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Patria (e Libertà)

Uomini e donne che vivono sullo stesso territorio e che agiscono seguendo regole e procedure condivise e legittime, sostenendo le stesse istituzioni e obbedendo alle decisioni prese dalle autorità da loro elette possono sviluppare un senso di appartenenza al sistema politico e di solidarietà fra loro. Appartenenza e solidarietà, qualche volta, persino orgoglio e volontà di proteggere e difendere il territorio e le istituzioni, caratterizzano il patriottismo. Troppo spesso, però, il patriottismo, in special modo, in Europa, è degenerato in nazionalismo. L’orgoglio dell’appartenenza a una patria non deve significare superiorità rispetto alle patrie altrui, ma, spesso, più correttamente, significa diversità e specificità da apprezzare, da valorizzare, da diffondere, persino da amare. La patria non dovrebbe comunque mai stare al disopra di tutti i sentimenti. L’espressione di Cicerone “ubi patria ubi libertas” può essere efficacemente rovesciata: “ubi libertas ubi patria”. Anche se contiene un embrione di cosmopolitismo, il rovesciamento non porta necessariamente all’abbandono della patria, ma alla ricerca delle modalità con le quali è possibile costruire e mantenere la libertà nel territorio del quale si è cittadini. Solo in casi estremi la ricerca della libertà può spingere all’esilio (operoso).
L’accettazione passiva, magari imposta da oppressione e repressione, di regole, procedure e istituzioni che nulla hanno a che fare con la libertà non configura una situazione nella quale il sentimento patriottico possa fiorire. Invece, è la sconfitta degli oppressori che apre la strada all’affermazione della patria. E’ sempre esagerato parlare di “morte” della patria. E’ possibile sostenere che in Italia la patria morì non con la resa dell’8 settembre 1943, ma con la preparazione e promulgazione delle leggi razziali nel 1938. Almeno in parte, la dignità e la libertà riconquistate anche dalla Resistenza contribuirono a fare rinascere la patria il 25 aprile 1945. Tuttavia, è eccessivo credere che l’affermazione della democrazia configuri automaticamente l’esistenza di una patria condivisa nella quale tutti i cittadini si identifichino senza esitazioni e senza riserve. Anche in democrazia esiste un’ampia sfera di consenso passivo che difficilmente potrebbe essere definito patriottismo.
Sappiamo che l’orgoglio nazionale italiano non si orienta a simboli (bandiera, inno) e ad avvenimenti politici (il Risorgimento, la Resistenza) condivisi. D’altronde, né il Risorgimento né la Resistenza furono fenomeni “nazionali”. Furono contrastati, coinvolsero frazioni limitate degli italiani, rimangono tuttora controversi. In Italia è anche molto difficile parlare di “patriottismo Costituzionale”, più un’elaborazione ideologica che una concezione realistica di appartenenza e solidarietà. L’essere italiani, rivelano non poche ricerche, per i più significa, da un lato, sentirsi i discendenti della grande cultura da Dante a Leonardo, da Michelangelo a Verdi; dall’altro, identificarsi con il Bel Paese, lo splendore della sua natura e dei suoi monumenti. Dunque, il senso italiano della patria rimane debole e assolutamente poco politico. Per molti concittadini la patria appare semplicemente irrilevante nella loro vita quotidiana, nelle loro attività e aspirazioni. Altri italiani, soprattutto le generazioni più giovani, stanno crescendo, in una pluralità di modi, “fuori” dalla patria. Per vezzo o per cultura, si sentono già europei. Pensano che si costruiranno il loro destino di vita nella cornice europea. Qualcuno persino teorizza che una debole identità nazionale e un patriottismo culturale più che politico siano due elementi che faciliteranno la comparsa e l’affermazione di un europeismo condiviso.
Anche se nei sondaggi dell’Eurobarometro si nota una crescita delle percentuali di coloro che dichiarano di sentirsi anzitutto cittadini europei è difficile valutare quanto un debole senso nazionale e patriottico costituiscano un reale vantaggio per l’eventuale comparsa del patriottismo europeo. Anzi, la critica più frequente indirizzata all’Unione Europea e alle sue istituzioni è proprio quella di essere “tecnocratica”, di, per usare un’espressione retorica, non sapere scaldare i cuori. Il patriottismo europeo non è e non può essere un patriottismo costituzionale di una Costituzione che non c’è e che è destinata a cambiare nel tempo. Può, tuttavia, essere un patriottismo in senso molto lato di tipo culturale con riferimento all’immenso contributo che gli europei hanno dato alla cultura in tutte le sue manifestazioni: arti, musica, letteratura. Può, infine, essere proprio quel patriottismo della democrazia, dei diritti, della pace e della giustizia sociale che sono presenti in Europa molto più che in qualsiasi altro continente, in qualsiasi altra zona del mondo. “Ubi Europa ibi libertas”.

Riferimenti bibliografici
Barberis, Walter, Il bisogno di patria, Torino, Einaudi, 2004 e 2010
Kateb, George, Patriotism and other mistakes, New Haven-London, Yale University Press, 2006
Viroli, Maurizio, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 1995

 

Dal numero speciale 70° Liberazione di Patria Indipendente – Periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

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