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La politica e il senso

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Intervista raccolta da Aldo Bertagni per la Regione Ticino

La crisi dei partiti? È un dato reale, per quanto sarebbe più corretto parlare di nuovi spazi politici – vedi la televisione – dove non esiste più un vero contraddittorio. Il vuoto è solo presunto da chi ha poche idee e ancora meno proposte. Ecco cosa manca e dovrebbe avere la politica, secondo Gianfranco Pasquino, politologo di fama internazionale.

È un vento che soffia sull’intera Europa e agita i sonni di chi pensava di governare a lungo e indisturbato, a maggior ragione da quando – gli ormai lontani anni Novanta del secolo scorso – l’antagonista principale, ovvero il socialismo reale, si è sciolto come neve al sole. Chi è rimasto, in verità ha dovuto fare i conti con un crescente disinteresse verso la politica e tutto ciò che le sta attorno. Quasi come se nulla valesse l’impegno sociale e civico, quasi come se la storia fosse giunta al capolinea. Eppure… eppure c’è ancora fame di politica, come ieri se non di più, ci dice Gianfranco Pasquino, 73 anni, politologo e accademico italiano fra i massimi esperti di politica internazionale. L’occasione del colloquio è data dalla presenza del politologo a Bellinzona, in agenda il prossimo 3 ottobre, all’incontro ‘La crisi dei partiti’ promosso dal Club Plinio Verda. Oltre a Pasquino, sono previsti gli interventi dei politologi Oscar Mazzoleni ed Ernesto Weibel.

Professor Pasquino, i partiti europei sono vivi e vegeti, nonostante tutto. Ma quanto rappresentano ancora una ‘parte’ in un mondo dove i confini si smarriscono?

Nessuno dei partiti, tranne quelli estremi o estremisti, si propone di rappresentare una sola parte dell’elettorato né tutto quell’elettorato. Quasi tutti i partiti sono un po’ interclassisti, compresi i populisti. La quasi totalità dei partiti cerca di rappresentare una molteplicità di settori sociali, altrimenti vincere non si può. I populisti, lo dice la definizione stessa, mirano a rappresentare un indistinto popolo. Non ci riescono quasi mai se non in situazioni autoritarie, ma granelli di populismo elettorale esistono in molti partiti.

Più che le idee, si direbbe acuta in Europa la crisi degli ‘spazi’ politici, intesi come luoghi di confronto e mediazione. Le tecnologie dell’informazione hanno svaporato i luoghi fisici e smussato i conflitti. Tutto è votato alla promozione del leader. Quanto pesa questa situazione nella crescita della partecipazione responsabile del singolo cittadino?

Purtroppo, lo spazio per eccellenza del confronto è diventata la televisione dove un vero contraddittorio che produca informazione e proposte di soluzione è rarissimo. Cattivi conduttori televisivi e le “costrizioni” della televisione (tempi brevi e prevalenza alle immagini)producono esiti non buoni. Il leader viene “promosso”, ma anche bocciato sulla base delle apparenze. Il sano conflitto politico si trasferisce nelle piazze e diventa rumore, qualche volta anche violenza. Ma, nell’Unione europea, per lo più il rumore viene domato da leadership capaci e la violenza è (man)tenuta sotto controllo. Quasi nessun partito si fa aperto sostenitore della violenza politica. Pochissimi la giustificano.

Venendo meno la struttura, l’hard disk dei partiti, come si compensa il senso di appartenenza?

Non tutte le appartenenze sono finite. Esistono, eccome, i laburisti inglesi e i socialisti spagnoli, i gollisti e i democristiani tedeschi. I partiti non producono più cultura politica, ma molti sanno come trovare temi estemporanei sui quali “catturare” l’attenzione e il voto dei cittadini. Politica volatile ed elettorati volubili? Forse, ma non esagererei affatto né l’uno né l’altro fenomeno. Non vedo nulla di travolgente. Vedo, però, insoddisfazione che i cittadini non sanno dove e come indirizzare.

Il presunto vuoto politico, alla fine, non somiglia piuttosto a un’amnesia collettiva che premia solo il qui e ora, e dunque non ha bisogno di contesti o sovrastrutture?

No, il vuoto politico è raro, spesso, come dice lei, presunto. Infatti, lo “presumono” coloro che hanno poche idee e ancora meno proposte, se non slogan e terribili semplificazioni. Il contesto oramai non potrà essere nulla di diverso da un’Unione europea che si trasforma e un mondo globalizzato che traballa e travolge. La sovrastruttura, almeno nella politica che abbiamo, potrebbe essere rappresentata dalla capacità dei dirigenti politici di volare alto, al di sopra del reale. Ma, noi italiani sappiamo che, come scrisse il poeta Metastasio, “chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente”.

Qual è la vera sfida, oggi, della politica? Cosa dovrebbero cambiare i partiti?

La vera sfida per i partiti è e continuerà ad essere quella di offrire ai cittadini rappresentanza e, al tempo stesso, governabilità che intendo come “soluzioni tempestive, praticabili, efficaci”. I partiti sono, lo crediate o no, le organizzazioni politiche più adattabili in assoluto. Si sono trasformate da partiti di notabili a partiti di quadri a partiti di massa a partiti pigliatutti (plurale, cioè interclassisti alla ricerca di tutti gli elettori possibili) a partiti, oggi, ma non tutti, personalisti. Cambieranno ancora utilizzando al meglio tutte le modalità offerte da internet. Sappiamo, comunque, che nessuno degli sfidanti ha finora saputo adempiere a tutti i compiti che i partiti svolgono, a fare meglio dei partiti, a durare nel tempo, a crescere. Se i partiti non sono buoni, deve essere chiaro che la responsabilità è anche, spesso è soprattutto, dei cittadini in palestra o in poltrona, sul divano o in birreria.

Pubblicato giovedì 24 settembre 2015


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