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Il caso Santanchè e il trionfo delle mele marce @DomaniGiornale

La moglie di Cesare è al disopra di ogni sospetto fino al terzo grado di giudizio. Gli avversari politici la criticano per il suo tacco 12, le borse griffate e i vestiti d’alta moda. Il più irritato è il marito che, dovendo difendere la reputazione di lei, è costretto a assumere una legione di avvocati capaci (e costosi), e sente di perdere molto del prezioso tempo che si è impegnato a dedicare al governo della Repubblica romana. Gli hanno detto che altrove, soprattutto fra gli Anglosassoni e i Teutoni, anche comportamenti di minore importanza e di poco impatto pubblico, come prendere appuntamenti con una escort e copiare una tesi di dottorato, sono stati considerati cause sufficienti a chiedere e ottenere le dimissioni degli interessati. Sembra che questo tipo di sensibilità non sia affatto prevista, meno che mai diffusa negli ospitali ranghi dell’italico governo Meloni.

Non mi pare né opportuno né decisivo che i sostenitori dell’attuale governo in Parlamento e fra i mass media puntualizzino che fatti di corruzione hanno fatto la loro comparsa anche in diversi precedenti governi della Repubblica. Non può certamente essere fatto valere il principio della accettabilità della violazione delle leggi e, userò il termine tanto esigente quanto inusitato, dell’etica pubblica, se diffuso, più o meno equamente, fra tutti o quasi i protagonisti della politica italiana. Al contrario, è imperativo che proprio coloro che stanno più in alto, che hanno più potere, che sono più visibili esibiscano comportamenti pubblici e, in una certa misura, anche privati, irreprensibili. Nel loro caso “rappresentare la nazione” significa farsi portatori, in maniera più o meno capace e selettiva, delle preferenze, delle necessità, degli interessi dell’elettorato. Non significa mai mostrare gli stessi difetti e vizi, di indifferenza, di familismo, di gestione allegra, non rispettosa delle leggi, e, sì, anche corrotta nel perseguimento di obiettivi personali a spese e a scapito dello Stato, e collettivi, a spese dei cittadini. Così facendo comunicano indirettamente, ma non meno esplicitamente, che, sì, “ci sta”.

Il conflitto fra le attività private e la carica, di rappresentanza e soprattutto di governo, pubblica, deve essere evitato sul nascere, non con sotterfugi, ma limpidamente. Il problema del malaffare, rimango sul vago ampiamente comprensivo per riferirmi a una pluralità di fattispecie, non può essere risolto con il condono reciproco e omertoso fra i partiti di qualsiasi coalizione di governo. Nessuno dei ministri e dei sottosegretari, a prescindere dalle tessere che controllano e dei voti che portano deve mai essere considerato insostituibile. Né deve esistere una graduatoria di sacrificabilità di cui, pur meritatamente, hanno già fatto, le spese un ministro, Sangiuliano, e un sottosegretario, Sgarbi.

Compiere atti illeciti, di corruzione varia e variegata, favorisce i perpetratori ai danni di coloro che si comportano con correttezza. Più o meno rapidamente le mele marce prendono il sopravvento sulle mele sane. Il danneggiamento della democrazia e del buongoverno è compiuto con la conseguenza che chi ha guadagnato potere con comportamenti illeciti sarà certamente più tollerante, entro limiti che non comportino una sfida nei suoi confronti, di chi li sta praticando.

Nella globalizzazione, con ampia disponibilità e reperibilità di dati, l’esistenza e la consistenza della corruzione e la rara, altalenante, quasi casuale punizione dei responsabili è un non facilmente calcolabile, ma reale, costo di sistema. Quel costo, in termini di prestigio e di affidabilità della nazione e dei suoi cittadini, lo pagano anche coloro che non ne sono coinvolti, ma non protestano e non isolano i malfattori/le malfattrici.

Pubblicato il 26 marzo 2025 su Domani


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