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Gli scricchiolii e l’orecchio di Conte

Appoggiando l’orecchio sul terreno, si sentono scricchiolii che toccano il governo Conte e lo stesso Presidente del Consiglio. Leggendo quasi tutti i quotidiani, ad eccezione de “Il Fatto Quotidiano”, e guardando i telegiornali, è facile vedere che le critiche a Conte superano di gran lunga i giudizi, non dico favorevoli, ma giustificativi. Il numero quotidiano dei contagiati sta lì a indicare, secondo molti, che il governo Conte, pur consapevole della alta probabilità di una seconda ondata del Covid, non ha saputo prepararsi per tempo. Per quanto insistentemente e, a mio parere, esageratamente criticata, il Ministro dell’Istruzione Azzolina ha ceduto il ruolo di capro espiatorio al Ministro dei Trasporti Paola De Micheli. Nelle scuole di ogni ordine e grado i contagi sono stati pochissimi, mentre i trasporti nelle grandi città, a cominciare da Milano e Napoli si sono rivelati grandemente insufficienti e notevoli veicoli di contagi. Comunque sia, la situazione è oggi molto grave. Vero è che Spagna, Gran Bretagna e soprattutto la Francia sono messe molto peggio, ma la valutazione negativa degli italiani non può essere addolcita da qualsiasi proverbio: mal comune mezzo gaudio. Non è in nessun modo possibile “gioire” anche perché, primo, il peggio non è ancora arrivato e, secondo, l’impreparazione complessiva è visibilissima.

   La mia spiegazione non va in soccorso del governo, ma serve, confido, da un lato a capire meglio che cosa è successo, dall’altro, a ri-prepararci. L’Italia non se l’era cavata male nella prima ondata. Anzi, aveva dimostrato grandi capacità di reazione e di apprendimento. Alle soglie dell’estate arrivammo tutti tirando sospiri di sollievo, pronti a vacanze decenti che, infatti, molti riuscirono a fare. Alla fine dell’estate, anche se le preoccupazioni per le scuole e i trasporti esistevano, la maggioranza degli italiani nutriva aspettative positive. Sarebbero tornati al lavoro, la ripresa economica avrebbe riportato alla crescita. I fondi europei erano dietro l’angolo. A fronte di queste aspettative crescenti il ritorno virulento del Covid ha prodotto tremende frustrazioni soprattutto nei lavoratori autonomi, ristoratori e commercianti, partite IVA di ogni tipo che avevano fatto sacrifici mettendosi in regola per l’autunno. Ecco che la loro frustrazione si scatena, comprensibilmente, ma, quando tracima in violenze contro cose e persone, non giustificatamente. Per di più non si vede nessuna luce in fondo al tunnel. I provvedimenti del governo contenuti nei famigerati DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) sembrano essere solo tamponi (sì, uso deliberatamente questa parola) senza visione, non dico di lungo, ma neppure di medio termine. La forza di Conte dipende dalla irresistibile debolezza delle alternative e dall’impensabilità di una crisi di governo al buio, ma senza quello che i politici chiamano “cambio di passo”, soltanto qualche scoperta medica potrà alleviare, non risolvere, la situazione italiana.

Pubblicato AGL il 30 ottobre 2020

Basta soluzioni tampone, serve una road map del Covid. La lezione di Pasquino @formichenews

Dopo il ripetuto ricorso ai Dpcm, una discussione parlamentare sarebbe utile per migliorare e affinare le decisioni prese. Soprattutto, vorrei che tanto il governo quanto l’opposizione si esercitassero a individuare le tappe e i passaggi attraverso i quali evolverà il Covid. Il commento di Gianfranco Pasquino

Il dilemma è drammatico: chiudere le attività economiche per salvare vite, ma impoverendo tremendamente milioni di italiani oppure lasciare aperte moltissime attività ponendo a rischio contagio, con un numero di vittime già quantificabile, ampi settori della popolazione italiana? Per dare una risposta a questo dilemma è anche possibile, forse consigliabile guardare le decisioni prese altrove. Certo, non siamo un’isola con circa sei milioni di abitanti come la Nuova Zelanda. Non è possibile sigillare l’Italia. La lezione asiatica, Corea del Sud, Giappone, Taiwan (due di questi paesi sono isole), non l’abbiamo studiata, ma è molto plausibile che il loro successo dipenda da tratti culturali distanti da quelli degli italiani e da comportamenti che abbiamo già capito non sapremmo imitare e praticare. Degli altri paesi europei, a giudicare dai numeri, solo la Germania ha fatto meglio. Il governo Conte ha trovato qualche insegnamento in quell’esperienza?

In tutte le democrazie i governi debbono essere costantemente sotto la lente dell’opinione pubblica, anche quella delle opposizioni. È imperativo che giustifichino le decisioni che prendono e quelle che evitano. Hanno l’obbligo di spiegare tempi, modi, conseguenze di quelle decisioni. Non sono affatto sicuro che al dilemma che ho posto all’inizio la risposta migliore stia nel mezzo. No, in medio non stat virtus. Suggerirei alle opposizioni che le critiche più efficaci non sono quelle formulate alzando la voce e che si traducono in “un po’ più di questo (orari di apertura e soldi)” “un po’ meno di quest’altro (meno didattica a distanza)”. E non consistono mai nel condonare il “disagio” che si traduce in disordini, saccheggi, violenza organizzata che chiaramente è del tutto controproducente. Sono convinto che, da un lato, il capo del governo ha la facoltà di emanare i famigerati DPCM per comprensibili ragioni di urgenza e di necessità. Dopo il ripetuto ricorso a questo strumento ho, però, maturato l’opinione che una discussione parlamentare sia utile per migliorare e affinare le decisioni prese. Soprattutto, vorrei che tanto il governo quanto l’opposizione si esercitassero a individuare le tappe e i passaggi attraverso i quali evolverà il Covid. Però, non vedo come questo compito sarebbe meglio svoto da un governo di larghe intese, che non si è formato sulla spinta del Covid in nessuna democrazia (la Grande Coalizione tedesca è nata prima del Covid)

Nessun governo democratico è finora caduto a causa del Covid. Neppure Trump potrà e, forse, neanche sarà in grado di giustificare la sua sconfitta come esito di una malattia trascurabile, poco più di un’influenza. Nelle attuali condizioni in Italia non è pensabile un altro governo né è minimamente plausibile andare alle urne. Proprio per questo è lecito pretendere che il governo Conte non navighi a vista limitandosi alla formulazione di soluzioni tampone (sì, desidero proprio usare questa parola) soluzioni che non è in grado di argomentare motivatamente e giustificare convincentemente. Last, ma tutt’altro che least, e non è un’altra cosa, il governo dovrebbe stare approntando i progetti, tempi, contenuti, costi, indispensabili a ottenere gli ingenti fondi del programma Next Generation EU. Sarebbe utile che, lo dirò con il massimo di retorica disponibile, il paese venisse informato. Donne e uomini informati mezzo salvati.

Pubblicato il 26 ottobre 2020 su formiche.net

Conte e i “finti” trionfalismi. Non c’è mai fine per i disfattisti @fattoquotidiano

Ci sono due modi, entrambi enormemente sbagliati, di interpretare l’esito della riunione del Consiglio dei capi di governo degli Stati-membri dell’Unione Europea tenutasi dal 17 al 20 luglio. Il primo è quello di chiedersi “chi ha vinto?” e “chi ha perso?” Il secondo è quello di preoccuparsi dei “trionfalismi” dei “vincitori” italiani invece di occuparsi di quello che, da adesso subito, l’Italia e gli italiani, non soltanto il governo Conte debbono fare per utilizzare al meglio 209 miliardi di Euro (che non c’entrano nulla, come sostiene Salvini, con il MES).

In una Unione politica che si muove in direzione federale è sempre difficile, ma spesso assolutamente fuori luogo, separare vincitori e vinti, ma, fra i vincitori desidero mettere, senza fare una graduatoria: Ursula von der Leyen e l’intera Commissione da lei presieduta; Charles Michel e Angela Merkel perché se lo meritano. È proprio vero che, per lo più, si vince tutti insieme e il conto delle eventuali sconfitte ricade su di tutti, qualche volta maggiormente sui più deboli. Nel caso dell’Unione Europea, facendo un paio di semplicissimi elementari conti dovremmo affermare che l’Italia, avendo ottenuto più Euro di tutti, ha sicuramente vinto. Però, i sedicenti “frugali” non hanno perso visto che riceveranno rimborsi non marginali, anche se, nel complesso, ammontano all’incirca un decimo dei fondi assegnati all’Italia. L’Unione ha vinto poiché ha dimostrato di sapere decidere e di riuscire a farlo con un metodo democratico, aspetti ai quali gli eurocritici avevano indirizzato tutte le loro fosche previsioni. L’Unione ha vinto poiché è stata respinta la pretesa olandese di godere di un potere di veto. L’Unione ha vinto perché ha creato un significativo precedente di condivisione e solidarietà rispetto al quale è assai improbabile si possa tornare indietro. Anzi, ai commentatori di varia provenienza e scarsa competenza, si potrebbe ricordare che, anche quando nel passato le decisioni non furono ugualmente nette e quantificabili, il metodo operativo dell’Unione consentiva comunque passi avanti più o meno piccoli. L’Unione non è mai stata ferma.

Credo che sia profondamente ingiusto e sostanzialmente inutile confondere la legittima soddisfazione del Presidente del Consiglio Conte (del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e della coalizione di governo meno sfrangiata del solito) con un non meglio specificato trionfalismo. Sono gli stessi commentatori che per settimane avevano scritto che l’Italia non avrebbe ottenuto quello che voleva, i quali, invece, di giustificarsi per i loro errori, non da menagramo, ma da incompetenti, spostano il tiro sui problemi da affrontare ora subito. Alcuni, poi, hanno immediatamente ricominciato il gioco davvero fastidioso, talvolta irritante, della sostituzione più o meno imminente del Presidente del Consiglio.

Non sarà facilissimo predisporre programmi seri di investimenti cospicui nei settori che la Commissione privilegia, soprattutto economia verde e digitale. Pertanto, sarebbe opportuna una apertura di credito a Conte e ai suoi ministri al tempo stesso che si formulano suggerimenti, non vaghi, ma operativi: settori, interventi, tempi, costi. Comunque, l’eventuale non provato trionfalismo dei governanti italiani non può venire contrastato dal disfattismo dei commentatori (e di alcune delle opposizioni). Forse è anche lo stato del dibattito pubblico italiano che sconcerta tanto i governanti quanto gli osservatori degli altri Stati-membri dell’UE. Probabilmente, Conte ha ottenuto più di quel che desiderava anche perché, con qualche sorpresa da parte di alcuni altri capi di governo, è rimasto fermo sulle sue posizioni, con intransigenza, dimostrando di essere credibile e quindi affidabile. Il futuro prossimo dirà il resto.

Pubblicato il 23 luglio 2020 su Il Fatto Quotidiano

Regionali, cosa mi aspetto dai candidati. Scrive il prof. Pasquino @formichenews

Chi vuole uno Stato delle autonomie deve volere anche e (quasi) subito dimostrare che la sua autonomia la sa esercitare, per esempio, avendo già speso nella sua interezza i vecchi fondi europei, e rendendo meglio preparata, più snella, più efficace la burocrazia regionale. Il commento di Gianfranco Pasquino

Mi pare sia già cominciata in tutte le regioni che voteranno, se confermato, il 20 settembre, una articolata e approfondita riflessione sui temi della campagna elettorale al tempo del Covid-19. Gli acutissimi retroscenisti del Corriere della Sera e de Il Giornale e gli austeri (sic) commentatori de La Stampa e di Repubblica hanno smesso di annunciare la fine del governo Conte. Si sono dedicati da par loro, o mi sbaglio?, a sollecitare i Presidenti che si ricandidano e i loro sfidanti che, come minimo, delineino un progetto di regione. Par condicio: infatti, non c’è nessuna ragione per essere meno esigenti con le autorità regionali di quello che si chiede a Conte e al suo governo. D’altronde, se, finalmente, a livello nazionale, qualcuno, sarà forse proprio il presidente Conte, fra una conferenza stampa e quella successiva?, saprà tirare le somme e fare la sintesi delle proposte formulate agli Stati Generali, vedremo il progetto di rilancio del Paese per i prossimi numerosi anni.

Altruisticamente, Conte lavora per il suo successore a Palazzo Chigi – per i nomi bisogna chiedere ai retroscenisti senza accontentarsi di quello di Mario Draghi e, neppure, di Carlo Cottarelli. Il suo Progetto di Rilancio dovrebbe contemplare la chiarissima individuazione dei settori portanti, l’indicazione degli interventi, dei tempi, dei costi e dei vantaggi e anche del coordinamento con le regioni. Se, infatti, terminata la davvero penosa melina sull’accettazione dei 36/37 miliardi di Euro del Mes si deciderà di investire nelle spese sanitarie dirette e indirette, le regioni dovranno necessariamente essere coinvolte. Dovranno dire quanti fondi desiderano e come li spenderanno, magari investendo non solo in assunzioni e strutture, ma anche nel settore bio-medicale che è un’eccellenza nazionale. Ascolteremo almeno EmilianoToti e De Luca spiegare come stanno rendendo digitale e verde la loro economia? Naturalmente, finita, almeno temporaneamente, la vertenza sulle modalità di riapertura delle scuole, da tutti, uscenti e candidati, saremo prontamente informati delle criticità e dei successi nonché degli obiettivi di miglioramento.

Nella pandemia a molti, me compreso, è parso che lo Stato si sia visto riconoscere quel ruolo centrale nella mobilitazione, nella assegnazione e nella distribuzione di risorse al quale nessun mercato potrebbe mai supplire. Ai candidati alle cariche di governo regionali sembra più che lecito chiedere se vorranno usare il loro potere in chiave interventista e se, all’uopo, sanno già come riformare e rendere più dinamiche le rispettive burocrazie regionali. Non è soltanto la burocrazia “nazionale” a costituire la palla al piede di governi che già non sono vivaci, iperattivi, decisionisti. Chi vuole uno stato delle autonomie deve volere anche e (quasi) subito dimostrare che la sua autonomia la sa esercitare, per esempio, avendo già speso nella sua interezza i vecchi fondi europei, e rendendo meglio preparata, più snella, più efficace la burocrazia regionale. Poi, con gli apporti decisivi di Di Battista e Scalfarotto, di Azione di Calenda, proiettata dai sondaggi di Pagnoncelli ad un irresistibile 2,8%, di marmotte e altri graziosi animali, discuteremo di convergenze e di coalizioni e soprattutto di programmi, classico cavallo di battaglia di chi vuole posti. Faites vos jeux.

Pubblicato il 28 giugno 2020 su formiche.net

Garantismo à la carte. Si salvi chi può

I numeri dicono che la non partecipazione al voto dei tre senatori di Italia Viva nella Giunta per le Autorizzazione a procedere non è stata decisiva per respingere la richiesta di processo per Matteo Salvini. Il centro-destra compatto avrebbe comunque avuto successo. La parola decisiva spetterà all’Aula del Senato. Tuttavia, il messaggio lanciato da Matteo Renzi ha molte implicazioni destinate a durare per tutta la legislatura e, comunque, per tutto il tempo in cui esisterà il governo Conte.

A Renzi del destino giudiziario, oltre che politico, di Salvini interessa abbastanza poco, quasi niente. “Giustizialista”, votò contro Salvini nel molto simile caso Gregoretti, o garantista à la carte, può farsi forte delle imbarazzanti e molto deplorevoli dichiarazioni di alcuni magistrati pregiudizialmente ostili al leader della Lega. Inoltre, Renzi sostiene, non senza ragione, che nel caso del (presunto) “sequestro di persone” a bordo dell’Open Arms c’è anche una responsabilità del capo del governo di allora, Giuseppe Conte, che non si oppose alle azioni del suo ministro. Il messaggio limpido mandato a Conte é: “attenzione, ho (io, Renzi) contribuito in maniera fondamentale alla formazione del tuo (di Conte) secondo governo e vorrei ricordarti che continuo ad avere i numeri parlamentari (lo si è già visto in Senato) per farti traballare, barcollare, ma, al momento, non intendo farti crollare”.

Produrre la caduta di questo governo sarebbe un suicidio politico per Renzi. Infatti, testardamente, i sondaggi persistono nell’indicare che Italia Viva non riesce in nessun modo a crescere nelle preferenze di voto, inchiodata intorno al 2 per cento, che non consentirebbe a nessuno dei suoi parlamentari, neppure a Renzi, di ritornare né alla Camera né al Senato. Renzi sa che può spingere sé stesso, i suoi, il governo Conte, la legislatura fino all’orlo del burrone. Quasi sicuramente lo farà tutte le volte che gli si offrirà anche la minima occasione. Poi, guarderà quanto è profondo il burrone e muoverà qualche passo di lato, forse persino indietro, magari strattonato tirato dai suoi fedeli parlamentari che non hanno alternative.

Dal canto suo, Conte, i pentastellati e i Democratici sanno di dovere stare, seppure impazienti e irritati, al gioco del fiorentino. Non debbono cercare di andare a vedere il bluff, operazione che sarebbe pericolosissima e, al momento, non necessaria. Fra l’altro, Conte continua a governare con un sostegno popolare piuttosto elevato. Continua anche a fare errori, finora sostanzialmente non gravi, che non intaccano la sua popolarità e neppure la sua capacità di negoziare con l’Unione Europea e gli Stati-membri. Sarebbe sbagliato concluderne che tutto va bene, ma è altrettanto sbagliato interrompere il percorso senza che sia maturata e disponibile un’alternativa migliore. Dunque, Renzi continuerà a punzecchiare Conte, i pentastellati, il Partito Democratico e Zingaretti in attesa di qualcosa che, probabilmente, non arriverà.

Pubblicato AGL il 27 maggio 2020

Come eravamo (normali?)

Ho passato la domenica pomeriggio a prepararmi per la normalità. Ho cominciato con il chiedermi: è normale che i retroscenisti un giorno sì e l’altro anche dichiarino che il governo Conte barcolla, traballa, sta per saltare? E lo dicano da almeno tre mesi riportando non fatti, ma dichiarazioni, gossip, spifferi? Caro Bogie (Humphrey Boghart), non vorrai mica giustificarli dicendo “è la stampa, bellezza”?

È normale che vengano criticati i molti e dettagliati Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri perché danno soldi, contributi, sussidi a pioggia? Ma se il Covid-19 ha colpito tutte le attività del paese, tutti i suoi comparti economici, tutti gli operatori, i sussidi avrebbero con un minimo di “giustizia sociale” dovuto concentrarsi esclusivamente su alcune attività (le mie preferite sono musica, cinema e spiagge) lasciando tutte le altre al bruttissimo destino della scomparsa nella miseria?

È normale che tutti i liberisti, gli sregolati deregolatori, i cavalieri rampanti della flat tax oggi vogliano, fortemente vogliano che lo Stato intervenga qui e là e anche un po’ più in là e comunque di più? È normale che la lentezza nell’applicazione delle regole e nell’erogazione dei fondi sia attribuita come colpa al governo e non piuttosto a una burocrazia irriformata (da nessuno dei precedenti governi, neppure da quello, arrembantissimo, del febbraio 2014-dicembre 2016), e non alle banche?

È normale che qualcuno pensi che c’è bisogno di un governo di unità nazionale, senza spiegare che cosa significa esattamente: todos Ministros? e nessuno getti lo sguardo oltre le Alpi per vedere se da qualche parte in Europa a causa della crisi e come risposta si sia proceduto a dare vita a governi di unità nazionale?

È normale che qualcuno, con un passato da sostenitore del Premierato forte (sic), accusi di deriva autoritaria il Presidente del Consiglio apportando come prove decisive, primo, il suo avere emanato otto o nove DPCM (quattro dei quali già inseriti in decreti-legge che il Parlamento è chiamato a esaminare e votare) e, secondo, avere annunciato quello che faceva in numerose conferenze stampa? Se non avesse fatto così quanto è probabile che il rimprovero sarebbe stato quello di “non averci messo la faccia”?

È normale che qualche giornalista annunci che è molto probabile che la rabbia generata dalla disperazione economica aprirà spazi all’esplosione sociale? Certo, c’è anche chi vola più in alto e sostiene che bisogna creare una nuova classe dirigente. Mai di domenica. Mi ci proverò domattina dopo la tonificante pausa caffè. Poi i sostenitori della nuova classe dirigente si dividono fra quelli che vogliono fare appello a Mario Draghi, che immagino sorridere, con qualche preoccupazione, e quelli che chiedono consigli al decano del Parlamento italiano, Pierferdinando Casini, il democristiano eletto Senatore del Partito Democratico nel collegio di Bologna-Centro, subito passato al Gruppo misto, che nel 2023 festeggerà (se non sarà stato eletto Presidente della Repubblica…) quarant’anni di vita parlamentare. Non dirò nulla su quei parlamentari, alcuni dei quali con un noto passato assenteista, e i loro buonisti di riferimento che si lamentano perché il Parlamento è (stato)chiuso per molto tempo. Potrebbero approfittarne per leggere la Costituzione dove sta scritto, art. 62, secondo comma, che “ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente … o di un terzo dei suoi componenti”.

Scripta manent. Temo proprio che tutto quello che ho scritto sia normale. D’altronde, uno dei non migliori slogan di conforto al nostro scontento è: “tutto tornerà come prima”. Vorrà dire che non avremo imparato un bel niente, che non avremo fatto, rimango nelle banalità, della crisi “una opportunità per l’innovazione”, la famosa “crisi creativa”. Vorrà dire che non ha fatto la sua comparsa nessuna nuova classe dirigente, operazione che richiede vent’anni di preparazione e, soprattutto, un conflitto/competizione veri, non fra parlamentari cooptati, raccontati da giornalisti che conoscono i fatti e studiano. È ora che qualcuno dica alto e forte che non vuole affatto tornare alla normalità, ma che auspica un po’ di eccezionalità per la quale sarebbe persino disponibile ad impegnarsi. Che sia questo il senso più profondo dello smart working?

Pubblicato il 18 maggio 2020 su paradoxaforum.com

Retroscenisti e onorevoli: responsabili?

Qualche retroscenista, che cerca ostinatamente di indebolire il governo Conte, resuscita i “responsabili”. Non hanno vincolo di mandato. Decideranno loro se e come impegnarsi a salvare sia il governo sia la legislatura per mantenere, legittimamente, il loro seggio parlamentare. Esiste un legame insopprimibile fra legge elettorale e rappresentanza politica cosicché, a causa della pessima legge elettorale del renziano Rosato, a nessuno dei Responsabili sarà possibile, nel bene e nel male, conoscere, oggi e domani, come gli elettori valutano i loro comportamenti.

 

 

 

 

Le conseguenze dell’emergenza #coronavirus, la credibilità del #Governo, l’ipotesi di unità nazionale, la popolarità di #Salvini, la solidarietà europea #intervista @RadioRadicale

Intervista a Gianfranco Pasquino su politica del governo e unità nazionale realizzata da Claudio Landi registrata lunedì 4 maggio 2020
La registrazione audio ha una durata di 8 minuti

Ascolta

 

Retroscenisti allo sbaraglio @rivistailmulino

Da qualche tempo, anche per riempire il vuoto della politica antagonistica all’italiana, è in corso una battaglia epocale fra retroscenisti e quirinalisti nella quale si inseriscono non brillantemente alcuni “politologi” di strada”, cioè che passano di lì quasi per caso. L’argomento, sicuramente avvincente per tutti coloro che stanno reclusi in casa, è quanto durerà il governo Conte? Agguerritissimi, i retroscenisti, assecondati da alcuni politologi di riferimento, non si pongono neppure il problema del “se” (durerà), ma solo quello del “quanto” durerà. Peraltro, la stessa domanda già l’avevano posta il giorno dopo la fiducia. Avvistati nei pressi del Colle e riconosciuti nonostante la mascherina d’ordinanza, i molto più ponderati quirinalisti, che, per lo più, hanno come fonte le veline del Quirinale, sembrano alquanto più cauti.

Un governo c’è. Lo si sostituisce, a norma di Costituzione, solo se perde la maggioranza a suo sostegno (la verifica deve venire da un voto parlamentare) oppure se entra in una grave crisi di operatività. Dal Quirinale “filtra” per l’ennesima volta la solidissima posizione che i numeri sono la premessa per l’esistenza e la sopravvivenza di un governo, ma l’immobilismo decisionale di quel governo è una buona ragione per pensare alla sua sostituzione. Buona in tempi normali, ma non sufficiente in tempi emergenziali se all’orizzonte vicino non si vede già ready made un governo diverso e migliore.

I retroscenisti hanno quasi pronto un governo diverso, lo chiamano “unità nazionale”, ma soprattutto si stanno già esercitando a fare una serie di nomi che sono i soliti, Draghi in testa. I retroscenisti vorrebbero sostituire non soltanto il capo del governo, il Conte appannato, ma anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, il quale, pure, è uno dei pochi ministri italiani noti e apprezzati nell’ambito dell’Unione europea. Sullo sfondo, poi, i più abili e fantasiosi fra loro, che sanno guardare non solo retro, ma anche avanti, mettono in circolazione nomi presidenziabili per il fatidico gennaio 2022. Ed è così che si comprendono le agitazioni dello ancien statista Pierferdy Casini, inopinatamente assurto a risorsa della Repubblica.

Quirinalisti e retroscenisti fanno il loro lavoro in maniera apprezzabile? Non mi pare. Per lo più, i secondi contribuiscono in misura molto maggiore dei primi al restringimento della già scarsissima fiducia degli italiani nella politica e nei partiti. Al toto nomi raramente si accompagna anche una riflessione e individuazione delle politiche diverse che sarebbero presumibilmente attuate dai nuovi arrivati. Le comparazioni, fra il prossimo presidente del Consiglio e i precedenti a lui in qualche modo assimilabili ­­- Ciampi, Dini, Monti – vengono fatte in maniera assolutamente disinvolta e superficialissima, senza tenere conto dei contesti, fra i quali anche le aspettative dei partner europei e dei protagonisti tutti: presidenti della Repubblica, partiti, coalizioni di governo.

Cambiare governo nelle democrazie parlamentari è sempre possibile. Questi cambiamenti, effettuati in Parlamento, cosiddetti ribaltoni più o meno totali (di un totale cambio di maggioranza l’Italia non ha nessun esempio), segnalano il pregio della flessibilità di contro alla rigidità delle repubbliche presidenziali che, eletto un Presidente, se lo debbono tenere a meno di un colpo di Stato. Anche se possibili i ribaltoni sono auspicabili? a quali condizioni e con quali conseguenze? La storia più che centennale delle democrazie parlamentari non offre neanche un caso di un cambio significativo di governo durante un’emergenza (ad esempio, nel periodo 2008-2009, peraltro un’emergenza di gran lunga meno grave della pandemia). Persino i governi di unità nazionale sono rarissimi. Attualmente nelle democrazie occidentali non esiste nessun governo di unità nazionale. In Germania, c’è, per decisione dei leader dei due maggiori partiti (confermata da consultazioni fra gli iscritti), un governo definito molto impropriamente Grande coalizione, mentre è un normale governo di coalizione fra Cdu/Csu e Spd che ha 398 seggi e deve fare i conti con opposizioni che ne hanno 310. Sia chiaro che la solidarietà nazionale italiana 1976-1978 non si tradusse in nessun governo di unità nazionale.

Di solito per giustificare l’esigenza di un governo di unità nazionale si fa riferimento a quello emblematico guidato da Winston Churchill in Gran Bretagna dal 1940 al 1945. Churchill era il capo del partito che aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni. Aprì a laburisti e liberali, nessuno dei quali chiese mai, neppure nelle ore più buie (darkest) di sostituirlo con un leader conservatore più gradito. Neanche dalla sempre irriverente stampa britannica furono avanzate richieste di sostituzione di Churchill, ricorrendo a più o meno fasulle argomentazioni (retroscena?) che il re Giorgio VI aveva altre preferenze: un noto banchiere, un professore di Oxbridge, un Lord suo compagno di caccia alle volpi. Vinta la guerra, Churchill subito perse le elezioni. I laburisti ottennero la maggioranza assoluta dei seggi e diedero vita ad un governo fortemente riformista.

Come potrebbero i governi stabili delle altre democrazie europee fidarsi degli impegni presi da un capo di governo che i retroscenisti italiani danno per moribondo, sostituibile (solo lui o anche la sua maggioranza? tutta o in parte?) e, comunque, considerato incapace di affrontare i problemi socioeconomici prodotti dalla pandemia e di approntarne soluzioni praticabili? Venerdì 17 aprile la votazione di un importante documento concernente gli aiuti economici ha visto gli europarlamentari italiani dividersi variamente, un caso di “distanziamento politico-elettorale” non certo, come si dice, una “prova tecnica” di governo di unità nazionale, ma con fratture più profonde nel centrodestra. Allo stato, i retroscenisti, nessuno dei quali può vantare successi previsionali significativi (per esempio, la nascita del Conte 2), non apportano nessun elemento utile a una migliore conoscenza della politica. Credo anche che i quirinalisti potrebbero svolgere un ruolo più efficace se smentissero le azzardate interpretazioni dei retroscenisti (anche di quelli che scrivono sullo stesso quotidiano) e se sottolineassero che, da tempo e finora, tutte le dichiarazioni e le mosse del presidente della Repubblica hanno un sicuro accertabile fondamento nella Costituzione. È e sarà lui, che rappresenta l’unità nazionale, a decidere se, quanto e fintantoché il governo è stabile e operativo.

Pubblicato il 20 aprile 2020 su rivistailmulino.it 

Altro che “Prima Repubblica”, è così che funzionano le democrazie parlamentari #verifica

L’apprendimento delle modalità con le quali funzionano le democrazie parlamentari continua. È lento poiché politici, giornalisti e studiosi partono da zero di conoscenze (e si meritano zero in pagella). I governi di coalizione, che sono la norma nelle democrazie parlamentari, mettono insieme programmi e visioni diverse che ricompongono in politiche pubbliche. Poi, di tanto in tanto, sottopongono a verifica, lo propone anche Conte, lo stato di attuazione. Nessun ritorno a vecchi riti. Solo il giusto e il necessario.