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VIDEO Emilia-Romagna: a Setback for Salvini or a Comeback for the Left? Johns Hopkins University SAIS Europe

EMILIA-ROMAGNA:
A SETBACK FOR SALVINI OR A COMEBACK FOR THE LEFT?

SAIS Europe Faculty Members Discuss the Consequences
of the Regional Elections in Emilia-Romagna

 

Justin O. Frosini, Adjunct Professor of Constitutional Law
Erik Jones, Professor of European Studies and International Political Economy
Gianfranco Pasquino, Senior Adjunct Professor of European and Eurasian Studies

THURSDAY, 30 JANUARY 2020 – H. 18:30
Johns Hopkins University SAIS Europe – via B. Andreatta 3, Bologna

 

Emilia-Romagna: a Setback for Salvini or a Comeback for the Left? #30january #Bologna Johns Hopkins University SAIS Europe

THURSDAY, 30 JANUARY 2020 – H. 18:30
Johns Hopkins University SAIS Europe – via B. Andreatta 3, Bologna

EMILIA-ROMAGNA:
A SETBACK FOR SALVINI OR A COMEBACK FOR THE LEFT?

SAIS Europe Faculty Members Discuss the Consequences
of the Regional Elections in Emilia-Romagna

Justin O. Frosini, Adjunct Professor of Constitutional Law
Erik Jones, Professor of European Studies and International Political Economy
Gianfranco Pasquino, Senior Adjunct Professor of European and Eurasian Studies

 

Buongoverno la lezione del voto

In Emilia-Romagna ha avuto ragione il Presidente uscente Stefano Bonaccini a impostare la campagna elettorale su tematiche specificamente regionali. Invece, ha sbagliato e ha perso nettamente Matteo Salvini cercando di utilizzare il voto degli emiliani-romagnoli come un’arma contro il governo nazionale. Non soltanto tutti i dati disponibili dicono che da tempo la Regione Emilia-Romagna è in testa a quasi tutte le graduatorie nazionali, ma la candidata della Lega appariva inadeguata tanto che stava sempre, non solo figurativamente, almeno due passi dietro Salvini. La seria battuta d’arresto di Salvini nella sua apparentemente irresistibile avanzata si accompagna anche al sorpasso in termini di voti del Partito Democratico sulla Lega che era diventato il primo partito nelle elezioni europee del non lontano maggio 2019. La crescita elettorale del PD, comunque, l’argine effettivo nei confronti della Lega, è quasi sicuramente dovuta anche alla intensa mobilitazione delle “sardine” contro Salvini stesso e la sua propaganda sempre ai limiti delle offese e dell’odio.

Proprio nei luoghi, da Bologna a Parma, dove era nato a suon di “vaffa” indirizzati per lo più contro il Partito Democratico e i suoi dirigenti, il Movimento 5 Stelle registra la sua caduta ai livelli più bassi del consenso elettorale. Paga il prezzo di una leadership nazionale inadeguata e in via di trasformazione, delle sue incertezze se presentarsi o no e se rivendicare o no la (bontà della) sua coalizione di governo con il PD. L’insoddisfazione politica e il desiderio di profondo cambiamento che il Movimento aveva intercettato e interpretato si sono oggi diretti, almeno in Emilia-Romagna, altrove. In buona misura è possibile e corretto sostenere che le sardine hanno saputo cogliere una parte di quella insoddisfazione soprattutto fra molti di coloro che, nell’ampio ambito della sinistra, erano preoccupati, scettici, sconfortati. Le sardine hanno ottenuto un buon successo di mobilitazione, ma adesso il compito diventa più difficile: come organizzare e mantenere la mobilitazione, quale struttura leggera, ma efficiente, costruire?

La mancata “spallata” salviniana e, più in generale, della destra, al governo è una buona notizia per il Presidente del Consiglio e per gli italiani che pensano che la stabilità politica è indispensabile per rimettere in moto l’economia e fare alcune importanti riforme. Con moderazione, il Partito Democratico e il suo segretario possono rallegrarsi senza, però, abbandonare l’arduo compito di costruire una struttura politica più aperta e più capace di includere le diversità della sinistra. Triste sembra, invece, il destino dei Cinque Stelle incapaci di bloccare le ingenti perdite verificatesi anche nel voto in Calabria. Ragionando, dovrebbero cercare di guadagnare tempo restando al governo, rivendicando le loro riforme nella speranza che l’elettorato torni da loro. L’Emilia-Romagna dice che il buongoverno può essere premiato.

Pubblicato AGL il 28 gennaio 2020

La partita elettorale in Emilia Romagna #Intervista @RadioRadicale

Intervista raccolta da Roberta Jannuzzi il 2 gennaio 2020
Durata: 7 min 41 sec

ASCOLTA

26 gennaio è la data del primo appuntamento elettorale del 2020.
In Calabria come in Emilia Romagna.
Ma è in quest’ultima regione che si gioca la partita più attesa.
Qui Matteo Salvini porta avanti la sua battaglia di carattere nazionale, la sinistra cerca di evitare una sconfitta storica, il movimento delle Sardine è comparso per la prima volta dando prova dell’esistenza di quell’Italia silenziosa alla quale, forse, si riferiva nel discorso di fine anno del presidente Mattarella.
Sette i candidati alla presidenza della regione Emilia-Romagna e 17 liste.
Contro il Governatore del Pd Stefano
 Bonaccini, Lucia Borgonzoni per il centrodestra, ma anche il candidato del M5S, Simone Benini, più quattro candidati di liste civiche, di sinistra o no-vax.
Ne parliamo con il professor Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università degli Studi di Bologna.

La leadership inadeguata di Di Maio sta costando moltissimo al Movimento 5 Stelle e molto al sistema politico

Il capo politico di quello che fu un grande Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, si è dimostrato palesemente inadeguato. Non guida più niente. La “base” vota in maniera difforme rispetto alle sue preferenze. Non sa quale strada intraprendere. L’astenersi dalle competizioni elettorali significa dichiarare la propria irrilevanza. Parteciparvi controvoglia e malamente produce disastri. Ahi, Emilia-Romagna, dolce paese…

È Di Maio che non ha mai creduto all’esperimento, anzi l’ha danneggiato, e dovrebbe dimettersi #Umbria2019

In un altro schieramento politico, un altro leader avrebbe subito rassegnato le dimissioni. Lo ha fatto persino Matteo Renzi

Una alleanza, forse soltanto una convergenza di timorosi sentimenti, non si costruisce frettolosamente. Se fatta come stato di necessità in chiave difensiva e non propositiva, con il capo del governo che se ne serve per criticare ancora, inutilmente e forse in maniera controproducente Salvini, non produce nessun frutto. Se, poi, per farla quella convergenza, bisogna scegliere una figura civica di nessun impatto come candidatura alla presidenza della Regione Umbria per “correre” contro una senatrice della Lega, già sindaco di un comune umbro, quindi, nota e rappresentativa del territorio, allora si delineano con precisione e si comprendono meglio le ragioni della meritata sconfitta dell’alleanza Cinque Stelle-Partito Democratico.

Il più sconfitto di tutti è il capo politico del Movimento. Infatti, Luigi Di Maio in quella alleanza, subito derubricata a “esperimento”, non ha mai creduto e in pratica con i suoi distinguo, le sue perplessità e la sua personale inadeguatezza l’ha profondamente danneggiata. Che gli elettori umbri, accorsi alle urne in una percentuale nettamente superiore a quella di cinque anni fa, lo abbiano punito, è solamente logico e giusto. Altrove, ovvero in un altro luogo e in un altro schieramento politico, un altro leader avrebbe subito rassegnato le dimissioni. Lo ha fatto persino Matteo Renzi. Invece, Di Maio è ancora lì e pensa di dettare condizioni per la prossima battaglia, molto più importante dell’Umbria, che si combatterà in Emilia-Romagna. Correranno da sole le Cinque Stelle?

Certo, dopo avere bollato il Partito Democratico come il Partito di Bibbiano, scandalo certo grave anche se in via di ridimensionamento e che, comunque, riguarda pochissimo la guida nazionale del PD, non sarà facile convincere i suoi elettori che con quel partito è imperativo fare un’alleanza per non lasciare campo aperto ad una scorribanda vincente della Lega. La sconfitta in Emilia-Romagna avrebbe inevitabilmente un impatto pesantissimo sul governo nazionale. Naturalmente, di errori politici significativi ne sono stati fatti anche dal Partito Democratico, da Dario Franceschini e dal segretario Nicola Zingaretti. Il primo ha esagerato a sponsorizzare molto prematuramente un’estensione dell’alleanza di governo nazionale a tutte le realtà locali. Il secondo non ha voluto, forse non ha saputo resistere a quell’affermazione né delineare una prospettiva più cauta e più meditata.

Ciò che mi pare palesemente in una crisi profonda per entrambi, M5S e PD, è la (in)cultura politica che dovrebbe sorreggere la loro proposta politica e la loro azione, al governo e all’opposizione. Il Partito Democratico ha preannunciato una Costituente delle idee di cui, però, sono poche le informazioni disponibili. Comunque, di idee dovrebbe discutere e non di proposte e di soluzioni ai problemi del governo. Le Cinque Stelle non possono pensare di cavarsela con la consultazione degli attivisti attraverso la Piattaforma Rousseau. Nessuna cultura politica può “passare” attraverso la rete. Deve essere iniziata con riflessioni variamente prodotte, anche dall’alto. Poi nutrita di confronti e comparazioni. Infine, delineata con chiarezza e diffusa capillarmente, anche per, eventualmente, riformularne alcuni elementi.

Sono tutte operazioni per le quali certamente Di Maio non ha finora mostrato nessuna consapevolezza e capacità. Al contrario, lui e altri nel gruppo dirigente mostrano fastidio per qualsiasi approfondimento che riguardi la cultura politica. Nel loro regno della post-ideologia non vi è spazio per discussioni concernenti il tessuto culturale che sostiene le democrazie parlamentari e che può consentirne/agevolarne il miglioramento. Al contrario, se ne vorrebbe un imprecisato superamento. Se correre da soli significa anche, forse inevitabilmente, il rifiuto del confronto “culturale” ne conseguirà un ripiegamento che nel migliore dei casi servirà a raccattare un pugno di voti per ritornare e restare all’opposizione. Senza cultura politica non sarà possibile nessun miglioramento della politica e della democrazia italiana. Tutti da discutere e chiarire, gli atteggiamenti e i comportamenti delle Cinque Stelle in Emilia-Romagna sono destinati a produrre conseguenze rilevanti di molti tipi. La situazione non appare affatto promettente.

Pubblicato il 28 ottobre 2019 su huffingtonpost.it

Una grande regione, una grande occasione #Emilia Romagna @rivistailmulino

Primum vincere deinde philosophari oppure primum philosophari deinde vincere? Se sia meglio dedicare tutte le proprie energie a conquistare una carica importante come quella di Presidente della Regione Emilia-Romagna e poi ragionare su cosa fare oppure se sia preferibile aprire un grande e approfondito dibattito sulla “filosofia” della politica, sui contenuti del riformismo, su che cosa debba e possa essere un partito del cambiamento nell’Italia sovranista? Già, perché il voto europeo del 26 maggio ha detto alto e forte, chiarissimo che in Italia i sovranisti (la Lega di Matteo Salvini e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ai quali si aggiungono alcuni esponente di sinistra e i loro cattivi maestri) costituiscono una ampia maggioranza e che l’alternativa è debole, scompaginata, confusa. Certo, qualcuno potrebbe sostenere che fare della filosofia in prossimità di elezioni dall’esito incerto è una perdita di tempo che rischia di essere decisiva. E’ facile replicare che trovare sedi, organizzare dibattiti, produrre confronti, distribuire documenti sulla cultura e sulla Weltanschauung del partito politico riformista è un modo importante anche di e per fare campagna elettorale. Tutto questo fervere (potenziale) di iniziative sarebbe anche in grado di attrarre l’attenzione di chi giustamente sente la politica politicata, centrata su persone e cariche, malamente raccontata dai commentatori, lontana  e sgradevole (ha ragione!). Bisognerebbe ovviamente anche fare circolare in tempo reale e in maniera gradevole e brillante su twitter, Facebook, Instagram, con una vasta gamma di App, quello che viene variamente prodotto nelle modalità tradizionali. Conosco l’obiezione che sostiene che la cattiva comunicazione è la conseguenza quasi inevitabile di contenuti mediocri, brutti e cattivi,  male pensati, non in grado di riflettere le condizioni di vita e i mondi vitali dei cittadini né di guardare al futuro in maniera empatica e originale. So, però, che qualche volta è possibile fare ottima comunicazione anche senza avere contenuti altrettanto buoni e che la comunicazione è di per sé un fattore politico di grande rilevanza anche autonoma.

Chi vuole semplicemente vincere può anche andare oltre quello che sto suggerendo, con una scrollata di spalle, magari senza accusarmi di elitismo (accusa di sapore populista) e, soprattutto, contro proponendo. Meglio sarebbe se la controproposta fosse argomentata con una narrazione convincente che non si compiaccia degli esiti positivi del passato, ma neppure delle vittorie elettorali in diverse città emiliano-romagnole, e non si arresti lì. Il passato recentissimo della Regione Emilia-Romagna parla di un tracollo della partecipazione elettorale nel novembre del 2014, di qualche lacrima di coccodrillo (al maschile e al femminile) e successivamente di nessuna riflessione seria sul fenomeno. Non merita la definizione di riflessione quello che è un wishful thinking di Zingaretti e dei suoi collaboratori che il PD crescerà a livello nazionale riconquistando gli astenuti. Qui si che è appropriato richiamare l’espressione vaste programme di uno dei grandi statisti europei del XX secolo, il sovranista Charles de Gaulle.  Dai dirigenti poIitici e dai militanti, che ci sono ancora, del PD è lecito aspettarsi e pretendere di conoscere in che modo gli astensionisti saranno raggiunti, persuasi e (ri)portati nell’alveo di un partito che non ha neppure ancora iniziato una qualsiasi riflessione sulle ragioni del suo declino.

A quello che fu il glorioso e pluripremiato partito riformista, nascosto sotto le spoglie del PCI e timoroso di essere preso come esempio nazionale, si chiede di cominciare a delineare proprio un partito del futuro, non di lotta e di governo, ma di elaborazione culturale concernente un sistema politico e sociale (all’economia riescono a pensarci alla grande i molti efficienti imprenditori emiliano-romagnoli) che offra opportunità in ogni momento della vita dei suoi cittadini e che premi i meriti. La buona amministrazione che, con molti sindaci e sindache, il Presidente della Regione Stefano Bonaccini può vantare, rischia di non essere sufficiente per ottenere un secondo mandato. Per questo è mia convinzione che debba essere delineato un futuro che non è la semplice prosecuzione del presente. “Filosofiamo” allora su una sinistra composita e plurale che disegni alleanze non all’insegna della protezione di posizioni acquisite, ma di rappresentanza e governo di preferenze e interessi che si sono diversificati e che tali rimarranno nel futuro prevedibile, che non si nasconda dietro liste civiche, ma rivendichi la sua politicità, che sia disposta e in grado di praticare nel suo ambito la democrazia anche nel dare accesso in maniera trasparente agli interessi di una pluralità di interlocutori, fra i quali, ovviamente, le associazioni del più vario tipo, e in Emilia-Romagna ce ne sono tantissime, che riconosca le competenze non soltanto quando rendono un servizio e coincidono con le preferenze e i pregiudizi dei dirigenti politici, ma proprio quando li mettono in questione e li sfidano senza nessun timore reverenziale.

Questa è la filosofia politica di  chi crede che l’innovazione scaturisce dal conflitto fra idee e persone (sento il dovere di aggiungere “portatrici di idee”) e che in Emilia-Romagna tutto questo è possibile a patto che idee e conflitti non vengano spazzati sotto il tappeto del conformismo al quale, ahiloro, ahitutti, molti nel PD hanno fatto largo e esiziale ricorso. Chi vince dopo avere filosofato avrà anche avuto la possibilità di capire quali delle sue proposte hanno conquistato maggiore consenso, quali sono inadeguate, quali sono da buttare e quali da perfezionare. Tutte le altre strade sono molto corte e non conducono a Roma. L’occasione, grande, è adesso, qui.

Pubblicato il 30 maggio 2019 su rivistalmulino.it

Un destino civico e baro

Un destino civico e baro ha travolto i candidati del Partito Democratico nei ballottaggi in Emilia-Romagna (e non solo). Raffinati analisti gongolano: tutti i comuni della Regione, ma anche quelli, per esempio, della vicina Toscana, sono diventati “contendibili”. Allegria! Non sarebbe, però, necessario che per onorare la contendibilità il PD perda tutti i ballottaggi. Comuni contendibili, ma qualche volta vincibili e vinti, questo dovrebbe bastare anche ai più esigenti degli analisti. Invece, a giudicare dalle reazioni dei dirigenti e degli aspiranti tali non sarà facile trovare una contendibilità vittoriosa. Sparando cifre sbagliate sulla votazione con la quale Renzi ha frettolosamente riconquistato la segreteria, comunque le più basse delle cinque elezioni finora svolte nel PD, i renziani dicono che il segretario nazionale non è in discussione (ma le cariche locali sì che le volevano “riallineate”). Magari, quando si perde alla grande, si dovrebbero mettere in discussione le idee e le politiche di quel segretario e le alternative proposte dai coraggiosi che non temono di essere sbeffeggiati e chiamati traditori. Chi non voglia rincorrere Merola che, anche in questo caso, ne ha dette di molte e rischia che qualcuno gli faccia il “tagliando” di metà mandato (no problem: sostituirlo proprio non si può), nota che le idee finora circolate sono poche e contraddittorie. Se sono i candidati civici che sconfiggono quelli del PD, bisogna sfidarli quei civici o cooptarli? “Aprirsi alla società”, come dice l’inarrivabile Via Rivani (citata dal Corriere di Bologna), però, “non con i civici”, sembra acrobatico. E se fossero state, da un lato, le inadeguatezze dei sindaci in carica e, dall’altro, le nuove candidature del PD a scoraggiare gli elettori, molti dei quali hanno ancora una volta preferito l’astensione? Non basta aprirsi alla società, escludendo i civici che, pure, qualche pezzettino di società sembrano in grado di raggiungerlo, mobilitarlo, rappresentarlo, bisogna, sostengono i sindaci della Romagna, che il PD sia “più radicale”. Quest’aggettivo l’abbiamo tutti già sentito. Qualche volta avremmo anche voluto che il contenuto di questa radicalità fosse spiegato. Più di sinistra? Su quali tematiche, con quali modalità? Combattendo l’antipolitica, a cominciare da quella che -rottamazione, poltrone, disintermediazione- il segretario Renzi agita di tanto in tanto?, dunque, facendo politica, ovviamente, sul “territorio” (meno tweet?), e mostrando la dignità di un impegno oppure risistemandosi nelle posizioni giuste per andare/tornare in Parlamento? Un destino, civico o no, tutto da costruire interloquendo con una società, contendibile, che dichiara con il suo voto di essere insoddisfatta del Partito Democratico di oggi.

Pubblicato il 2 luglio 2017

Gli illuminati e i “blindati”

Corriere di Bologna

C’era una volta un partito grande che con il suo alleato di medie dimensioni e con la cinghia di trasmissione sindacale guidava e, quando necessario, dominava la politica cittadina e regionale. C’erano anche gli imprenditori che facevano buon viso a un, neppur tanto cattivo, gioco che permetteva loro di conoscere le intenzioni e le politiche del partito grande, fiduciosi che agli annunci sarebbero seguiti i fatti. Il triangolo virtuoso “partiti al governo-sindacati-imprenditori” produsse frutti abbondanti anche distribuiti senza privilegi, con una modica dose di rapporti amicali. Gli imprenditori, lato politicamente debole del triangolo, sapevano fare il loro lavoro e, non godendo di accessi speciali e di favori, dovettero impegnarsi per sconfiggere la concorrenza con l’innovazione. Quando il partito grande, diventato quasi esclusivamente datore di lavoro per pochi politici di mestiere, si dimostrò non più in grado di garantire e guidare il patto per lo sviluppo, gli imprenditori presero atto. Dovevano proseguire da soli, per di più in un’Europa dalla libera circolazione di beni, servizi e persone, in un mondo globalizzato. La politica perse il posto di comando, rivelandosi provinciale, incapace di progettare, ripiegata su stessa a difesa dell’esistente che, per di più, si restringeva a causa della crisi. Gli imprenditori, anche con presidenze illuminate, come quella di Gaetano Maccaferri, continuarono nella ricerca di nuovi mercati e di nuovi orizzonti. Qualche volta guardavano anche alla politica locale che, in qualche modo, poteva servire offrendo infrastrutture migliori (aeroporto, ferrovie, fiera). Il Corriere economia e le pagine dedicate all’Emilia-Romagna registrano da tempo i successi imprenditoriali acquisiti senza bisogno della politica. Quando si cominciò a parlare di responsabilità sociale dell’impresa, in Emilia-Romagna già molti imprenditori se l’erano assunta senza clamore. Oggi, Bologna vanta, grazie all’opera di Isabella Seragnoli, una splendida Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia. A breve verrà inaugurato l’Opificio voluto e finanziato da Marino Golinelli. Né l’una né l’altro hanno avuto bisogno della politica locale. Nel frattempo, senza neppure rendersene conto, i politici bolognesi si concentrano sulle loro, non più luminose, prospettive di carriera. “Blindare” Merola, sindaco della città metropolitana non è operazione in grado di produrre entusiasmo. Dalla politica arriveranno anche idee e progetti oppure saranno ancora gli imprenditori bolognesi e emiliano-romagnoli a mostrarsi capaci di innovazione e di progresso? La seconda che ho scritto.

Pubblicato il 21 settembre 2015

Una lustratina alle stelle

Corriere di Bologna

Tutto (o quasi) cominciò, nel bene e nel male, qui: ingresso nel 2009 nel Consiglio Comunale di Bologna, affermazione imprevista e consistente nelle elezioni regionali del 2010, persino l’elezione al ballottaggio (meccanismo elettorale che dispensa notevoli opportunità politiche a candidati e soprattutto elettori) del sindaco di Parma. Anche il male, però, si manifestò presto: le prime, le seconde e anche le terze espulsioni di chi un po’ voleva troppa autonomia, ma anche di chi non aveva capito che Movimento fossero le 5 Stelle. D’altronde, un movimento con un non statuto, con un programma di protesta con poche proposte, tutte di critica della politica, aperto soltanto a chi non avesse precedenti esperienze politiche e ottenesse qualche decina di voti in selezioni “parlamentarie” in grado di mobilitare parenti e condomini, non garantiva affatto qualche omogeneità di vedute. Troppo occupati a vietare (anche le apparizioni televisive), sanzionare ed espellere, misure forse necessarie per tenere insieme gli eletti, Grillo e Casaleggio ci hanno messo un po’ di tempo a capire che sono necessari alcuni aggiustamenti. Nel frattempo, nonostante gli errori della leadership e le ingenuità e gli eccessi degli eletti, le persistenti inadeguatezze della politica italiana e dei suoi protagonisti continuano ad alimentare in tutta Italia, Emilia-Romagna compresa, quella striscia di antipolitica sulla quale il grillismo ha costruito la sua fortuna. Nella miseria del centro-destra e nell’irrequietezza di ampie fasce di elettorato non solo giovanile, si trova il terreno di coltura dei voti aggiuntivi che incrementano le percentuali delle disponibilità registrate nei sondaggi ad appoggiare le 5 Stelle. Adesso, però, Grillo e Casaleggio hanno deciso che: non vogliono correre il rischio di un reclutamento indiscriminato e di una selezione affidata a un pugno di votanti e non intendono essere costretti a perdere tempo cacciando chi è salito sul carro senza conoscere e senza condividere il percorso annunciato. Insomma, una restrizione ai procedimenti (neppure tanto democratici) di selezione attraverso la rete. Hai visto mai che, grazie al mal congegnato Italicum, le 5 Stelle approdassero al governo? Che un filtro preventivo garantisca il reclutamento di persone con qualche competenza nota e riconoscibile, con qualche esperienza politica che, come confermerebbero tutti i “cittadini” in parlamento, risulta utile anche come garanzia di tradurre le priorità in azioni parlamentari. Che la democrazia abbia insegnato qualcosa a Grillo e Casaleggio è un’ottima notizia. Il resto lo racconterà la, presumibilmente spumeggiante, “Oktoberfest” organizzata sotto il cielo di Imola.

Pubblicato il 3 settembre 2015