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Introduzione
Lo abbiamo sempre saputo che la fauna delle democrazie è molto variegata. Con riferimento a Isaiah Berlin, esistono democrazie ricci, la cui forza sta in un grande principio, democrazie volpi, che hanno saputo combinare insieme una pluralità di elementi, e, aggiungo, democrazie struzzi, che mettono la testa nella sabbia per cercare di sfuggire ai pericoli, e democrazie ittiche che sanno che la loro forza sta nel rimanere insieme nello sciame e insieme correre. Sappiamo anche che ciascuna e tutte quelle democrazie si sono dotate di istituzioni specifiche, parlamentari e presidenziali, direttoriali/collegiali e semipresidenziali. Abbiamo anche imparato che le transizioni da una Repubblica ad un’altra sono molto difficili e rarissime. In verità, ricordiamo, giustamente, che esiste un solo caso di (grande) successo di transizione fulminea nel 1958 da una repubblica parlamentare (la Quarta) ad una repubblica semi-presidenziale (la Quinta) e ancora adesso ammiriamo l’opera del Gen. de Gaulle e dei suoi autorevoli e brillanti consiglieri. Sappiamo che in tutte quelle democrazie al circuito istituzionale, Parlamento-Governo (ma oggi suggerirei di allargarsi: cittadini/elettori-Parlamento-Governo-Presidenza della Repubblica) si affianca(va) un rigoglioso e vigoroso pacchetto di diritti: civili, politici, persino sociali (questi tuttora controversi e mai affermati una volta per tutte).
Non abbiamo subito creduto alle nostre orecchie quando qualcuno ha fatto lo scoop imbattendosi nelle democrazie illiberali, quelle nelle quali i diritti delle persone e dei cittadini sono quantomeno ridimensionati. Ci siamo subito rivolti a James Madison chiedendogli conto della sua fiducia nella capacità del circuito istituzionale di quantomeno proteggere, se non anche promuovere, i diritti. Pur convinto che, nel complesso, è tuttora desiderabile che il circuito istituzionale sia disegnato in maniera tale da favorire il riconoscimento, la protezione, l’esercizio dei diritti, Madison sottolineò che se i diritti dei cittadini USA non stanno nella Costituzione, il pacchetto noto come Bill of Rights fu subito “appeso” come emendamenti alla Costituzione. Il resto fu affidato alla Corte Costituzionale, all’indipendenza dei giudici, alla loro scienza e coscienza.
Al solo sentire l’espressione “democrazie illiberali”, Madison inorridì particolarmente preoccupato da quei sistemi politici nei quali la magistratura viene sottoposta al potere politico, in particolare, quello dell’esecutivo, e la Corte Costituzionale è imbottita con amici e scherani del detentore del potere esecutivo. Quando, poi, fu chiaro a tutti che uno dei tratti più diffusi nelle democrazie illiberali è quello del controllo dei mass media nonché della scomparsa, anche sotto forma di assassinio dei giornalisti, allora fu Jefferson a insorgere ricordando una sua famosa, nient’affatto pittoresca né paradossale, frase: “se dovessi scegliere fra il governo senza i giornali e i giornali senza governo non esiterei a scegliere la seconda opzione”. No né Madison né Jefferson (che, certo, non conosceva l’Italia) né, su un altro piano, Montesquieu accetterebbero la tremenda confusione che sta a fondamento delle sedicenti democrazie illiberali. Nel nostro piccolo, non piccolissimo, gli articoli di questo fascicolo disvelano il brutto volto dei regimi che, essendo illiberali, non meritano di chiamarsi democrazie.
Gianfranco Pasquino
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Contributi
Illiberali? Dunque non-democrazie
Gianfranco Pasquino
L’idea liberale è diventata obsoleta
Francesco Tuccari
Democrazie sotto stress e tendenze illiberali
Francesco Raniolo
Democrazie elettorali: quando il voto non basta
Marta Regalia
L’Italia è una Repubblica, non una democrazia liberale
Maurizio Viroli
La chimera della democrazia: Jean Jacques Rousseau
Raffaella Gherardi
Le riforme della giustizia nei regimi illiberali.Tra vincoli e opportunità
Gaia Taffoni
Il labirinto delle relazioni internazionali e l’ordine illiberale
Emidio Diodato
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