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Il Copasir deve andare all’opposizione, anche se si tratta di Giorgia Meloni @DomaniGiornale

Stabilire a chi spetta la Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti è una decisione importante. La questione non può e non deve essere interpretata soltanto come un conflitto interno al centro-destra fra la Lega di Salvini, alla quale appartiene il Presidente in carica, e i Fratelli d’Italia di Meloni, che sono i pretendenti. Infatti, in gioco sono alcune regole fondamentali della democrazia parlamentare, in special modo, quelle che attengono alle modalità di funzionamento del Parlamento e al rispetto dei diritti dell’opposizione politico-parlamentare. Appena studiosi e commentatori, in particolare quelli del “Corriere della Sera”, avranno finalmente capito che il compito principale del Parlamento nelle democrazie parlamentari non consiste affatto nel fare le leggi, cammineremo sulla dritta via che porta alla individuazione dei due compiti davvero fondamentali. Primo, è il Parlamento che sceglie il governo, gli dà la fiducia e gliela può togliere quando vuole. Ė finalmente caduta la critica sbagliata ai governi “non scelti dal popolo”, “non usciti dalle urne”, troppo spesso rivolta al governo Conte 2. Temo, però, che la caduta sia soltanto il prodotto del prestigio di Draghi, non di un reale apprendimento. Il secondo importantissimo compito del Parlamento è quello di controllare quello che fa, quello che non fa e quello che il governo fa male.

   Molto felpatamente, Walter Veltroni, editorialista del Corriere della Sera, sottolinea che il governo Draghi dovrebbe accompagnare ai suoi molti buoni propositi, alcuni già in ritardo di attuazione, anche le date entro le quali saranno soddisfatti. Le incertezze potrebbero essere almeno in parte ridimensionate ricorrendo a generalizzazioni ipotetiche del tipo: “ se …, allora…”. Esempio, “se i vaccinati saranno il 60 per cento allora le riaperture potranno avvenire il 20 giugno”. Queste generalizzazioni ipotetiche consentono all’opinione pubblica accuratamente (sic) informata dagli operatori dei mass media di farsi un’idea e all’opposizione, parlamentare e no, di controllare le promesse e le prestazioni del governo. Si configura in questo modo la migliore virtù democratica: l’accountability, governo e opposizione rispondono all’elettorato. Un governo intelligente impara dalle critiche espresse dall’opinione pubblica e da un’opposizione intelligente. Naturalmente, l’opposizione deve essere messa in grado di controllare l’operato del governo. I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, DPCM, erano e rimangono criticabili se e quando rifuggono e sfuggono alle possibilità di controllo dell’opposizione.

Questa, che non è affatto una lunga digressione, ma la indispensabile premessa ad un caso importante, conduce meglio attrezzati a considerare se e quanto la richiesta di Fratelli d’Italia di ottenere la Presidenza del Copasir è fondata e merita di essere accolta. Per legge, la Presidenza di quella Commissione deve essere assegnata all’opposizione. Al governo Draghi con la sua maggioranza fin troppo larga esiste tecnicamente e politicamente una sola opposizione appunto quella rappresentata da Fratelli d’Italia. Dunque, chi ha a cuore, non solo il funzionamento del Parlamento, ma i rapporti governo/opposizione deve esprimersi senza nessuna riserva a favore della candidatura espressa da Giorgia Meloni. Se l’alternativa di cui si discute è cambiare le regole, non soltanto merita il nome di pateracchio, ma certamente non sarebbe di giovamento al prestigio del Parlamento e dei suoi rappresentanti. Al contrario. Per di più, le riformette opportunistiche hanno spesso il rischio, o il pregio, di ritorcersi contro gli sciagurati propositori.

Pubblicato il 10 aprile 2021 su Domani

Colao è stato ingenuo, si è illuso che Conte prestasse attenzione alla relazione tecnica #intervista @ildubbionews

Per convincere un politico bisogna spiegargli le cose privatamente, in modo che poi lui possa usarle in pubblico. I documenti scritti difficilmente hanno peso, anche quando i contenuti sono condivisibili

Intervista raccolta da Giulia Merlo

 

 

Accoglienza fredda, qualche naso storto e poi un contenitore pubblico – gli Stati Generali dell’Economia voluti dal premier Giuseppe Conte che la hanno diluita: così è finita la relazione tecnica per il rilancio del Paese redatta dalla task force del supermanager Vittorio Colao. Un cortocircuito frutto dell’incomunicabilità tra tecnici e politici, secondo il professore emerito di Scienza politica Gianfranco Pasquino: «Se Colao si era illuso che Conte prestasse attenzione alla relazione scritta è stato ingenuo, dovrebbe saperlo che i politici sono quello che sono…».

A proposito di politica, si è detto che la relazione di Colao fosse troppo “di destra”. È un’etichetta che ha senso?

La destra la sinistra certamente esistono: la destra è la parte che tende a garantire chi ha già delle posizioni di relativo privilegio; la sinistra invece punta a una riduzione delle diseguaglianze. Ecco: le soluzioni ai problemi possono essere di destra o di sinistra, i problemi invece no. E mi sembra che la relazione di Colao individui i problemi e sia invece molto cauta nel dare soluzioni.

Quindi la task force ha svolto solo una parte del compito?

Io credo che la consegna fosse proprio quella di individuare i problemi, perché le soluzioni spettano alla politica. Però le priorità con cui si elencano i problemi non sono mai neutre. Colao ha indicato in cima alla lista il basso livello di automazione e il basso livello di laureati. Sono d’accordo con lui e tra i problemi aggiungo anche la carenza infrastrutturale: se investissimo in infrastrutture produrremmo occupazione, miglioreremmo il Paese e faremmo circolare denaro. In questo senso, forse sono più keynesiano di Colao. I problema non mi sembra ciò che è scritto nella relazione, ma il fatto che questi temi creino tensione dentro la maggioranza.

Anche gli Stati Generali hanno creato ulteriore tensione. Ha avuto senso un evento del genere?

Sbaglia chi li ha definiti una “passerella”, perché è mancata la presenza ossessiva dei media. Invece, mi sembra che sia stato un confronto tutto sommato positivo: anche il conflitto va bene, perché fa emergere nuove soluzioni. Mi è spiaciuto, però, che il documento di Colao non sia stato analizzato come meritava e che l’opposizione non si sia fatta vedere. Se dovessi fare un bilancio, gli Stati Generali sono stata un’operazione abbastanza utile, ma non sfruttata in pieno. Conosco personalmente alcuni componenti della commissione e nutro grande stima nei loro confronti: le idee della relazione avrebbero meritato una discussione approfondita.

La sensazione, invece, è stata di grande freddezza tra lo stesso Conte e Colao, come se ci fosse fretta di chiudere.

Non so quali siano stati gli umori tra i due, ma capisco meglio Colao di Conte. Il premier forse voleva scaricare la responsabilità sui tecnici, sperando che dicessero ciò che voleva lui. Colao, invece, è stato criticato ancora prima di leggere le sue proposte e deve aver percepito il rischio di diventare il parafulmine della politica, che poi avrebbe comunque fatto di testa sua. Fossi stato nei suoi panni non sarei stato solo freddo, ma fortemente irritato. Eppure, questa incomunicabilità non mi stupisce.

Insomma, politica e tecnici parlano ancora due linguaggi diversi?

I politici non prestano attenzione a ciò che dicono o scrivono i tecnici. Per convincere un politico di qualche cosa, bisogna prenderlo sotto braccio e spiegargli privatamente alcuni punti, che poi lui possa usare in pubblico. Colao, invece, si era illuso che Conte prestasse attenzione alle cinquanta pagine di relazione, ma avrebbe dovuto saperlo in anticipo che i politici non funzionano così.

Tra i politici, ormai, viene annoverato anche Conte.

Ma è vero solo in parte. Conte sfrutta la sua natura atipica e il fatto di non presentarsi come un vero politico gli giova nei sondaggi. Dalla sua ha il pregio del fatto di non avere posizioni ideologicamente preconcette, ma nello stesso tempo è cresciuto molto nel suo ruolo: ha imparato come interagire, è diventato disinvolto e anche disincantato, ma non è mai ingessato come i politici di mestiere. Il suo vantaggio sugli altri è uno: tutti noi sappiamo già in anticipo cosa diranno Salvini o Zingaretti, ma non ciò che dirà Conte.

Le critiche al governo sono piovute da più parti, lei invece non dà un giudizio negativo di questo Conte II.

Le critiche di cui lei parla sono arrivate soprattutto dai grandi giornali e questo fatto mi ha portato a chiedermi se l’informazione stia davvero svolgendo il suo compito. In altre parole, mi sembra che ci sia stata più la ricerca del retroscena che l’analisi dei fatti: il problema non è se Conte dura o no, ma che cosa fa. Ecco, a me sembra che il governo, pur con una coalizione di attori molto diversi, abbia fatto piuttosto bene e che, ad oggi, non esista una alternativa migliore.

E allora veniamo ai fatti: cosa dovrebbe fare il governo, ora che la relazione di Colao è pronta e va tradotta, in tutto o in parte, in iniziativa politica?

Dovrebbe definire alcune priorità e su quelle procedere in modo rapido. Per individuarle esiste un criterio semplice: quelle su cui l’Ue è pronta a stanziare fondi. La prima priorità è l’accettazione del Mes per le spese sanitarie, con 37 miliardi pronti da usare subito. La seconda sono le infrastrutture, a cui applicare il modello della ricostruzione del Ponte Morandi: individuare persone affidabili e dare loro le chiavi di alcuni cantieri strategici. C’è chi pensa che sia una tecnica elitista, ma è sicuramente efficace.

Anche Ursula von der Leyen era presente a Villa Pamphilj e ha detto che bisogna individuare al più presto i progetti da farsi finanziare.

In Europa tutti sanno che gli italiani non sono mai del tutto affidabili e la presidente della Commissione Ue fa bene a ricordarci che un cronoprogramma è indispensabile. Noi, purtroppo, siamo una banda di provinciali e preferiamo il lamento contro l’Europa, illudendoci che crei consenso. Invece, bisognerebbe valorizzare il fatto che l’Europa ha dimostrato di credere in noi, con una enorme apertura di credito nei nostri confronti.

Tutto, però, dovrà comunque passare per il Parlamento: sarà un porto delle nebbie in cui la ripartenza rischia di arenarsi?

No, ma solo se la maggioranza sarà capace di sfidare il Parlamento a discutere su temi precisi: soldi, tempi e benefici di ogni misura. L’operazione è difficile e richiede grandi competenze, ma penso che in queste Camere ci sia un buon numero di persone capaci. La sfida per il Parlamento, oggi, è quella di trasformarsi in un “intellettuale collettivo”.

Pubblicato il 17 giugno 2020 su ildubbio.news

 

 

 

Adelante, Conte, con judicio. Ecco l’opinione di Pasquino (con tirata d’orecchie) @formichenews

 

Perché parlare prima dei nomi, e non dei progetti, si chiede il prof. Pasquino, che lamenta i limiti del dibattito politico. Serve maggiore giudiziosità, la stessa che sembra mancare a troppi commentatori italiani sulla scena e dietro la scena

Basics. Quel che non dobbiamo dimenticare. Il governo Conte 2 è una coalizione composita fra un Movimento 5 Stelle diversificato dalle molte mai ricomposte provenienze e con obiettivi tanto ambiziosi quanto ambigui e un Partito, uno: Democratico, e trino: Leu e Italia Viva. Rappresentano elettorati abbastanza, qualche volta molto, differenziati anche perché la società italiana è diversificata, frammentata, addirittura fratturata lungo una pluralità di linee: geografiche, sociali, generazionali, “europee”, di egoismi e di progettualità difficili da ricomporre per chiunque. Ancora più complicata è la ricomposizione in una situazione di crisi pandemica che colpisce i più deboli, che richiede scelte dolorose, che impone proprio al potere politico di esercitare al massimo la sua capacità di intervento, di ri-orientamento, di previsione e di correzione poiché nessuno è in grado di fare scelte impeccabili al primo colpo senza necessità di revisioni frequenti.

I partiti al governo hanno la maggioranza dei seggi sia alla Camera sia, in maniera risicata, al Senato. Sono in grado di durare se lo desiderano anche se debbono temere lo stillicidio di defezioni ad opera di parlamentari pentastellati alla ricerca di un loro personale futuro. I governanti possono anche sperare in un non impossibile sostegno occasionale, ma riproducibile, di parlamentari responsabili, che curano i loro destini, ma anche quelli del paese al quale una crisi di governo hic et nunc non gioverebbe affatto. Il Presidente del Consiglio ha rapidamente capito che le coalizioni si tengono insieme mediando, riconciliando, ricomponendo tensioni e conflitti, inevitabili in tutte le coalizioni, senza esagerare, ma anche senza cedere sull’essenziale che è soprattutto continuare nella convinzione che the best has yet to come. Qualche miglioramento è possibile, con e in questa coalizione. Soprattutto, il capo del governo ha imparato che deve metterci la faccia. Forse, come lo rimproverano, la faccia ce l’ha messa troppo spesso, ma i sondaggi lo hanno premiato. D’altronde, le altre facce, Di Maio e Zingaretti, Crimi e qualsiasi altro dirigente del PD non è detto che fossero più accettabili e più convincenti.

A livello europeo, probabilmente anche grazie ad un gioco di squadra con Gentiloni e Gualtieri, il capo del governo ha ottenuto risultati, MES senza condizionalità compreso, impensabili, purtroppo non ancora capiti in tutta la loro importanza presente e futura. Conte è consapevole che il Presidente della Repubblica, che ne ha viste molte, non dà troppo peso agli scricchiolii nella sua coalizione e alle differenze di opinioni, inevitabili, spesso esagitate e esaltate a scopi di visibilità personale e incomprimibilmente narcisistica. Inoltre, Mattarella ha come compito quello di sostenere l’esistente governo fintantoché la sua maggioranza è operativa (lo è). Non ascolta le sirene (sic) degli opinionisti e dei retroscenisti che annunciano, oramai da mesi, una crisi strisciante. Meno che mai si fa suggerire la soluzione della crisi.

Prima il progetto poi i nomi è il mantra politichese. E allora perché fare il nome senza chiedersi quale sarebbe la maggioranza a sostegno di un europeista convinto? Non è vero che “tutto va bene, Madama la Marchesa”, ma, se non tutto, molto potrebbe andare peggio. Dunque, “adelante, Conte, con juicio”, con quella giudiziosità che sembra mancare a troppi commentatori italiani (anche di Formiche.net) sulla scena e dietro la scena.

Pubblicato il 13 maggio 2020 su formiche.net

Le mosse dei cavalli

Con la mossa del cavallo, che nel gioco degli scacchi ribalta tutto, Matteo Renzi si vanta da tempo, girando per pubblicizzare un suo libro dallo stesso titolo,e con lui, all’unisono i renziani, di avere dato vita al governo Cinque Stelle-Partito Democratico nell’agosto 2019. Curiosamente, nessuno gli ricorda che fu proprio il suo “cavallo” imbizzarrito a impedire che s’andasse alla trattativa con le Cinque Stelle già nel marzo 2018 subito dopo le elezioni. Il paese si sarebbe forse risparmiato un turbolento anno di governo giallo-verde che, comunque lo si consideri, è stato il trampolino di lancio per l’impetuosa crescita dei voti per la Lega di Salvini.

Subito dopo la formazione del governo Conte 2, avendo piazzato in incarichi di governo non pochi dei parlamentari a lui fedeli, Renzi lasciò il Partito Democratico creando ItaliaViva che dovrebbe conquistare gli elettori di centro dei quali molti commentatori assicurano l’esistenza, ma che, in verità, finora proprio non si vedono, non si materializzano e sono corteggiati anche dall’ex-ministro Carlo Calenda. Forse preoccupato, nonostante sue plateali smentite, dalla soglia di accesso al Parlamento indicata nel 5 per cento dalla legge elettorale in corso di discussione, Renzi si è praticamente da subito gettato a capofitto, anche per temperamento, alla ricerca di visibilità politica. I sondaggi, che non collocano praticamente mai ItaliaViva sopra il 5 per cento e che danno bassi punteggi di popolarità al suo leader, sono alquanto preoccupanti. Forse soprattutto per questo e non solo per puntiglio e malignità nei confronti del PD che per quattro anni ha tenuto in pugno, Renzi ha di recente alzato il tiro proprio contro il governo di cui fa parte.

La riforma della prescrizione che, peraltro, è già legge, è diventata il suo cavallo di battaglia. Renzi vuole presentarsi come il difensore della giusta e ragionevole durata del processo di contro ai giustizialisti, quelli che la stampa di destra definisce, con molta esagerazione, i “fine processo mai”. Ha già annunciato che non voterà il testo concordato fra Cinque Stelle, Partito Democratico, LiberiEguali. Addirittura si è spinto fino a dichiarare che voterà la proposta di Enrico Costa (Forza Italia). A suo tempo, criticò alcuni provvedimenti della Legge di Bilancio e adesso lascia trapelare che non è d’accordo sulle modalità della lotta contro l’evasione. Insomma, le sue ripetute e puntigliose prese di distanza stanno oggettivamente minando la stabilità del governo Conte. In questi casi, è opportuno che qualsiasi valutazione ulteriore attenda la prova dei numeri parlamentari. Se cadrà il governo, è molto improbabile che il Presidente Mattarella dica no ad una più che legittima richiesta di scioglimento del Parlamento. L’unico presumibile vantaggio per Renzi sarà che si andrà al voto con la legge Rosato, il coordinatore dei suoi gruppi parlamentari, che non ha soglia di esclusione. Ma il cavallino di Renzi rischia comunque di fare pochissima strada.

Pubblicato AGL il 9 febbraio 2020

Governo Conte oltre il panettone

Rincorrendo le quotidiane differenze di opinione fra gli esponenti del Movimento Cinque Stelle e i dirigenti del Partito Democratico e le loro numerose esternazioni, si ha l’impressione che il governo Conte 2 stia continuamente scricchiolando. Tuttavia, sembra oramai quasi certo che Conte e i suoi ministri saranno ancora in carica quando arriverà il momento di mangiare il panettone natalizio. Guardando ai due problemi attuali di maggiore portata, il destino dello stabilimento Ilva di Taranto e il futuro oscuro di Alitalia, si capisce che, da un lato, il governo non ha saputo trovare soluzioni tempestive e adeguate, dall’altro, che né per l’Ilva né per Alitalia e neppure per la Banca Popolare di Bari, le responsabilità sono di questo governo, ma affondano in scelte e non-scelte dei governi precedenti. L’opposizione di centro-destra alza la voce, spesso con toni molto sgradevoli, ma, come nel caso del Meccanismo Europeo di Stabilità, non ha nessuna proposta alternativa. Anzi, forse il salire dei toni, di cui di recente è stata maestra Giorgia Meloni (e l’impennata di consensi nei sondaggi a suo favore sembra premiarla), dipende proprio dalla sostanziale impotenza propositiva del centro-destra. Non è soltanto questione di inefficacia del sovranismo, ovvero del proposito di riconquistare, non si sa come, poteri ceduti all’Unione Europea oppure, meglio, con l’UE condivisi, con Berlusconi molto tentennante sul punto, ma, eventualmente, di come usarli nelle politiche economiche e sociali italiane. La vittoria di Boris Johnson in Gran Bretagna ha messo in imbarazzo i sovranisti italiani che si sono affrettati a dire che, no, non pensano affatto di uscire né dall’Unione né dall’Euro.

Giorno dopo giorno appare che le maggiori, ma nient’affatto letali, insidie per il governo Conte vengono dal suo interno. Nascono, da un lato, dalla necessità per i Cinque Stelle di prendere dolorosamente atto che molte parti del loro programma alla prova dei fatti risultano inattuabili, se non addirittura controproducenti e, dall’altro, che la leadership di Di Maio si è certamente dimostrata inadeguata, portando al dimezzamento dei voti, ma al momento rimane insostituibile poiché la sua fuoruscita porterebbe a deflagrazioni. L’insidia più grande per il governo viene, deliberatamente e costantemente, dallo scissionista Matteo Renzi. L’ex-segretario del PD ha la necessità di conquistare spazi cosicché prende rumorosamente le distanze dalle politiche del governo in cui pure stanno esponenti da lui designati, e per dimostrare la sua rilevanza si sta dedicando al piccolo sabotaggio. Un mediocre di talento, il Presidente del Consiglio Conte si riposiziona frequentemente, procede a mediazioni, offre un volto rassicurante e produce dichiarazioni rassicuranti venendo premiato dai sondaggi come il leader nel quale gli italiani hanno più fiducia. Che, in attesa del D-Day rappresentato dalle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, sia lui “l’uomo solo al comando” desiderato dagli italiani?

Pubblicato AGL il 16 dicembre 2019

#Intervista Gianfranco Pasquino: “quello tra M5S e PD può essere governo di legislatura” @CattaneoZanetto @PaoloZanetto

Pubblicato in OSSERVATORIO Trend · Politica · Economia N.8 | Sett. 2019

La soluzione della crisi ha preso la via parlamentare, trovando una nuova maggioranza imperniata su PD e M5S. In base alla natura dei suoi componenti, sono reali le prospettive di un governo di legislatura?

Sono reali, le due forze politiche si sono messe d’accordo per fare un governo che duri. In primis perché in caso contrario sarebbe un fallimento che pagherebbero davanti agli elettori, e quindi perché deve fare delle riforme che producano effetti positivi: perché ciò sia possibile è necessario un Governo che abbia prospettive di lunga durata. L’obiettivo è sicuramente un Governo di Legislatura, poi ovviamente possono accadere degli inconvenienti, qualcosa che al momento non si può prevedere, ma dire che questo è un Governo a termine sarebbe profondamente sbagliato.

Quali sono le reali differenze che il M5S potrà imprimere alla sua nuova esperienza di governo e che tipo di alleato sarà il PD rispetto alla Lega?

Mi pare che tanto la leadership del Movimento 5 Stelle quanto quella del PD non si esprimano con la stessa assertività che caratterizzava la Lega. Questa mi sembra essere la differenza positiva, che vi siano uomini e donne in grado di dialogare senza prevaricare. La seconda differenza è che, secondo me, insieme interpretano meglio il Paese. Intendiamoci, Salvini rappresentava una parte di Italia esistente, che vuole bloccare l’immigrazione, che vuole la legge sulla legittima difesa. Questa non è però maggioritaria e forse non corrisponde neanche a quel 33 per cento che i sondaggi attribuivano alla Lega. Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, invece, interpretano una parte più ampia del Paese.

L’alleanza tra Lega e M5S aveva visto una continua competizione per l’assegnazione di risorse alle misure economiche e fiscali di riferimento, nell’ottica di una continua ricerca di consenso. Nella prossima manovra di bilancio è verosimile vedere ancora simili rivendicazioni o prevarrà la necessità di stabilità fiscale e certezza sul contenimento dell’IVA?

Non sono così preoccupato dall’aumento dell’Iva onestamente, ma credo che M5S e Pd sappiano che l’obiettivo primario deve essere il rilancio dell’economia, e quindi non possono permettersi di buttare soldi in maniera redistributiva. Questo l’hanno imparato anche i Cinque Stelle. Poi credo che molto dipenderà anche da chi sarà nominato Ministro dell’Economia e come Commissario europeo, che sarà poi quello che dovrà spiegare all’Europa cosa faremo con la nostra manovra economica. Vi deve quindi essere una figura competente, credibile, con passate esperienze di Governo e che sia soprattutto nota a livello internazionale.

Una maggioranza di questo colore sembra peraltro molto più in sintonia con i nuovi vertici dell’Ue: questo si tradurrà in margini più morbidi sui conti pubblici?

Su questo bisogna trattare con Bruxelles, occorre chiedere sapendo cosa dare in cambio. Qui, la “moneta” italiana, che si vorrebbe vedere all’estero, è la credibilità. L’idea è che si possa anche dare qualche margine di flessibilità in più, ma l’Italia deve essere credibile in quello che promette, mantenere gli impegni che si prende. Molto dipende dalle persone.

Riguardo le riforme proposte, la base programmatica della nuova alleanza prevede la conclusione della riforma costituzionale atta a ridurre il numero dei parlamentari, a cui sarà probabilmente legata un’ulteriore revisione della legge elettorale: è questa la maggioranza giusta per proporre un ritorno al proporzionale e ridurre le storture create con il Rosatellum?

Il Movimento 5 Stelle è sempre stato a favore di una legge proporzionale. Anche nel Pd c’è, certamente, una componente che sostiene questa linea. Passare a un sistema maggioritario vero mi pare un’operazione assolutamente improponibile. Si può fare una buona legge elettorale proporzionale, magari con una piccola soglia di sbarramento, con i collegi disegnati in modo competitivo, evitando candidature plurime e paracadutati. Si può portare a termine anche la riduzione dei Parlamentari. Renzi, sostanzialmente, nella sua riforma aboliva i Senatori, e dunque si potrebbe andare benissimo anche in quella direzione. Chiaro che poi occorre saper creare pesi e contrappesi, cercare di far sì che il Parlamento funzioni in modo adeguato per controllare il Governo. Si tratta evidentemente di un’operazione complessa, ma fattibile.

Non è il nuovo che avanza

Ansia di irrefrenabile protagonismo, desiderio di vendetta (contro chi?), incapacità di autocritica, ricerca di un futuro nel quale scatenare tutte le sue potenzialità: sono queste chiavi di lettura plausibili della scissione proclamata ieri da Renzi, ma a lungo progettata? Probabilmente tutte insieme. Ma, è utile soffermarci sulla psicologia del due volte ex-segretario di un partito da lui conquistato e dominato, poi portato alla grande sconfitta referendaria del 2016 e ai minimi termini elettorali nel 2018? Credo di no. Lascerò il passato ad altri interpreti e guarderò al futuro, non come un astrologo, ma come un analista della complicata scena politica italiana. Lasciare il PD, ma non il seggio parlamentare non può che significare il non avere fiducia nel partito per portare avanti la linea politica preferita. Eppure, il PD di Zingaretti ha appena fatto proprio quello che Renzi, ad un anno dalla sua dichiarazione contraria qualsiasi dialogo con le Cinque Stelle ha imposto, ovvero un governo con Di Maio e i suoi collaboratori. Sarebbe certamente disastroso se Renzi e i suoi parlamentari scissionisti facessero cadere il governo appena nato nel quale si trovano almeno cinque di loro. Infatti, Renzi si è affrettato ad escludere questa eventualità. Intende sostenere il governo Conte 2, ma, aggiungo io, come la corda sostiene l’impiccato. È probabile che ogni provvedimento legislativo del governo dovrà essere contrattato e approvato dai renziani. Se, però, il distacco dal PD è motivato dalla non condivisione della linea del partito, come potranno i renziani accettare quanto il governo Conte farà traducendo in leggi e in politiche pubbliche anche molte delle preferenze del PD di Zingaretti? In effetti, anche se in maniera poco limpida, Renzi sostiene che questo PD, peraltro, non molto diverso da quello da lui variamente guidato, ha una collocazione che non gli garba, che c’è una parte, presumibilmente ampia, di elettorato, del paese, che il PD non riesce a raggiungere e non può rappresentare. Sulla rappresentanza politica e sociale bisognerebbe chiedere conto a Renzi della pessima legge che porta il nome di Ettore Rosato, suo fedelissimo, e di quei suoi parlamentari, come la Boschi, paracadutati molto lontano dai loro territori. Sulla collocazione dell’elettorato alla ricerca di politiche diverse da quelle del PD e del governo al quale partecipa, è lecito discutere. Sarebbe questo elettorato collocato al centro dello schieramento politico? centristi e moderati, quindi, contendibili anche da Berlusconi e Forza Italia? Oppure, se non esistono più destra e sinistra, non sono sopravvissuti neppure i centristi, ma esistono soltanto cittadini-elettori italiani (e di altri paesi) che guardano alla qualità delle proposte politiche e alle priorità programmatiche? Rimane il quesito se il nuovo piccolo veicolo renziano, valutabile 4, forse 5 per cento, farà avanzare una politica nuova o proteggerà i ruoli e le cariche di cui già godono.

Pubblicato AGL il 18 settembre 2019