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Lunedì 20 maggio 18
Aula seminari della Biblioteca di discipline economico-aziendali “Walter Bigiavi”
Via delle Belle Arti 33 – Bologna
Il peso del passato
Le primarie sono andate. I problemi non solo sono rimasti, ma risultano accresciuti proprio dall’andamento delle primarie emiliano-romagnole. L’outsider Roberto Balzani potrà anche interrogarsi, come molti, non troppo simpaticamente gli chiedono di fare, sulla sua incapacità di mobilitare la società civile ad andare a votarlo, ma il problema principale non è suo. Incidentalmente, la soluzione proposta da Balzani a non troppo futura memoria, consistente in largo spazio da dare alla società civile nella nomina degli assessori, appare praticabile con qualche difficoltà. Da un lato, gli assessori civici porteranno competenze, ma governare la regione Emilia-Romagna in questa fase richiede autorevolezza (ed esperienza) politica. Dall’altro, al Bonaccini vittorioso tutta la vecchia guardia, che l’ha appoggiato quasi senza esitazioni, ma poi neanche con significativo impegno, ricorderà che deve pagare pegno, pardon, che deve ricordarsi di loro che, fra l’altro, hanno in mano quasi tutto il potere locale, comprese le curiose cariche a elezione indiretta in quel che resta delle province e in quel che “avanza” nella città metropolitana di Bologna.
Il Bonaccini segretario regionale uscente dovrebbe chiedersi che cosa è successo al Partito Democratico, ai suoi iscritti, alla sua volontà e capacità di mobilitazione. L’omologazione ad altre regioni, operazione comunque difficile da valutare con dati, non è una risposta poiché bisognerebbe spiegare quali sono i fattori che hanno condotto all’omologazione: una conversione renziana tanto rapida quanto superficiale? Al convertito Bonaccini l’ardua risposta tanto più utile se vuole fare sì che il suo successore sappia rianimare il partito di cui il Bonaccini probabilissimo Presidente della Regione Emilia-Romagna avrà sicuramente bisogno per meglio governare la Regione. Non attrezzato da precedenti impegnative esperienze di governo, Bonaccini è condannato a imparare scontrandosi con quanto fatto finora e andando oltre. In una certa misura, a mio parere piuttosto grande, Bonaccini è, nonostante il suo recente renzismo, espressione della continuità di un’area politica, inizialmente comunista, poi evoluta attraverso tutti i passaggi effettuati senza nessuna rottura. Gli tocca dimostrare che ha le capacità per andare molto più in là scrollandosi di dosso il peso del passato e l’eredità della vecchia guardia dalla quale proviene.
La sfida più grossa alla quale i cittadini emiliano-romagnoli, se li interpreto correttamente, attribuiscono comprensibilmente maggiore importanza, è quella della formulazione di un progetto di governo non in continuità con quanto fatto da Errani, meno che mai negli ultimi faticosi anni di una fase fin troppo lunga. Da un lato, Bonaccini non può rinnegare il sostegno che ha dato, personalmente e come segretario regionale, alla giunta di Errani e alle sue scelte, Dall’altro, deve dimenticare e far dimenticare molto di quel recente passato e spingersi in un terreno inesplorato. Ha quasi due mesi di tempo per esplorare quel terreno. La sua campagna elettorale, che, purtroppo, si svolgerà quasi senza sfidanti, data la pochezza del centro-destra e le convulsioni delle Cinque Stelle, ha il compito politico, che potrebbe anche essere/diventare esaltante, di trovare le ricette dell’innovazione necessaria a rilanciare la Regione Emilia-Romagna. Niente di meno.
Pubblicato il 1° ottobre 2014
Il Pd in Emilia va azzerato, il vertice ignora gli iscritti

Intervista raccolta da Emiliano Liuzzi per Il Fatto Quotidiano 12 settembre 2014
Più che i capelli bianchi, ha un passato di insegnante ad Harvard e alla School of Advanced International Studies di Washington. Se non bastasse ha diretto anche il Mulino, la voce critica di una sinistra d’altri tempi, ed è stato senatore indipendente. Oltre a qualcosa come un centinaio di pubblicazioni. Uno degli ultimi politologi che hanno attraversato almeno tre Repubbliche, sempre che tante siano state. L’intervista con Gianfranco Pasquino, inizia con lui che fa una domanda: “Si è ritirato dalla corsa alle primarie Stefano Bonaccini?
No, professore. Al momento non lo ha fatto. Lei se lo aspetta?
Sarebbe un dovere, in questo momento. Non è possibile assistere a tale deriva. Non importa se siano briciole o meno, non importa se Bonaccini avrà modo di difendersi. Sono solo espedienti per sfuggire al problema.
Cioè?
Bonaccini faceva parte di un consiglio regionale dove la metà dei consiglieri sono indagati e lui, oltre a essere in quel consiglio, era anche segretario del partito. Se questi non sono motivi per lasciare, non saprei cos’altro debba accadere. Ma poi c’è una cosa che tutti fanno finta di dimenticare.
Quale professore?
Nessuno ha ricordato l’affare Flavio Delbono. Era assessore alle Finanze della giunta regionale precedente (sempre presieduta da Vasco Errani) e del partito del quale Bonaccini era dirigente, se non sbaglio. Con i soldi della Regione, Delbono andava in vacanza con la sua fidanzata, o presunta tale. Vicenda per la quale è stato condannato e costretto a dimettersi da sindaco di Bologna Dovrebbe bastare. Altrimenti ne possiamo anche aggiungere.
Ce ne sono ancora?
Il presidente di quella giunta, Vasco Errani, è stato condannato e si è dimesso. Conosco l’uomo, l’ultimo con il quale vorrei prendermela in questo momento, ma è accaduto. Chiamiamola leggerezza, ma in maniera responsabile si è dimesso. Credo che con la stessa responsabilità Bonaccini, se ne ha, dovrebbe a questo punto fare un passo indietro. Non è più accettabile.
A beneficio di chi? Non ci sono candidati.
Non è vero. C’è un signore che si chiama Roberto Balzani e che ha fatto il sindaco di Forlì che con la storia di questi non ha niente a che vedere. Non ha scheletri nell’armadio, è una persona retta ed è l’unico in questo momento che può affrontare una candidatura. Capisco che sarebbe la rottura con questa classe dirigente, ma c’è un momento in cui bisogna mettere da parte l’ambizione personale e privilegiare quella politica.
Secondo lei Bonaccini non è più credibile?
No, non lo è. E non lo è più neppure l’altro, Matteo Richetti. Ripeto, non è un problema di quanto, è il problema di una stagione intera che non è stata promossa.
Ma com’è che l’Emilia Romagna, terra di grandi virtù per il Partito comunista e dopo, almeno in parte, anche per il Pds, è finita in questa melma? C’è un momento in cui qualcosa si è inceppato?
È stato un processo molto lento, ma quando gli iscritti hanno perso il controllo della classe dirigente questo è accaduto. In altre epoche o stagioni non sarebbe stato così, ma perché c’era una base alla quale dar conto del proprio lavoro. Quando questi meccanismi si sono persi, si è perso per strada anche ogni pudore. Quello che è accaduto a Bologna e dintorni, lo ripeto, è inaccettabile.
Propone un azzeramento di questa classe dirigente?
Non è possibile, ma sarebbe una strada. Ormai sono all’interno dei meccanismi di potere che in Emilia Romagna non sono solo il partito, ma anche quello sociale e produttivo. Non ci sarà nessun azzeramento. Ma Balzani sarebbe un buon punto di partenza.
Diciamoci la verità: il Pd in Emilia Romagna vincerebbe anche con un Bonaccini qualsiasi.
Certo. Anche perché non esistono alternative. Il centrodestra si è completamente disfatto, il Movimento 5 Stelle non ha più la carica iniziale, il rischio di perdere la Regione non si profila. Ma sarebbe il culmine di una fase che prima o poi il centrosinistra si troverà a scontare.
L’ipotesi che circola è che Bonaccini resti. Si presenterebbe con un programma più simile a un’arringa difensiva che non una strategia politica, e chi si è visto si è visto.
Mi auguro che non accada.
Si appella alla responsabilità dei singoli?
Non mi pare che abbiano dimostrato grandi doti sotto questo profilo. Spero che la base riprenda il suo vecchio ruolo.
Emiliano Liuzzi
Cosa insegna il caso Richetti. La versione di Pasquino
Nel giorno in cui Matteo Richetti, indagato per peculato, si ritira dalle primarie in Emilia-Romagna e si apprende che anche l’altro candidato Stefano Bonaccini è indagato, il politologo Gianfranco Pasquino ricava una lezione utile sul nuovo Senato riformato da Renzi e ai rottamatori vecchi e nuovi dice che…
Intervista raccolta da Fabrizia Argano per Formiche.it
9 settembre 2014
Cosa c’entrano il ritiro dalle primarie in Emilia-Romagna di Matteo Richetti, indagato per peculato, e la notizia arrivata in serata dell’iscrizione nel registro degli indagati anche dell’altro candidato, Stefano Bonaccini, con il nuovo Senato? Lo spiega a Formiche.net il politologo Gianfranco Pasquino: “Questo caso dimostra semplicemente come purtroppo la maggior parte dei consiglieri regionali ha fatto cose che non doveva fare. Non si capisce quindi perché debbano essere proprio i consiglieri regionali a far parte del nuovo Senato ipotizzato nella riforma Renzi-Boschi, vista la loro onestà tutt’altro che impeccabile”.
Richetti è in qualche modo vittima del giustizialismo rottamatorio praticato da se stesso e dalla cerchia dei renziani duri e puri?
In questi casi, vale una frase che i politici utilizzano spesso: bisogna lasciare che la Giustizia faccia il suo corso. Certo, Renzi dovrebbe imparare a filtrare chi riesce a salire sull’affollato carro del vincitore. Fino ad ora si è limitato a incamerare tutti, ora dovrebbe fare maggiore selezione altrimenti questo aspetto rischia di diventare un problema innanzitutto suo e poi di tutto il Pd.
C’è chi dice che l’iscrizione nel registro degli indagati di un renziano della prima ora come Richetti sia un primo avvertimento delle toghe a Renzi. Cosa ne pensa?
Certo, il timing dell’iscrizione fa pensare ma i magistrati hanno sempre una spiegazione per questo. Non credo comunque in un possibile futuro accanimento delle toghe verso Renzi né in passato verso Berlusconi. Esistono solo dei reati che giustamente vengono perseguiti dai magistrati.
Richetti ha fatto bene a ritirarsi?
Credo di sì, comunque sia è un gesto importante. Da indagato, penso sia opportuno uscire temporaneamente di scena.
Ora che succede in Emilia?
La notizia del passo indietro di Richetti è interessante per le conseguenze. I renziani staranno con il segretario regionale Stefano Bonaccini o con l’ex sindaco di Forlì Roberto Balzani? Il primo non è un renziano né della prima né della seconda ora ma un rappresentante della vecchia guardia, appoggiato da tutto l’establishment. Il secondo è l’outsider che a livello di idee potrebbe essere renziano ma non si è mai posto in atteggiamento servile verso il leader del Pd. La sua eventuale vittoria rappresenterebbe davvero la fine della vecchia guardia.
La gara, finalmente
“Ce n’est qu’un début” direbbero gli studenti del maggio francese del 1968. Siamo soltanto agli inizi delle molto importanti primarie per diventare non soltanto il candidato del Partito Democratico, ma, in rapida sequenza, anche, visto lo sfacelo del centro-destra, il prossimo Presidente della Regione Emilia-Romagna. Il “Corriere di Bologna” ha già abbondantemente spiegato chi sono i candidati e da dove vengono. Toccherà poi ai candidati spiegare perché saranno ottimi Presidenti della Regione e, se parleranno di innovazioni, chiarire anche quali, dove e come. Sì, contrariamente a quello che ha detto Bersani, le primarie sono un grande spazio politico e tanto meglio se diventano affollate. No, contrariamente a quello che ha detto Bersani, immagino che volesse rimproverare qualcuno, il Partito Democratico non è affatto tenuto ad avere un suo candidato ufficiale e se Daniele Manca non si è presentato (o è stato “invitato” a non presentarsi), la scelta è stata (tutta?) sua.
Senza scandalo alcuno, succede così anche negli Stati Uniti, è già cominciata la fase degli endorsements, ovvero delle dichiarazioni a sostegno dei vari candidati. Sono tutte suggestive, vale a dire suggeriscono qualcosa. Dietro Bonaccini, superrenziano della seconda ora (nella prima ora era ancora bersaniano di ferro), si è schierata, con qualche aggiunta, quasi tutta la vecchia guardia del PD, non nata ieri e che, evidentemente, vuole ricordare al segretario regionale che ci sono carriere in corso, da tutelare. Invece, Bersani dice che lui il nome del suo candidato lo farà poi. Suspense, anche per il candidato di Prodi. Sembrava, e certamente ci contava, dovesse essere Patrizio Bianchi che, adesso, se quel pesante endorsement prodiano (andato nel passato cittadino sia a Cofferati che a Delbono) non venisse, sta già intrattenendo l’idea del ritiro e della convergenza, legittima, ma anche un po’ deludente. Insomma, invece di essere resistenti e di portare in maniera convinta nelle primarie le loro idee, alcuni preferiscono essere “desistenti” in attesa di qualche carica a futura memoria. Neanche questa operazione, assolutamente legittima, deve essere considerata scandalosa. Sicuramente impoverisce il dibattito e riduce le possibilità di scelta degli elettori.
Dall’abbondanza di candidature, che è e rimane un pregio, la prospettiva è che si giunga, se Matteo Richetti confermerà la sua candidatura, ad una bellissima triangolazione. Con lui, renziano veracissimo, ma un po’ trascurato dal suo leader, rimarranno in campo Bonaccini, con le ambizioni ridimensionate per una carica che gli preclude una carriera nazionale, e Roberto Balzani che sa correre rischi, anzi, ai rischi va incontro con la sua biografia e il suo profilo programmatico. Lasciando perdere la classica, ma troppo spesso smentita dai fatti, attribuzione della qualità di laboratorio all’Emilia-Romagna, ci troveremo pertanto di fronte ad un confronto scontro assolutamente interessante fra un candidato, Bonaccini, che, nonostante il suo ostentato renzismo, viene, certamente non a sua insaputa, condizionato dalla vecchia guardia (che non s’arrende e non ha nessuna inclinazione a morire), il renzianissimo Richetti e un renziano per idee proprie, Roberto Balzani che, almeno finora, non deve niente e non ha chiesto niente a nessuno. Menù corto, ma piatti ricchi: le primarie sono servite.
Pubblicato il 31 agosto 2014
Il partito dell’investitura
Primarie o manfrine? Meglio, quanto dovranno aspettare gli elettori attuali e potenziali del Partito Democratico per essere sicuri che, finite le manfrine, stucchevoli e in probabile violazione dello Statuto del PD, si passerà alla presentazione ufficiale delle candidature e al confronto fra persone e programmi per governare l’Emilia-Romagna? Pare a molti che la logica delle primarie, che, conoscendole un po’, è quella della competizione fra più persone per ottenere la candidatura ad una carica democratica, implica che nessuno, proprio nessuno debba ottenere una qualsiasi, tantomeno previa, investitura romana. Purtroppo per tutti, è una pratica che abbiamo già visto (per esempio, a favore di Delbono). Che poi l’investitura debba venire da colui che proprio grazie alla sua ambizione e alla sua audacia ha costruito la sua, finora brillante, carriera politica su primarie senza rete, appare preoccupante, sia per Renzi, se davvero investirà qualcuno, sia, ancora più per l’investito che pare debba essere il tentennante Bonaccini. Quanto agli altri, certo, sarà interessante sapere se i “prodiani” vorranno sostenere Patrizio Bianchi, ma prima l’ex rettore e attuale assessore regionale si decida lui. Faccia come giustamente e severamente ha sostenuto Arturo Parisi sulle pagine del Corriere di Bologna. Alzi la mano, dica, in verità qualcosa ha già accennato, che si sente pronto anche perché sa fare qualcosa di importante, e si candidi limpidamente. Poi vedremo se altrettanto limpidamente, non è sempre stato così, i prodiani vorranno sostenerlo, a loro volta spiegando perché lo ritengono il migliore.
Mentre qualcuno aspetta eventuali imbeccate e fortunate desistenze, l’unico che ha dimostrato di credere fino in fondo nella procedura democratica delle primarie (ne vinse di combattutissime per diventare sindaco di Forlì) e di volerle interpretare correttamente, è Roberto Balzani. Si è candidato senza chiedere permesso a nessuno. Se si presenterà un altro candidato, la potente logica delle primarie e lo Statuto del PD impongono che le primarie vengano fatte sul serio. Ci mancherebbe altro che a fronte della presenza di una candidatura “unta” dall’alto, tutti si ritirassero oppure, peggio, venissero costretti a rinunciare per qualche inconfessabile “ragion di partito”. Per mantenere l’unità del partito ma, al tempo stesso, violando uno dei principi fondativi del Partito Democratico? Con il lessico rituale e un po’ ipocrita del passato si sarebbe detto che la pluralità di candidature riflette un partito dalle molte sensibilità. E, allora, che le “sensibilità” si misurino in campo apertamente, in maniera trasparente e persino dura attraverso le loro proposte per dare alla Regione Emilia-Romagna una guida innovativa che la rilanci al di là dei successi un po’ appannati dei tempi recenti.
Le primarie sono fatte apposta per invitare un elettorato il più ampio possibile a scegliere il candidato, al tempo stesso, preferito e in grado di vincere e governare. Le divisioni inevitabili, che non debbono preoccupare la discesa in campo di Daniele Manca, nella scelta si ricomporranno per sostenere il candidato vittorioso. Tutto il resto non è soltanto stucchevole manfrina, ma è la cattiva politica di chi, certamente, non potrà poi introdurre innovazioni alla guida della Regione.
Pubblicato il 22 agosto 2014


