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Tag Archives: Democrazia

Orbán, Trump e Vox. La democrazia va protetta con l’impegno pedagogico @DomaniGiornale

Quando nel 1993 Fukuyama pubblicò il suo libro La fine della storia e l’ultimo uomo, nel quale, a beneficio di chi non l’ha mai letto, ricorderò che annunciava la vittoria definitiva delle liberaldemocrazie, delle visioni ideali e degli stili di vita sul comunismo, non pensava certamente ai problemi che quelle liberaldemocrazie avrebbero dovuto affrontare. Intratteneva una visione non ingenua, ma relativamente ottimista. Era consapevole della presenza del fondamentalismo, oggi, forse direbbe fondamentalismi al plurale, meno attento alla dinamica politico-culturale interna delle liberaldemocrazie.  Anche se, contrariamente a troppe affermazioni di male informati profeti di sventure sulla crisi/morte delle democrazie, nessuna è crollata, tranne quella del Venezuela già su piedi d’argilla, mentre Orbán spinge nell’illiberalismo l’Ungheria, oggi vediamo insieme all’autore di una possente ricostruzione storica delle modalità di affermazione dell’ordine politico, alcune grandi sfide antidemocratiche. Sono sfide politiche, istituzionali, ma soprattutto culturali. Il caso italiano ne offre un esempio.

Ascolto critiche incentrate sulla inadeguatezza, addirittura mancanza della classe dirigente, un argomento che mi pare degno di approfondimenti a tutto campo senza preconcetti. Sento anche da ambienti che si considerano vicini alla sinistra (ex apologeti del nazista Carl Schmitt) proposte di democrazia decidente (attendo inviti agli autoritarismi dialoganti). Qualcuno, più decisionista di altri, anticipa addirittura quanto Giorgia Meloni dovrebbe proporre come riforma costituzionale. Infine, vedo pullulare in regimi democratici che hanno riscosso grandi e duraturi successi liste, partiti, idee di destra che sembravano non avere più seguito e neppure cittadinanza. I “Veri Finlandesi”?, i “Democratici Svedesi”? in due grandi democrazie a lungo governate con benefici diffusi per tutti da partiti socialdemocratici sono entrati nei rispettivi parlamenti e addirittura sono indispensabili per la coalizione di governo. Fuori dal nazismo e fuori dal franchismo, Germania e Spagna hanno dato vita e sostanza a democrazie di successo. Eppure, in Germania Alternative für Deutschland ha molti voti e dà rappresentanza politica a molti elettori. In Spagna non è ancora escluso che Vox, che tanto piace a Giorgia Meloni, riesca a diventare determinante per la formazione del prossimo governo. Mi inquieto al solo pensiero che Donald Trump, che tutti i sondaggi danno molto competitivo, finisca per tornare alla Casa Bianca con conseguenze che sarebbero devastanti per tutte le liberaldemocrazie esistenti e per coloro che vorrebbero crearne nei loro paesi.

Quale fattore può spiegare casi che sembrano così diversi fra loro, con molti americani che non hanno mai smesso di considerarsi “eccezionali”? Chiaro che nessuna spiegazione monofattoriale è mai totalmente adeguata e convincente. Tuttavia, sono giunto alla individuazione di un fattore predominante. In tempi diversi e con modi diversi i governanti democratici, compiaciuti dei loro successi politici, istituzionali, economici hanno cessato qualsiasi attività di insegnamento della politica democratica, dei principi e dei valori della società aperta. Anzi, proprio in nome della libertà di competizione politica e culturale non hanno saputo/voluto opporre le loro idee a quelle in parte comuni in parte specifiche alle singole esperienze storiche che venivano espresse in maniera talora folcloristica talora anche violenta dalle destre. Soltanto l’impegno pedagogico culturale, qui e ora, senza speciose neutralità, sulla superiorità dei valori universali democratici può salvare le democrazie realmente esistenti, la democrazia che abbiamo e quella che vorremmo.

Pubblicato il 9 agosto 2023 su Domani

Bellezza Radicale: dialogo politico con il prof. Pasquino

Si sottovaluta spesso il dialogo come se fosse astratto, come se la parola non avesse peso, come se fosse niente, come se non avesse anima, come se non agisse. Poi, ci lamentiamo delle conseguenze. La parola va ascoltata, va sentita dentro di noi. La parola va data e, allo stesso tempo, va mantenuta. Sembra un paradosso, ma non lo è. La parola è viva, è concreta. Altrimenti, è soltanto chiacchiera. Se ci pensiamo bene, la parola espressa è già un’azione. L’ascolto attento delle parole è già un’azione. Ecco perché abbiamo parlato di democrazia, libertà, riforme istituzionali, diritti, cittadinanza, legge elettorale, Europa e Partiti politici. Insomma, la Bellezza Radicale presente nell’intervista al prof. Gianfranco Pasquino non sembri soltanto un susseguirsi di parole. Perché le parole non sono soltanto parole. Perché, alla fine, quelle che restano, nella vita come nei pensieri, nelle azioni come nei gesti, sono proprio le parole. Ascoltiamole…

Tutti promettono. Nessuno mantiene. Vota nessuno #SaveTheDate #14giugno Accademia delle Scienze dell’istituto di Bologna #ciclo La Democrazia fra crisi e riforme

Il ciclo di incontri, coordinato dal prof. Walter Tega, La Democrazia fra crisi e riforme propone una riflessione sullo stato di salute della nostra Repubblica. Argomenti dei tre incontri saranno le riforme istituzionali, il rapporto tra i poteri nella vita di una società democratica, l’esercizio del suffragio universale e le forme della rappresentanza, le libertà politiche e civili e le condizioni materiali di esistenza delle persone.

14 giugno 2023 – ore 17
Gianfranco Pasquino
Tutti promettono. Nessuno mantiene. Vota nessuno

In presenza presso l’Accademia delle Scienze di Bologna in via Zamboni 31
Oppure online AULA VIRTUALE

Capire la politica, formare il cittadino #video Il lavoro intellettuale @UtetLibri a Radio MPA #spaesati #politica #costituzione #istituzioni #democrazia

“Nessuna Costituzione può essere capita se non se ne conoscono le origini, storiche e politiche. Nessuna Costituzione può essere analizzata e interpretata in maniera illuminante e convincente se non la si colloca nel suo contesto politico. Infine, nessuna modifica di qualche valore e durata può essere introdotta con successo da chi non conosce e non comprende la dinamica delle forze e delle (debolezze) politiche.”
Gianfranco Pasquino Professore Emerito di Scienza Politica a

Radio MPA “Spaesati” con Valentina Risi e Mariano Casciano

Prima parte
La costruzione del lavoro intellettuale: una bussola per la formazione dello studioso e del cittadino

Seconda parte
… Alessandro Passerin d’Entrèves, le scarpe lucide della scienza politica…

Democrazia: aggettivi che manipolano, aggettivi che chiariscono #LectioMagistralis #Bologna #9maggio #convegno Le sfide della democrazia in America latina: frammentazione politica e instabilità economica

9 maggio – Aula Poeti – Palazzo Hercolani

h 17:30 – Lectio Magistralis Prof. Gianfranco Pasquino
Democrazia: aggettivi che manipolano, aggettivi che chiariscono

VIDEO Presentazione del libro a cura di Gianfranco Pasquino “Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane” @Treccani @RadioRadicale

“Presentazione del libro curato da Gianfranco Pasquino

Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane
Treccani

Con
Gianfranco Pasquino (emerito di Scienza Politica all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna)
Carlo Crosato (ricercatore di Filosofia all’Università degli Studi di Bergamo).

Intervista registrata giovedì 13 aprile 2023

VIDEO

https://www.radioradicale.it/scheda/695523/iframe

Elezioni per acclamazioni? No. Meglio di no.

Nessuna acclamazione è mai una procedura democratica. Non è trasparente, come la democrazia vorrebbe. Non consente di attribuire responsabilità personali a ciascuno/a dei votanti. Permette a chi vorrebbe dissentire di nascondersi in maniera codarda e di non farsi/lasciarsi contare (e di continuare a contrattare). L’elezione voluta dalla neo-segretaria del Partito Democratico Elly Schlein dei capigruppo alla Camera (Chiara Braga) e al Senato (Francesco Boccia) è stata una brutta pagina. Peraltro, chi fa politica dovrebbe ricordare due precedenti acclamazioni non proprio virtuose: la rielezione di Craxi a segretario del Partito socialista a Verona nel 1984 e l’indicazione di Romano Prodi come candidato alla Presidenza della Repubblica nell’aprile 2013 da parte dell’assemblea dei parlamentari del PD (101 dei quali poi non lo votarono). Curiosamente, sulla scia di questo comunque deplorevole e tuttora deplorato episodio, proprio la Schlein ottenne la sua prima visibilità creando il movimento “Occupy PD”. A proposito dell’acclamazione di Craxi, il grande filosofo politico Norberto Bobbio la bollò come “democrazia dell’applauso” e qualche mese dopo pubblicò uno dei suoi libri più famosi: Il futuro della democrazia (Einaudi 1984).

Politicamente, l’acclamazione avvenuta nell’Assemblea del PD porta con sé alcune implicazioni comunque negative. Prima implicazione: la segretaria è convinta di essere molto forte e di riuscire a decidere a prescindere dai cosiddetti “mal di pancia”. Sopravvaluta se stessa e i suoi sostenitori. Seconda implicazione: la minoranza è a disagio, vero o procurato, ma non se la sente di esporsi, di proporre proprie candidature e di imporre un dibattito. Rilutta a contarsi e si trincea dietro un applauso che cela grande ipocrisia. Terza implicazione: non importa conoscere le modalità con le quali i due neo-capigruppo intendono guidare i deputati e i senatori del Partito Democratico. Hanno silenziosamente accettato di essere la cinghia di trasmissione della segretaria. Non vorranno e non avranno autonomia che, invece, per affrontare le peripezie dei dibattiti e delle decisioni parlamentari, è spesso assolutamente essenziale. Infine, ultima implicazione, la minoranza cercherà di “strappare” posti in altre sedi, probabilmente nella segreteria che, invece, essendo la War Room della segretaria, non dovrebbe vedere contrapposizioni correntizie.

   Per alcuni inestinguibili “romantici”, come chi scrive, l’acclamazione colpisce al cuore qualsiasi sforzo di costruzione, mantenimento e funzionamento della democrazia di partito nel partito. Per un Partito che si definisce “Democratico” non è solo una grave contraddizione. È una brutta (ri)partenza; è una pessima smentita. Fra il troppo potere divisivo delle correnti e il troppo potere incontrollato della Segretaria, tertium datur, c’è una vera terza via: dibattiti trasparenti, confronti fra fra idee, persone, proposte, votazioni su alternative. Questa, sì, è democrazia.  

Pubblicato AGL il 31 marzo 2023

LA DEMOCRAZIA  Riflessioni a partire da “La teoria della democrazia in Norberto Bobbio” #17marzo #Chiampo #Vicenza

Venerdì 17 marzo, ore 20.45
 Sala consiliare, Chiampo (VI)

LA DEMOCRAZIA
Riflessioni a partire da “La teoria della democrazia in Norberto Bobbio ” di Nicola Muraro

 Ne discutono con l’ autore:

Giulio Azzolini, Prof.re di Filosofia Politica presso l’Università Ca ‘ Foscari di Venezia

Giorgio Cesarale, Prof.re di Filosofia Politica presso l’Università Ca ‘ Foscari di Venezia

Gianfranco Pasquino, Prof.re Emerito di Scienza Politica presso l’Università di Bologna
autore di Bobbio e Sartori: Capire e cambiare la politica

Non esistono despoti che fanno anche cose buone @DomaniGiornale

Nell’aprile del 1917 per ottenere l’approvazione del Congresso ad entrare in guerra contro la Germania il Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson dichiarò memorabilmente che l’obiettivo era “make the world safe for democracy”. Parecchi anni dopo i Padri Fondatori dell’Unione Europea si posero un obiettivo simile, ma più limitato: rendere il continente europeo un posto sicuro per le democrazie, dove non si facessero più guerre. Dopo il crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica, questo obiettivo, già messo al sicuro dentro il perimetro delle democrazie occidentali, è apparso conseguibile. L’ascesa di Putin e la sua aggressione all’Ucraina ritardano qualsiasi ulteriore sviluppo democratico e rendono necessari opportuni ripensamenti che, però, non possono nemmeno per un momento mettere sullo stesso piano le democrazie occidentali e il regime autoritario russo. In parte comprensibile anche se, forse, non proprio giustificabile, fu la valutazione del ruolo “positivo” svolto dall’URSS sulla scena internazionale come contrappeso degli Stati Uniti. Ma polacchi, ungheresi, cecoslovacchi, i cittadini degli Stati baltici hanno tutto il diritto di pensarla molto diversamente. Invece, non si capisce proprio quale merito possa essere riconosciuto a Putin.

   Come si sia formata e esternata l’amicizia fra il liberale, cristiano, garantista e europeista Berlusconi e lo zar del Cremlino è un mistero non glorioso. Certo l’argent di Putin può essere stato utile a Salvini e alla Lega, ma quale futuro radioso poteva nascere dall’esibizione compiaciuta di una t-shirt con l’effigie di un tiranno? Last but not least, ultimo, ma tutt’altro che irrilevante, l’attuale Ministro della Difesa Guido Crosetto ha dichiarato, meglio tardi che mai, di avere esagerato nel criticare le manovre Nato sul confine russo e di avere sottovalutato le mire espansioniste di Putin. Ben venuto il ravvedimento di Crosetto (quanto a Berlusconi e Salvini sono personalmente incerto, ma anche loro…), rimane, tuttavia, il problema/obiettivo generale evocato dalla frase di Wilson. Se è auspicabile rendere il mondo un posto sicuro per le democrazie, come possono coloro che vivono nei regimi democratici ritenere possibile quell’esito collocandosi dalla parte degli autocrati, dei despoti, dei tiranni? Costoro vogliono ridurre il numero delle democrazie, per esempio, altrove, piegando quel che c’era di democrazia a Hong Kong e apprestandosi a soffocarla a Taiwan. Riscuotono aiuti da altri regimi autoritari, come la teocrazia iraniana e non solo. Si spalleggiano a vicenda.

   Quando leggo libri che raccontano come muoiono le democrazie, mi chiedo se non sia il caso che gli autori esplorino chi uccide le democrazie, cambino il titolo e offrano una spiegazione basata sulle sfide che i non-democratici lanciano dall’interno alle loro democrazie vigenti, magari lodando e esaltando alcuni dei molti modelli antidemocratici esistenti nel mondo e i loro “attraenti” protagonisti. La democrazia bisogna praticarla e insegnarla (anche viceversa). Bisogna anche dire a chiarissime lettere che esiste un linea divisoria netta fra democrazie e non-democrazie. Che soprattutto i liberali dovrebbero essere i primi a respingere l’idea che possano esistere democrazie “illiberali”. Lasciamo che siano gli oppositori degli autoritarismi, quando sperabilmente sono riusciti a sopravvivere, a testimoniare che quei leader autoritari hanno fatto anche qualcosa di buono.  

Pubblicato il 1 febbraio 2023 su Domani

La democrazia reale è lontana dall’ideale, ma è il meglio che c’è @DomaniGiornale

“Seduti in qualche caffè parigino, una Gauloise fra le dita e un Pernod sul tavolino; rifugiatisi nella loro casetta per il fine settimana su un lago tedesco; raggruppati in vocianti tavolate che criticano aspramente uno qualsiasi dei governi latino-americani; ad un congresso fra colleghi politologi e sociologi in una ridente località balneare esotica; partecipando alla riunione di redazione di un quotidiano progressista romano, molti pensosi intellettuali dei più vari tipi dichiarano con faccia triste e sconsolata che la democrazia è in crisi, è una causa persa, non può essere salvata. Rannicchiati in qualche prigione cinese; agli arresti domiciliari nel Sud-Est asiatico; braccati dalla polizia in diversi stati africani; nascosti sotto protezione perché è stata lanciata una fatwa contro di loro; malmenati in Piazza Tahrir, migliaia di oppositori, uomini, donne, studenti, lottano in nome della democrazia – sì, proprio quella, occidentale, che hanno visto in televisione e nei film americani, sperimentato come studenti a Oxford, Cambridge, Harvard, La Sorbona, Bologna – organizzano attività, reclutano aderenti, qualche volta mettono in gioco consapevolmente la propria vita. Per nessun altro regime, mai, così tante persone di nazionalità, di cultura, di colore, di età e di genere diverso si sono impegnate allo stremo”. Sono particolarmente affezionato a questo ritratto di quasi dieci anni fa (Politica e istituzioni, Milano, Egea, 2014, p. 118) che ritengo mantenga tutta la sua validità aggiungendo fra i combattenti per la democrazia i giovani di Hong Kong e le donne iraniane e afghane. Sono anche convinto che non pochi lettori lo condividano in buona misura e che, forse, altrettanti vorrebbero obiettare. In democrazia ne hanno facoltà. Altrove, qualora ci provino, siano consapevoli dell’alto costo che implica esercitare quello che in democrazia è la libertà di parola. 

   Da quando scrissi quei paragrafi, qualcosa di grave ha fatto la sua comparsa, non tale da dare per superata la contrapposizione da me allora delineata, ma certamente da richiedere osservazioni specifiche aggiuntive. Abbiamo assistito a due sfide lanciate dall’interno di due sistemi politici diversamente democratici: gli assalti al Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2021 (Jill Lepore, docente di Storia all’Università di Harvard, ne ha mirabilmente scritto nel settimanale “The New Yorker” del 23 gennaio 2023 analizzando impietosamente l’appena reso noto Rapporto della Commissione d’Inchiesta su quei fatti) “e al Planalto di Brasilia l’8 gennaio 2023 (che si merita e avrà altrettanta attenzione). Che cosa provano sulla democrazia? Per una ampia parte dei commentatori la valutazione sembra essere fin troppo facile, lapalissiana: c’è una crisi della democrazia. Un’altra parte di commentatori, apparentemente meno numerosa, sostiene, invece, che siamo difronte alla prova provata che le democrazie sanno reagire con successo anche alle sfide più minacciose. Nelle mie parole, le democrazie riescono a rimbalzare.

   Le sfide nascono dal cattivo funzionamento delle democrazie esistenti, da problemi contingenti, dai sottovalutati comportamenti delle elite, politiche, economiche, religiose, militari, da difetti congiunturali se non, addirittura, strutturali. Più di trent’anni fa, il grande sociologo politico spagnolo Juan Linz aggiunse all’elenco delle inadeguatezze delle Repubbliche presidenziali quella dell’elezione popolare diretta del Presidente che consente e facilita la discesa in campo di candidature a vario titolo folkloristico, difficili da fermare, esagerate nelle loro promesse, impreparate a governare. Non c’è bisogno di elaborare. Quel che importa è che sono libere elezioni quelle che selezionano le candidature. I politici di professione ne accettano gli esiti poiché vogliono mantenersi aperta la strada ad un ritorno anche dopo una sconfitta. I parvenus temono che la loro sconfitta produca la loro definitiva emarginazione. Dunque, si aggrappano ad ogni elemento per restare a galla. L’accusa di “furto elettorale” ai loro danni è oramai lanciata addirittura prima del voto. Lo ha fatto Trump negli USA; lo ha seguito Bolsonaro in Brasile. Facile immaginare altre emulazioni future. Giusto, pertanto, andare a valutare la qualità della democrazia elettorale. Dalle loro regole e procedure scaturisce la democrazia politica che andrà poi sostenuta da una rete di diritti e di istituzioni (tema importantissimo da analizzare a fondo another time another place).   

Per sfuggire dalla confusione analitica e dalla manipolazione politica che viene effettuata sul concetto e sull’essenza della democrazia, due riflessioni sono cruciali sulla scia del più grande studioso della democrazia, Giovanni Sartori (1924-2017). La prima riguarda la definizione. Non è corretto accettare l’idea falsamente generosa che a ciascuno è consentito di avere la sua definizione di democrazia. Esiste una modalità definitoria convincente che è fatta di etimologia e di storia che soddisfa l’esigenza di chiarire cos’è la democrazia politica: regole, procedure, istituzioni, diritti e doveri (Democrazia. Cosa è, Milano, Rizzoli, 2007). Alla democrazia politica non si possono appioppare aggettivi che ne contraddicono la natura: democrazie guidate, popolari, autoritarie, illiberali. Ognuno può avere la sua democrazia ideale e la può usare come metro di valutazione per le democrazie realmente esistenti. La democrazia ideale continua ad essere senza nessun bisticcio un ideale perseguibile e perseguito. Le democrazie reali, realmente esistenti ne rappresentano le traduzioni pratiche possibili e, naturalmente, criticabili per le loro inadeguatezze che non necessariamente, anzi, solo, raramente, meritano di essere caratterizzate come “crisi” (della democrazia).

La seconda riflessione è diventata ancora più attuale in anni recenti. Riguarda il rapporto che può/deve intercorrere fra democrazia e eguaglianza. Per Sartori l’unica eguaglianza necessaria in democrazia è quella di fronte alla legge: isonomia. È eguaglianza di diritti, civili e politici, in assenza dei quali non c’è possibilità di democrazia poiché alcuni cittadini conterebbero più di altri. L’eguaglianza “democratica” di Sartori non è mai eguaglianza di esiti né economici né, più in generale, di condizioni. Non è neppure eguaglianza di opportunità se non sotto forma di rimozione di ostacoli (impropri) alla partecipazione politica. Al proposito mi sembra importante aggiungere che fra le molte promesse secondo lui non mantenute (ma che a suo parere non si potevano mantenere) della democrazia, Norberto Bobbio non menziona mai l’eguaglianza (La democrazia e il suo futuro, Torino, Einaudi 1984, 1991). Semmai, per Bobbio l’eguaglianza ovvero, meglio, il perseguimento della eguaglianza (anche sotto forma della riduzione delle diseguaglianze esistenti) è il criterio, la stella polare dell’azione politica della sinistra, di coloro che si collocano a sinistra. Aggiungo che è comunque da evitare qualsiasi sottovalutazione del rischio che l’attacco alle diseguaglianze possa essere portato da leadership populiste, come spesso è accaduto nelle Repubbliche presidenziali latino-americane, con esiti lampantemente non-democratici.  

Non nutro aspettative ottimistiche sul ri-orientamento della discussione sulla democrazia/sulle democrazie con riferimento a quanto scritto da Bobbio e da Sartori, da me variamente sintetizzato e reinterpretato. Rimango del tutto convinto che in assenza di un qualche ri-orientamento serio e profondo, a cominciare dalla chiarezza dei concetti e dalla problematica relazione fra democrazia politica e eguaglianza economica, quella discussione è destinata a continuare in maniera confusa e manipolabile, persino pericolosa nella misura in cui legittima elaborazioni e azioni che nuocciono alla democrazia che è possibile instaurare, mantenere, fare funzionare, trasformare in meglio. Propongo di ripartire da due generalizzazioni. I regimi autoritari cadono al grido di “libertà, libertà”. Nessuna democrazia è mai caduta al grido di “eguaglianza, eguaglianza”.

Pubblicato il 15 gennaio 2023 su Domani