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Tag Archives: Costituzione

La Costituzione: rivoluzione promessa Lectio Magistralis Di Gianfranco Pasquino #20settembre #Matera @LaScaletta1959

20 settembre ore 9.30
Auditorium R. Gervasio
Matera

“La Costituzione: rivoluzione promessa”. E’ questo il tema della lectio magistralis che il professor Gianfranco Pasquino, terrà venerdì 20 settembre 2024 alle ore 9.30 nell’auditorium “R. Gervasio” di Matera.

Allievo di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, Pasquino è professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, a lungo editorialista per Il Sole 24 Ore, la Repubblica e l’Unità.

Il seminario, realizzato in collaborazione con il Comune di Matera, si propone di esaminare, nella giornata che precede le celebrazioni dell’insurrezione della città di Matera contro l’occupazione nazista, la modernità di una Carta Costituzionale che contiene in sé principi, ideali e valori che devono essere meglio compresi ed attuati.

La lectio magistralis del prof Pasquino si inserisce nel solco delle iniziative di Democrazia e Futuro il progetto organizzato dal Circolo La Scaletta e coordinato da Brunella Carriero e Nicola Savino, che ha lo scopo di accendere i riflettori sulle sfide che la democrazia sta affrontando nel XXI secolo, in un momento storico in cui i modelli democratici sono messi a dura prova da crisi economiche, disuguaglianze crescenti e nuove forme di autoritarismo.

Obiettivo centrale di Democrazia e Futuro è la partecipazione delle giovani generazioni. In un’epoca di crescente disillusione nei confronti della politica tradizionale, è fondamentale coinvolgere i giovani nei processi democratici, evidenziando l’importanza dell’educazione civica e della promozione di spazi di dialogo che possano dare voce ai più giovani.

“L’evento rappresenta la prosecuzione e, nel contempo, l’avvio di un nuovo percorso di approfondimento del progetto Democrazia e Futuro – sottolinea il Presidente del Circolo La ScalettaFranco Di Pede – e vedrà la partecipazione di oltre 400 studenti del quarto e del quinto anno di istituti di istruzione superiore della città. Nel corso delle sue edizioni, la rassegna ha coinvolto intellettuali, politici, giornalisti, esperti di varie discipline e cittadini, ponendo in rilievo la necessità di riflettere sul concetto stesso di democrazia. Il Circolo Culturale La Scaletta, con una storia ormai sessantennale alle spalle, ha sempre avuto un ruolo attivo nella promozione di dibattiti culturali e politici, con un’attenzione particolare alle questioni della partecipazione civile e della democrazia”.

“Con le parole di Calamandrei – sottolinea Brunella Carriero che introdurrà il seminario – la Costituzione è una specie di promessa rivoluzione nella legalità, in cambio di quella rivoluzione mancata che la Resistenza non riuscì a produrre. I giovanissimi ospiti – continua Brunella Carriero – sono fiaccole da accendere, nella via delle libertà, dei diritti e dei doveri consacrati nella Legge delle Leggi che è la Carta Costituzionale; gli studenti dialogheranno con l’illustre ospite, ma non solo: si esibiranno in brani musicali e forniranno un servizio di digital tv per diffondere l’iniziativa”.

INVITO Dalla Resistenza alla Costituzione. Ieri e domani #13agosto #Borgosesia #ANPI

13 agosto 2024 ore 17,30
Presso il Centro Studi Giovanni Turcotti
Via Giordano, 1 Borgosesia (VC)

Gianfranco Pasquino terrà la conferenza sul tema:
Dalla Resistenza alla Costituzione. Ieri e domani”

In occasione della Commemorazione dell’80° anniversario dell’Eccidio del Ponte della pietà 14 agosto 1944

Costituzione, forme di governo e premierato #ParliamoneOra #26marzo Casalecchio di Reno #Bologna

Associazione di docenti, ricercatori e ricercatrici di Unibo, ParliamoneOra è università che esce dalle aule ParliamoneOra@Unibo.it

6 Marzo 2024
ore 9:00 / 11:00
Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno,

Gianfranco Pasquino

Costituzione, forme di governo e premierato.

Perché il richiamo di Mattarella è necessario. La versione di Pasquino @formichenews

Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei

Le immagini degli agenti di polizia che, a Pisa più che a Firenze, manganellano giovani studenti delle scuole superiori, sono conturbanti anche per me, uomo d’ordine. Ho cercato di guardare nei dettagli quelle immagini variamente trasmesse. Non ho visto né passamontagna né sbarre e bastoni che mi avrebbero permesso di diventare “pasoliniano”: studenti di famiglie borghesi contro poliziotti di origine proletaria. Quindi, posso schierarmi con quel borghese del Presidente della Repubblica “l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli” e “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Mi permetto di non citare le prevedibilissime, non impara mai niente, parole di Matteo Salvini. Mi preoccupano, invece, quelle di Antonio Tajani: “sanzionare chi ha sbagliato, ma le forze dell’ordine non si toccano”. Se alcuni appartenenti alle forze dell’ordine hanno sbagliato, opportuno e giusto che vengano sanzionate. Punto.

Il Presidente Mattarella ha parlato in piena conformità con il dettato costituzionale. All’art. 87 sta scritto che il Presidente della Repubblica “rappresenta l’unità nazionale”. I manganelli sui volti e sulle schiene degli studenti che manifestano incrinano quell’unità nazionale che si fonda anche sulla libertà di espressione e di dissenso esplicitato in forme non violente. Sappiamo che molte telefonate fra i responsabili istituzionali avvengono in maniera riservata. La telefonata intercorsa con il Ministro Piantedosi è stata resa pubblica perché riguarda i rapporti fra cittadini e le forze dell’ordine. Non può essere interpretata come critica puntuale dell’operato di quelle specifiche forze di polizia, non come riprovazione generale del governo. Quindi, sarebbe stato meglio se tanto Salvini quanto Tajani avessero scelto la apprezzabile opzione del silenzio. Il Presidente ha voluto anche fare un richiamo più ampio a comportamenti che non debbono essere mai tollerati.

Leggo interpretazioni fantasiose secondo le quali Mattarella avrebbe/ha inteso procedere ad un “assaggio” di quello che potrebbe succedere se la riforma del premierato elettivo andasse in porto. Quella riforma toglierebbe al Presidente della Repubblica due poteri istituzionali significativi, vale a dire quello di nominare il Presidente del Consiglio e quello di sciogliere, ancor più di non sciogliere, il Parlamento. La riforma, per quanto sbagliata e piena di azzardi, non toglie la parola al Presidente. Personalmente nutro molti dubbi sull’attribuzione a Mattarella di operazioni subdole con inconfessabili fini. Il premierato elettivo, una volta approvato, dovrà essere valutato con riferimento alla costituzionalità delle sue clausole, alcune delle quali, attualmente, alquanto pasticciate. Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico rimarrà comunque necessario poiché è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla.      

Pubblicato il 26 febbraio 2024 su Formiche.net

La Costituzione è Viva e Lotta insieme a noi #incontro #11dicembre Zola Predosa #Bologna #ANPI

11 dicembre 2023 ore 18.30
Auditorium Spazio Binario
Piazza della Repubblica 1 Zola Predosa

Incontro pubblico con
Gianfranco Pasquino

La Costituzione è Viva e Lotta insieme a noi

Presiede Anna Cocchi

saluto del sindaco
Davide dall’Olmo

Le ossessioni di Crosetto e le lezioni di Montesquieu @DomaniGiornale

 “Fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni” è il progetto che il Ministro Guido Crosetto attribuisce a una corrente della magistratura italiana. Di più, “l’opposizione giudiziaria”, “fazione antagonista da sempre …, ha sempre affossato i governi di centro-destra”. Le parole di Crosetto, da lui stesso poi derubricate a ”preoccupazione”, riflettono, di sicuro non intenzionalmente, la situazione di separazione dei poteri e di competizione fra le istituzioni che sta a fondamento delle democrazie. Se non tutto, molto comincia proprio quando un alto magistrato, Charles Louis de Secondat barone de la Prède, noto come Montesquieu, nel 1748 pubblica Lo spirito delle leggi. Al sovrano che cumula potere esecutivo, potere legislativo e potere giudiziario, è imperativo, per ragioni di efficienza e di equità, strappare/togliere il potere di fare le leggi e il potere di decidere le controversie. Debbono nascere nuove istituzioni specializzate e preparate in grado di esercitare con ampia autonomia quei poteri.

   Fin dall’inizio di quella che è stato il lungo tragitto che portò alla democrazia il potere giudiziario si è programmaticamente contrapposto al potere esecutivo e, naturalmente, viceversa. Un po’ dappertutto, in misure certamente diverse, il potere esecutivo è insofferente dei controlli che il potere giudiziario ha il compito istituzionale di svolgere e attuare cosicché nella misura del possibile, qualche volta forzando le leggi esistenti, il potere esecutivo cerca di sfuggire. Di frequente annuncia e attua “riforme della giustizia”, nuove modalità di valutazione dell’operato dei giudici, (ri)definizione delle carriere e dei poteri. In questa versione, secondo alcuni acuti studiosi USA, le istituzioni non sono soltanto separate, ma risultano in costante competizione fra di loro. Il rischio grande non è e finora non è stato quello di un golpe del giudiziario che rovesci il potere esecutivo (ma attendo volentieri replica e esempi di Crosetto). Al contrario, vi sono stati (capi di) esecutivi che hanno contrastato l’applicazione delle leggi ad opera del giudiziario, sono intervenuti contro l’istituzione violandone l’autonomia, hanno sfidato le leggi. Gli Stati Uniti da Nixon a Trump offrono esempi molto rilevanti. Ma anche in alcune democrazie europee, la rule of law, noi diremmo lo Stato di diritto, che non è il governo dei giudici, ma delle leggi a partire dalla Costituzione, la “legge deIle leggi”, viene sfidata, violata, ridimensionata dai detentori del potere esecutivo, nell’ordine, in Ungheria e in Polonia.

   Non stupisce, quindi, che sia un Ministro a sollevare neanche troppo obliquamente la questione di parte dei magistrati che fanno politica. Certo, quei magistrati vigilano doverosamente su una pluralità di situazioni e di comportamenti impropri: dal conflitto di interessi agli abusi di potere, dall’utilizzo di fonti improprie al cumulo di cariche. Nulla di tutto questo può essere caratterizzato come un complotto. Tutto o quasi può essere affrontato e risolto con riferimento alla Costituzione e alle leggi vigenti. l potenti che ricorrono all’intimidazione preventiva nei confronti dei giornalisti che sollevano coltri di omertà e dei magistrati che hanno l’obbligo di attivarsi ogniqualvolta si palesa e esiste una notizia di reato stanno semplicemente dimostrando che la democrazia è un sistema di freni e di contrappesi. Il ministro e l’uomo Crosetto hanno le spalle abbastanza larghe e forti da contrastare politicamente a viso aperto con il ricorso alle leggi di questo paese e, se necessario, alla Corte di Giustizia Europea, qualsiasi violazione, comportamento scorretto, sentenza particolaristica. Anzitutto, mettendo ordine in casa propria.     

Pubblicato il 29 novembre 2023 su Domani

Il premierato? Porterà conflitti e confusione @DomaniGiornale

Nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, al quale molto spesso la Presidente del Consiglio si richiama, sta chiaramente scritto: presidenzialismo, stabilità di governo, Stato efficiente. La bozza di riforma costituzionale in circolazione che verrà presentata venerdì al Consiglio dei Ministri fin dal titolo parla, invece, di qualcosa di diverso e inusitato, cioè, di premierato: “elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri”. Le differenze istituzionali sono enormi. Attualmente, in nessun sistema politico il capo di governo è eletto direttamente dai cittadini. Per tre volte, 1996, 1999, 2001, il Premier israeliano fu eletto da maggioranze assolute, lo sottolineo, di votanti, ma quella elezione non produsse né stabilità né efficienza e venne abbandonata. Il disegno di legge del governo italiano non specifica quale maggioranza sia necessaria per l’elezione rendendo lecito e inevitabile pensare che potrà anche essere una maggioranza relativa. Dopodiché, a quel Presidente del Consiglio verrà consegnata una maggioranza parlamentare del 55 per cento dei seggi. Dovrà avere la fiducia espressa delle due Camere, ma non è specificato con quale sistema viene eletto il Parlamento. Qualora non ottenesse la fiducia, il Presidente della Repubblica potrebbe rinnovargli l’incarico. Una seconda bocciatura consentirebbe al Presidente di sciogliere il Parlamento. Il Primo ministro cessato dalla carica, non viene specificato come e perché, può essere sostituito dal Presidente della Repubblica con un parlamentare (dunque, nessuna possibilità di governi guidati da un non-politico, un tecnico) appartenente alla stessa maggioranza. Il governo avrebbe stabilità, ma il capo del governo eletto dai cittadini potrebbe, contraddittoriamente con l’obiettivo preminente della sua stabilità in carica, essere sostituito attraverso accordi fra i partiti. La macchinosità di queste procedure sembra essere dovuta essenzialmente al tentativo di salvaguardare i due poteri politico-istituzionali che caratterizzano la figura del Presidente della Repubblica nella Costituzione vigente: nomina del Presidente del Consiglio e scioglimento del Parlamento. Nella realtà, però, quei poteri risulteranno solo formali e il Presidente perderà qualsiasi discrezionalità nel suo esercizio.

    Ferma restando la sottolineatura che uno di punti di forza delle forme parlamentari di governo è la loro flessibilità/adattabilità in particolare fronte alla rigidità introdotta da questo tipo di premierato, il disegno di legge di riforma costituzionale è esposto a due obiezioni. La prima attiene alla maggioranza non assoluta che può eleggere il Primo ministro, dunque, inevitabilmente, alla imperfetta legittimazione politica che ne deriva. La seconda obiezione riguarda le non specificate modalità con le quali la non-maggioranza che lo ha eletto in Parlamento godrà del 55 per cento dei seggi. Aggiungo che non c’è nessuna garanzia che la stabilità del Primo ministro non diventi paralisi politica e immobilismo legislativo che la sua maggioranza accetterebbe pur di non tornare alle urne obbligata ad accettare la responsabilità di quel che non è riuscita a fare e che il Presidente della Repubblica non potrebbe sbrogliare con lo scioglimento del Parlamento. Lasciare il terreno conosciuto delle forme di governo presidenziale, parlamentare, semipresidenziale richiede molto di più e molto meglio dell’elezione popolare diretta del Primo ministro. Esagerato è sostenere che è in gioco la democrazia in quanto tale, ma certamente lo è come migliorare il suo funzionamento senza aprire spazi ad un populismo vittimista. Quello che quasi sicuramente consegue da una brutta riforma è delusione e scontento, confusione e conflitti.

Pubblicato il 1° novembre 2023 su Domani

La giudice di Catania e la separazione dei poteri @DomaniGiornale

No, non è un fantasma che si aggira per l’Italia. Sono gli indizi della sindrome populista che finora sostanzialmente, ma non del tutto, contenuti fanno la loro comparsa nelle dichiarazioni e nei comportamenti della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le conferenze stampa senza domande e senza contraddittori(o) piacciono a molti capi di governo, ma le querele alle critiche provenienti dai giornali vanno un passo più in là. Intendono anche essere minacciosi avvertimenti a coloro che ritengono giustamente che l’opinione pubblica debba ricevere il massimo di informazione e di controinformazione. Questa è ancora più vero e più utile nella fase in cui sono molti i soggetti, interni ed esterni, produttori di fake news e impegnati in manipolazioni più o meno sottili che mirano a ridimensionare fortemente la libertà di stampa. Peggio quando al ridimensionamento contribuiscono anche i giornalisti stessi, quelli inadeguati e impreparati, ma anche quelli ambiziosi che corrono in soccorso del regime.

    Il livello sale e la sindrome diventa più visibile quando il conflitto riguarda le istituzioni e contrappone, si potrebbe dire che è quasi un classico, il governo alla magistratura. Scontri di questo tipo si manifestano dappertutto. Le differenze consistono nei toni e nei modi, nella reazione dei governanti. Avevamo da tempo imparato insieme al contadino tedesco cui il re aveva confiscato la terra che già in quei tempi lontani c’era un giudice a Berlino. Adesso sappiamo anche che esiste una giudice a Catania che pensa che la Costituzione non possa essere ignorata e violata da decreti del governo e che ritiene che persino le norme europee meritino di essere rispettate. La dinamica di una interazione democratica consente ricorsi del Ministro responsabile e contempla anche la possibilità di errori individuati e sanati dando ragione al ricorrente. Quello che la dinamica democratica non contempla, ma quella populista contiene e esprime, è che la sentenza di un magistrato venga accusata di attacco al “governo democraticamente eletto”, in sostanza di sovversione della sovranità popolare.

   In primo luogo, giova ripeterlo, nessun governo è democraticamente “eletto”. Costituzionalmente, è democraticamente insediato quando e fintantoché gode della fiducia, espressa o implicita, del Parlamento. Tutti i governi debbono operare secondo le leggi vigenti, a cominciare dalla Costituzione, le cui disposizioni è responsabilità della magistratura interpretare con motivazioni scritte. Tipicamente, i populisti credono che chi vince le elezioni ha conquistato il potere, tutto. Il liberalismo, di cui troppi commentatori si riempiono la bocca, si basa anche sulla separazione delle istituzioni e su spazi di autonomia, da proteggere con freni e contrappesi, e valorizzare per ciascuna di loro. Anche ieri Giorgia Meloni ha voluto ribadire che è necessario rendere il governo italiano più stabile affinché sia più forte. Qualcuno vorrebbe una democrazia “decidente”, aggettivo assolutamente improprio che nella teoria democratica non fa praticamente mai capolino.

   Meloni ha iniziato la sua battaglia costituzionale introducendo un uomo di paglia: il governo tecnico da aborrire. Senza dimenticare che alcuni, non pochi, “tecnici” già occupano cariche ministeriali importanti nel suo governo, è lecito ipotizzare che il pericolo della comparsa di un governo tecnico sostenuto dai poteri forti (tutta la batteria populista trova il suo sfogo) venga sollevato proprio per puntellare la sua riforma costituzionale, ancora non precisata, ma con alcuni tratti genuinamente populisti: la donna sola al comando in controllo del Parlamento, del suo funzionamento e del suo scioglimento. Quanti indizi sono sufficienti per fare una prova?   

Pubblicato il 4 ottobre 2023 su Domani

Napolitano è sempre stato dalla parte della Costituzione @DomaniGiornale

Il primo Presidente della Repubblica italiana a essere rieletto è un dato statistico che a Napolitano, pur consapevole del fatto, non piacerebbe che venisse ricordato come suo grande merito. Non lo desiderò, non lo chiese, non lo gradì. Quel grande discorso di insediamento del suo secondo mandato, nel quale criticò, applauditissimo dai dirigenti di partito e dai loro parlamentari, incapaci di preparare e procedere ad una scelta da tempo nota, fu dettato dalla sua incontenibile irritazione, ma anche da notevole preoccupazione. Lui, coerente parlamentarista da sempre, si rendeva conto delle profonde, forse incorreggibili, degenerazioni del Parlamento italiano e della classe parlamentare. Lui, da sempre, con la quasi totalità dei “miglioristi”, conservatore istituzionale, si rese disponibile ad auspicare riforme anche costituzionali e a sostenere i loro tanto disinvolti quanti incompetenti portatori, a cominciare da Matteo Renzi. Dei rischi si rese rapidamente conto, quando a metà settembre 2016, in una intervista a “la Repubblica” denunciò “gli eccessi di personalizzazione politica” nella campagna referendaria del Presidente del Consiglio che voleva un voto sulle sua riforme, minacciando altrimenti la sua uscita di scena (“c’è altro da fare nella vita”) e adombrando quell’instabilità governativa e anche politica che il Presidente Napolitano voleva scongiurare e evitare come le sue scelte e i suoi comportamenti costituzionali avevano già ripetutamente, talvolta suscitando controversie, provato.

Accusato di provenire e di stare da una precisa parte politica, Napolitano prontamente rispose che era vero. Stava “dalla parte della Costituzione”. Qualsiasi lettura delle Presidenze, al plurale, di Giorgio Napolitano e, più in generale, della sua lunga, impegnativa e ricca, giustamente, di onori e di riconoscimenti, deve prendere le mosse dalla Costituzione italiana e procedere confrontandosi con l’interpretazione che Napolitano ne diede e con i comportamenti che in quanto Presidente, ne fece coerentemente e, talvolta, creativamente, discendere.   

Troppo spesso nel passato i Presidenti della Repubblica italiana si erano fatti condizionare dai partiti che li avevano candidati ed eletti. Soltanto negli ultimi due anni del suo mandato, preveggendo la crisi politica e istituzionale incombente, Cossiga affermò la sua indipendenza con toni aspri, critiche mirate, indicazioni interessanti che quel che rimaneva dei partiti respinsero in articulo mortis (la loro). Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999) si trovò in mare aperto e procelloso. Lui, parlamentarista di lunghissimo corso, scelse quella navigazione che gli veniva dall’esperienza e che alcuni bravi consiglieri e costituzionalisti gli prospettarono. Presidente della Camera in due anni cruciali, 1992-1994, Napolitano colse con attenzione e intelligenza tutte le novità e le variazioni nell’interpretazione dei dettami costituzionali del settennato di Scalfaro.

Le sfide e le crisi da lui affrontate furono in parte inevitabilmente differenti anche perché aggravatesi. I principi e i valori costituzionali cui ispirarsi apparvero ancora di più in tutta la loro inesplorata rilevanza. Nominare il Presidente del Consiglio è compito, diritto e dovere del Presidente della Repubblica che mira a ottenere su quella nomina per il prescelto “la fiducia delle Camere”, unico requisito costituzionale per la formazione dei governi. Ma, spesso, Napolitano chiese e si impose di più: che il Presidente del Consiglio venisse appoggiato da una maggioranza operativa. Per intenderci, quella che portava con sé il segretario del PD Matteo Renzi nel febbraio 2014 era (sembrava) più operativa di quella, pure sussistente, di Enrico Letta. Nel 2011 la maggioranza a sostegno di Berlusconi, personalmente troppo assorbito da “cene eleganti e con decoro”, aveva perso qualsiasi operatività e stava facendo crollare il sistema economico italiano sotto il peso insostenibile dello spread giunto a quota 500. Ma una nuova maggioranza non era certa neppure dopo l’indispensabile passaggio elettorale e non esisteva nessuna garanzia di sua operatività.

    Il potere costituzionale di scioglimento del Parlamento implica anche, come dimostrato dal doppio diniego di Scalfaro ai richiedenti Berlusconi (dicembre 1993) e Prodi (ottobre 1998), la facoltà di non sciogliere, di non logorare l’elettorato, di non attribuirgli responsabilità che non gli spettano e non può assumersi. Il rancore espresso fra i denti dei commenti degli esponenti/governanti del centro-destra in morte di Napolitano testimoniano la loro mancata comprensione di quello che è effettivamente il combinato disposto “democrazia parlamentare-competizione partitica”.

Sull’onda delle crisi e della precarietà delle soluzioni il conservatore istituzionale Giorgio Napolitano giunse alla convinzione che neppure la straordinari elasticità della democrazia parlamentare disegnata con enorme saggezza dai Costituenti italiani poteva continuare a supplire alle inadeguatezze e ai vizi, non della politica, ma della classe politica che lui conosceva per osservazione e anche frequentazione. Il suo sostegno alle riforme costituzionali volute e, seppure male, congegnate da Renzi, si spiega come ultima ratio, quasi effetto di disperazione costituzionale. La loro sconfitta la sentì anche come sua, dolorosamente. Fu un’altra, avrebbe detto Bobbio, delle dure lezioni che la storia impartisce non soltanto ai gregari, ma anche ai protagonisti. Vero protagonista senza smanie di protagonismo, Napolitano prese atto di quelle lezioni, lasciando alcune sue lezioni costituzionali, di politica e di europeismo (“rifare gli italiani per fare l’Europa” è il titolo del dialogo che svolse con me a Palermo l’8 settembre 2011 nell’ambito del Congresso annuale della Società Italiana di Scienza Politica) di cui credo sia possibile affermare che il suo successore Mattarella ha già fatto tesoro procedendo, quando è stato necessario, ad esempio con la nomina di Mario Draghi, alla loro attuazione. Non finisce qui. Grazie, Napolitano.

Pubblicato domenica 24 settembre 2023 su Domani

I veri patrioti sono i cittadini che pagano le tasse @DomaniGiornale

La Magna Charta (1215) fu, fra l’altro, il tentativo riuscito dei Lords di imporre al re d’Inghilterra di consultarli se voleva il loro assenso e i loro soldi per finanziare sue attività, le sue guerre. Fu l’inizio della tassazione concordata fra il potere politico e i cittadini più eminenti, proprietari di castelli e di terre. cinque secoli dopo, dal 1765 in poi, alle origini delle democrazie anglosassoni, furono i coloni americani a ribellarsi al re d’Inghilterra al grido di “no taxation without representation”. Le tasse saranno pagate soltanto se decise da assemblee rappresentative elettive. Nacque o, meglio, si palesò il legame fra i cittadini e i governanti. Da allora è possibile sostenere che pagare le tasse è quello che fanno i buoni cittadini, i patrioti. Sono loro che danno mandato ai rappresentanti di formulare le decisioni con le quali esigere quante tasse, per quali obiettivi, con quali modalità. Sono decisioni importanti soprattutto perché quelle tasse servono allo Stato, al potere politico, per soddisfare alcuni compiti fondamentali fra i quali la sicurezza interna e la difesa dei sacri confini della patria.

    Nel corso del tempo la sicurezza interna è stata vista in una luce più ampia. Può essere effettivamente garantita al meglio quando tutti i cittadini godono di un minimo di risorse per vivere in maniera dignitosa, quando dispongono delle opportunità di perseguire i loro progetti di vita. In maniera molto diversificata, con tempi e modi peculiari, attinenti alle differenti concezioni dell’uomo e del mondo, un po’ dappertutto una parte notevole di tasse anche elevate è stata destinata alla costruzione, al mantenimento, all’estensione delle politiche sociali e assistenziali. I cittadini pagano quelle tasse sapendo che lo Stato le utilizzerà secondo le sue capacità per migliorare la vita dei suoi cittadini. Dal canto loro, i cittadini sanno che con il loro voto potranno cambiare quelle destinazioni. Soprattutto, hanno imparato che essere buoni cittadini significa in misura notevole pagare le tasse che consentono allo Stato di difendere le loro condizioni e di aiutare chi è in condizioni disagiate, i compatrioti e non solo.

Pagare le tasse forse non è, come sostenne Tommaso Padoa-Schioppa, “bello”, ma è giusto e patriottico. Laddove tutti pagano le tasse, chi più ha più paga, e vengono rispettati i due principi fondamentali della società giusta: universalità e progressività, si trova una democrazia robusta e vibrante. Eccezioni, elusioni, evasioni segnalano tre fenomeni molto gravi. Da un lato, sta l’incapacità dello Stato di riscuotere le tasse. Dall’altro, stanno le decisioni dei detentori del potere politico di favorire alcuni gruppi, per una molteplicità di ragioni particolaristiche, a scapito di altri, con clientelismo e spesso corruzione. Dall’altro ancora stanno cittadini egoisti, profittatori, parassiti che godono dei beni comuni senza contribuire al loro finanziamento. Da tempo immemorabile, ma questa non è un’attenuante, l’elevato tasso di evasione fiscale è il maggiore problema italiano collegato alla corruzione e ai privilegi che consentono agli evasori di fruire dei beni collettivi finanziati dai contribuenti onesti. La soluzione non è mai quella di condonare il passato, cattiva lezione che influenza il futuro, né quella di moltiplicare le leggi fiscali e le modalità di pagamento. Plurimae leges corruptissima Republica. La battaglia per la società giusta passa per l’educazione politica, sociale, economica, culturale dei cittadini. Il resto è fuffa, truffa.

Pubblicato il 2 agosto 2023 su Domani