Home » Posts tagged 'debito pubblico'
Tag Archives: debito pubblico
Lo scontro in atto sul #MES, tra politica interna e rapporto con l’Europa
Lo scontro in atto sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) merita più di una riflessione perché riguarda il modo di governare (e di fare) opposizione in Italia e il modo di rapportarsi all’Europa. Sul primo punto abbiamo appreso e non dobbiamo dimenticare che il precedente governo giallo-verde aveva sostanzialmente accettato il MES e che, pertanto, ha ragione il Presidente del Consiglio Conte a criticare duramente l’opportunismo di Salvini che, andato all’opposizione, smentisce se stesso.Tuttavia, Conte fa male quando eccede nelle critiche facendone un fatto di scontro personale con Salvini, nel quale si inserisce con notevole grinta Giorgia Meloni per trarre il meglio di visibilità a fini elettorali. Lo scontro politico ha in qualche modo posto rimedio alla mancanza di conoscenze. Però, è almeno in parte vero che alla sostanza del MES non era stata data sufficiente attenzione. In estrema sintesi, il MES non è un meccanismo inteso primariamente a salvare le banche tedesche, come dicono gli oppositori, ma tutte le banche le cui difficoltà si ripercuoterebbero in maniera più pesante sui paesi con un alto debito pubblico, come l’Italia.
Adesso, con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, già importante europarlamentare, il governo giallo-rosso andrà a discutere e negoziare nelle sedi europee. Gualtieri ha immediatamente comunicato che lo spazio è minimo e un’affermazione simile è stata fatta dal portoghese Centeno alla presidenza dell’Eurogruppo. Come in troppe altre occasioni, la posizione italiana non appare forte dal punto di vista negoziale poiché i rappresentanti degli altri paesi hanno ricevuto sufficienti informazioni sulle resistenze italiane e sulle divisioni anche in ambito governativo. Non possono fare a meno di preoccuparsi che l’Italia allunghi i tempi dell’approvazione del MES per ragioni di politica interna senza nessuna proposta operativa e migliorativa di un testo già lungamente discusso.
La posizione negoziale italiana è inevitabilmente inficiata proprio dalla inaffidabilità dei suoi governi e dall’oscillazione delle sue posizioni e preferenze (in questo caso, in particolare quelle del Movimento Cinque Stelle). Incredibilmente, troppi esponenti italiani dimenticano che il paese è costantemente sotto osservazione per un motivo strutturale: l’altissimo livello raggiunto dal debito pubblico, il 138 per cento del Prodotto Nazionale Lordo. Gli europei hanno visto con favore, sarebbe stupido negarlo, la fuoruscita dal governo italiano dei sovranisti della Lega e l’ingresso degli europeisti del PD. Si attendono che dalle apprezzabili posizioni di principio conseguano comportamenti pratici altrettanto apprezzabili. Il MES è la prima importante occasione per mostrarsi coerenti e sulla base di quella coerenza essere poi in grado di fare valere le proprie preferenze, le proprie valutazioni e i propri interessi nella consapevolezza che gli interessi italiani coincidono con un’Europa potenziata nei suoi meccanismi economici.
Pubblicato AGL il 6 dicembre 2019
Un governo (quasi) normale, due sfide (quasi) eccezionali
Per capire le conseguenze della crisi di governo in pieno agosto bisogna ribadire alcuni punti essenziali. Nelle democrazie parlamentari i governi nascono in Parlamento, certo sulla base dei voti degli elettori e del numero di seggi (non poltrone!) ottenuti dai partiti. Possono cadere in parlamento nel quale, se esiste un’altra maggioranza di seggi, si può formare un nuovo governo. Nel passato è successo in Olanda e in Belgio, ma anche nella stabilissima Germania e nella a lungo stabile Spagna. Nel passato in Italia spesso dalla coalizione di governo usciva o entrava un partito, senza scandalo e senza nuove elezioni. È la flessibilità delle democrazie parlamentari. L’attuale governo, Conte Due, come ha opportunamente sottolineato il Presidente del Consiglio, un nuovo governo non il prodotto di un “semplice” rimpasto, vede una coalizione fra il primo partito in termini di seggi e il secondo delle elezioni del marzo 2018. Offre un’adeguata rappresentanza agli elettori italiani e, certo, anche alle correnti dei due partiti. I renziani hanno qualche ministro e tre o quattro sottosegretariati, anche se nessuno è toscano. La spada di Damocle (pardon, di Renzi) non è sulla testa del governo. I renziani potranno anche lasciare il partito, prospettiva che sembra continuino a intrattenere, ma non per questo dovrà cadere il governo. Dunque, il Conte Due è un (quasi) normale governo delle democrazie parlamentari. Tuttavia, il problema, che spinge molti/troppi commentatori a scrivere articoli di fantasia sulla sua durata, è che deve affrontare alcune sfide di grande portata a lungo trascurate e/o rimosse. Ne vedo due molto serie. La prima consiste nel rilanciare la crescita economica del paese, attualmente fermo, se non già in una piccola recessione, senza fare aumentare il gigantesco debito pubblico, ricorrendo a ingenti investimenti produttivi e riducendo le diseguaglianze. Non ci si può attendere che la crescita dipenda dal successo del reddito di cittadinanza né si può pensare di ridurre le tasse facendo affidamento sulla disponibilità dei benestanti a spendere di più. La seconda grande sfida, al tempo stesso, un’opportunità da sfruttare, è quella di contribuire a cambiare alcune modalità di funzionamento dell’Unione Europea. Impegni chiari su una rapida ed equilibrata redistribuzione dei migranti debbono essere urgentemente definiti. Anche grazie alla presenza del Commissario Paolo Gentiloni agli affari economici e del già europarlamentare Roberto Gualtieri al Ministero dell’economia, il governo Conte Due avrà la possibilità persino di chiedere la revisione del troppo rigido Patto di Stabilità e Crescita. Un governo (quasi) normale deve affrontare compiti (quasi) eccezionali, ma per la prima volta da parecchio tempo avrà due carte da giocare. La prima è la credibilità del suo europeismo, seppur, nel caso delle Cinque Stelle, recente. La seconda è la sua disponibilità a operare dentro l’Unione Europea con gli altri governi europeisti. Non è poco.
Pubblicato AGL il 15 settembre 2019
Stallo totale per governo e opposizione
Difficile sapere se l’intervista del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il filosofo novantenne Emanuele Severino avrà qualche effetto sull’azione di governo. A suo tempo, Karl Marx criticò i filosofi, non solo quelli del suo tempo, per essersi limitati a studiare il mondo invece di provare a cambiarlo. Dal Documento Economico Finanziario presentato il 10 aprile è evidente che il governo giallo-verde e i suoi ministri non hanno la visione di un mondo nuovo, ma neppure di un’Italia e un’Europa nuove. Sembra, piuttosto che non sappiano che pesci prendere. Rispetto alle dichiarazioni espresse già a ottobre-novembre 2018, quando fu elaborata la legge di bilancio, nel DEF emerge una sostanziale presa d’atto che nel 2019 la crescita economica non ci sarà, ma cresceranno sia il deficit del 2,4% sia il debito pubblico al 137%, che non è possibile attuare integralmente la flat tax, che se fosse davvero piatta, sarebbe incostituzionale, se fosse, contraddittoriamente, “progressiva” a più scaglioni, comporterebbe il probabile rischio di un aumento significativo dell’IVA.
Per un po’ di tempo, il Presidente del Consiglio ha stancamente ripetuto che i fondamentali dell’economia italiana sono solidi, ma senza precisare quali siano questi fondamentali. Nel frattempo, nuovi dati fanno supporre che la Francia sia avviata a superare l’Italia come seconda potenza manufatturiera in Europa. Il fatto è che se fra i “fondamentali” si includono anche il debito pubblico e il tasso di crescita, l’economia italiana non è affatto su basi solide. È inevitabile che ciascun governo addebiti ai suoi predecessori la brutta eredità del cattivo andamento dell’economia. In effetti, le radici e le cause del debito pubblico affondano negli ultimi vent’anni. Il tasso di crescita italiano è regolarmente risultato basso, spesso, con l’eccezione della Grecia, il più basso dei paesi dell’Unione Europea.
Forse consapevoli che non sarà il cosiddetto “decreto crescita” a produrre un’impennata dell’economia italiana, i governanti hanno cercato un altro capro espiatorio: la sfavorevole congiuntura internazionale. Ovviamente, c’è qualcosa di vero poiché l’economia italiana, largamente fondata sull’esportazione di prodotti spesso di alta qualità, è molto sensibile al calo della domanda internazionale. Non basta, però, farsi scudo di un capro espiatorio e annunciare come salvifiche le due “riforme” bandiera dei gialli (reddito di cittadinanza) e dei verdi (tassa piatta). Essendo entrambe politiche redistributive, alla luce dei dati disponibili, risultano piuttosto rischiosissime scommesse per il rilancio dell’economia italiana. Nel frattempo, le opposizioni ripetono, facendo pochissima breccia nell’elettorato, che Di Maio e Salvini sono in campagna elettorale permanente, si dividono su tutto, non possono durare. Quel che resta del centro-destra sostiene che quelle politiche Salvini le farebbe meglio con loro, mentre il PD difende fiocamente le sue passate riforme, ma dov’è la contromanovra?
Pubblicato AGL il 15 aprile 2019
Il Governo funziona male, ma le elezioni non migliorerebbero nulla
Chi intende il “dialogo” come chiacchierata a pranzo, a cena, negli intervalli di lavoro di una giornata, nel quale ci si limita a scambiare senza impegno parole parole parole, non può pensare che questo significhi negoziare e, neppure, ottenere assenso. Se, poi, come ripetutamente hanno detto, in ordine di rilevanza, Salvini, Di Maio, Tria, Conte, sì al dialogo, però, “la manovra non cambia”, allora meglio non andare a Bruxelles, ma andare al mare. Ciononostante, non dobbiamo, come interpreto la dura riflessione di Cisnetto, abbandonare le speranze poiché, contrariamente alla scommessa dei governanti giallo-verdi, tirare per le lunghe non significa affatto evitare di tirare le cuoia. Al contrario, già nel medio periodo, mercati e spread potrebbero insegnare qualcosa anche a chi ha ampiamente dimostrato poca dimestichezza con i numeri (e con Babbo Natale). La letterina della Commissione arriverà e sarà severa. Chi ha la pazienza di aspettare, ma spero che i piccoli e medi industriali del Nord l’abbiano già persa questa pazienza, potrebbe vedere il governo cambiare qualcosa di sostanziale. Magari avendo capito che il mantra al quale fanno ricorso: “i fondamentali dell’economia italiana sono sani”, è profondamente sbagliato. Il 131 per cento di debito pubblico non è sano. È molto malsano. Evadere 20-25 percento di tasse non è sano. La crescita più bassa di quasi tutti gli Stati-membri dell’Unione è malsanissima, ed è difficile credere che la manovra riuscirà a rovesciare una tendenza ventennale. Lascio da parte il costo, ingente, della corruzione politica che, naturalmente, non riguarda affatto solamente i politici.
Se il non-negoziato Commissione- Italia non porta a nulla, allora, sostiene Cisnetto, meglio andare alle urne. La penso molto diversamente per un insieme di ragioni. In maniera sorprendente, ma non incredibile tutti i sondaggi concordi rilevano che né il governo né l’evanescente Presidente del Consiglio (dal quale stiamo attendendo che operi davvero da “avvocato del popolo”) hanno perso popolarità. Probabilmente questa solidità del consenso dipende dal fatto che l’opposizione di Forza Italia è molto ambigua e quella del Partito Democratico è da tutti i punti di vista: leadership, proposte, credibilità, assolutamente irrilevante. Secondo né la Lega avanzante né le Cinque Stelle declinanti possono permettersi il lusso di gettare la spugna andando di fronte all’elettorato come dei falliti. Terzo, Mattarella sconsiglierebbe nuove elezioni che, inevitabilmente, avrebbero effetti deleteri sul bilancio dello Stato e esplorerebbe tutte le alternative possibili. Ce ne sono? Dipende dal rinsavimento di alcuni dirigenti politici, ma le democrazie parlamentari hanno sempre molte frecce al loro arco. Infine, non è affatto detto che dalle urne uscirebbe un’alternativa numericamente valida all’attuale governo. Potrebbe benissimo succedere che l’ascesa di Salvini si riveli insufficiente ad una maggioranza di centro-destra e che l’unica coalizione possibile torni ad essere quella Cinque Stelle(ine) e Lega.
Che fare, dunque? Due tipi di azioni sono possibili, entrambe contemplate e praticate nelle democrazie parlamentari. Primo, premere sul governo affinché prenda atto che ci sono politiche che non può attuare. Le cambi, oppure, come dice flautatamente Giuseppe Conte, le “rimoduli”, anche nei numeri (magari con la spinta del Quirinale che non dovrebbe fare fatica a cogliervi già alcuni elementi di incostituzionalità). Secondo, si proceda a un rimpasto che non è “vecchia politica”: la May in Gran Bretagna l’ha già fatto un paio di volte e certo la vecchia politica non abita lì, mandando a casa i ministri palesemente inadeguati –e se a Toninelli fischiano le orecchie è solo giusto così, ma anche Conte e Tria meritano qualche fischio) reclutando persone più competenti, in grado di avere maggiore capacità di intervento in Italia e di convincimento a Bruxelles. Poco? Certo, ma meglio di niente –e meglio di elezioni quasi sicuramente inconcludenti.
Pubblicato il 24 novembre 2018 su Terza Repubblica
Il no a Bruxelles un grave errore
La procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea contro il governo italiano riguarda, nelle parole del Commissario all’Economia Pierre Moscovici, una “violazione” definita “particolarmente grave”. L’Italia si era impegnata a tenere il suo deficit all’1,6 per cento, mentre la manovra approvata dal governo Salvini, Di Maio, Tria, Conte lo porta al 2,4 per cento. Non è affatto, come sostengono i governanti italiani un affare di decimali poiché quei decimali faranno ulteriormente crescere il già ingente debito pubblico (attualmente al 131 per cento del PIL). Né l’Italia può chiedere flessibilità ricordando i casi di Germania e Francia poiché entrambi i paesi avevano un debito pubblico al di sotto del 100 per cento del loro PIL. Il debito pubblico deve essere periodicamente rifinanziato con miliardi di Euro che, evidentemente, sono sottratti ad eventuali investimenti produttivi i soli che aumenterebbero la crescita del paese. Senza crescita non c’è riassorbimento della disoccupazione, meno che mai di quella giovanile. Al contrario potrebbero crescere coloro in grado di vantare diritto al reddito di cittadinanza da finanziare con risorse che fanno crescere il debito e che vengono tolte alla crescita. A tutto questo, che non è affatto complicato da capire, i governanti italiani replicano con parole e con speranze non con i numeri come vorrebbe la Commissione Europea. Chiedono un dialogo per spiegare, asserendo implicitamente che i Commissari non hanno capito e che non sanno fare di conto. Sostengono che la crescita italiana sarà superiore a tutte le stime che circolano: del Fondo Monetario Internazionale, della stessa Commissione, dell’Organizzazione e Cooperazione per lo Sviluppo, degli Uffici tecnici di Camera e Senato. Pretendono di saperne di più e annunciano di volere andare avanti. Gli europei, compresi i Ministri dell’Economia di paesi come l’Austria e l’Ungheria, la cui “filosofia politica” non è distante da quella di Salvini, si irritano per un’offerta di dialogo che, comunque, secondo gli italiani, non potrà cambiare nulla e temono, invece, che, se l’Italia non cambia parti importanti della sua manovra economica, finirà per creare grossi problemi a tutta l’Unione. Di più: ascoltando Salvini, quando non è impegnato a leggere la letterina che nessun Babbo Natale gli manderà mai, e Di Maio, quando non si scapicolla a espellere i dissenzienti, nessuno degli operatori economici riesce a pensare che il governo-giallo verde si renda conto che non sono le critiche della Commissione a fare “male” agli italiani, al popolo italiano, ma sono i comportamenti testardi dei due capi partito e i comportamenti ignavi di Conte e di Tria. Forse i non proprio “magnifici quattro” italiani pensano di guadagnare tempo e, persino, di logorare la Commissione. Sbagliano. La procedura è iniziata e continuerà fino al suo esito inevitabile, costosissimo per l’Italia a meno che la manovra di bilancio venga cambiata in alcuni punti molto sostanziosi.
Pubblicato AGL il 23 novembre 2018
Uno scontro frontale “calcolato”
“Il tasso di crescita non è negoziabile”. Attribuita al Ministro dell’Economia Giovanni Tria, questa frase denuncia arroganza e insipienza. C’è arroganza poiché il Ministro afferma come sicuro qualcosa che, il tasso di crescita da lui previsto, è assolutamente aleatorio. C’è insipienza poiché Tria confonde l’aggettivo “negoziabile” con “conseguibile”. Tutti gli organismi che, a vario titolo, si sono occupati (e preoccupati) dell’Italia dalle agenzie di rating al Fondo Monetario Internazionale, dalla Commissione Europea ai ministri dell’Eurogruppo, persino gli Uffici tecnici del Parlamento italiano, hanno prodotto stime molto diverse da quelle italiane, ma convergenti fra loro e chiaramente inferiori alle percentuali del Ministro Tria. Ripetutamente, i ministri Salvini e Di Maio, mai smentiti (potrebbe permetterselo?) dal Presidente del Consiglio Conte, hanno affermato con toni spesso offensivi per il Presidente della Commissione Juncker e per i Commissari che si occupano di economia Dombrovskis e Moscovici, che andranno avanti, tireranno dritto, che il popolo italiano vuole questa legge di bilancio.
Adesso, da un lato, è diffusa la consapevolezza che fra qualche settimana la Commissione aprirà la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Dall’altro, che i mercati, fatti, come ho scritto più volte, da operatori, anche italiani, che non vogliono perdere soldi né per loro né per i loro clienti, fra i quali anche molti italiani, segnaleranno il rischio Italia, sposteranno gli investimenti, faranno salire il fatidico spread fra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani acuendo la crisi della finanza pubblica italiana e rendendo costosissimo pagare gli interessi sull’altissimo debito pubblico, 130% del Prodotto Interno Lordo. Ad alleviare le conseguenze economiche non basteranno le dismissioni di proprietà dello Stato per la cui vendita e incasso ci vorrà molto tempo.
Anche se dimostratisi assolutamente privi di un minimo di conoscenze economiche, Salvini, Di Maio e Conte, in quest’ordine, non possono non avere pensato alle conseguenze, economiche e politiche, della loro manovra. Altrimenti, sarebbero tecnicamente e politicamente degli irresponsabili. Inquietante è l’ipotesi che Salvini e Di Maio desiderino che la procedura d’infrazione si trascini per qualche tempo e che la loro inevitabile manovra correttiva risulti giustificata agli occhi degli italiani come un’imposizione dall’esterno che sono obbligati a malincuore ad accettare. Entrambi si prepareranno per le elezioni del Parlamento Europeo del maggio 2019. Salvini cercherà di mobilitare in maniera nazionalpopulista gli italiani euroscettici e sovranisti. Di Maio sosterrà coraggiosamente che la Commissione si è espressa contro l’abolizione della povertà in Italia. Poiché la Commissione è consapevole che andare allo scontro frontale con l’Italia è dannoso per tutta l’Unione, il contenzioso rischia di rimanere aperto fino alle elezioni. La partita si annuncia lunga, e brutta.
Pubblicato AGL il 15 novembre 2018
Attenti ai giocatori d’azzardo
C’è qualcosa di preoccupante sia nei numeri del Documento Economico-Finanziario sia nelle reazioni con le quali Di Maio e Salvini lo difendono e contrattaccano. Dal Fondo Monetario Internazionale ai Commissari dell’Unione Europea preposti a valutare le scelte di bilancio dei singoli Stati-membri, dagli Uffici appositi del Parlamento italiano alle agenzie di rating (nelle quali, è opportuno sottolinearlo, lavorano molti italiani reclutati con riferimento alle loro competenze), tutti hanno evidenziato due punti. Primo, ci sono evidenti violazioni degli impegni presi a Bruxelles. Secondo, non c’è nessuna garanzia che la “manovra” porterà in tempi brevi alla crescita economica e alla riduzione del debito pubblico. Al contrario. Qualcuno si ricordi che le previsioni di Salvini sono crescita del 2 per cento per il 2019 e del 3 per cento per il 2020 contro le previsioni, poco più dell’1 per cento, delle agenzie specializzate. Di Maio replica affermando che la manovra è “coraggiosa”. Salvini afferma che, dovendo scegliere fra quello che dicono le autorità europee e gli interessi italiani, preferisce dare la preminenza ai secondi: “non torneremo indietro”.
Finora i critici, nella politica e nei mass media, ma anche nel mondo sindacale e imprenditoriale, si sono limitati a notare che la manovra è una scommessa e che i conti non tornano a meno che, per l’appunto, la crescita economica (che è il vero punto dolente) non vada parecchio al disopra delle previsioni. Criticabili sono non soltanto il contenuto delle affermazioni dei governanti, ma anche il loro linguaggio e la loro incoscienza delle conseguenze. La manovra non si merita affatto l’aggettivo “coraggiosa”. È come minimo azzardatissima, ma anche irresponsabile. Chi si ostina a non confrontarsi con le previsioni, a non prendere in considerazione anche l’eventualità di conseguenze negative e accetta che il debito pubblico aumenti e lo spread salga, che è la posizione di Salvini, si comporta ugualmente in maniera irresponsabile.
Perseguire gli interessi degli italiani, del Nord e del Sud, con Salvini che vuole condono fiscale e flat tax e Di Maio reddito di cittadinanza e riduzione delle pensioni cosiddette d’oro, non solo è un’operazione di alta acrobazia, ma non offre nessuna garanzia riguardo al miglioramento reale della situazione degli italiani che, invece, si troveranno impoveriti quantomeno da mutui più cari e dall’aumento del costo del denaro, che non avranno più posti di lavoro poiché non tutti i posti di lavoro liberati dal capovolgimento della riforma andranno ai giovani. La manovra che sta per arrivare sulle scrivanie di Bruxelles e al Parlamento italiano sembra destinata a incidere negativamente sul benessere degli italiani e dei loro figli. Di Maio e Salvini più che capitani coraggiosi sembrano giocatori d’azzardo che scommettono molto rischiosamente, ma con il denaro degli italiani.
Pubblicato AGL il 17 ottobre 2018
Il premio Nobel ai due vicepremier
Cari Di Maio e Salvini.
sono davvero dispiaciuto che non vi sia stato assegnato il Nobel per l’Economia. Credo che la spiegazione prima stia nel provincialismo e nel settarismo dei norvegesi e degli svedesi. Dentro e fuori l’Unione Europea, entrambi s’ostinano a pensare che bisogna rispettare gli impegni presi. Sono pieni di pregiudizi, convinti che gli italiani, oramai più mediterranei degli spagnoli e dei portoghesi, siano propensi all’ozio improduttivo e felice che impedirà qualsiasi riduzione del debito pubblico (attualmente al 130% del PIL) e quindi richiederà molti soldi per pagare gli interessi sui prestiti. Effettuano una comparazione un po’ azzardata con i loro debiti pubblici: 29% in Norvegia; 42,2 in Svezia. Che sia questa la ragione per la quale ai “mercati” non passa mai per la testa di speculare contro quei due paesi? Neppure George Soros, evocato da Salvini, per fortuna senza aggiungere il “finanziere ebreo”, specula contro la Danimarca che, piccola com’è, sarebbe un bocconcino facile facile da mangiare e deglutire. Il fatto è che i “fondamentali” danesi sono in ordine, mentre gli italiani sono un po’ balzani. Sostiene il ministro Tria che si raddrizzeranno in futuro quando la manovra farà impennare il tasso di crescita dell’economia italiana. Qui, però, tornano i mercati che, debbo proprio dirvelo, sono fatti da operatori economici dei più vari tipi. Quegli operatori, fra i quali ci sono parecchi italiani, hanno come compito istituzionale, non quello, come sembra crediate voi, di rovesciare i governi, ma di fare investimenti redditizi per i loro committenti e anche per le loro spesso laute commissioni. Non appena subodorano che qualche governo di qualche paese, nonostante i consigli, gli avvisi, le indicazioni della Commissione Europea che proprio non vuole sovrintendere a guai economici, fa il furbo e scommette su implausibili prospettive positive, ne traggono le conseguenze. Così sale lo spread poiché il divario di rendimento fra i buoni del Tesoro italiani e, soprattutto, ma non solo, quelli tedeschi, significa che comprare i buoni italiani diventa rischioso. Investitori/speculatori e agenzie di rating sono i poteri forti di cui voi denunciate le manovre? Difficile dirlo, ma dovrebbe essere facile anche per voi, al fine del conseguimento del Premio Nobel 2019 quando le vostre manovre rilanceranno l’economia italiana verso vette inusitate, capire che investitori e valutatori sono interessati a guadagnare, non a gufare e meno che mai a puntare su disastri economici. Però, se i disastri ci sono o diventano probabili, allora, sì, puntano il loro denaro per vincere. Adesso che ne sapete di più, potreste rifare due conti. Grazie e auguri.
Pubblicato AGL il 10 ottobre 2018
Due capitani spregiudicati al Governo
Di Maio annuncia l’ingresso dell’Italia in una fase epocale. La manovra, che tra domani e venerdì dovrà essere resa nota dal Ministro dell’Economia, sarà “coraggiosa”. Per Di Maio, il coraggio consiste nel non tenere conto del limite di deficit dell’1,6 per cento, al quale l’Italia si era impegnata con la Commissione europea, per andare, sembra, fino al 2,2 per cento. I “pavidi” sono il Ministro Tria e i tecnici del suo ministero che si ostinano a sostenere che con la finanza pubblica bisogna usare prudenza. In effetti, molti continuano a non capire che cosa ci possa essere di coraggioso nel violare gli impegni presi e nello spendere più soldi di quelli disponibili per un paese che ha un debito pubblico altissimo (più del 130 per cento del Prodotto Interno Lordo) e un tasso di crescita bassissimo (1,1 per cento per il 2018 e forse 1 per cento nel 2019). Qualche tempo fa, Salvini aveva fatto sapere che si potevano sfiorare i limiti, senza sforarli. Poi, anche lui ha affermato che, per il bene degli italiani, era disponibile a superare l’asticella. Nel frattempo, grazie a rudi, e “risparmiosi”, interventi sui migranti, il suo personale consenso cresce e si consolida cosicché può lasciare la patata bollente nelle non proprio capaci mani di Di Maio.
In un normale governo di coalizione la sintesi, ma prima ancora le scelte, dovrebbero spettare al Presidente del Consiglio Conte che, al contrario sembra barcamenarsi lasciando al suo portavoce Rocco Casalino la licenza di usare toni duri e linguaggio offensivo (i tecnici del Ministero che si oppongono saranno fatti fuori), che in altri tempi e in altri luoghi porterebbero alle dimissioni. Al momento, non sappiamo quanto “coraggiosa”, ovvero distante da quanto stabilito con la Commissione europea, sarà la manovra e neppure su quali tematiche verrà esercitato tutto questo coraggio: sul reddito di cittadinanza (la cui platea è già stata inevitabilmente ridotta)? sulle pensioni di dignità? sulla tassa già non più piatta, ma con almeno tre gobbe? Sappiamo, però, che la manovra potrà meglio essere definita avventurosa e pericolosa. Avventurosa poiché le sue conseguenze non sembrano calcolabili con precisione e pericolosa poiché non c’è praticamente nulla che serva a mettere in moto la vischiosissima crescita economica italiana.
Di tanto in tanto, qualche economista lo scrive flebilmente, altri lo sussurrano, lo stesso Ministro Tria vi fa, non vigorosamente, cenno. Senza aumenti significativi di produzione e di produttività resterà molto complicato procedere alla redistribuzione di risorse che non si hanno. Il vero coraggio consistere nel parlare parole di verità agli italiani. Soltanto riducendo e di molto il debito pubblico e quindi gli interessi da pagare per rifinanziarlo diventerà possibile soddisfare le promesse fatte separatamente da Cinque Stelle e dalla Lega. Altrimenti, con buona pace di Grillo, assisteremo sì a una decrescita, ma infelice, oppure a uno stallo destinato a scontentare molti.
Pubblicato AGL il 27 settembre 2018