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L’Europa riparte da Rodi
gennaio 2, 2017 10:11 am / Lascia un commento
L’anno 2017 promette di essere per l’Europa persino più difficile e complicato dell’anno che l’ha preceduto. Si celebrerà il 60esimo anniversario del Trattato di Roma (25 marzo 1957) che è da considerarsi l’inizio di uno splendido percorso che ha portato a Lisbona. Parlamento, Commissione e, in special modo, il Consiglio dovranno sfruttare l’occasione non soltanto con il giustificato compiacimento per quanto è stato fatto, ma anche con riflessioni autocritiche (che è quanto analizzo nel mio libro L’Europa in trenta lezioni) su che cosa è mancato e che cosa non hanno saputo fare e con proposte audaci su come e quanto è indispensabile cambiare con veri e propri salti di qualità. Qualcuno continua ad affermare che con gli uomini politici di cui l’Europa dispone attualmente, non è immaginabile né oggi né nel prossimo futuro nessun salto di qualità. Altri sostengono che, forse, anche se indebolita dalla sua pur probabile e auspicabile vittoria nelle elezioni parlamentari di fine settembre, sarà Angela Merkel a imprimere un cambio di velocità all’Europa. Non più preoccupata dalle costrizioni di una successiva ri-elezione potrà dedicare tutti i suoi sforzi ad entrare nella storia come colei che ha rilanciato in maniera straordinaria il processo di unificazione politica del Continente.
Il rilancio è possibile, ma non probabile poiché, da un lato, nessun singolo leader, per quanto autorevolissimo, può trascinare altri leader europei riluttanti, anche se amici e leali collaboratori, e la Germania ne ha. Possibile, ma non probabile, anche se è politicamente scorretto dirlo, poiché, proprio per le sue caratteristiche costitutive, l’Europa non sarà in grado di fare passi avanti di notevole rilievo se i suoi cittadini non lo vorranno, se non diventeranno loro gli attori e gli interpreti di quello che rimane il più grande e più importante fenomeno non soltanto del secondo dopoguerra: un’Unione Europea non di nazioni, ma di popoli e di cittadini la cui adesione ad una idea di Europa sovranazionale è significativamente cresciuta nel tempo.
Forse miopi forse pigri forse sconcertati forse, anche, egoisti e, talvolta, ignoranti della loro storia e di quella degli altri europei, sono proprio i cittadini europei ad essere responsabili della lentezza del processo di unificazione, del suo stallo periodico, di controversie improduttive. Le fredde, ma precise, statistiche dell’Eurobarometro, ma non solo, rivelano che i cittadini europei hanno avuto molto di più di quello che potevano ragionevolmente aspettarsi, più di qualsiasi altra area al mondo. La lunga crisi economica li ha colpiti, ma non danneggiati in maniera irreparabile. Per risolverla non hanno voluto e non vogliono rinunciare a nulla, neppure temporaneamente. Soprattutto, gli europei dell’Est, ai quali l’allargamento è stato concesso in maniera troppo frettolosa per puntellare le loro gracili democrazie, invece, di diventare ardenti e ferventi europeisti, indugiano su un nazionalismo che già fu loro molto nocivo fra le due guerre mondiali.
L’Europa la fanno e la faranno i cittadini europei. Nel recente passato hanno ricevuto apporti significativi da leader politici che avevano una visione e la volontà di tradurla. Nonostante le critiche, non tutte malposte, il circuito istituzionale europeo “Parlamento-Consiglio-Commissione” ha spesso funzionato egregiamente. E’ possibile sostenere che esista un, peraltro contenuto, deficit democratico, attribuendone parte anche ai cittadini che non si curano di andare a votare. Ne può derivare anche, è già stata variamente avanzata, la proposta di andare all’elezione popolare diretta del Presidente dell’Europa, non soltanto per attribuire potere di rappresentanza e di decisione ad una personalità probabilmente di notevole statura, ma soprattutto per chiamare in causa i cittadini e per rivitalizzare il progetto europeo nel conflitto di idee, di programmi, di visioni.
L’Europa già cambia ogni giorno, a piccoli passi, ma questi passi non sono sufficienti a mantenersi all’altezza delle sfide storiche: globalizzazione, immigrazione, scontri di civiltà. Quest’ultima è la formula nella quale includo e sintetizzo il terrorismo di matrice islamica dal quale è impossibile separare le motivazioni religiose per collocarlo soltanto nella asettica categoria “sfida alla modernità”. Non riconoscere che quel terrorismo vuole lo scontro significa anche mancare di rispetto a tutti i musulmani che, venendo in Europa, ne hanno accettato la “civiltà” aperta e hanno liberamente scelto di conviverci. Ricordando da dove noi tutti, europei, veniamo, credo che la frase che racchiude in sé il senso della sfida lanciata contro di noi, dei problemi, immigrazione e crescita economica, che la nostra Unione Europea deve prioritariamente risolvere sia “hic Rhodus hic salta”.
Pubblicato il 1° gennaio 2017
I siriani e la svolta tedesca
settembre 8, 2015 7:42 am / Lascia un commento
Giustamente, la foto di Aylan, il bimbo siriano morto su una spiaggia turca, ha fatto passare in secondo piano molte immagini successive, alcune delle quali davvero significative, sui migranti, sulle loro mete, sull’accoglienza ad opera di moltissimi europei. Asserragliati nella stazione ferroviaria di Budapest, i profughi siriani, difficile distinguere chi scappa da una guerra civile e può essere considerato perseguitato politico in cerca d’asilo da chi fugge la fame, esponevano cartelli e cantavano “We want Germany”. Certo, l’Ungheria di Orbàn non è la terra promessa, per nessuno, neppure per almeno metà degli ungheresi. Ma, perché la Germania della, fino ad allora, severissima ed esigentissima Frau Merkel, accusata di essere inflessibile con il, già martoriato, popolo greco, alla guida di un governo al quale alcuni, per fortuna, pochi, quasi rimproveravano comportamenti similnazisti? Quali giornali hanno letto quei siriani, quali informazioni hanno ricevuto tali da spingerli verso la Germania, proprio quella della cattiva Merkel? E perché, poi, giunti a Monaco di Baviera, quei tedeschi li hanno accolti, certo con viveri e coperte, con alloggiamenti, ma soprattutto, eh, sì, i simboli contano, con le bandiere azzurre e le stelle dell’Unione Europea e con l’Inno alla gioia, parole del tedesco Schiller e musica del tedesco Beethoven e, non poca cosa, con un milione di Euro donato dalla, certo ricca, squadra di calcio Bayern Monaco nella quale hanno giocato e giocano “immigrati” e figli di immigrati?
Gradualmente, ma irresistibilmente, nel secondo dopoguerra e ancora di più dopo la riunificazione (1990), la Germania è diventata un paese sicuro di sé, capace, soprattutto grazie al suo sistema politico e alla sua Costituzione, non soltanto di crescere economicamente, ma di accettare grandi responsabilità. Agli occhi dell’80 per cento dei cittadini dell’Unione, rivelano i dati dell’Eurobarometro, i tedeschi sono meritevoli di fiducia. Non è stata soltanto la benevolenza “protestante” di Frau Merkel a cambiare, meno improvvisamente di quel che è parso, la politica nei confronti dei migranti. Non è neppure il semplice bisogno di manodopera da parte degli imprenditori tedeschi (quanto ingenerosa è questa critica), a fare aprire le porte ad un’immigrazione di massa. Molti siriani e, presumibilmente, molti altri migranti hanno già parenti e amici in Germania, dove vivono e lavorano stabilmente più di tre milioni di turchi, anche curdi. Convinti che le regole si applicano, come nel caso della Grecia, prima di cambiarle, meglio se nel consenso di grandi maggioranze, sono i cittadini tedeschi che hanno indicato la loro disponibilità alla Cancelliera, la quale, da intelligente leader politica, ha capito l’opinione pubblica e l’ha guidata dimostrando che cosa significa dare “rappresentanza” a un, con un po’ di retorica, “popolo”.
Non sembrano avere paura i tedeschi di perdere la loro identità che, comunque, ha detto, scritto, ribadito il filosofo politico tedesco Jürgen Habermas, deve costruirsi intorno al patriottismo costituzionale da estendersi anche all’Unione Europea. Non è questione di radici; è questione di regole,di procedure, di istituzioni. Sicuramente sono pochissimi, ancorché istruiti, i profughi siriani e di altri paesi che conoscono queste tematiche. Tuttavia, a chi fugge da una guerra civile,non solo quella siriana, ma anche quelle in Iraq, Yemen, Sudan, un paese come la Germania offre ordine politico democratico, prevedibilità di comportamenti, regole rispettate. Epidermicamente, quei migranti lo hanno capito e catturato nella loro richiesta “We want Germany”. L’Unione Europea è da decenni luogo di pace, come riconosciuto dal Premio Nobel assegnatole nel 2012 e, nonostante le difficoltà economiche di molti paesi, meno di altri, anche della Germania, luogo di prosperità. Anche questo sviluppo è conforme all’elaborazione del grande filosofo illuminista tedesco Immanuel Kant: la pace eterna, duratura, si stabilisce fra le democrazie. Nell’omaggio che i siriani e altri hanno fatto alla Germania, sta forse, anche la richiesta che l’Unione Europea s’impegni a portare non una pace qualunque, ma una pace giusta in tutto il Medio-Oriente.
Pubblicato AGL 8 settembre 2015
La vittoria di Pirro del governo di Atene
luglio 6, 2015 12:55 PM / 2 commenti su La vittoria di Pirro del governo di Atene
La vittoria del NO nel referendum greco, meglio, in quanto indetto dal governo, un plebiscito, è di proporzioni indiscutibili. E’ preferibile non contare gli astenuti, dei quali è corretto sostenere che non hanno voluto farsi contare e che, comunque, una volta raggiunto il quorum del 40 per cento, non sono da contare. Il capo del governo, leader di Syriza, Alexis Tsipras ha, dunque, vinto, ma ha ottenuto e, quel che più importa, otterrà quel che voleva? In pratica, la maggioranza degli elettori greci ha respinto le condizioni poste dalla Commissione Europea il 25 giugno per rinegoziare i debiti greci. Queste condizioni erano già state cambiate qualche giorno dopo, ma, certamente, risultavano egualmente inaccettabili a Tsipras e al suo strafottente Ministro dell’Economia Varoufakis.
Tornando a Bruxelles carico dei voti ottenuti in patria, Tsipras potrebbe chiedere di ricominciare dal secondo pacchetto, ma i negoziatori europei e del Fondo Monetario Internazionale difficilmente gli concederanno questo “ritorno”, vale a dire che su quell’ultima offerta non c’è più negoziato possibile. D’altronde, dal momento che si è fatto molto discutere di democrazia, anche se malamente, chiunque potrebbe ricordare a Tsipras che gli elettori del NO gli hanno dato, questa volta, un mandato sufficientemente chiaro: non accettare il pacchetto proposto dai creditori. Certo, Tsipras potrebbe sostenere che sul secondo pacchetto non esiste nessun veto democratico, ma i creditori gli chiederanno di attuarlo tutto e subito.
Ci sono due verità accertabili. La prima è che qualsiasi problema intercorra fra creditori e debitori bisogna che fra loro si stabilisca un rapporto di fiducia. Tutti i leaders europei, in special modo quelli che contano anche perché hanno le loro finanze in ordine, sono appoggiati dalle rispettive opinioni pubbliche in una convinzione: dei greci non ci si può fidare. Secondo i dati dell’Eurobarometro, sondaggio semestrale su molte migliaia di cittadini europei, soltanto il 30 per cento pensa che i greci siano affidabili, per i tedeschi la percentuale sale a più dell’80, soglia oltre la quale si trovano anche, come ci aspetteremmo, tutti i cittadini dei paesi nordici. Seconda verità: Tsipras si è sostanzialmente legato le mani. Da giocatore d’azzardo potrebbe anche cercare di sostenere che il mandato ricevuto non si applica a eventuali nuove offerte dei creditori, che, peraltro, è molto difficile, ma non impossibile, che verranno fatte. Riguarda soltanto il rifiuto delle condizioni del 25 giugno. Questa eventuale affermazione desterebbe preoccupazioni aggiuntive in quasi tutti i governi dell’Unione Europea, nessuno dei quali ha preso le distanze dalle ultime condizioni offerte alla Grecia. Sarebbe ancora più irritante per i paesi, come l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna, che non hanno goduto di nessuno sconto e non hanno ricevuto nessun favore e che, dopo i sacrifici (i famosi compiti a casa), si stanno riprendendo (la Spagna alla grande)
Tsipras non gioca da solo. Quindi, molto conterà l’interpretazione che dei risultati del referendum vorranno dare i tedeschi, i francesi, gli olandesi, i finlandesi. Nessuno di loro vuole cacciare la Grecia dall’Euro, ma nessuno di loro vuole farsi prendere in giro con il rischio che si diffonda l’idea e poi, magari, addirittura la prassi di negoziati continui, improduttivi, che non soltanto non migliorano la situazione dei paesi che non hanno governato correttamente la loro economia e fatto le riforme, ma che destabilizzano un’Unione che vuole mirare a essere più coesa, con politiche convergenti e solidali. In estrema sintesi, facendo riferimento, come si deve, alla storia greca, nient’affatto un limpido cammino ininterrotto verso democrazia e sviluppo, l’esito del referendum rischia di essere per Tsipras quasi una vittoria di Pirro. Le sue armate hanno distrutto le proposte del 25 giugno, ma potrebbero trovarsi debolissime nel resistere alle pressioni, più interne che esterne, che sembrano spingere la Grecia ineluttabilmente fuori dall’Euro.
Pubblicato AGL 6 luglio 2015
Patria (e Libertà)
aprile 18, 2014 1:21 PM / Lascia un commento
Uomini e donne che vivono sullo stesso territorio e che agiscono seguendo regole e procedure condivise e legittime, sostenendo le stesse istituzioni e obbedendo alle decisioni prese dalle autorità da loro elette possono sviluppare un senso di appartenenza al sistema politico e di solidarietà fra loro. Appartenenza e solidarietà, qualche volta, persino orgoglio e volontà di proteggere e difendere il territorio e le istituzioni, caratterizzano il patriottismo. Troppo spesso, però, il patriottismo, in special modo, in Europa, è degenerato in nazionalismo. L’orgoglio dell’appartenenza a una patria non deve significare superiorità rispetto alle patrie altrui, ma, spesso, più correttamente, significa diversità e specificità da apprezzare, da valorizzare, da diffondere, persino da amare. La patria non dovrebbe comunque mai stare al disopra di tutti i sentimenti. L’espressione di Cicerone “ubi patria ubi libertas” può essere efficacemente rovesciata: “ubi libertas ubi patria”. Anche se contiene un embrione di cosmopolitismo, il rovesciamento non porta necessariamente all’abbandono della patria, ma alla ricerca delle modalità con le quali è possibile costruire e mantenere la libertà nel territorio del quale si è cittadini. Solo in casi estremi la ricerca della libertà può spingere all’esilio (operoso).
L’accettazione passiva, magari imposta da oppressione e repressione, di regole, procedure e istituzioni che nulla hanno a che fare con la libertà non configura una situazione nella quale il sentimento patriottico possa fiorire. Invece, è la sconfitta degli oppressori che apre la strada all’affermazione della patria. E’ sempre esagerato parlare di “morte” della patria. E’ possibile sostenere che in Italia la patria morì non con la resa dell’8 settembre 1943, ma con la preparazione e promulgazione delle leggi razziali nel 1938. Almeno in parte, la dignità e la libertà riconquistate anche dalla Resistenza contribuirono a fare rinascere la patria il 25 aprile 1945. Tuttavia, è eccessivo credere che l’affermazione della democrazia configuri automaticamente l’esistenza di una patria condivisa nella quale tutti i cittadini si identifichino senza esitazioni e senza riserve. Anche in democrazia esiste un’ampia sfera di consenso passivo che difficilmente potrebbe essere definito patriottismo.
Sappiamo che l’orgoglio nazionale italiano non si orienta a simboli (bandiera, inno) e ad avvenimenti politici (il Risorgimento, la Resistenza) condivisi. D’altronde, né il Risorgimento né la Resistenza furono fenomeni “nazionali”. Furono contrastati, coinvolsero frazioni limitate degli italiani, rimangono tuttora controversi. In Italia è anche molto difficile parlare di “patriottismo Costituzionale”, più un’elaborazione ideologica che una concezione realistica di appartenenza e solidarietà. L’essere italiani, rivelano non poche ricerche, per i più significa, da un lato, sentirsi i discendenti della grande cultura da Dante a Leonardo, da Michelangelo a Verdi; dall’altro, identificarsi con il Bel Paese, lo splendore della sua natura e dei suoi monumenti. Dunque, il senso italiano della patria rimane debole e assolutamente poco politico. Per molti concittadini la patria appare semplicemente irrilevante nella loro vita quotidiana, nelle loro attività e aspirazioni. Altri italiani, soprattutto le generazioni più giovani, stanno crescendo, in una pluralità di modi, “fuori” dalla patria. Per vezzo o per cultura, si sentono già europei. Pensano che si costruiranno il loro destino di vita nella cornice europea. Qualcuno persino teorizza che una debole identità nazionale e un patriottismo culturale più che politico siano due elementi che faciliteranno la comparsa e l’affermazione di un europeismo condiviso.
Anche se nei sondaggi dell’Eurobarometro si nota una crescita delle percentuali di coloro che dichiarano di sentirsi anzitutto cittadini europei è difficile valutare quanto un debole senso nazionale e patriottico costituiscano un reale vantaggio per l’eventuale comparsa del patriottismo europeo. Anzi, la critica più frequente indirizzata all’Unione Europea e alle sue istituzioni è proprio quella di essere “tecnocratica”, di, per usare un’espressione retorica, non sapere scaldare i cuori. Il patriottismo europeo non è e non può essere un patriottismo costituzionale di una Costituzione che non c’è e che è destinata a cambiare nel tempo. Può, tuttavia, essere un patriottismo in senso molto lato di tipo culturale con riferimento all’immenso contributo che gli europei hanno dato alla cultura in tutte le sue manifestazioni: arti, musica, letteratura. Può, infine, essere proprio quel patriottismo della democrazia, dei diritti, della pace e della giustizia sociale che sono presenti in Europa molto più che in qualsiasi altro continente, in qualsiasi altra zona del mondo. “Ubi Europa ibi libertas”.
Riferimenti bibliografici
Barberis, Walter, Il bisogno di patria, Torino, Einaudi, 2004 e 2010
Kateb, George, Patriotism and other mistakes, New Haven-London, Yale University Press, 2006
Viroli, Maurizio, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 1995
Dal numero speciale 70° Liberazione di Patria Indipendente – Periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia