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Quante sono le sinistre? La sinistra deve sapere diventare e rimanere plurale
Non m’importa quante sono le sinistre: due, tre, cinque, tante, sparse. Non m’interessano le ambizioni dei dirigenti che si dicono di sinistra. Sono sicuro che la sinistra deve sapere diventare e rimanere plurale che vuole dire rispettosa delle proprie differenze, ma in grado di scegliere priorità e produrre decisioni. Deve perseguire una società giusta che riconosca il pluralismo e la competizione delle idee e che crei di volta in volta eguaglianze (plurale) di opportunità.
Renzi ha rottamato il PD. Con lui la sinistra ha perso l’anima
Intervista a cura di Paola Pintus
“Familismo, stile dittatoriale, alleanze sbagliate. Voleva sfondare al centro ma è rimasto ostaggio di Ncd e Ala. Per recuperare coesione serve puntare sul lavoro“
Professor Pasquino, se il PD è il malato, Renzi è la malattia?
“In buona misura Renzi è il virus che ha provocato la malattia. Ha voluto governare il suo partito in maniera dittatoriale. Usava la sua maggioranza non per ascoltare quello che avevano da proporre le minoranze ma per emarginarle, spesso addirittura irridendole e quindi ha creato tensione un po’ fra tutti, persino all’interno della sua stessa maggioranza. Non deve sfuggire infatti che uno degli attuali sfidanti alla Segreteria, il Ministro Orlando, era organico alla maggioranza.
Ezio Mauro ha definito la concezione del potere renziano simile quella di “un consiglio comunale in gita premio”. E’ provincialismo, “familismo”, o cosa?
La gestione del partito da parte di Renzi è chiaramente di tipo familistico o amicale. Pensare che nel resto del PD, ma anche intorno al PD non ci fossero persone più capaci di quelle che lui conosceva da anni nel ristretto ambito Rignano sull’Arno-Firenze è stato un errore gravissimo.
Secondo lei qual’è stato l’errore più grande di Renzi, e qual’è lo spazio della sinistra oggi in Italia?
L’errore più grande di Renzi è lo stile: non ascolto nessuno, vado avanti in fretta, rottamo, faccio quello che voglio e quelli che mi criticano sono di volta in volta gufi, professoroni, invidiosi e così via. Il Partito della Nazione è stato una scelta politica: naturalmente facendo un “partito della nazione” si dice che tutti gli altri non fanno parte della nazione e quindi si crea automaticamente uno schieramento. Lo sfondamento al centro si può anche fare, ma per catturare i voti del centro, non per farsi catturare dal centro, facendosi condizionare di volta in volta da Ncd e verdiniani. La strategia complessiva quindi era sbagliata per una ragione molto semplice: che un partito di sinistra deve sapere occupare anche una buona parte della sua sinistra e poi costringere gli altri, e cioè i centristi, ad andare a contrattare. Non essere lui che contratta con i centristi perdendo poi pezzi. E li ha persi effettivamente sulle sinistre.
Oggi la sinistra deve essere identificata come un luogo nel quale convivono diverse posizioni, che possono convivere se convergenti su un obbiettivo comune: in un paese come l’Italia l’obbiettivo non può essere che quello di rilanciare il lavoro, non solo come strumento di sopravvivenza, ma luogo di progettualità e dignità nella vita; poi occorre rilanciare la formazione professionale, culturale ed educativa, certamente in modo diverso da quanto fatt dalla buona scuola. Infine occore mettere insieme la sinistra plurale, ma non combattere una battaglia che non è di sinistra: quello significa perdere il senso, perdere l’anima.
La scissione era davvero inevitabile, come dicono alcuni?
Il primo responsabile in un partito è sempre il segretario, che in questo caso non è riuscito a tenere insieme le diverse anime del PD e quindi la scissione in un certo senso l’ha resa inevitabile lui. Anzi, curiosamente, questa scissione arriva tardi. Doveva arrivare prima, c’erano stati momenti molto più gravi nei quali si poteva semplicemente dire “basta con questo partito” e infatti qualcuno l’aveva già detto e sene sono andati silenziosamente i vari Civati ed altri che hanno abbandonato il gruppo parlamentare e sono andati qualche volta nella sinistra, qualche volta nel gruppo misto. Però tutto questo era evitabile con uno stile diverso di gestione. Ma Renzi non è capace di uno stile diverso.
Pubblicato l’8 marzo 2017 su notizie.tiscali.it
Le scissioni fanno parte della storia della sinistra europea
Tutti i maggiori partiti di sinistra europei hanno avuto scissioni. Più articolata e variegata delle destre, la sinistra non ha ancora imparato come fare fronte alle diversità, sociali, generazionali, culturali, del suo elettorato. Nessun pensiero unico meno che mai il comando di un uomo può caratterizzare la sinistra. Solo una sinistra plurale riesce a garantire rappresentatività e governo.
Rifare l’Ulivo … prima si riporti il timone a sinistra
Intervista raccolta da Francesco Lo Dico
Dopo il flop al referendum, il Nazareno è in piena fibrillazione. Lungo la faglia del sisma del 4 dicembre, i maggiorenti del Pd misurano oggi la distanza che separa la segreteria democrat dalle istanze giovanili e dalle tante, troppe periferie del Paese. Sicché, ha destato umori contrastanti la proposta dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Il quale guarda al “soccorso rosso della sinistra, senza trattino, come alla soluzione per restituire un orizzonte politico credibile a quel centro sinistra renziano, via via scivolato verso il Partito della Nazione, sulla spinta del celebre 40 per cento raccolto alle Europee.
La voglia di inumare di nuovo il seme dell’Ulivo nel campo del Pd, è insomma tanta, e ha trovato anche ieri in queste pagine la solidarietà di Cesare Damiano “Ma reinnestare l’Ulivo nello schema del Nazareno renziano, è un’operazione destinata allo smacco”, riflette Gianfranco Pasquino. “Pensare di restaurare l’antico quadro d’azione messo in atto nel’96 – ragiona il professore di Scienze politiche all’Università di Bologna – è in questo momento semplicemente surreale”.
Il voto sembra avvicinarsi a grandi passi professore. Troppo poco tempo per ragionare su uno schema di centrosinistra, come quello realizzato ormai 20 anni fa?
Ho sentito Prodi sostenere che il parroco non torna mai nella stessa chiesa dove diceva messa. E d’altra parte, della parrocchia dell’Ulivo in molti hanno detto di non aver più bisogno. Lo ha ribadito anche Parisi: dell’Ulivo non c’era più bisogno, perché l’Ulivo era diventato il Pd. Ora invece si invoca un ritorno all’antico. Francamente non capisco, credo che al Nazareno più di qualcuno sia frastornato.
Dopo il 40% delle europee, si pensava all’autosufficienza. Comunali e referendum hanno evidenziato che viviamo in uno schema tripolare.
Quello dell’autosufficienza è stato un mito coltivato senza fortuna. Non esiste partito d’Europa che può ambire a tanto, eccezion fatta per la Gran Bretagna che conta su caratteristiche peculiari. Il Pd sperava di appoggiarsi all’Italicum del doppio turno e del premio di maggioranza per regalarsi l’autarchia. Ma nella realtà dei fatti ha dovuto imbarcare Verdini e i centristi di Ncd per governare, salvo poi scoprire man mano che aveva spianato la strada all’autosufficienza degli altri, i grillini.
C’è da preparare il futuro, in un modo o nell’altro. Il Pd deve guardare al modello Pisapia per ripartire?
Mi incuriosisce la sua apertura. Aveva fatto sapere che era stanco, e non sentiva di avere forze adeguate per un secondo mandato a Milano. Salvo ora aver ritrovato energie per tentare di rimettere insieme le forze a sinistra del Pd. Se il tentativo possa funzionare, lo si potrà desumere soltanto dai termini dell’eventuale accordo individuato. Ma la cosa certa è che se si fa del mondo a sinistra del Pd, una sorta di sidecar per tentare di imbarcare qualche voto in più, l’operazione è destinata al fallimento.
Quali sarebbero le precondizioni per fare funzionare il progetto?
Innanzitutto il tempo e la riflessione. Inutile precipitare la data del voto, se non si comprende in quale direzione andare, e come invertire la rotta. Occorre tracciare una mappa precisa, prima di fare un lungo viaggio: comprendere quali politiche attuare per ridurre le diseguaglianze e far ripartire lo sviluppo,ad esempio.
Renzi e gli altri spingono per il voto. L’impulsività della politica nuoce alla politica?
Il premier contava di realizzare il Partito della Nazione, convinto di ancorare il partito al centro invece che a sinistra. Non è andata bene. E ha detto che se avesse perso il referendum, avrebbe lasciato la politica. Non voglio sostenere che dopo dieci anni il Pd debba ricominciare da zero. Ma che debba ripensare se stesso, certamente sì. Specie nell’ottica di riaccreditarsi come una forza di centrosinistra.
Per resuscitare l’Ulivo, serve quindi un cambio della guardia al Nazareno?
Non c’è alcun dubbio. Occorre una nuova leadership che guardi a sinistra, se si pensa che la soluzione sia a sinistra. Il Pd dovrebbe individuare per la guida del Paese, da qui alle elezioni, una figura da testare sul campo e sulla quale puntare eventualmente anche per le politiche. Un uomo capace di ridare voce e spazio agli altri, nell’ottica di una leadership inclusiva che si riconcili con tutte le anime della sinistra, e soprattutto con il Paese.
Pubblicato il 9 dicembre 2016
La politica non parli alla pancia
Vince le elezioni, scrivono accigliati commentatori, di destra e di sinistra, chi sa ascoltare e/o parlare alla pancia degli elettori. Che cosa sia e che cosa contenga quella pancia non è chiaro. Presumibilmente, nessuna pancia è interessata ai programmi dei candidati e dei partiti. Anzi, per restare in metafora, non li vuole proprio digerire; quindi, se ne disinteressa. Eppure, spesso, proprio gli stessi accigliati commentatori e troppi dei loro lettori hanno affermato: “prima i programmi poi le persone”. Invece, le pance degli elettori fanno sapere che conta quello che percepiscono o che viene loro comunicato proprio riguardo le personalità dei candidati. La linea distintiva passerebbe tra i candidati che fanno parte dell’establishment e quelli che lo sfidano, tra candidati che conservano e candidati che innovano. Questa seconda distinzione non è facile per nessuna pancia poiché richiede qualche approfondimento. Più precisamente, però, nella pancia degli elettori si annidano umori e malumori, disagi e insoddisfazioni, critiche e risentimenti che, molto spesso hanno concrete fondamenta e che non debbono essere in nessun modo trascurati e snobbati. Lo snobismo sarebbe l’atteggiamento esiziale di parte significativa della sinistra, radical chic, ma anche no, che di quei malumori e di quei rumori di pancia non vuole interessarsi, anche perché spesso non saprebbe come farlo.
Fin qui la narrazione che, diciamocelo, non è particolarmente lusinghiera per nessun elettorato talvolta accusato di non sapere ragionare politicamente con la testa, ma oggi troppo spesso blandito per i suoi umori viscerali. Se fosse davvero così, allora in crisi non sarebbe soltanto la politica, ma la politica democratica esposta a elettori che poco sanno, meno s’informano sulle differenze di programmi e di conseguenze, anche per loro, dell’attuazione di quei programmi, ma che sono decisivi nel dare potere decisionale. A chi lo consegnano questo potere? Quasi inevitabilmente, gli elettori che pensano con la loro pancia rispondono ai politici che parlano a quella pancia. Si fanno ingannare da promesse altisonanti. Credono che le semplici(stiche) affermazioni “vi ho ascoltato”; “sto con voi contro l’establishment”; “porterò la vostra voce nei palazzi del potere/ contro i palazzi del potere”, serviranno a migliorare le loro condizioni di vita. Invece, sia ascoltare la pancia degli elettori sia interpretarla e blandirla sono pratiche, peraltro, raramente effettuate in maniera assoluta, populiste.
Èproprio il rapporto emotivo fra masse di elettori scontenti e male informati e un leader politico che promette la luna a caratterizzare senza ombra di dubbio il populismo di ieri (l’America latina offre numerosi esempi) e il populismo di oggi (con esempi ancora non vincenti nell’Unione Europa e dintorni). Il gravissimo rischio è che chi cede alla presunta necessità di ascoltare la pancia degli elettori finisca per dimenticarsi che la politica, in special modo se vuole essere e rimanere democratica, necessita e si basa su cittadini interessati, informati e partecipanti. La promessa della democrazia è quella di fare crescere le competenze dei cittadini affinché scelgano in maniere più informata e consapevole i loro rappresentanti e i loro governanti, affinché siano in grado di controllare l’operato di quei rappresentanti e governanti per sostituirli quando i risultati delle loro azioni sono insufficienti.
Allora, senza necessariamente mettere da parte le pulsioni emotive dell’elettorato, che, peraltro, coinvolgono tutte le sfere della vita, ai politici non bisogna chiedere né di ascoltare la pancia degli elettori né, tanto meno, di rispondere essi stessi con la pancia. Al contrario, la parte del corpo che deve essere usata è la testa: spiegare, argomentare, valutate, eventualmente cambiare motivatamente idea e suggerire soluzioni diverse: questo è il compito primario di un politico che desideri diventare rappresentante e governante. Parlare alla testa dei suoi concittadini, elettori e oppositori, è l’unica vera ricetta democratica. Non funzionerà sempre, ma sempre contribuirà a un dibattito civile e a fare crescere culturalmente la cittadinanza.
Pubblicato AGL il 15 novembre 2016
Un leader deve unire, non dividere
Intervista raccolta da Fabrizio De Feo
Roma – Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna e profondo conoscitore della sinistra italiana, ha di recente pubblicato il libro «No positivo» (Epoké Edizioni) per spiegare limiti e difetti della riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi.
Professore, come commenta la Direzione del Pd? L’apertura di Renzi sull’Italicum è davvero tale?
«No, più che una apertura mi è sembrata una sfida. Voi votate per il Sì il 4 dicembre e poi vedremo, anche perché ha continuato a dire che l’Italicum è un’ottima legge».
C’è chi sostiene che Renzi non sarebbe cosi dispiaciuto di una scissione della minoranza dem.
«Vedo minoranze inquiete e traballanti. Ma se Renzi auspica la scissione fa un errore. Un leader deve tenere insieme il suo partito, ascoltare le posizioni distanti, aggregare non dividere. Un tempo si sarebbe detto cercare equilibri più avanzati».
Renzi propone a Speranza e Cuperlo di discutere le modifiche all’Italicum in un comitato interno al Pd.
«Chi ne farebbe parte? Io sarei nella lista?»
No.
«Allora non mi sembra una cosa seria».
Cosa cambierebbe dell’Italicum?
«Molto. Così com’è se non è un Porcellum è almeno un Porcellinum. Non vanno bene le candidature multiple, i capilista bloccati, la soglia del 3% che è ridicola. Spero che non tocchino il ballottaggio che è l’elemento che dà potere agli elettori».
Quale sistema adotterebbe?
«Sceglierei il sistema tedesco o francese. Oppure se non si vuole andare all’estero basta tornare al Mattarellum con un paio di ritocchi».
Quale scenario immagina in caso di scissione della sinistra dem?
«Non saprei, mi sembra uno scenario troppo futuribile. La sinistra ha innanzitutto un problema di elaborazione e di mancanza di punti programmatici forti. Deve lavorare sulla sua identità».
Ha un senso per la minoranza del Pd schierarsi per il Sì al referendum in cambio di modifiche all’Italicum?
«Assolutamente no, mi sembra uno scambio improprio che equivarrebbe a una dimostrazione di debolezza e a una mancanza di responsabilità. Non è che modificando l’Italicum puoi sanare i tanti difetti della riforma costituzionale».
Lei ha denunciato più volte i limiti della riforma. Quali sono i maggiori pericoli?
«È una riforma pasticciata in cui le funzioni si confondono e il rischio di conflitti è elevatissimo. Non è chiaro quali leggi saranno soltanto di competenza della Camera; non è chiaro quanto il Senato potrà richiamare alcune leggi; così come sono labili i confini con i poteri delle Regioni e del presidente della Repubblica. La Corte Costituzionale è già in allarme, teme una serie di ricorsi inaudita. D’altra parte per rendersi conto del problema basta leggere il nuovo articolo 70 della Costituzione che verrebbe bocciato non solo da un costituzionalista, ma anche da un professore di italiano».
Lei sta girando l’Italia spiegando le ragioni del «No».
«L’interesse è elevatissimo, e se alcuni vogliono votare no per andare contro il governo, in tanti vogliono cogliere il merito della riforma».
Lei ha denunciato una presunta censura ai suoi danni. Radio Rai ribatte di aver semplicemente scelto un format senza un rappresentante del «No» da contrapporre a Renzi.
«Io so soltanto che sono stato chiamato per confrontarmi con Renzi alle 17 e due ore dopo mi hanno richiamato per dirmi che Renzi preferiva stare da solo. Tutto qui».
Pubblicato il 12 ottobre 2016
La sinistra soffre di nostalgia
E purtroppo non dispone né di uomini, né di idee forti.
Intervista raccolta da Carlo Valentini per Italia Oggi
Caos Senato. Era o no possibile seguire una strada di discussione costruttiva e di condivisione senza cadere nell’immobilismo e nell’ostruzionismo? Il fatto che una riforma cruciale come quella che muta radicalmente l’assetto costituzionale avvenga tra tatticismi, trabocchetti, offese è il segno che la politica italiana non è ancora diventata adulta? E, soprattutto, dopo questa bagarre e questi strappi, la legislatura continuerà come prima o rimarranno le ferite? Ne parliamo con Gianfranco Pasquino, tra i politologi più arguti, ha diretto Il Mulino e la Rivista italiana di scienza politica, docente emerito (scienza della politica) all’università di Bologna, professore di European studies alla Johns Hopkins University. Sono appena usciti due suoi volumi, Cittadini senza scettro (Egea) e A changing republic, politics and democracy in Italy (ne è coautore, Edizioni Epoké).
Domanda. Partiamo dal suo libro: cittadini con o senza lo scettro?
Risposta. Dal punto di vista sia della nuova legge elettorale sia della non elezione del senato sia dell’aumento del numero di firme per richiedere un referendum sia, infine, della pure augurabile, scomparsa delle province, il pacchetto di riforme Renzi-Boschi comprime e riduce il potere elettorale dei cittadini. Non restituisce affatto lo scettro (della sovranità popolare). Al contrario, lo ammacca, per di più, senza nessun vantaggio per la funzionalità del sistema politico. Peccato che i mass media non abbiano saputo né voluto discutere a fondo la qualità delle riforme, troppo interessati agli scontri, in definitiva poca roba, dentro il Pd e ai trasformisti che si affollano alla corte del fiorentinveloce. Quanto ai costituzionalisti, l’estate ha consentito ai più accondiscendenti di loro di esibirsi en plein soleil.
D. Quali le riforme sbagliate e quali quelle possibili?
R. Tutte le riforme sono sbagliate. Alcune lo sono nel loro impianto stesso; altre lo sono nelle probabili conseguenze. L’Italicum è una versione appena corretta del Porcellum. Se il bicameralismo «imperfetto» va superato, allora la vera riforma è l’abolizione del senato, non questo bicameralismo reso ancora più imperfetto e pasticciato. Bisognava guardare alle strutture e ai meccanismi che funzionano altrove. Quindi la scelta elettorale doveva essere fra il sistema proporzionale personalizzato tedesco e il doppio turno nei collegi uninominali di tipo francese.Una volta deciso di avere una camera rappresentativa delle Regioni il modello migliore era e rimane il Bundesrat: 69 rappresentanti che, populisticamente, costano meno di cento, e che, politicamente, sono molto più efficaci di cento personaggi designati, nominati o ratificati, mai dotati di autonomo potere decisionale e personale. Per il referendum, l’aumento del numero di firme per richiederlo dovrebbe essere compensato con la riduzione del quorum per la sua validità. Per le autonomie locali, bisognerebbe prevedere forti incentivi per l’aggregazione dei piccoli comuni, ma anche qualche «castigo» per chi vuole rimanere per conto suo.
D. Quali saranno le conseguenze sull’intero sistema politico della nuova legge elettorale?
R. Darà una maggioranza assoluta ad un partito, sottorappresenterà le opposizioni, produrrà una camera dei deputati fatta per almeno il 60 per cento, forse il 70, di parlamentari nominati che non avranno nessun bisogno di rapportarsi ad elettori che neppure li conoscono. Pertanto, l’Italicum aggraverà la crisi di rappresentanza.
D. È utile un eventuale referendum contro l’Italicum o creerà più confusione?
R. Sono sempre favorevole ai referendum. Sull’Italicum, però, dovrebbe esprimersi la Corte Costituzionale in coerenza con la sua sentenza n. 1/2014 che ha fatto a pezzi il Porcellum. Dovrebbe bocciare le candidature multiple e imporre una percentuale minima per l’accesso al ballottaggio. Qualsiasi referendum elettorale consente di aprire una discussione vera su pregi, nessuno, e difetti, moltissimi, dell’Italicum.
D. Poi ci sarà un altro referendum. In fondo, al di là delle critiche, vi sarà un referendum su cui esprimersi sulle leggi costituzionali
R. Fintantoché non sarà stravolto, l’art. 138 è limpido. Il referendum costituzionale è facoltativo. Può essere chiesto (qualora la riforma costituzionale non sia stata approvata da una maggioranza parlamentare dei due terzi) da un quinto dei parlamentari oppure da cinque consigli regionali oppure da 500 mila elettori. I referendum chiesti dai governi, da tutti i governi, compreso quello di Matteo Renzi, sono tecnicamente dei plebisciti, fra l’altro monetariamente costosi, e sostanzialmente inutili tranne che per il capo di quel governo. Populisticamente dirà che il popolo è con lui. È lui che lo interpreta e lo rappresenta, non le minoranze dentro il Pd, non l’opposizione politico-parlamentare, meno che mai i gufi. E’ dal popolo che lui sosterrà di avere avuto quella legittimazione che gli manca da quando produsse il ribaltone del governo Letta. Ovviamente si tratta di un inganno.
D. Il presidente del senato riuscirà a gestire la bagarre (per altro già incominciata)?
R. Il presidente del senato si barcamena. Barcolla, ma non tracolla. Certo, lo dico non come critica alla persona di Grasso, sarebbe stato preferibile un presidente con una storia politica e parlamentare alle spalle, con conoscenza diretta dei suoi colleghi. Per fortuna, Grasso può ricevere ottimi consigli dai preparatissimi funzionari del senato. Speriamo li ascolti.
D. Dopo tanto tempo non era comunque arrivato il momento del decisionismo, magari poi emendabile?
R. No, è una grossa bugia quella che finalmente si fanno le riforme dopo decenni di immobilismo. Nei 30 anni anteRenzi abbiamo fatto due riforme elettorali, una bella legge per l’elezione dei sindaci, due riforme costituzionali del Titolo V e siamo anche riusciti a introdurre le primarie. Tutte riforme brutte? Ma quelle che ci stanno arrivando addosso sono almeno belline? Proprio no. Sicuramente emendabili, appena si accorgeranno che hanno squilibrato e impasticciato il sistema. Ma perché non migliorarle subito?
D. Con la riforma costituzionale cambia anche il ruolo del Presidente della Repubblica: continuerà ad avere una funzione di garanzia?
R. Ahimè, temo che il presidente della Repubblica sarà ingabbiato. Non nominerà il presidente del Consiglio poiché questi sarà automaticamente il capo del partito/lista che ha vinto il premio di maggioranza, e pazienza. Ma, più grave, non potrà sostituirlo. Il sistema s’irrigidisce e quindi può anche spezzarsi rovinosamente. Non potrà, il presidente della Repubblica, neppure opporsi alla richiesta faziosa di scioglimento del parlamento. Altro irrigidimento, altro rischio. Potrà, però, bella roba senza nessuna logica istituzionale, nominare cinque senatori nella camera delle regioni.
D. Berlusconi, Grillo, Salvini: tutti e tre fuori gioco alle future elezioni politiche?
R. Il vecchio Berlusconi sarà certamente fuori gioco nel 2018 quando avrà 82 anni. L’allora cinquantenne Salvini sarà pimpante, battagliero, con una nuova felpa colorata, ma consapevole di non potere vincere da solo e altrettanto consapevole che la sua politica gli impone di correre da solo per prendere tutti i voti che può, che saranno molti, ma non abbastanza. Grillo è il giocatore che si trova nelle condizioni migliori. Stando così le cose, continuando l’insoddisfazione degli italiani nei confronti della politica, dell’euro, dell’Unione europea, e rimanendo il premio in seggi da attribuire a partiti e/o liste singole, il candidato di Grillo alla presidenza del Consiglio andrà al ballottaggio e parte dell’elettorato italiano gli consegnerà il proprio pesante voto di protesta. Ne vedremo delle belle.
D. E che ne sarà dell’alleanza Berlusconi-Salvini?
R. Costretti ragionevolmente ad allearsi, ma scoraggiati a farlo dal sistema elettorale. Poi, sicuramente, il centro-destra dovrà fare i conti con altre grane che verranno da Alfano&Co. e dalla crescita di popolarità di una donna politica molto efficace, la Sorella d’Italia Giorgia Meloni.
D. Si riuscirà a ricomporre la sinistra al di fuori del Pd? O l’esempio della Grecia, coi radicali di sinistra fuori dal parlamento, vale anche per l’Italia?
R. La sinistra non sa e non vuole ricomporsi. Non ha nessun punto programmatico forte. Non ha neppure un leader attraente com’è Tsipras in Grecia, o com’è Pablo Iglesias di Podemos in Spagna. La sinistra italiana testimonia la sua nostalgia (non quella degli elettori) e si crogiola nella sconfitta, tutta meritata.
Pubblicato il 2 ottobre 2015




