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Polveroni proporzional-maggioritari #LeggeElettorale
Scrivere una legge elettorale in attesa di un referendum quindi senza sapere quanti saranno i parlamentari da eleggere non è un’operazione saggia. Che la saggezza sia assente dal dibattito politico sul tipo di legge da scrivere è provato dalle affermazioni dei protagonisti politici. C’è chi vuole il “ritorno” alla proporzionale e chi lo ritiene un errore gravissimo. Però, la legge vigente, di cui fu relatore l’on. Rosato, oggi in Italia Viva, è già oggi due terzi proporzionale e un terzo maggioritaria. Quanto al testo in discussione non è, comunque, “la” temutissima “proporzionale pura” poiché prevede una soglia del 5 per cento di voti per avere accesso al Parlamento. Comprensibilmente, tanto Italia Viva quanto Leu (liberi e Uguali), ai quali i sondaggi impietosi attribuiscono rispettivamente all’incirca tre e meno di due per cento delle intenzioni di voto vorrebbero una soglia più bassa. Dal canto suo, Salvini si dichiara sbrigativamente a favore del maggioritario (sul quale Meloni non si esprime), ma non chiarisce quale. Non sarebbe un chiarimento da poco poiché il maggioritario inglese e quello francese, entrambi applicati in collegi uninominali, dove i candidati vincono o perdono, funzionano in maniera molto diversa. Infatti, il doppio turno francese offre agli elettori la grande opportunità di usare due voti: al primo turno per la candidatura preferita, al secondo per la candidatura da fare vincere, la meno sgradita.
Dopo avere detto che per gli italiani la legge elettorale è l’ultima delle preoccupazioni, affermazione alquanto discutibile, Salvini annuncia che è favorevole a due riforme: presidenzialismo e federalismo, cioè, concretamente, che vorrebbe abbandonare la democrazia parlamentare. Il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, che non può permettersi di apparire un conservatore istituzionale, si dichiara “maggioritario” e propone la formula nota come “sindaco d’Italia”. Ma il sindaco d’Italia non è una legge elettorale. È una forma di governo di stampo sostanzialmente presidenziale poiché contiene l’elezione popolare diretta del capo dell’esecutivo, vale a dire il sindaco e il Primo Ministro. Non solo questo presidenzialismo mascherato richiederebbe la riscrittura di una manciata di articoli della costituzione italiana, ma, se disegnato seguendo il modello comunale, si basa su una legge proporzionale per l’elezione dei parlamentari, con un premio di maggioranza attribuito al capo, il sindaco o il Primo ministro, della coalizione vittoriosa. Curiosamente, nessuno si esprime in maniera limpida su due aspetti scandalosi della legge elettorale vigente: le candidature plurime e paracadutate, ovvero svincolate dalla residenza dei candidati. Sono gli strumenti con i quali i dirigenti dei partiti garantiscono l’elezione propria e dei loro più fedeli collaboratori/trici a scapito della rappresentanza politica che con il numero dei parlamentari ridotto di un terzo diventerà, a prescindere dalla formula elettorale, ancora meno soddisfacente.
Pubblicato AGL il 6 luglio 2020
Due e forse più cose che so sulle leggi elettorali @formichenews
Il vero test della validità di una legge elettorale è basato su due criteri: il potere degli elettori e la qualità della rappresentanza politica. Quando gli elettori possono esclusivamente tracciare una crocetta sul simbolo di un partito hanno poco potere. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica e autore, tra gli altri testi, di “I sistemi elettorali”, (Il Mulino, 2006)
No, non chiedete di sapere tutto sui sistemi elettorali. Soprattutto non chiedetelo né ai sedicenti riformatori elettorali né ai loro consulenti. Limitatevi ad alcuni pochi punti. Primo, a chi vi dice che non esiste legge elettorale perfetta rispondete subito che quell’affermazione è banale e persino un po’ manipolatoria. Per di più, cela il fatto che esistono alcuni sistemi elettorali che funzionano meglio, molto meglio di altri. Guardatevi intorno. Leggete qualche libro, almeno qualche articolo. Secondo, ricordate che nelle democrazie parlamentari, in TUTTE le democrazie parlamentari, le leggi elettorali servono a eleggere un Parlamento, mai un governo. Il pregio delle democrazie parlamentari è la loro flessibilità proprio per quanto riguarda il governo. Nasce in Parlamento, si trasforma, cade, può essere ricostituito. Terzo, eleggere un parlamento è operazione diversa dall’eleggere un sindaco o un presidente di regione. Dimenticate lo slogan “sindaco d’Italia”. Chi vuole il presidenzialismo oppure il semipresidenzialismo lo argomenti e lo proponga. Poi, comunque, dovrà anche suggerire una legge elettorale decente.
Leggi decenti e talvolta, anche buone possono essere sia maggioritarie sia proporzionali. Qui: Tradurre voti in seggi in maniera informata, efficace e incisiva. Si può, si deve, Lezione n 1 del Video Corso Il racconto della politica, Casa della Cultura di Milano agosto 2018, segnalo gli elementi essenziali da conoscere. Il plurale è d’obbligo poiché esistono interessanti varianti sia delle leggi maggioritarie sia, ancor più, delle leggi proporzionali. Un punto, però, deve essere chiarito subito –mi piacerebbe scrivere per sempre, ma con i riformatori/manipolatori italiani nulla può mai darsi assodato e accertato per sempre: i premi di maggioranza di qualsiasi entità e comunque congegnati non consentono di definire maggioritaria quella legge elettorale. Semmai, bisognerebbe parlare di sistema misto a prevalenza proporzionale o maggioritaria.
Mi affretto ad aggiungere che il doppio turno di coalizione non soltanto è una proposta pasticciata e pasticciante, ma non ha praticamente nulla in comune con il maggioritario a doppio turno in collegi uninominali di tipo francese. Il doppio turno chiuso ovvero riservato a due soli candidati si chiama ballottaggio. Il doppio turno “aperto” ha clausole che lo disciplinano e che consentono operazioni politiche brillanti fra le quali desistenze, che servono ad accordi di governo, e “insistenze” che misurano la forza di candidati e di partiti e che testimoniano qualcosa (non posso essere più preciso).
Last but not least, il vero test della validità di una legge elettorale è basato su due criteri: il potere degli elettori e la qualità della rappresentanza politica. Quando gli elettori possono esclusivamente tracciare una crocetta sul simbolo di un partito hanno poco potere. Quando, per di più, i candidati/le candidate sono paracadutati in liste bloccate e con la possibilità di essere presentati in più collegi, la rappresentanza politica (che, comunque, richiede un discorso più ampio che ricomprenderebbe il non-vincolo di mandato e il non-limite ai mandati) non sarà sicuramente buona. La coda è tutta italiana.
Come si fa a scrivere una legge elettorale senza sapere quanti rappresentanti dovranno essere eletti: 200 o 315 senatori; 400 o 630 deputati. Se il referendum chiesto dalla Lega portasse a un ripristino del numero attuale dei parlamentari, qualsiasi legge elettorale nel frattempo elaborata dovrebbe essere riscritta e non sarebbe un’operazione semplice. Fin qui le mie proteste. La proposta è che si scelga fra il maggioritario francese con pochissimi adattamenti e senza nessun “diritto” (?) di tribuna e la proporzionale personalizzata (si chiama così) tedesca senza nessun ritocco, meno che mai la riduzione della clausola nazionale del 5 per cento per accedere al Parlamento. Dunque, non finisce qui.
Pubblicato il 18 dicembre 2019 si formiche.net
Caro Direttore del @ilfoglio_it di persona personalmente sono per la trasparenza
La notizia è che il direttore del Foglio Claudio Cerasa è un collezionista in the closet. Mi chiede interventi e lettere. Quando contraddicono le sue opinioni li mette nel closet. Di persona personalmente sono per la trasparenza. Quindi, ecco. Proporzionalisti e maggioritari genuini, buona lettura.
Caro Direttore,
cosa (mal)fatta capo ha. Il “taglio” delle “poltrone” dei parlamentari non avrà nessun effetto benefico sul funzionamento del Parlamento e sulla qualità della democrazia italiana. Tranne che con la riduzione delle spese e con una maggiore rapidità del procedimento legislativo, tutta da verificare, i promotori delle Cinque Stelle non hanno saputo giustificarlo. Dirò, invece, che quel taglio è parte integrante, e pericolosa, del loro antiparlamentarismo che è destinato a erodere la già non lussureggiante democrazia parlamentare italiana.
In maniera del tutto curiosa ovvero piuttosto ridicola, appena approvata la riforma costituzionale se ne stanno già cercando i correttivi, ammissione esplicita che la riforma è avventurosa, non in grado di stare in piedi da sola. Tralascio il non semplice fatto che in una democrazia parlamentare chi “tocca” il parlamento ha il dovere imprescindibile di valutarne le conseguenze non solo per gli elettori e la loro rappresentanza, ma anche per il governo, e rivolgo l’attenzione alla sola legge elettorale che per i pochi parlamentari rimasti e per i loro aspiranti successori ha la massima importanza. Mi limito ai due criteri cruciali per una buona legge elettorale, ma mi accontenterei che fosse meno indecente del Porcellum e della legge Rosato nonché dell’abortito Italicum: potere degli elettori e rappresentanza politica. Nessuna legge proporzionale che non dia all’elettore la possibilità di “votare” il suo candidato/a preferito/a, per la precisione, che non abbia il voto di preferenza, è accettabile. Naturalmente, le circoscrizioni dovranno avere dimensioni ridotte, eleggere un numero di parlamentari non superiore a dieci, se vogliamo che gli elettori sappiano chi sono.
Un numero ridotto di parlamentari non richiede affatto una legge proporzionale. Può benissimo essere eletto da un sistema maggioritario davvero (senza il famigerato “diritto di tribuna”), meglio se il doppio turno francese in collegi uninominali. Là gli eletti rappresentano effettivamente tutti gli elettori del loro collegio. Sanno di doverlo fare se mirano a essere rieletti. Suggerirei, sulla scia di quanto scritto tempo fa da Giovanni Sartori, che la clausola di passaggio dal primo al secondo turno non sia definita con una percentuale, ma consentendo l’accesso ai primi quattro candidati. Questo garantirebbe a un’alta percentuale di elettori di vedere la candidatura preferita al secondo turno, di valutarne le chance di vittoria, di scegliere anche sulla base delle indicazioni che i candidati/e daranno di eventuali coalizioni di governo. Infine, sarebbe finalmente il caso che la prossima legge elettorale preveda per tutti i candidati/e il requisito di residenza ponendo fine al fenomeno delle paracadutate/i che, ovviamente, costituisce una ferita profonda alla rappresentanza politica.
Grazie dell’attenzione. Ad maiora.
Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza politica
Domandona preliminare da porre a chi vi parla di #LeggeElettorale “Quale è l’ultimo libro/articolo che hai letto sui sistemi elettorali?” #ignoranti #manipolatori
Torna il sexissimo dibattito sulle leggi elettorali. Usando sempre rigorosamente il plurale, sistemi proporzionali e sistemi maggioritari, è subito il caso di affermare ad altissima voce che il criterio dominante di qualsiasi scelta deve essere quello del potere degli elettori. Ridotti i deputati a 400 e i senatori a 200, sia il maggioritario inglese sia quello francese a doppio turno sono praticabili. I collegi uninominali dei deputati avrebbero 125 mila elettori; quelli dei senatori 250 mila, tutti raggiungibili facendo campagna sul territorio. I proporzionalisti hanno l’obbligo di trovare un’altra, non l’ampiezza dei collegi, giustificazione per la loro proposta.
Al Corriere faccio sommessamente notare…
Non cesso di stupirmi e di imparare. Dopo quasi quarant’anni di discussioni e di riforme elettorali (anche di più se torniamo alla legge truffa del 1953). Tempo fa lessi sul “Corriere della Sera” dell’esistenza di un sistema proporzionale a turno unico. Da allora sono alla ricerca di un sistema proporzionale a doppio turno. Chi lo trova mi faccia un fischio. Pochi minuti fa apprendo da una risposta di Aldo Cazzullo nella sua rubrica Lettere dello stesso “Corriere della Sera” (16 febbraio 2019, p. 27) che “l’ideale sarebbero i collegi uninominali. Piccoli, non enormi come quelli previsti dalla legge in vigore”. La legge vigente non merita neanche uno straccio di commento, tranne per notare che non ricordo di avere letto sul “Corriere” critiche severe alla legge firmata dal deputato PD Ettore Rosato, oggi vice-presidente della Camera. Mi limito a scrivere che tutti collegi uninominali sono “piccoli”, per definizione. Vi viene eletto sempre e soltanto un unico candidato/a. Più “piccolo” di così si muore. Se, invece, “piccolo” si riferisce al numero di elettori, con due sole eccezioni, facilmente comprensibili: gli USA e l’India, tutti i collegi uninominali attualmente esistenti, in particolare, quelli nelle democrazie anglosassoni, contengono all’incirca 80-100 mila elettori. Naturalmente, quanto più piccoli li vogliamo i collegi uninominali in termini di elettori, tanto più popoloso, in termini di parlamentari, diventerà il Parlamento.
PD, o fuffa-truffa o reale democrazia
Stuoli (sic) di giornalisti equamente divisi fra filo-Pd e filo-Forza Italia che si preparavano a suonare la grancassa per la Grande Coalizione Arcore-style mi hanno accusato di essere filo-5 Stelle poiché ho sostenuto che le “carte” di Di Maio, nonostante gli sgarbi quotidiani, il PD doveva (deve) chiedere di vederle. Soprattutto, ho twittato che l’imposizione preventiva del rifugio nell’opposizione da parte del due volte ex-segretario Renzi è assimilabile all’eversione delle regole, delle procedure, del funzionamento della democrazia parlamentare. I sostenitori di Renzi, parlamentari e giornaliste amiche, sostengono che sono gli elettori ad averli mandati all’opposizione. Nel frattempo, però, qualcuno nel PD sta ridefinendo la posizione, troppo poco troppo lentamente.
Naturalmente, è del tutto sbagliato sostenere che gli elettori hanno mandato il PD all’opposizione. Gli elettori italiani non votavano sul quesito PD al governo/PD all’opposizione. Nessun elettore in nessuna democrazia parlamentare ha un voto di governo e/o un voto di opposizione. Comunque, gli elettori che hanno votato PD volevano conservarlo al governo del paese. Che adesso l’ex-segretario del PD interpreti il voto al suo partito come rigetto della sua azione di governo è confortante, ma troppo poco troppo tardi. Ed è sbagliato pensare che quegli elettori non desidererebbero, a determinate condizioni, che possono essere costruite, vedere il loro partito in posizioni di governo a temperare il programma degli alleati e a tentare di attuare parti del suo programma.
Quando ascolto molti parlamentari del PD ripetere senza originalità quello che ha detto Renzi, mi infastidisco. Subito dopo mi interrogo e capisco. Siamo di fronte ad un’altra conseguenza nefasta della legge Rosato. Non fatta per garantire qualsivoglia variante di governabilità, la legge Rosato non è stata, ma era prevedibile, neppure in grado di dare rappresentanza all’elettorato. I parlamentari eletti non hanno dovuto andarsi a cercare i voti. La loro elezione dipendeva dal collegio uninominale nel quale erano collocati/e e dalla eventuale frequente candidatura in più circoscrizioni proporzionali. Come facciano questi/e parlamentari a interpretare le preferenze e le aspettative di elettori che non hanno mai visto, con i quali non hanno mai parlato, ai quali non torneranno a chiedere il voto, potrebbe essere uno dei classici, deprecabili misteri ingloriosi della politica italiana e di leggi elettorali, come la Rosato. Formulata e redatta con precisi intenti particolaristici: rendere la vita difficile al Movimento Cinque Stelle, creare le condizioni per un’alleanza PD-Forza Italia, soprattutto consentire a Renzi e Berlusconi di fare eleggere esclusivamente parlamentari fedeli, ossequienti, totalmente dipendenti, per questi obiettivi, ma solo per questi, la Rosato ha funzionato.
Adesso sì che i conti tornano. Il PD va all’opposizione, almeno per il momento, perché lo dice, lo intima il capo che ha fatto eleggere la grande maggioranza dei deputati e dei senatori. Costoro, da lui nominati, dovrebbero dichiarare candidamente che seguono le indicazioni-direttive, non degli elettori, ma di Renzi. Naturalmente, nonostante tutta la mia scienza (politica), neppure io sono in grado di dire che cosa preferiscono gli elettori del PD. Sono i dirigenti del Pd, meglio se nell’Assemblea del Partito, quindi non precocemente, che debbono decidere, ma dirigenti non sono coloro che si accodano alle preferenze inespresse e che seguono opinioni e sondaggi scarsamente credibili poiché fondati su ipotesi. Dirigenti/leader sono coloro che precisano le alternative, le dibattono, le scelgono, le confrontano con le proposte degli altri. Poi, se il PD è un partito (e non un grande gazebo come vorrebbero coloro che stanno chiedendo già adesso fantomatiche primarie che servono a scegliere le candidature, per il parlamento non le ho viste, non i programmi) sottoporrà ai suoi iscritti, come hanno fatto i socialdemocratici tedeschi, un eventuale programma di governo concordato con altre formazioni politiche. Questa è la procedura democratica attraverso la quale si giunge al governo o si va all’opposizione. Il resto è fuffa/truffa.
Pubblicato il 30 marzo 2018
Paracadutati, nominati e asserviti a chi li ha nominati #ElezioniPolitiche2018
Difficile che i parlamentari nominati, spessissimo anche paracadutati, rappresentino “il territorio”. Non lo farà neppure, è un caso emblematico, Maria Elena Boschi. Giusto criticare i capipartito e i capicorrente. Utile sarebbe criticare anche i candidati multiuso, già asserviti (forse questo è un caso da manuale di introduzione surrettizia del vincoli di mandato) a chi li ha nominati. Un parlamento di nominati non è politicamente rappresentativo, ma è potenzialmente un parlamento di trasformisti pronti a vagare.