Home » Posts tagged 'Dario Franceschini'
Tag Archives: Dario Franceschini
La passerella in festa. Pasquino detta l’agenda al Pd @formichenews

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, individua tre-quattro temi da discutere in chiave di programma politico e di impegno pedagogico alla Festa dell’Unità che si terrà a Bologna dal 26 agosto. Ma primo tra tutti: ridurre al minimo le passerelle dei capi e dei sottocapi correnti

Era da moltissimi anni, trentacinque?, che non ricevevo un invito tanto gratificante. Gli organizzatori della Festa dell’Unità che si aprirà a Bologna il 26 agosto mi hanno chiesto di individuare tre-quattro temi da discutere in chiave di programma politico e di impegno pedagogico di un partito a vocazione governativa –quella maggioritaria è andata perduta tempo fa. Rispondendo positivamente ho subito richiesto che siano ridotte al minimo le passarelle dei capi e dei sottocapi correnti.
Al primo posto dei temi ho collocato una discussione sulla Presidenza della Repubblica italiana: che cosa è stata e che cosa dovrebbe essere, con qualche candidato, per esempio, Casini, Veltroni e Franceschini, ma anche Casellati, chiamati a fare non tanto l’identikit, sarebbero sufficienti le loro biografie politiche, quanto l’elenco dei problemi che la prossima Presidenza dovrà inevitabilmente affrontare. Il secondo posto se lo sono guadagnato giustamente le afghane alle quali bisogna non solo offrire scuse e ospitalità, ma sostegno concreto, robusto, vibrante, incessante di prospettive di vita. Chiamare in causa l’Europa è indispensabile, esplorare come un partito progressista può formulare politiche nazionali è imperativo. Ne segue logicamente il tema della cittadinanza.
La Festa dell’Unità sarà il luogo dove ministri e esperti definiranno esattamente le differenze fra ius soli e ius culturae, diranno come gli altri Stati-membri dell’Unione Europea si comportano in materia, spiegheranno quale Italia e quali italiani non solo immaginano, ma vorrebbero vedere nei prossimi vent’anni: meno, ma migliori? E allora, poiché finalmente tutti, insomma, quasi, hanno imparato che è l’istruzione la leva sulla quale poggiare per produrre crescita culturale e economica, il Ministero dell’Istruzione organizzerà tre o quattro incontri sulla qualità dell’istruzione a tutti i livelli, sulla necessità della valutazione di docenti e studenti, di corsi e istituti, di esiti, inoltrandosi nella selva, densissima, ma tutt’altro che oscura, intitolata “Premiare il merito”. Last but not least, ho chiesto che si tengano alcune vere e proprie lezioni sulla scienza: cos’è il metodo scientifico, come si fanno le ricerche, come si valutano e si aggiornano le conoscenze acquisite.
La Festa dell’Unità è il luogo più appropriato dove mettere a confronto i politici, i decision-makers, i portatori di conoscenze e di competenze. Gli organizzatori mi hanno risposto che prenderanno in seria considerazione tutte le mie proposte chiedendomi un supplemento di istruttoria relativo alle presentazione dei libri di Letta e di Renzi (ho suggerito di farne una congiunta) e i nomi delle giornaliste e dei giornalisti “amici”. Ne è seguito uno scambio un po’ acceso poiché sono un sostenitore di interviste non sdraiate. Ho vinto soltanto su un punto: non inviteranno nessuno di Formiche. Mi hanno anche detto che la mia presenza non è necessaria. Non debbo scomodarmi. Andrà tutto bene; anzi, meglio. La passerella, pardon, la Politica, al posto di comando.
Pubblicato il 24 agosto 2021 su Formiche.net
Le fragilità dei tre leader alla prova del semestre bianco @DomaniGiornale


Lasciamo che i commentatori italiani si rincorrano l’un altro a prevedere disastri di un qualche tipo durante il semestre bianco e che superficialmente alcuni professori(oni) ne chiedano l’inutile abolizione. Quel che si intravede in questa fase non sono i partiti che approfittano dell’impossibilità di scioglimento del Parlamento per rendere la vita difficile (e perché poi? E con quali obiettivi?) al governo quanto piuttosto qualche scricchiolio delle leadership dei partiti di governo.
Non scricchiola la leadership di Giorgia Meloni, ma la sua solidità si accompagna alla sua limitata rilevanza anche perché il numero dei parlamentari di Fratelli d’Italia deriva dai voti del marzo 2018 poco più del 4 per cento a fronte delle intenzioni di voto oggi intorno al 18 per cento. Ė Salvini a sentire il fiato dei Fratelli d’Italia sul suo pur robusto collo, ma c’è di più. Anche a causa di ambiguità, probabilmente strutturali, la linea che esprime nelle sue numerosissime apparizioni televisive, interviste, dichiarazioni non sembra largamente condivisa. In particolare, sulle due tematiche più importanti adesso e nel futuro prossimo: Covid e, in senso lato, Europa, nella Lega vi sono posizioni non coincidenti con quelle che Salvini ha dentro. Il Presidente della Regione Veneto Zaia, non da solo, argomenta una linea rigorista sul Covid compreso il green pass e il ritorno a scuola. Sull’Europa e sul sostegno al governo Draghi, alta, forte e chiara è la linea che Giorgetti, avendola elaborata, continua a sostenere. Salvini incassa e guarda avanti, ma sembra avere perso baldanza.
Sicuramente baldanzoso Giuseppe Conte non lo è stato mai, ma non è mai stato riluttante a esibire una non piccola fiducia nelle sue qualità personali e, in qualche modo, anche politiche. Adesso il problema, che sarebbe di difficile soluzione per chiunque, è come acquisire e affermare la sua leadership sul Movimento 5 Stelle di ieri, vale a dire recuperando coloro che se ne sono andati o sono stati frettolosamente espulsi, e di domani a cominciare da quel 15 per cento di elettori scivolati via. All’interno del Movimento non ci sono sfidanti e forse neppure alternative, ma fatte salve poche eccezioni, non si sente neppure grande entusiasmo, piuttosto attendismo: “vediamo che cosa riesce a fare colui che voleva essere l’avvocato del popolo”.
Enrico Letta è il segretario di un partito nel quale i capi corrente hanno notevole potere. Guerini, Franceschini e Orlando sono comodamente sistemati nei loro uffici ministeriali che implicano non poche responsabilità, ma danno anche notevole visibilità (in questi giorni soprattutto per Franceschini che se la gode tutta, e non è finita). Con alcune proposte, voto ai sedicenni, patrimoniale (stoppata, mio modo di vedere, malamente, da Draghi) Letta ha voluto mostrare capacità di incidere sull’agenda politica, ma non può vantare successi e si trincera dietro il fatto inconfutabile dell’essere il PD il più sincero e leale sostenitore di Draghi e del suo governo. Un qualche rafforzamento della sua leadership potrebbe venire sia dalle vittorie possibili in numerose elezioni amministrative a ottobre sia da un suo chiaro e netto successo nell’elezione suppletiva a Siena. Apparentemente Letta è il meno “sfidato” dei tre leader di cui sto discutendo, ma la storia del PD, nel quale restano acquattati molti renziani/e, è anche fatta di repentine cadute e improvvise sostituzioni. La mia interpretazione è che nel semestre bianco, i partiti dovrebbero sentire il compito di rafforzare i loro profili politici al tempo stesso che si segnalano per capacità propositive. Vedo al contrario tensioni, non distruttive, ma che implicherebbero qualche ridefinizione di linee politiche. Non basterà un colpo d’ala nell’elezione rapida del successore(a) di Mattarella.
Pubblicato il 4 agosto 2021 su Domani
Draghi, Letta e la grande imboscata. Il commento di Pasquino @formichenews
Fa bene Mario Draghi a evitare a tutti i costi le “operazioni bandierine”. Ma dovrebbe realizzare che non è Enrico Letta la mina vagante per questo governo. Di qui a sei mesi Salvini e Meloni potrebbero giocargli un bello scherzo. Il commento di Gianfranco Pasquino
Non ho mai creduto che l’Ecclesiaste: “c’è un tempo per dare denari (agli Italiani) c’è un tempo per prenderli” fosse un riformista. Sono sicuro che anche Draghi riconoscerebbe che le riforme si fanno proprio combinando, almeno in parte, i soldi che si ottengono da chi ne ha fin troppi con il trasferimento a chi, ottenendoli, potrebbe migliorare le sue competenze e la sua posizione contribuendo nel contempo a cambiare il paese. Non so se la motivazione di Draghi nel respingere la tassa di successione proposta da Letta fosse quella di impedire a tutti i partiti l’operazione bandierine. Spero che non sia quella “ne so più io”. A sua volta, Letta dovrebbe sapere che le bandierine del suo partito le debbono, non piantare, ma sventolare i suoi ministri: Franceschini alla Cultura, Orlando al Lavoro, Guerini alla Difesa (?). Il neo-segretario di un partito talmente sgangherato da averlo richiamato dalla vie en rose parigina dovrebbe tentare di ricostruirlo quel partito, che è tutt’altra cosa dal renderlo visibile in un governo dove il bello e il cattivo tempo lo fa inesorabilmente e inevitabilmente il Presidente del Consiglio che, per di più, sembra averci preso molto gusto.
Inutile e improduttivo rincorrere Salvini che, non solo non ne azzecca una, ma è costretto a correre sia per temperamento sia per non farsi raggiungere da Meloni. D’altronde, Letta non è nelle condizioni, nessuno lo è, di proporre qualsivoglia alternativa a Draghi. Meglio continui a sottolineare, non allo spasimo, che il Partito Democratico è il perno di questo governo. Condivido anche che annunci alcune riforme da farsi, oltre alle tasse anche quella dello ius soli e una qualche dote che consenta ai giovani di farsi una vita, di studio e di lavoro, decente. Dunque, mi attendo nuove dichiarazioni, innocue per la vita del governo, ma essenziali per comunicare al paese e ad alcune categorie specifiche che il Partito Democratico si cura di loro. We, Dems, care. Dal canto suo, Draghi deve assolutamente restare au-dessus de la mêlée. Neanche per un attimo deve pensare che il nemico destabilizzante potrà essere il PD che non può andare da nessuna parte. Anzi, sono proprio alcune proposte del PD che gli consentirebbero/consentiranno fra qualche tempo di rendere visibile il suo profilo riformista. Piuttosto, deve temere la grande imboscata, quella del Quirinale, che potrebbe anche diventare il culmine della sua vita di successi. Che cosa dirà Draghi se Salvini e Meloni decidessero non soltanto di fare il suo nome per la Presidenza della Repubblica, ma annunciare che lo voteranno fin dall’inizio? Potrà Letta permettersi, non il lusso, ma lo sgarbo personale, politico, istituzionale di dire no alla candidatura di chi, a fine gennaio 2022, avrebbe già sulle spalle il manto del salvatore dell’Italia? Le scaramucce di questi giorni sono pochissima, ininfluente roba. All’orizzonte si affacciano strutturalmente, cioè sicure e improcrastinabili, scelte che cambieranno in maniera profonda alcuni importanti elementi del sistema politico. Meglio cominciare a riflettervi. “C’è un tempo per fare il Presidente del Consiglio e un tempo per fare il Presidente della Repubblica” concluderebbe quell’attento osservatore della scena, non soltanto politica, che è l’Ecclesiaste.
Pubblicato il 29 maggio 2021 su formiche.net
Separati in casa. Cinque Stelle e PD dopo il voto @Mov5Stelle @pdnetwork @domanigiornale
Sfide immaginarie e reali, alleanze più o meno organiche da costruire, personalismi di vario genere, consensi elettorali che vengono e più spesso vanno (via), elettori volubili e volatili. In attesa di nuove, indispensabili regole elettorali e istituzionali, questo è il panorama politico italiano. Lo si vede sia sul versante del centro-destra sia su quello del centro-sinistra e, se diamo ragione (una volta tanto…) a Di Maio, sull’evoluzione(-declino, ma non “disfatta storica”, come sentenzia Di Battista) dei Cinque Stelle, sulla persistenza di un terzo polo, piccolo, ma non irrilevante, talvolta potenzialmente decisivo. Quello che è sicuro è la ridefinizione dei rapporti di forza elettorali in entrambi gli schieramenti nonché per il polo del Movimento 5 Stelle. La ridefinizione continuerà fintantoché il sistema partitico rimarrà destrutturato, vale a dire per un periodo di tempo indefinito. Naturalmente, anche la scelta della nuova legge elettorale inciderà su una eventuale, difficile, ristrutturazione. Chi vuole “la proporzionale” deve essere avvisato. Qualsiasi variante di proporzionale ha poco da contribuire per configurare un sistema di partiti caratterizzato da coesione. Anzi, la proporzionale, mai punitiva nei confronti degli scissionisti, contribuisce alla frammentazione dei partiti. Scherzando, ma non troppo, potrei dire che la proporzionale faciliterà la comparsa di una lista Di Battista obbligando il pasionario dei pentastellati a contarsi.
L’esito elettorale-politico delle elezioni regionali contiene qualche insegnamento non banale per chi, come Zingaretti e, prima di lui, Dario Franceschini, desideri la costruzione di un’alleanza “organica” con il Movimento 5 Stelle. A livello locale aderenti e elettori dei pentastellati non hanno dimostrato grande propensione a favorire e premiare una simile alleanza. Anzi, i flussi elettorali suggeriscono che i pentaelettori si disperdono in una pluralità di direzioni, andando in misura limitata a sostenere i candidati del Partito Democratico. Più interessante e più rilevatore sarà il comportamento degli elettori del Movimento al ballottaggio in alcuni comuni, ma anche il comportamento degli elettori del PD quando al ballottaggio è passato un candidato dei Cinque Stelle.
Ė più che ragionevole pensare che prima di procedere dall’alto a dichiarare l’assoluta indispensabilità di un’alleanza organica fra Cinque Stelle e Partito Democratico, i proponenti, fra i quali sembra si collochi anche Di Maio, dovrebbero cominciare valutando il sentiment (è da tempo che volevo usare questa parola!) prevalente a livello locale. Dovrebbero incentivare incontri e forme di collaborazione, facendo leva sui temi propri a quei livelli e sulle persone giuste, quelle maggiormente in grado di rapportarsi fra loro e con l’elettorato.
Al momento, quello che si vede sul territorio è un insieme di “macchie” del più vario tipo, dovute in misura maggiore alla notevole diversificazione di opinioni, di aspettative, di preferenze dell’elettorato pentastellato. Per di più, a livello locale possono giocare negativamente molte animosità, sociali e politiche, pregresse, superabili soltanto con il tempo e con l’individuazione di obiettivi comuni. Sarebbe sicuramente sbagliato accelerare il processo di riavvicinamento che deve maturare e condurre a condividere elementi significativi di una cultura politica di governo. La fusione a freddo che diede vita al PD è l’esempio assolutamente da non ripetere.
Nella prospettiva che ritengo sia praticabile e produttiva, il governo Conte è un protagonista essenziale. La sua durata offre il tempo da utilizzare a livello locale. Le sue politiche condivise sono la garanzia che la collaborazione produce frutti, a cominciare da quanto già ottenuto a livello europeo che non sarebbe stato possibile per nessun governo Salvini/Meloni, e viceversa. Una legge elettorale proporzionale che entrambi gli alleati di governo hanno dichiarato di volere è disfunzionale rispetto all’obiettivo di una collaborazione più stretta. Infatti, porrebbe Cinque Stelle e Partito Democratico in inevitabile competizione. Un buon sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali come in Francia darebbe molti incentivi agli elettori di entrambi a convergere in particolare per sconfiggere i candidati/e del più socialmente e politicamente omogeneo centro-destra. Solo nuove modalità di competizione politico-elettorali promettono di cambiare in meglio la struttura delle opportunità. Vale la pena rifletterci.
Pubblicato il 24 settembre 2020 su Domani
VIDEO “La democrazia come ideale e come fatto”
Riprese audio e video a cura di Radio Radicale Roma, 8 gennaio 2020 Sala Conferenze del Partito Democratico
Sono intervenuti nell’ordine:
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università degli Studi di Bologna, Accademia dei Lincei
Gianni Cuperlo, membro della Direzione Nazionale, Partito Democratico
Claudia Mancina, professoressa associata di Etica alla Sapienza Università di Roma
Giacomo Marramao, professore emerito di Filosofia politica e Filosofia teoretica dell’Università degli Studi Roma Tre
Dario Franceschini, ministro dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, Partito Democratico
Tra gli argomenti discussi: Crisi, Democrazia, Economia, Globalizzazione, Liberalismo, Mercato, Politica, Società.
La registrazione video di questo convegno ha una durata di 1 ora e 32 minuti.
Tavola rotonda a partire da ParadoXa 3-2019
Democrazie Fake
a cura di Gianfranco PasquinoLa democrazia come ideale e come fatto
La democrazia come ideale e come fatto #TavolaRotonda #Roma #8gennaio
8 gennaio 2020, ore 17 Sala del Nazareno via Sant'Andrea delle Fratte 16 Roma
a partire da ParadoXa 3-2019
Democrazie Fake
a cura di Gianfranco PasquinoTavola rotonda
La democrazia come ideale e come fatto
Gianni Cuperlo
Dario Franceschini
Claudia Mancina
Giacomo Marramao
Gianfranco Pasquino
Il Conte 2 tra pulsioni suicide (M5S) e insofferenza (Pd). La versione di Pasquino @formichenews
Oltre le tendenze suicide del Movimento 5 Stelle e oltre l’insofferenza del Pd nei confronti dell’improvvisazione pentastellata, ci sono degli elementi strutturali non secondari da valutare, prima di far cadere l’esecutivo giallorosso. Il commento del politologo Gianfranco Pasquino, in libreria con “Italian Democracy: How It Works” (Routledge)
Sul lungo periodo saremo tutti morti (Keynes il saggio), ma sul breve periodo continueremo ad annoiarci moltissimo a discutere di quanto dura il governo italiano. Vero è che ci sono pulsioni suicide nei ranghi del Movimento Cinque Stelle e, infatti, hanno già portato alla riduzione quantitativamente significativa di quei ranghi. Vero è che cresce l’insofferenza del Partito Democratico nei confronti dell’improvvisazione, dell’ignoranza, dell’impertinenza dei Cinque Stelle. Più vero di tutto, però, è che molte delle scelte che il governo dovrà fare sono sostanzialmente obbligate (le farebbe, farà, certo dopo molto strepitare, anche un qualsiasi molto eventuale governo sovranista Salvini/Meloni) e che, soprattutto, ci sono due nobili obiettivi da perseguire: durare fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, gennaio 2022, e fare sbollire la crescita di consensi per la Lega. Le elezioni regionali in Emilia-Romagna saranno un ottimo indicatore per capire l’umore politico di quegli elettori, che, peraltro, non sono affatto rappresentativi del resto del paese.
Dopodiché, ovvero, forse, prima di tutto e soprattutto, ci sono gli elementi strutturali. Per l’economia italiana la insostenibile pesantezza del debito pubblico che rende complicatissima qualsiasi “manovra” e qualsiasi rilancio della crescita che, a questo punto, non potrà che passare per un’impennata di produttività. Questo rende lecito anche interrogare i sindacati sulla loro disponibilità e sul loro impegno. Il secondo elemento strutturale è rappresentato dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea e quindi dalla necessità/capacità di convincere gli altri Stati-membri che siamo credibili e affidabili come “sistema-paese” e non soltanto come governi transeunti che assumono impegni, leggi MES, che i loro successori metteranno in questione.
Quando si passa agli elementi congiunturali, vale a dire a problemi da risolvere perché emergenti e urgenti, dall’Ilva ad Alitalia (sì, lo so che è quasi strutturale), dalla messa in sicurezza del territorio nazionale alle opere pubbliche, dalla giustizia alla scuola, allora fanno la loro inevitabile comparsa le distanze fra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico, con il Presidente del Consiglio che si dimostra provetto navigatore e galleggiatore. Parte, ancora probabilmente maggioritaria del Movimento, si fa guidare da due etiche, quella di convinzioni, molto discutibili che derivano da una quasi totale misconoscenza delle modalità di funzionamento di una democrazia parlamentare, e quella delle convenienze: meglio stare al governo che piombare in una campagna elettorale ravvicinata che li dimezzerebbe e forse più. Nel frattempo, i Democratici non hanno risolto, perché non ne hanno neppure discusso, le loro differenze di opinione sulla valutazione dell’alleanza con i Cinque Stelle: oggi, per sopravvivere e non consegnare l’Italia al centro-destra; domani, per attrezzarsi ad un difficilissimo bipolarismo architettando, come si dice desideri Dario Franceschini, un rapporto più stretto con i Cinque Stelle (senza che costoro imparino nulla?).
Il futuro del governo Conte 2 è incerto, come è stato il futuro di praticamente tutti i governi italiani dell’unica Repubblica che abbiamo avuto. La durata media che, certo, nasconde qualche esito più lunghetto, è di circa quindici mesi e mezzo. Allora, senza allarmismi, riparliamone fra un po’.
Pubblicato il 2 dicembre 2019 su formiche.net
L’Emilia Romagna? Un test nazionale che il Pd non può perdere. Firmato Pasquino @formichenews
Sì, le elezioni in Emilia-Romagna sono un test nazionale, ma la Lega può permettersi di non vincere. Il Partito democratico e i suoi sostenitori non possono permettersi di perdere. Il Movimento 5 Stelle, invece, non sa più cosa può o non può permettersi. Il commento del politologo Gianfranco Pasquino
Lo sanno tutti che il 26 gennaio 2020 si voterà per eleggere il Presidente della regione Emilia-Romagna. Che c’è un Presidente in carica, Stefano Bonaccini, giustamente ricandidato dal Partito Democratico, e che c’è una sfidante della Lega, Lucia Borgonzoni. Sanno anche, gli elettori, mentre i commentatori si esibiscono in spericolate arrampicate sugli specchi, che molti pensano che la sfida abbia sapore, ma, quel che più conta, effetti nazionali. Infatti, vincendo l’Emilia-Romagna, regione simbolo della sinistra, anche più della Toscana, la Lega e il centro-destra rivendicheranno la guida del paese. Sosterranno, lo scrivo con parole colte, che il governo legale, quello prodotto dal Parlamento eletto nel marzo 2018, non rappresenta più il paese reale, quello che, elezione locale dopo elezione locale, dimostra l’esistenza di una maggioranza numerica (probabilmente anche politica) del centro-destra.
Non c’è nessuna contraddizione a pensare che in un’elezione importante si possano ritrovare ed esprimere due significati. Il balletto della, non so come chiamarla, dirò sinistra (almeno fino quando non irromperà Renzi…) che mira a restringere l’effetto delle elezioni al solo ambito locale, è scomposto e mal posto. Lo è soprattutto, ma attendo le autorevoli parole di Dario Franceschini, per coloro che vorrebbero costruire un’alleanza “organica” fra PD e Cinque Stelle, che numeri alla mano, è la sola potenzialmente in grado di impedire una prossima vittoria nazionale del centro-destra.
In preda a sue convulsioni politiche e personali, Di Maio non sa decidere che cosa sia meglio: appoggiare esplicitamente il candidato del PD (convintamente mi pare troppo per lui e per i Cinque Stelle emiliano-romagnoli che hanno prosperato sulle passate difficoltà del PD e sulla insoddisfazione grande di parte dell’elettorato di sinistra, insoddisfazione non terminata che sta parzialmente confluendo nella Lega) oppure fare altro, al momento del tutto imprecisato, fino al suicidio non assistito di non presentare liste. Nel caso della non presentazione delle liste pentastellate, già di per sé brutto messaggio, e della successiva sconfitta del candidato del PD, non resterebbe che prendere atto che la coalizione nazionale Cinque Stelle-Partito Democratico non soltanto è del tutto occasionale, ma non ha, almeno fintantoché Di Maio rimarrà capo politico del Movimento, nessuna probabilità di estendersi e rafforzarsi.
La notizia potrebbe persino essere buona per il governo Conte. Disarticolati sul territorio, i due temporanei alleati nazionali sanno che le elezioni politiche sarebbero per loro disastrose. Quindi, fra tensioni e conflitti e un tristissimo stillicidio di noiosissime dichiarazioni tireranno a campare, oramai lo sanno tutti, fino alla lontanissima data dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica (gennaio 2022). Non basteranno le molte “sardine” (dimostranti) in Piazza Maggiore a Bologna e neppure i giornalisti di “Repubblica” che sostengono che il PalaDozza non era pieno come se questo fatto ridimensionasse i voti che andranno alla Borgonzoni. Incidentalmente, il sottoscritto che, tifoso di basket e abbonato Virtus, il PalaDozza lo conosce bene, giovedì sera ci è andato e può assicurare che era sostanzialmente al completo con un centinaio di persone in piedi.
Where do we go from here? Qualcuno direbbe, magari lo dico io, che bisogna ripartire dalla realtà: alzare la posta senza fare paragoni alla Zingaretti fra gli anni Venti del secolo scorso e i “nostri” imminenti anni Venti. Sì, le elezioni in Emilia-Romagna sono un test nazionale, ma la Lega può permettersi di non vincere. Il Partito Democratico e i suoi sostenitori non possono permettersi di perdere. I Cinque Stelle sono forse già allo stadio che non sanno neppure più che cosa possono permettersi e no.
Pubblicato su formiche.net
Sull’Emilia-Romagna si gioca la tenuta del governo #EmiliaRomagna #Regionali @formichenews
Dopo la conquista dell’Umbria, una spallata vincente all’Emilia-Romagna da parte della Lega di Matteo Salvini potrebbe portare anche al crollo del governo Conte II. L’opinione di Gianfranco Pasquino
Sappiamo (quasi) tutto sull’Emilia-Romagna. Dal punto di vista socio-economico è una delle due/tre regioni più avanzate d’Italia. I suoi ospedali, le sue scuole, atenei compresi, le sue aziende sono all’avanguardia, invidiabili e invidiate. Continuano a progredire e a migliorare le condizioni di vita e le prospettive dei suoi abitanti. Le sue città sono ben governate. Il buongoverno delle sinistre a prevalenza comunista ha portato l’Emilia-Romagna, dall’essere, nella classifica delle venti regioni italiane nel 1945 intorno al 12esimo/13esimo posto, subito dopo la Lombardia e in costante competizione con il Veneto. La regione rappresenta oggettivamente un’alternativa ad entrambe e una sfida come modello politico, amministrativo, organizzativo. Il suo tessuto sociale, numero, attività e vitalità delle associazioni, è variegato e ricchissimo. Il suo capitale sociale (e, in misura inferiore, politico) rimane diffuso e cospicuo. Quello che, invece, appare, agli occhi degli elettori “di sinistra” e, oggi, meno di sinistra, del Partito Democratico, è il comportamento elettorale dei loro concittadini, che risulta poco premiante, anzi, talvolta, forse ingiustamente, ma questo è il punto controverso, punitivo. Qualche anno fa, lo sfidante più pericoloso del PD fu il Movimento 5 Stelle che, infatti, conquistò Parma. Di recente, Il Movimento ha sfondato nella roccaforte rossa di Imola, mentre, a sua volta, la Lega di Salvini ha conquistato la già traballante Ferrara.
Non faccio mai il torto agli elettori, e certamente non a quelli emiliano-romagnoli, di non sapere distinguere fra i tipi diversi di competizioni elettorali. Lo sanno tutti che il voto servirà a eleggere il Presidente della Regione e il consiglio regionale. Sono consapevoli che la sfida è fra il Presidente uscente, il PD Stefano Bonaccini, e la candidata della Lega, Lucia Borgonzoni, già sottosegretaria alla Cultura nel governo Conte 1, ma, in precedenza colei che portò il sindaco PD di Bologna al ballottaggio cittadino. Bonaccini sta facendo la sua corsa sul bilancio, senza dubbio positivo, dei suoi cinque anni. La proposta forte della Lega (e, per quel che si capisce, del centro-destra) è quella di porre fine al predominio della sinistra. Dopo la conquista dell’Umbria, una spallata vincente all’Emilia-Romagna potrebbe portare anche al crollo del governo Conte 2. Naturalmente, gli elettori emiliano-romagnoli sono ampiamente consapevoli che il loro voto potrebbe avere conseguenze nazionali. Mi riesce difficile valutare fino in fondo se questa consapevolezza esiste anche nei dirigenti nazionali e, soprattutto, regionali del Movimento 5 Stelle.
Personalmente, non avrei mai annunciato, come ha fatto, in maniera, credo, prematura, Dario Franceschini, che bisogna estendere automaticamente l’appena nata alleanza di governo M5S/PD a tutte le realtà locali e, comunque, viste le tensioni del passato, l’Emilia-Romagna non è il contesto più promettente. Adesso, però, dovrebbe essere chiaro a tutti che, in assenza di un esplicito sostegno pentastellato a Bonaccini, le probabilità che la candidata della Lega si avvii alla vittoria crescono molto significativamente, forse decisivamente. L’incertezza del Movimento viene dall’alto, dalle perplessità, forse, addirittura, contrarietà mascherate, del capo politico Luigi Di Maio. Il suo calcolo potrebbe essere che il PD, indebolito dalla sconfitta in Emilia-Romagna, diventerebbe più malleabile a livello nazionale. Certo, una sconfitta del PD potrebbe anche fare piacere a Matteo Renzi (i suoi seguaci negheranno tutto e subito, a parole, ma i comportamenti li valuteremo dopo).
Naturalmente, è lecito e persino costituzionalmente corretto sostenere che nessuna vittoria nelle elezioni regionali può servire a rivendicare conseguenze nazionali immediate, sul governo. Anzi, i governanti ne trarranno nuovi stimoli a fare del loro meglio. In una democrazia parlamentare, i governi traggono, recente sorprendente scoperta del dibattito pubblico, la loro legittimità e fiducia dal Parlamento, i cui numeri ne consentono la continuazione dell’attività. Altrettanto certamente il centro-destra può rilevare a gran voce che si allarga la distanza fra la maggioranza nel paese e quella espressasi alle urne un anno e mezzo fa. Quasi una contrapposizione classica fra paese “reale” e paese “legale” che è, almeno in parte, inquietante. La posta in gioco in Emilia-Romagna è, dunque, molto alta. Nessuna previsione è fattibile, tutte essendo facilmente e inevitabilmente influenzabili dalle proprie preferenze. In qualche modo è possibile che sia l’azione del governo giallo-rosé sia la campagna elettorale (tra un quarto e un terzo degli elettori sono volubili e “volatili”), ufficialmente neppure ancora cominciata, facciano la differenza. Tirerò le somme un’altra volta.
Pubblicato il 4 novembre 2019 su formiche.net
Il Premier supervisore e i fragili equilibri
In circa tre settimane la crisi del governo giallo-verde guidato dal Professor Giuseppe Conte si è dipanata ed è giunta a compimento senza troppe complicazioni. Eppure, il passaggio dal governo Cinque Stelle più Lega al Governo Cinque Stelle più Partito Democratico appariva tutt’altro che facile e scontato. Le tensioni e le accuse reciproche nel passato sono state intelligentemente superate non soltanto per la brama di “poltrone” (alle quali, indennità aggiuntive comprese, Salvini con gli altri ministri e sottosegretari della Lega è rimasto attaccato fino all’ultimo momento), ma per l’intento di cambiare linea su molte materie importanti. Credo che, nel male e nel bene, l’Europa sia stata la discriminante. Ringalluzzito dalla sua copiosa messe di voti sovranisti, Salvini ha tirato la corda del governo e l’ha rotta. Dopo avere votato Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione, il gruppo dirigente delle Cinque Stelle e il loro garante Beppe Grillo hanno tirato le somme: l’Italia ha bisogno di un rapporto serio e collaborativo con l’Unione Europea che nessuna alleanza con la Lega potrebbe mai garantire. Al tempo stesso, sia chiaro, all’Unione Europea è utile che l’Italia abbia un governo europeista fatto da persone competenti e credibili, in grado anche di dire dei no, ma soprattutto capaci di assumere impegni e di rispettarli in cambio ovviamente di sostegno alle politiche, economiche e migratorie. Nel nuovo governo, che, giustamente, il Presidente del Consiglio desidera sia definito Conte 2 per marcare la discontinuità effettiva, sono cambiati sia il Ministro degli Esteri, oggi il ridimensionato capo politico delle Cinque Stelle, Luigi Di Maio, sia il Ministro dell’Economia, oggi l’autorevole europarlamentare del Partito Democratico Roberto Gualtieri, molto stimato a Bruxelles. Ad entrambi, unitamente al Commissario che l’Italia designerà, probabilmente l’ex-capo del governo Paolo Gentiloni, è affidato il compito di ristabilire una collaborazione operosa.
Nel suo insieme la compagine ministeriale presenta alcuni elementi degni di nota. Insieme alla discontinuità, ovviamente prodotta dall’ingresso dei Ministri espressione del Partito Democratico, tutti debuttanti tranne Dario Franceschini che torna ai Beni Culturali dove aveva lasciato un’impronta molto positiva, si trova la continuità in settori che ne hanno grande bisogno con la permanenza dei pentastellati Alfonso Bonafede alla Giustizia e Sergio Costa all’Ambiente. È cresciuta la presenza delle donne, ora sette, con il compito più delicato al Ministero delle Infrastrutture attribuito alla vicesegretaria del Partito Democratico Paola De Micheli. Infine, notazione non marginale, entrano al governo anche due “renziani”, Teresa Bellanova e Lorenzo Guerini, segno promettente che l’ex-segretario del PD non farà il guastatore. Il Conte 2 ha tutte le caratteristiche di un governo che mira a durare fino al termine della legislatura, il lontano marzo 2023. Ne ha certamente le potenzialità.
Pubblicato AGL il 5 settembre 2019