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Lezioni francesi: sistema elettorale, rieleggibilità del Presidente, candidature delle donne … #Francia
Non apprezzo necessariamente tutto quello che viene dalla Francia, ma ho sempre considerato la Quinta Repubblica, il semipresidenzialismo, le sue istituzioni e il sistema elettorale maggioritario degni della massima attenzione. I francesi eleggeranno direttamente il prossimo Presidente nella primavera del 2022. La buona notizia è che sono candidate tre donne: la socialista Anne Hidalgo, la nazionalista di destra Marine Le Pen e Valérie Pécresse che ha vinto le primarie dei Républicains, gollisti e eredi del gollismo. In Italia abbiamo, soprattutto le donne “politiche”, qualcosa da imparare.
Alla ricerca di un Macron che non c’è
La domanda giusta non è: “chi è il Macron italiano?”. La domanda giusta è: “sarebbe possibile un Macron in Italia?” Non pochi hanno già dato risposta alla prima domanda: “Matteo Renzi”. È la risposta sbagliata poiché Macron ha rotto gli schieramenti politici francesi e ha creato un movimento allargato, mentre Renzi ha addirittura agevolato la rottura del PD e ne ha ridotto il consenso. Più importante è la risposta alla seconda domanda. A fronte delle improvvisate richieste di un Macron italiano, la mia risposta è: “non ne esistono le condizioni politiche e istituzionali minime”. Preliminarmente, si dovrebbe anche osservare che Macron non ha affatto rinnovato la sinistra francese . Ha, invece, assorbito parte significativa del declinante Parti Socialiste e ha emarginato quel che è rimasto della sinistra in Francia (equivalente come consenso elettorale grosso modo a quello del Partito Democratico in Italia). A nessuno in Italia riuscirà di fare un’operazione come quella francese poiché mancano le condizioni politiche e soprattutto istituzionali. Quand’anche Forza Italia fosse assimilabile ai gollisti francesi, che, a loro volta, sono stati largamente erosi da Macron, quel che rimane del suo consenso elettorale, aggiunto a quello del PD, supponendo che giungessero relativamente compatti all’appuntamento, non servirebbe a conseguire nessuna maggioranza parlamentare. Anzi, il rischio è che una parte degli elettori di Forza Italia accelererebbero il loro deflusso a favore di Salvini. Quel che soprattutto manca all’eventuale “operazione Macron” è il contesto istituzionale. Con coraggio politico di cui bisogna dargli atto, Macron entrò in campo grazie alla decisiva opportunità offertagli dal modello istituzionale della Quinta Repubblica francese: l’elezione popolare diretta del Presidente. La sua performance è stata notevole, ma la sua personale vittoria fu favorita dalla frammentazione dell’elettorato altrui. Poi, è stata la legge a doppio turno per l‘elezione dell’Assemblea Nazionale francese a dargli attraverso una serie di convergenze e di riaggregazioni una maggioranza parlamentare molto confortevole, ma anche molto composita. Nessuno può pensare neppure per un momento che la legge Rosato, approvata con lo scopo di dare ai leader il potere di nominare i loro parlamentari, consentirebbe agli elettori italiani di “rompere le righe” a favore di nuovi candidati che abbiano già trovato un leader coraggioso. Infatti, quand’anche esistesse un leader politico dotato di sufficiente coraggio da sfidare quel che rimane dei partiti in Italia, gli mancherebbe l’arena. Senza semi-presidenzialismo accompagnato da una legge elettorale a doppio turno a nessun uomo o donna politica italiana sarà mai possibile mettere alla prova il proprio coraggio. Dunque, chi vuole (essere) un Macron italiano dovrebbe iniziare la sua battaglia proponendo il modello semi-presidenziale francese e la relativa legge elettorale. Il resto sono chiacchiere ovvero, come direbbero i francesi, è noioso e improduttivo blà blà blà.
Pubblicato AGL il 3 settembre 2018
Invito all’ascolto: Prospettive e sfide di un voto europeo @RadioRadicale @ScuolaSantAnna
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RADIO RADICALE
Discutono le conseguenze del voto francese:
Yves Mény
Presidente della Scuola Superiore Sant’Anna
Gianfranco Pasquino
Professore Emerito di Scienza Politica
Marco Tarchi
Professore Ordinario di Scienza Politica
Università di FirenzeAula Magna, Scuola Superiore Sant’Anna
Lunedì 8 Maggio, 20.30
Macron-LePen al voto con l’ombra degli hacker
Il confronto televisivo fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen è stato, secondo il vecchio Jean-Marie, “noioso e incomprensibile”. Forse “malconsigliata”, Marine non è stata, secondo suo padre, “all’altezza”. Comunque, bontà di genitore, escluso, sostituito e emarginato dalla figlia, alla fine il duello si è risolto in un pareggio. L’invidia del risultato elettorale ottenuto da Marine, 5 per cento e 1 milione e 2000 mila voti in più del suo massimo, e delle prospettive che la danno addirittura al 40 per cento nel ballottaggio, hanno spinto il padre a giudizi severi, non condivisi da buona parte dell’elettorato. Tuttavia, Marine è, da un lato, la candidata che ha un elettorato molto fedele, che sicuramente tornerà a votarla al ballottaggio, ma, dall’altro, elettori molto ostili che la temono e che dichiarano di non volerla assolutamente vedere vittoriosa. Grazie all’alleanza siglata con Dupont-Aignan, al quale ha promesso di nominarlo Primo ministro, Marine Le Pen gode in partenza di una base di voti superiore al 26 per cento, in numeri assoluti più di 9 milioni e 350 mila.
Non sappiamo chi abbia “hackerato” i computer del quartier generale di Macron: i soliti russi di Putin, la destra americana, altri che cercano di impedirgli di compiere l’ultimo passo verso la vittoria? Chiunque sia stato segnala che questa elezione presidenziale francese è davvero importante e che, per dirla con le parole di Marine, la globalizzazione è diventata effettivamente selvaggia. In tutto questo si staglia un dato in una certa misura sorprendente e abbastanza rassicurante per Macron: due terzi dei francesi dichiarano che l’Unione Europea è positiva per la Francia. Se, dunque, ha ragione Marine Le Pen nel dire che la linea distintiva più profonda fra i due candidati è data dall’atteggiamento nei confronti dell’Europa, allora Macron ha un grande motivo per stare sereno. Tuttavia, vi sono due elementi che bisogna prendere in seria considerazione in attesa dei risultati. Il primo elemento è, per dirla con le ricerche elettorali italiane, che il voto per Macron, candidato senza partito, è sostanzialmente un voto di opinione, quindi, non incardinato, ma fluttuante e mutevole.
Senza la convergenza di elettori che, come i socialisti e i gollisti, non hanno più il loro candidato in lizza, Macron vedrebbe ridursi significativamente le sue chances. Inoltre, chi l’ha votato al primo turno afferma di averlo fatto più in mancanza di meglio (il 60 per cento) che per convinzione (40 per cento). Le motivazioni dei voti dati Marine sono quasi specularmente opposte: molto più per convinzione. Il secondo elemento è che, dunque, Macron ha assoluta necessità dell’apporto dei socialisti piuttosto indeboliti, e dei gollisti, rimasti senza candidato, ma soprattutto memori che il Gen. de Gaulle fu sempre intransigente nel chiudere la porta alla destra francese. Quasi la metà degli elettori gollisti ha dichiarato ai sondaggisti di volere seguire l’indicazione di voto a favore di Macron data da François Fillon e da Alain Juppé, già Primo ministro, oggi sindaco di Bordeaux, ma il comportamento dell’altra metà farebbe una notevole differenza se si traducesse nel voto a Marine piuttosto che nella più probabile astensione.
Bella sorpresa per Macron è che più di un terzo degli elettori di Mélenchon (che al primo turno sono stati 7 milioni e 126 mila) sceglieranno di votarlo non seguendo l’esiziale suggerimento di equidistanza espresso dal loro candidato. La conquista della Presidenza ad opera di Macron sarà un’ottima notizia soprattutto per coloro che pensano che la politica debba essere fatta con argomentazioni razionali contro chi manipola gli elettori facendo appello alla paura e ai risentimenti. Sarà anche una buona notizia per tutti gli europeisti. Però, per sapere come sarà governata la Francia per i prossimi cinque anni bisognerà attendere le elezioni legislative di giugno quando si vedrà quanta forza è rimasta a socialisti e gollisti e quanta disponibilità a collaborare con il Presidente eletto.
Pubblicato AGL il 7 maggio 2017
Sistemi partitici che cambiano, talvolta in meglio
No, in Francia non è già avvenuto tutto. È probabile che Macron vinca al ballottaggio, ma è anche probabile che, pur perdendo, Marine Le Pen sfondi il tetto di voti finora ottenuti da quello che è un partito tradizionale. Il Front National ha un’organizzazione, una presenza sul territorio, iscritti, militanti e eletti a livello locale. Quindi, no, almeno questo partito “tradizionale” non scomparirà; anzi, forse, si rafforzerà. No, non sono scomparsi neppure i gollisti e i socialisti. Certamente, sono andati molto male, soprattutto i socialisti, ma non dimentichiamo che la competizione nelle elezioni presidenziali francesi è fra candidati non fra partiti. Il candidato gollista François Fillon, appesantito da un molto riprovevole uso del denaro pubblico per ricompensare moglie e figli di collaborazioni mai avvenute, ha comunque ottenuto quasi il 20 per cento dei voti. Il bacino elettorale del socialista Benoît Hamon, già ridimensionato dalla pessima presidenza del suo compagno di partito Hollande, che, del partito non si era proprio curato, è stato largamente prosciugato sia verso il centro, da Macron, sia a sinistra, da Mélenchon. È vero che Gollisti e Socialisti hanno dominato la politica francese per sessant’anni, ma i gollisti non sono mai stati un partito davvero tradizionale e i Socialisti esistono nella loro forma, quella di un partito plurale, variegato e con differenze significative al loro interno (che hanno impedito a Lionel Jospin di giungere al ballottaggio nel 2002) dal non lontano 1971. Tutto il resto lo vedremo.
Per intenderci, il sistema partitico francese si sfalderà come sembra essere successo nelle elezioni del 2016 al sistema partitico spagnolo dove sia i Popolari sia, un po’ di più, i Socialisti hanno subito perdite gravi e hanno visto emergere concorrenti a sinistra e al centro? Qualcuno può fare finta di niente e credere che il sistema partitico italiano attuale sia solido e consolidato? Abbiamo dimenticato che democristiani e comunisti scesero a livelli elettorali molto bassi già nel 1994 e che il loro maldestro tentativo di costruzione del Partito Democratico ha prodotto, nelle spesso citate e molto appropriate parole di Massimo D’Alema, ”un amalgama mal riuscito” che, pochi mesi fa ha anche subito una scissione? Però, nelle democrazie europee esistono anche sistemi partitici piuttosto stabili: da, ovviamente, quello del Regno (ancora per quanto?) Unito alla Germania e, per fare solo un altro esempio da non snobbare, nel Portogallo, repubblica semipresidenziale come la Francia. Comunque, è chiaro che, dopo molti decenni di democrazia, gli elettorati sono cambiati e le sfide degli ultimi dieci anni hanno lasciato un segno che va nel senso della richiesta di qualcosa di nuovo che può anche non funzionare creando ulteriore delusione e insoddisfazione.
Nel caso francese, l’insoddisfazione ha la possibilità di esprimersi in maniera molto efficace già da giugno nelle elezioni legislative. Grazie ai collegi uninominali e al sistema elettorale maggioritario a doppio turno, nel quale i candidati possono passare al secondo turno qualora superino la soglia del 12,5 per cento degli aventi diritto (dunque, non si tratta di un ballottaggio che è tale quando riservato ai primi due), i partiti tradizionali potranno recuperare grazie ai loro candidati che, in molti casi, sono parlamentari uscenti, quindi noti agli elettori dei rispettivi collegi. Toccherà a Macron costruire alleanze per i suoi candidati e convergenze su altri candidati, probabilmente configurando in questo modo la maggioranza parlamentare di cui ha bisogno per governare nei prossimi cinque anni. Insomma, Macron “formez vos battalions” et on verra. Le buone istituzioni francesi e l’ottimo sistema elettorale promettono, non disastri, ma cambiamento positivo.
Pubblicato il 24 aprile 2017 su Italianinelmondo.com
Immagine dal sito wide-wallpapers.net
La politica e il senso
Quotidiano della Svizzera italiana
Intervista raccolta da Aldo Bertagni per la Regione Ticino
La crisi dei partiti? È un dato reale, per quanto sarebbe più corretto parlare di nuovi spazi politici – vedi la televisione – dove non esiste più un vero contraddittorio. Il vuoto è solo presunto da chi ha poche idee e ancora meno proposte. Ecco cosa manca e dovrebbe avere la politica, secondo Gianfranco Pasquino, politologo di fama internazionale.
È un vento che soffia sull’intera Europa e agita i sonni di chi pensava di governare a lungo e indisturbato, a maggior ragione da quando – gli ormai lontani anni Novanta del secolo scorso – l’antagonista principale, ovvero il socialismo reale, si è sciolto come neve al sole. Chi è rimasto, in verità ha dovuto fare i conti con un crescente disinteresse verso la politica e tutto ciò che le sta attorno. Quasi come se nulla valesse l’impegno sociale e civico, quasi come se la storia fosse giunta al capolinea. Eppure… eppure c’è ancora fame di politica, come ieri se non di più, ci dice Gianfranco Pasquino, 73 anni, politologo e accademico italiano fra i massimi esperti di politica internazionale. L’occasione del colloquio è data dalla presenza del politologo a Bellinzona, in agenda il prossimo 3 ottobre, all’incontro ‘La crisi dei partiti’ promosso dal Club Plinio Verda. Oltre a Pasquino, sono previsti gli interventi dei politologi Oscar Mazzoleni ed Ernesto Weibel.
Professor Pasquino, i partiti europei sono vivi e vegeti, nonostante tutto. Ma quanto rappresentano ancora una ‘parte’ in un mondo dove i confini si smarriscono?
Nessuno dei partiti, tranne quelli estremi o estremisti, si propone di rappresentare una sola parte dell’elettorato né tutto quell’elettorato. Quasi tutti i partiti sono un po’ interclassisti, compresi i populisti. La quasi totalità dei partiti cerca di rappresentare una molteplicità di settori sociali, altrimenti vincere non si può. I populisti, lo dice la definizione stessa, mirano a rappresentare un indistinto popolo. Non ci riescono quasi mai se non in situazioni autoritarie, ma granelli di populismo elettorale esistono in molti partiti.
Più che le idee, si direbbe acuta in Europa la crisi degli ‘spazi’ politici, intesi come luoghi di confronto e mediazione. Le tecnologie dell’informazione hanno svaporato i luoghi fisici e smussato i conflitti. Tutto è votato alla promozione del leader. Quanto pesa questa situazione nella crescita della partecipazione responsabile del singolo cittadino?
Purtroppo, lo spazio per eccellenza del confronto è diventata la televisione dove un vero contraddittorio che produca informazione e proposte di soluzione è rarissimo. Cattivi conduttori televisivi e le “costrizioni” della televisione (tempi brevi e prevalenza alle immagini)producono esiti non buoni. Il leader viene “promosso”, ma anche bocciato sulla base delle apparenze. Il sano conflitto politico si trasferisce nelle piazze e diventa rumore, qualche volta anche violenza. Ma, nell’Unione europea, per lo più il rumore viene domato da leadership capaci e la violenza è (man)tenuta sotto controllo. Quasi nessun partito si fa aperto sostenitore della violenza politica. Pochissimi la giustificano.
Venendo meno la struttura, l’hard disk dei partiti, come si compensa il senso di appartenenza?
Non tutte le appartenenze sono finite. Esistono, eccome, i laburisti inglesi e i socialisti spagnoli, i gollisti e i democristiani tedeschi. I partiti non producono più cultura politica, ma molti sanno come trovare temi estemporanei sui quali “catturare” l’attenzione e il voto dei cittadini. Politica volatile ed elettorati volubili? Forse, ma non esagererei affatto né l’uno né l’altro fenomeno. Non vedo nulla di travolgente. Vedo, però, insoddisfazione che i cittadini non sanno dove e come indirizzare.
Il presunto vuoto politico, alla fine, non somiglia piuttosto a un’amnesia collettiva che premia solo il qui e ora, e dunque non ha bisogno di contesti o sovrastrutture?
No, il vuoto politico è raro, spesso, come dice lei, presunto. Infatti, lo “presumono” coloro che hanno poche idee e ancora meno proposte, se non slogan e terribili semplificazioni. Il contesto oramai non potrà essere nulla di diverso da un’Unione europea che si trasforma e un mondo globalizzato che traballa e travolge. La sovrastruttura, almeno nella politica che abbiamo, potrebbe essere rappresentata dalla capacità dei dirigenti politici di volare alto, al di sopra del reale. Ma, noi italiani sappiamo che, come scrisse il poeta Metastasio, “chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente”.
Qual è la vera sfida, oggi, della politica? Cosa dovrebbero cambiare i partiti?
La vera sfida per i partiti è e continuerà ad essere quella di offrire ai cittadini rappresentanza e, al tempo stesso, governabilità che intendo come “soluzioni tempestive, praticabili, efficaci”. I partiti sono, lo crediate o no, le organizzazioni politiche più adattabili in assoluto. Si sono trasformate da partiti di notabili a partiti di quadri a partiti di massa a partiti pigliatutti (plurale, cioè interclassisti alla ricerca di tutti gli elettori possibili) a partiti, oggi, ma non tutti, personalisti. Cambieranno ancora utilizzando al meglio tutte le modalità offerte da internet. Sappiamo, comunque, che nessuno degli sfidanti ha finora saputo adempiere a tutti i compiti che i partiti svolgono, a fare meglio dei partiti, a durare nel tempo, a crescere. Se i partiti non sono buoni, deve essere chiaro che la responsabilità è anche, spesso è soprattutto, dei cittadini in palestra o in poltrona, sul divano o in birreria.
Pubblicato giovedì 24 settembre 2015