidare il Partito di Bologna, ovvero gli ex-comunisti che faticosamente e malamente (non) si adattavano alla nuova situazione politica, con molti conflitti interni, il più devastante dei quali riguardò proprio la scelta dell’antagonista di Guazzaloca. Un insieme di errori derivanti da malposte e maldestre ambizioni i cui protagonisti si trovano ancora tutti in città. Non avrebbero comunque perso se l’alternativa non fosse stato proprio Giorgio Guazzaloca, noto e diffusamente stimato, capace di rapporti personali fatti di serietà e affidabilità, con un suo profilo in nessun modo identificabile con il modesto centro-destra cittadino. Grazie all’ex-comunista Carlo Monaco, poi il suo migliore assessore, Guazzaloca condusse un’ottima campagna elettorale, sui fatti e non sui meriti di un passato che gli ex-comunisti non potevano già più rinverdire. Purtroppo, la malattia lo colse dopo neppure due anni dalla sua elezione. La seconda parte del suo mandato non fu brillante anche perché non tutti gli assessori erano all’altezza (gli feci notare che quello passava il convento del centro-destra). La conquista del secondo mandato si rivelò impossibile poiché il centro-destra non seppe/volle sostenerlo fino in fondo e gli ex-comunisti si consegnarono mani e piedi al “briscolone” venuto o mandato da fuori, la meteora Sergio Cofferati. L’evento storico, “sparato” su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali e stranieri, era comunque avvenuto. Con qualche amarezza per il prosieguo di quella storia, Guazzaloca ne fu sempre fiero. Giustamente.
Pubblicato il 27 aprile 2017
Un Sindaco da sogno #Bologna
L’ultimo che parla ha (quasi) sempre ragione. Questa è, in sostanza, la linea politico-partitica-culturale scelta e praticata dal sindaco Merola. Adesso, l’ultimo/a è la sua ex-contendente al ballottaggio Lucia Bergonzoni la quale legittimamente e coerentemente con le posizioni della Lega di Salvini esagera il fenomeno e manipola un po’ le statistiche sui reati a Bologna e sulla sicurezza. Subito, Merola si accoda anche lui sostenendo che il problema è molto serio, da combattere e da debellare con accresciuta presenza delle forze dell’ordine. Passerà anche questa, ma il quesito di fondo rimane. Perché il sindaco non elabora qualche cosa di originale per risolvere alcuni dei problemi di lungo corso della città? Lasciamo da parte i suoi ondeggianti sostegni a chi dovrebbe guidare il Partito Democratico che l’hanno visto transitare velocemente dalla ditta di Bersani al Partito di Renzi e lo collocano, attualmente, vicinissimo allo sfidante Orlando. Che la motivazione sia di non vedersi sfuggire il sostegno dei vertici del partito locale, peraltro, alquanto sconfessati dalla base che, nel bene, poco, e nel male, parecchio, hanno dato un grande consenso al Renzi rientrante?
Essendo giunto al suo secondo e ultimo mandato, quindi non ricandidabile, Merola forse si sta guardando in giro per trovare, come tutti i politici “normali”, qualcosa da fare dopo. Magari dovrebbe impegnarsi di più su quello che c’è da fare adesso a Bologna. Come saranno ricordati i suoi dieci ininterrotti lunghissimi anni di governo della città? Quale segno lasciare della sua permanenza a Palazzo d’Accursio? La lunga durata aiuta per essere ricordati, ma senza qualche opera significativa, l’oblio è il destino più probabile. Può darsi che Merola riesca a inaugurare oppure a intestarsi una qualche opera pubblica di prestigio e di grande utilità prima della conclusione del suo mandato. Sarebbe straordinario sentirgli dire con chiarezza che cosa pensa che sia davvero importante per ridare slancio politico, sociale, culturale alla città (gli imprenditori fanno da sé e forse apprezzano quando il sindaco non li intralcia, ma potrebbero legittimamente volere qualcosa in termini di infrastrutture). Nel frattempo, in un’attesa non spasmodica, basterebbe che il sindaco smettesse di fare lo Zelig, dichiarandosi d’accordo con la voce più forte in uno specifico momento/argomento. Insomma, sarebbe bello scoprire che c’è un sindaco che prende iniziative autonome, le spiega e esercita la sua leadership. Am I a dreamer? Vivo in un mondo di sogni?
Pubblicato il 21 aprile 2017
Se son fiori sbocceranno
È lecito interrogarsi sulle politiche fatte dal Partito Democratico al governo e su come proseguirle, approfondirle, cambiarle? Lo ha fatto, in maniera un po’ sommaria e brutale, l’assessore Matteo Lepore. In un partito che non soltanto accetta, ma valorizza il dibattito e la circolazione delle idee e delle proposte, a Lepore dirigenti e autorità varie del PD avrebbero dovuto rispondere sul merito, non con critiche alla persona quasi invitandolo ad andarsene. Il sindaco Merola, da qualche tempo diventato “movimentista”, impegnato nel disegno di un (nuovo?) “campo progressista”, ha difeso il diritto di parola e di ricerca di un altro PD esercitato da Lepore. Che ci sia un qualche, limitato e abitualmente sopito, disagio nel PD bolognese e, probabilmente, anche emiliano-romagnolo, è accertato. Ci si potrebbe persino chiedere perché, dopo la pesante sconfitta nel referendum costituzionale e la scissione di una parte della “ditta”, grave poiché se ne sono andate due persone, Bersani ed Errani, con una storia lunga e importante, questo disagio sia in definitiva contenuto.
La riflessione, però, non deve rimanere “contenuta”. Un partito, soprattutto se di sinistra (oops), ha il dovere di porsi costantemente il compito di indicare prospettive che contemplino anche la riduzione delle diseguaglianze, spesso inevitabile conseguenza dello sviluppo. Al Lingotto non s’è sentito nulla di tutto questo. Se, invece, di una corsa in tempi raccorciati verso l’elezione del segretario, si fosse tenuta un’austera e densa conferenza programmatica, con qualche relazione dedicata alla riflessione sulla natura e sulla cultura politica di un partito (questa volta evito “di sinistra”) progressista, allora Lepore e addirittura Merola avrebbero potuto esprimere meglio le loro perplessità e le loro proposte. Esiste ancora un’opportunità: che le proposte siano formulate nelle mozioni congressuali e che vengano fatte circolare fra gli iscritti, molti dei quali si sono, purtroppo, già prevedibilmente schierati.
No, non voglio trattare di schieramenti e di posizionamenti. Ancora una volta, però, temo che, dopo la fiammata di dichiarazioni e di richiami all’ordine (renziano), quasi tutti gli intervenuti si preoccupino delle loro carriere. Concludo facendo mia l’esortazione del Presidente Mao: che cento fiori sboccino, e affidandomi il compito a casa, ma accetto suggerimenti, di scoprire quando fu l’ultima volta che il Partito di Bologna formulò un’idea innovativa.
Pubblicato il 15 marzo 2017
Andare oltre la rimpatriata
È risultato gradualmente (e, per loro, dolorosamente) evidente che molti esponenti della vecchia ditta citata da Bersani non potevano più restare in un partito il cui leader, sempre spalleggiato dal suo giglio magico, li emarginava e li irrideva, delle cui idee non sapeva che farsene. Solo in piccola parte, però, lo scontro Renzi/Bersani (anche se Renzi preferisce avere D’Alema come nemico massimo), è stato sulle idee. In maniera nettamente prevalente, è stato sulle persone, sulla loro più o meno lunga storia, sulle loro, più o meno legittime, ambizioni. Consiglio sempre di diffidare dei politici che non hanno ambizioni. Il potere serve per tradurre le ambizioni in scelte e decisioni con le quali i politici ambiziosi tenteranno di acquisire ancora più consenso soddisfacendo le preferenze degli elettori. Purtroppo, lo scontro in atto dentro il PD e nei suoi dintorni è difficile da definire in termini di politiche: lavoro, scuola, diseguaglianze, migranti, Europa. Non è uno scontro fra culture politiche del passato (comunisti e cattolici democratici) di cui si poteva anche dubitare che fossero il meglio che l’Italia aveva prodotto, ma che nei dieci anni trascorsi dal varo del Partito Democratico non si sono né contaminate né, meno che mai, fuse. Semmai, confuse.
Esclusa dai renziani la conferenza programmatica che poteva essere il luogo del dibattito sulle culture politiche che mancò nella primavera del 2007, l’elezione del segretario sarà solo un modo, neanche il migliore, per contare le truppe. Il reclutamento delle truppe non può andare troppo per il sottile, soprattutto per coloro che tentano la costruzione di un “campo” nel quale fare confluire tutte le sparse membra degli oppositori di Renzi (che non cessa di personalizzare la sua politica). Nelle prime riunioni degli scissionisti, come riferite dalle cronache locali, fanno capolino molti che sono stati emarginati dai renziani, ma anche che erano usciti dalla politica poiché sconfitti, ritenuti inadeguati, qualche volta, per esauriti limiti delle loro capacità. Questa specie di rimpatriata con forti componenti generazionali è in un’incerta misura inevitabile quasi quanto il conformismo che, non nuovo nella storia del PCI e dei suoi successori, tiene insieme coloro che rimangono nel PD, pur avendo grandi differenze d’opinione. Chi se ne va ha il compito oneroso di presentare con chiarezza le alternative che propone. Sarebbe molto più credibile se quelle alternative non provenissero soltanto, per limitarmi all’Emilia-Romagna, da Bersani e da Errani. Se, poi, nelle affollate assemblee s’affacciano politici e sindacalisti di persin troppo lungo corso e latitano i giovani, allora un problema c’è.
Pubblicato il 1° marzo 2017
Ridefinire la Sinistra
La città di Bologna, perplessa e inquieta, s’interroga: quali saranno le prossime mosse politiche del sindaco Merola? dopo la scissione che, peraltro, avrà poco spazio nel PD conformista bolognese, davvero non andrà né da una parte né dall’altra? Si adopererà, come dichiara, per tentare, in maniera ambiziosa, di cambiare il mondo, chiedo scusa, il centro-sinistra (è fatta: il trattino l’ho messo)? Inevitabilmente, gli “antipolitici” non perderanno l’occasione di sostenere che, invece di partecipare a operazioni più grandi di lui che, nel passato, non ha mai neppure abbozzato, Merola farebbe meglio a impiegare il suo tempo cercando di governare la città. Condivido, ma, dal momento che il molto mobile sindaco prende posizioni politiche e le cambia con notevole frequenza: dalla Ditta a Renzi nello spazio di una notte, poi a Pisapia che, prima, lo ha snobbato, poi, lo ha sganciato–, è giusto cercare di capire perché e con quali conseguenze. Forse, il perché l’ha già detto candidamente lui stesso.
Giunto al secondo mandato, non potendo essere rieletto, si sente più libero. Quindi, si dedica a un’operazione, dai contenuti e dai contorni indefiniti, che, infatti, oscilla dal creare qualcosa alla sinistra del PD di Renzi fino all’ulivismo, ma su questa prospettiva vaghissima è subito stato bacchettato da una vestale dell’Ulivo del breve tempo che fu. Nell’indeterminatezza della sua operazione politica, Merola si trova, non solo poiché gli “indeterminabili” sono tantissimi, in mezzo ad un guado. L’altra sponda nessuno sa dove sia e come si configuri. Più concretamente, il PD bolognese ed emiliano-romagnolo si dedica a curare quello che c’è, le cariche (le “poltrone” nell’elegante terminologia populista renziano) presenti e future. Qualcuno, non solo gli assessori comunali Priolo e Lepore, ai quali aggiungerei il deputato De Maria, è anche già, alquanto prematuramente, in pista per la successione a Merola. Meno parlano di come ricostruire un partito, una coalizione, una politica, meglio è, per loro, ma certamente non per una sinistra che ha bisogno di ridefinirsi.
Nel lungo tragitto di amministratore di Merola non ricordo nessuna elaborazione politica sua (mi verrebbe da aggiungere, risultando provocatorio, “e dei suoi intellettuali di riferimento”). Quello che manca oggi, non soltanto al Partito Democratico nazionale, è una riflessione approfondita, forse attraverso quella Conferenza programmatica che Renzi e i suoi collaboratori hanno respinto, nella quale siano discusse e decise, non le ragioni dello stare insieme, ma gli obiettivi da perseguire. Per usare il logoro lessico della politica politicata, si parli non di schieramenti, ma di programmi, meglio di visioni. In questa direzione il Merolapensiero ha ancora moltissima strada da fare.
Pubblicato il 23 febbraio 2017
Una storia da ricostruire. Il PCI sotto le Due Torri
Chi non conosce la storia è condannato a riviverla”. Magari, commenterebbero alcuni vecchi comunisti italiani, orgogliosi della storia del PCI e della loro storia personale di impegno, di azione, di cultura politica. Forse, più che riviverla, quella storia bisognerebbe, non rottamarla, ma insegnarla nelle sue luci e nelle sue ombre, in quello che fu positivo, anche per la democrazia italiana, e in quello che fu negativo e che ha portato all’inadeguata trasformazione del PCI che non riuscì mai a imboccare la strada difficile, ma promettente, della socialdemocrazia. Naturalmente, una storia è fatta di azioni e di interpretazioni, si (ri)costruisce su documentazioni e riflessioni, anche su critiche e autocritiche. Una buona storia è recupero di un patrimonio culturale costituito anche da immagini, simboli, effigi. Nulla di tutto questo parla da solo, ma tutto può essere interrogato da chi ne abbia gli strumenti per farlo.
Curiosamente, sappiamo molto della città di Bologna, della sua storia recente, dall’avvento del fascismo alla liberazione, dei governi comunisti, dell’alleanza fra PCI e PSI, della leggendaria campagna elettorale del 1956: “Dossetti contro Dozza”, dei sindaci. Non esiste, però, una vera e propria storia del Partito Comunista Bolognese. Adesso, dalla bella indagine di Pier Paolo Velonà apprendiamo che colui che fu anche il tesoriere del PCI, ovvero Mauro Roda, adesso presidente della Fondazione 2000, possiede un vero tesoretto di oggetti che fanno parte della storia del PCI e che sarebbero essenziali per chiunque volesse ricostruire quella storia con appropriati metodi di indagine che la illuminino anche nel vissuto quotidiano del partito, dei dirigenti, dei militanti.
Forse un simile patrimonio, integrato da elementi che altri comunisti posseggono, dovrebbe trovare una sua sede ampiamente accessibile. Qui torna la storia con la necessità di una rivisitazione per capirne di più sulla costruzione della democrazia a Bologna e dintorni e sul modo con il quale il PCB mantenne un livello di consenso molto elevato per un lungo periodo di tempo. Qualcuno potrebbe anche giungere a pensare che documenti e oggetti, azioni e trasformazioni poggiavano tutte su una base solida: una cultura politica di fondo, anche ideologica, non priva di difetti, ma omogenea e capace di indicare obiettivi. Al proposito, guardando a quanto è successo negli ultimi quindici-vent’anni, una qualche forma di nostalgia appare più che giustificata.
Pubblicato il 14 febbraio 2017
Vento emiliano e nuove filosofie
Il Partito Democratico dell’Emilia-Romagna non si fa mancare quasi niente tranne, talvolta, i voti, per esempio, quelli che servivano a evitare il ballottaggio di Merola. Non potendo andare oltre il secondo mandato (e la presidenza della Città metropolitana), sfuggitagli per via referendaria la carica di Senatore, il sindaco ha deciso di sbizzarrirsi in politica, forse, sostiene più d’uno, a scapito del miglioramento della sua attività amministrativa che lo vede al sessantesimo posto circa della classifica stilata dal Sole 24Ore. Può anche permettersi di contraddire variamente le proposte e le indicazioni del suo segretario di cui qualche tempo fa si era dichiarato convinto sostenitore. Adesso, mentre esprime il suo favore al referendum sul Jobs Act, legge simbolo del periodo renziano, annuncia che elezioni anticipate non sono una buona soluzione e opera per un’ipotesi di coalizione che includa quelli che un tempo sarebbero stati chiamati “cespugli di sinistra”. Se rinascesse l’Ulivo, e Romano Prodi sostiene che è possibile, quei cespugli avrebbero molte opportunità di essere considerati importanti.
Su altri versanti, i Dem dell’Emilia-Romagna mantengono alta la loro visibilità. Vero che dei tre ministri reclutati da Renzi, una, Federica Guidi, ha dovuto dimettersi qualche tempo fa, il secondo Giuliano Poletti, galleggia su imbarazzanti affermazioni, che non sono gaffes, ma ne rispecchiano il pensiero politico, e il terzo Graziano Delrio è un po’ emarginato, ma se le indiscrezioni hanno qualche fondamento, sarà la nuova segreteria di Renzi a fare il pieno di emiliano-romagnoli. Dal cerchio non più magico del giglio fiorentino al poco frizzante, ma solido ambiente emiliano-romagnolo? Il segretario che cerca un suo personale rilancio ha bisogno di un partito, anche se chi lo conosce non crede che saprebbe poi farlo funzionare e valorizzarlo. Vorrebbe un partito più unito, magari senza Bersani e quel che rimane dei bersaniani. Saranno Critelli, Calvano, Bonaccini, Richetti (alla ricerca di un ruolo chiave e sovraordinato nella nuova segreteria) e Andrea Rossi all’organizzazione a dargli quel partito? Difficile dirlo, ma inevitabile sottolineare che un riallineamento complessivo del PD emiliano-romagnolo su Renzi, da un lato, desterebbe grandi preoccupazioni nei molti parlamentari che desiderano la ricandidatura e molte speranze negli aspiranti fra i combattenti del pur sconfitto fronte del “sì”, dall’altro, aprirebbe spazi per Merola ( non “per il suo progetto” di cui non vedo né gli obiettivi né il perimetro). I nomi li ho fatti. Mancano solo le indicazioni su quali grandi, ma anche piccole, idee sapranno proporre sia i nuovi renziani sia il vecchio Merola. A quando il philosophari?
Pubblicato il 28 gennaio 2017