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Tag Archives: Gianni Cuperlo

L’Europa secondo Cuperlo: dove rimane qualcosa di dignitoso @fattoquotidiano @giannicuperlo #RinascimentoEuropeo @ilSaggiatoreEd

Va preso alla lettera il sottotitolo del libro di Gianni Cuperlo, Rinascimento europeo (Milano, ilSaggiatore 2022). L’autore ha voluto scrivere “il libro dell’Europa che siamo stati, che siamo e che dobbiamo diventare”. Lo ha fatto in maniera elegante e accattivante, talvolta eccedendo nel brio della scrittura, sempre offrendo materiale e interpretazioni degne di essere discusse. La mia premessa è che l’Europa qui e ora, vale a dire l’Unione Europea, è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. Riduttivamente, Cuperlo afferma che è lo spazio “dove la vita di milioni di noi resta qualcosa di dignitoso” (19). Porrei l’accento sulle opportunità che la UE, anche in tempi di crisi economica e sanitaria, ha saputo offrire agli europei, e continuerà a farlo. Condivido appieno l’osservazione del grande storico francese delle Annales, Lucien Febvre, sintetizzata da Cuperlo: “L’Europa è una civiltà. E niente sulla terra è più in movimento di una civiltà” (41). Dunque, l’Europa non è una “utopia” poiché ha un luogo. Non è una mera espressione geografica poiché è fatta di cultura condivisa. Non è neppure un sogno poiché la sua esistenza è facilmente accertabile. La migliore definizione è che l’Europa, come fermamente volle Altiero Spinelli, con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, è un progetto politico: unificazione federale di Stati altrimenti bellicosi.

   Il libro di Cuperlo non può ovviamente tenere conto dell’aggressione russa all’Ucraina né questo recensore può trattare il fatto in poche righe. Credo, però, legittimo ritenere che se l’Ucraina fosse stata un paese membro dell’Unione Europea, la Russia di Putin non l’avrebbe attaccata. Nel suo ambito l’Unione Europea, nata per porre fine ai conflitti Francia/Germania, ha garantito la pace, offrendo anche nel corso del tempo prosperità. Qualsiasi civiltà in movimento deve affrontare problemi. Cuperlo non li sottace, ma li analizza con critiche ai comportamenti passati e soluzioni per le sfide presenti e future. L’obiettivo dichiarato è “abbattere la povertà”. Altrove, però, si esprime a favore della “difesa del continente politico” con “una lotta senza quartiere alle disuguaglianze” (184). I due obiettivi, strettamente collegati, non stanno in contraddizione. Semmai, sono le ricette per l’abbattimento che divergono. Per i liberisti soltanto un mercato totalmente aperto, “deregolamentato”, davvero e sempre competitivo potrebbe abbattere la povertà, fermo restando che chi rimarrà povero lo sarà per colpa sua.

   Cuperlo trae la sua proposta di soluzione dai keynesiani, post-keynesiani, neo-keynesiani: “una cura massiccia di welfare, nel senso di risorse aggiuntive per via fiscale” (123), combinando “lo sviluppo delle forze del mercato con le tutele sociali in capo a un’autorità espressa dalla sovranità del popolo” (144). Qui, inevitabilmente, fa la sua comparsa l’Europa politica, vale a dire le istituzioni dell’UE, la loro legittimità, funzionalità, democraticità. L’autore sembra talvolta propendere dalla parte di coloro che denunciano un, per me inesistente, deficit di democrazia nell’Unione e ne chiede una riformulazione “dove sulla frontiera dei diritti umani, a partire da quelli delle donne, si imbastisca la prossima stagione della nostra civiltà” (31), e dell’Unione stessa “da rifondare nella visione e anche nei trattati” (133). Più volte in più luoghi per quasi tutti i problemi l’autore chiama in causa il suo campo (largo?): la sinistra. Degna del suo nome, la sinistra dovrebbe impegnarsi in “pratiche redistributive”, costruire un “impianto di società”, formulare “un altro modo pensare” anche perché “l’Europa ha sete di una lingua dei fini” (197). Pur personalmente più preoccupato dai mezzi, concludo che Cuperlo ha scritto un racconto utilissimo, anche quando non condivisibile, impegnativo e di affascinante lettura.

Pubblicato il 12 marzo 2022 su Il Fatto Quotidiano

VIDEO Il gatto del Cheshire e le idee politiche nell’Italia repubblicana #Bologna Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio #LibertàInutile @UtetLibri con @DCampus e @giannicuperlo

23 Novembre 2021 ore 17
Sala dello Stabat Mater
Biblioteca comunale dell’Archiginnasio
Piazza Galvani, 1 – Bologna

Il gatto del Cheshire e le idee politiche nell’Italia repubblicana

Presentazione del libro di

 Gianfranco Pasquino Libertà inutile Profilo ideologico dell’Italia repubblicana (Ed. Utet)

con Donatella Campus e Gianni Cuperlo

Coordina Nicola Pedrazzi

Gianfranco Pasquino espone con accuratezza e analizza le idee e le culture politiche dell’Italia repubblicana. Le sottopone a serrata critica attraverso una rigorosa valutazione di quanto detto, fatto e scritto dai politici e dagli studiosi, storici, filosofi, politologi. Ne scaturisce una domanda inquietante: quella libertà conquistata con sangue e fatica con la guerra di Liberazione nazionale, difesa nella Guerra Fredda, ampliata con la caduta del Muro di Berlino è risultata forse per gli italiani una libertà male utilizzata, una Libertà inutile?

Ingresso libero fino a esaurimento dei posti a sedere. Obbligatori green pass e mascherina

Evento organizzato in collaborazione con La Società di Lettura

Il gatto del Cheshire e le idee politiche nell’Italia repubblicana #23novembre #Bologna #Archiginnasio Presentazione di #LibertàInutile @UtetLibri con @DCampus e @giannicuperlo

23 Novembre 2021 ore 17
Sala dello Stabat Mater
Biblioteca comunale dell’Archiginnasio
Piazza Galvani, 1 – Bologna

Il gatto del Cheshire e le idee politiche nell’Italia repubblicana

Presentazione del libro di

 Gianfranco Pasquino Libertà inutile Profilo ideologico dell’Italia repubblicana (Ed. Utet)

con Donatella Campus e Gianni Cuperlo

Coordina Nicola Pedrazzi

Gianfranco Pasquino espone con accuratezza e analizza le idee e le culture politiche dell’Italia repubblicana. Le sottopone a serrata critica attraverso una rigorosa valutazione di quanto detto, fatto e scritto dai politici e dagli studiosi, storici, filosofi, politologi. Ne scaturisce una domanda inquietante: quella libertà conquistata con sangue e fatica con la guerra di Liberazione nazionale, difesa nella Guerra Fredda, ampliata con la caduta del Muro di Berlino è risultata forse per gli italiani una libertà male utilizzata, una Libertà inutile?

Ingresso libero fino a esaurimento dei posti a sedere. Obbligatori green pass e mascherina

Evento organizzato in collaborazione con La Società di Lettura

VIDEO “La democrazia come ideale e come fatto”

Riprese audio e video a cura di Radio Radicale
Roma, 8 gennaio 2020
Sala Conferenze del Partito Democratico


Sono intervenuti nell’ordine:
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università degli Studi di Bologna, Accademia dei Lincei
Gianni Cuperlo, membro della Direzione Nazionale, Partito Democratico
Claudia Mancina, professoressa associata di Etica alla Sapienza Università di Roma
Giacomo Marramao, professore emerito di Filosofia politica e Filosofia teoretica dell’Università degli Studi Roma Tre
Dario Franceschini, ministro dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, Partito Democratico
Tra gli argomenti discussi: Crisi, Democrazia, Economia, Globalizzazione, Liberalismo, Mercato, Politica, Società.
La registrazione video di questo convegno ha una durata di 1 ora e 32 minuti.

Tavola rotonda a partire da ParadoXa 3-2019

Democrazie Fake
a cura di Gianfranco Pasquino

La democrazia come ideale e come fatto

La democrazia come ideale e come fatto #TavolaRotonda #Roma #8gennaio

8 gennaio 2020, ore 17
Sala del Nazareno
via Sant'Andrea delle Fratte 16
Roma

a partire da ParadoXa 3-2019

Democrazie Fake
a cura di Gianfranco Pasquino

Tavola rotonda

La democrazia come ideale e come fatto

Gianni Cuperlo
Dario Franceschini
Claudia Mancina
Giacomo Marramao
Gianfranco Pasquino

La cultura politica oltre l’ostacolo PD

Se fossi solo interessato alle sorti del Partito Democratico, questo post non dovrebbe essere pubblicato, L’ho scritto perché vorrei una società davvero civile che esprima una politica decente entrambe conseguibili soltanto se si trasforma sostanzialmente quella che è rimasta, seppure con problemi gravissimi, l’unica organizzazione simile ad un partito. Ma, in quanto tale, è fallita. Ne propongo un superamento totale

Già, caro Gianni Cuperlo, come si costruisce “un’alternativa alla destra di oggi” (e di domani e dopodomani)? Alla destra italiana, quella famosa che sta dentro di noi e che non debelliamo mai perché, da un lato, preferiamo non parlarne oppure minimizzarne le implicazioni e conseguenze, dall’altro, perché fino ad oggi non è stata costruita una cultura politica liberale e democratica. Certo, nel secondo dopoguerra non c’è mai stato tempo peggiore di adesso per tentare di dare vita e linfa a una cultura politica che in Italia è sempre stata fortemente minoritaria. Tuttavia, nel male contemporaneo, è proprio spiegando perché i populisti e i sovranisti non sono mai parte della soluzione, ma gran parte del problema, che diventa possibile formulare una variante di cultura politica liberale e democratica. E, allora, sarò drastico, per una molteplicità di ragioni, il Partito Democratico, come è stato costruito, come ha funzionato, per come è diventato costituisce forse l’ostacolo più alto alla elaborazione di una cultura liberal-democratica. Non posso/possiamo aspettarci nessuna riflessione su quella cultura dalle rimanenze di Forza Italia e di tutti coloro che sono caduti nella trappola di una improponibile “rivoluzione liberale” condotta dal duopolista Berlusconi in palese irrisolvibile conflitto di interessi. Mi auguro che un giorno, qualcuno, non chi scrive, farà un dettagliato elenco dei molti opinionisti che hanno fatto credito, interessato, al liberalismo immaginario di Berlusconi. Se l’antifascismo da solo non è democrazia, l’anticomunismo da solo non è liberalismo.

A che punto siete voi Democratici con la elaborazione di una cultura politica decente? Quando è stata l’ultima volta che di questo avete discusso, dei principi culturali a fondamento del PD: in una Direzione e in un’Assemblea del partito, nel corso dell’approvazione delle riforme costituzionali, che, ma proprio non dovrei dirvelo, non possono non avere una superiore cultura politica di riferimento (soprattutto, per chi crede, sbagliando, che la Costituzione italiana sia un documento “catto-comunista”), durante la maldestra difesa di quelle riforme condotta all’insegna di mediocri varianti di motivazioni neo-liberali e decisioniste, di una bruciante sconfitta elettorale? Non ho sentito nessuna parola in proposito nell’ultima campagna per l’elezione del segretario del partito. Già, Zingaretti non è un intellettuale, ma un minimo di consulto con professoroni e professorini potrebbe servirgli oppure gli ideologi del Partito Democratico sono diventati il neo europarlamentare Carlo Calenda e il senatore di Bologna Pierferdinando Casini? Non dovrebbe qualcun preoccuparsi anche del silenzio degli Ulivisti, da Romano Prodi a Arturo Parisi, i quali, peraltro, hanno avallato tutte, ma proprio tutte le decisioni di Renzi le cui personali vette culturali sono state attinte da due parole chiarissime: rottamazione e disintermediazione.

Ho esplorato la letteratura disponibile riguardo le culture politiche democratiche e riformiste finendo per constatare che quei due termini proprio non hanno fatto la loro comparsa, mai, neppure nei più aspri, e sono stati tanti, momenti di confronto e scontro all’interno dei partiti di sinistra. Senza nessuna sorpresa ho anche notato –non scoperto poiché già da sempre sta nel mio bagaglio di professore di scienza politica– che, da Tocqueville e John Stuart Mill, ma si potrebbe tornare anche a Locke (chi erano costoro?), democrazia è mediazione, lasciando la disintermediazione alle pratiche autoritarie e totalitarie (ne ho ricevuto immediata conferma da George Orwell).

Allora, caro Gianni Cuperlo, dobbiamo davvero aspettare che il bambino di Andersen si metta a gridare che il re (il Partito Democratico) è nudo (privo di qualsiasi rifermento culturale) e, aggiungo subito, anche bruttino assai. Acquisita questa consapevolezza, peraltro, già molto diffusa, lasciamo che il PD imploda oppure che si disperda sul territorio confrontandosi senza rete e senza arroganza (per molti piddini questa richiesta non sarà facile da soddisfare) con tutte quelle organizzazioni sociali, professionali, culturali e persino politiche che ritengono che alla egemonia della destra è possibile contrapporre una cultura politica democratica (Bobbio avrebbe aggiunto “mite”) che rimette insieme le sparse membra del liberalismo dei diritti e delle istituzioni con il riconoscimento del potere del popolo, meglio, dei cittadini e dei loro doveri. Caro Cuperlo, sarò molto interessato ad una tua iniziativa in materia. Non posso neppure escludere a priori di parteciparvi.

Pubblicato il 1 luglio 2019 su PARADOXAforum

Post-millennials e futuro della politica #Introduzione a “Giovani e futuro della politica. Oltre il disincanto”

A cura di Gianfranco Pasquino

Paradoxa, ANNO XII – Numero 4 – Ottobre/Dicembre 2018

 

indice del fascicolo

Post-millennials e futuro della politica

Introduzione  di Gianfranco Pasquino

Interrogarsi sui giovani è, logicamente e inevitabilmente, interrogarsi sul futuro: sul loro, ma anche su quello che rimane del nostro. È cercare di capire che cosa diventerà l’Italia e che cosa ne sarà dell’Europa. È cercare di capire quali modelli hanno i giovani, quali prospettive perseguono, quali valori ispirano i loro comportamenti. Gli articoli di questo fascicolo cercano in particolare di capire, dall’angolo visuale della “formazione”, come i giovani, spesso criticati per le loro mancanze e il loro distacco, si rapportano alla politica. Come vi sono arrivati, se vi pervengono effettivamente, quali novità è possibile riscontrare nel loro percorso, se tale può essere definito il tragitto attraverso il quale acquisiscono la consapevolezza che la politica conta per loro anche contro di loro, le loro preferenze, la loro disponibilità, se qualcosa si è rotto nella trasmissione di interesse e di informazione dalle “vecchie” generazioni a quelle attuali.

È opinione diffusa, e non intendiamo smentirla, che, almeno superficialmente, ma per percentuali molto elevate di giovani, la politica, passiva (quella che si riceve) e attiva (quella che si fa) riscuota un’attrattività decisamente scarsa, comunque inferiore a quella della media della Repubblica. Chi scrive pensa che, anche per lui, la politica com’è fatta in Italia da qualche decennio, meriti di essere tenuta a distanza, ma, qui sta una differenza verticale, per osservarla, studiarla e valutarla meglio. Forse, però, la distanza dei giovani dalla politica non dipende soltanto e neppure principalmente dalla sua scarsa attrattività, ma essenzialmente da qualcosa che, persino in Italia, è andato perduto, vale a dire dalla mancanza di sedi e di luoghi di discussione e di formazione politica. Per quanto giustamente criticati, i partiti italiani avevano in modalità diverse offerto notevoli occasioni di incontri e di formazione politica a centinaia di migliaia di giovani (anche a quelli del Sessantotto). Potremmo discutere della qualità di quella formazione politica, ma non della sua esistenza, non della sua diffusione, non, aggiungo, del fatto che conteneva anche aspetti positivi fra i quali includerei quello di interazioni non banali e non sterili fra giovani di estrazione e di status diversi.

Non intendo idealizzare nessun passato, meno che mai il Sessantotto, che merita di essere richiamato esclusivamente perché per molti giovani rappresentò un’esperienza politica formativa, ma certamente criticabile, l’ho fatto altrove, da molti altri punti di vista. Anzi, sono giunto a pensare che il surplus di politica di quegli anni ha avuto come conseguenza un surplus di riflusso per molti di quei giovani diventati padri e madri, nonne e nonni dei millennials, i quali non hanno poi sentito parlare di politica dai loro parenti più stretti. Il rapporto surplus/exit è una chiave interpretativa plausibile. Altra chiave, forse in grado di aprire una porta teorica e conoscitiva più ampia, è quella della trasformazione della società e della democrazia prima e più che della trasformazione, che c’è stata e continua, della politica.

Se fossi un giovane oggi da quali canali di informazione e di “formazione” trarrei lo stimolo a interessarmi alla politica, a partecipare ad attività politiche, addirittura a impegnarmi politicamente? Rivolgo grato la memoria, prima, al mio professore di Storia e Filosofia del Liceo Cavour di Torino, poi a quello straordinario corpo di docenti dell’allora Corso di Laurea in Scienze Politiche di Torino, irripetibile nelle qualità dei singoli, delle loro esperienze di vita, del loro insegnamento (anche con lo stile), della cultura politica diffusa nella città di Gobetti e Gramsci. Poi torno, non con i piedi, ma con la testa in terra, per riflettere. Lo fanno, anche loro sulla base di esperienze personali e competenze scientifiche, i collaboratori di questo fascicolo. Ne concludo drasticamente, perché troppi distinguo (in molti casi dalla indubbia valenza ipocrita che credo scoraggiante per i giovani) non giovano né alla diagnosi né alla prognosi, che purtroppo, la politica di oggi, non solo, ma soprattutto in Italia, è proprio la logica conseguenza di una cattiva, se non sostanzialmente inesistente, formazione in termini di conoscenze, di atteggiamenti, di (non evasione delle) responsabilità. Non intendo assumermi nessuna responsabilità personale né addossarla a tutta la mia generazione. Semmai responsabili sono le generazioni successive che hanno distrutto la “vecchia” politica senza sapere costruirne una nuova e migliore. Ho fatto (e continuo a fare) tutto il possibile per spiegare la politica, per praticarla (a molti livelli), per predicarla. Più il tempo passa più mi rendo conto che rimane molto da fare, ma per riuscire a tras/formare la politica mi sembra indispensabile conoscere chi avrà, se lo vorrà, il compito di pensare al suo ruolo e alla trasformazione che desidera, per l’appunto, i giovani.

 

È possibile immaginare un altro PD

Detto che Maurizio Martina è diventato il settimo segretario del Partito Democratico dal 2007 e detto che il due volte ex-segretario Renzi ha fatto un intervento rancoroso tutto rivolto al passato minacciando un futuro vendicativo, che cosa si può e si deve aggiungere a quanto avvenuto nell’Assemblea del PD? Una sola, vera decisione è stata presa: il prossimo segretario sarà eletto nel febbraio 2019. Saranno gli iscritti e i simpatizzanti a scegliere fra, sembra, almeno tre candidati: lo stesso Martina, il governatore del Lazio Zingaretti, forse un renziano a tenere alta la bandiera delle battaglie perse e di un partito che non ha funzionato. Nell’Assemblea è mancata, ma dovrà pur emergere nel corso della campagna per l’elezione del prossimo segretario, una riflessione su due punti qualificanti: che tipo di partito, che tipo di opposizione. Martina ha indicato quattro elementi indispensabili: idee, persone, strumenti, progetti. Nessuno è entrato nei dettagli, ma è stato facile riscontrare una battaglia fra persone tutta all’interno del partito, con Renzi in testa a criticare il falso nueve Gentiloni, da lui incoronato, ma al quale spesso proprio lui non ha passato il pallone; l’ex-capogruppo al Senato Luigi Zanda; l’ex-capo della minoranza interna Gianni Cuperlo. È stata, in troppo larga misura, una resa dei conti che non serve in nessun modo a ristrutturare il partito. Martina ha almeno sottolineato che un partito di sinistra -ma vogliono il PD e i suoi elettori costruire un partito effettivamente di sinistra?-deve preoccuparsi delle diseguaglianze. Nessuno ha detto, però, con quali idee, con quali persone, con quali strumenti, con quale progetto. Per dirla in politichese, sul territorio il Partito Democratico è presente a macchioline di leopardo. Qualcuno, le Cinque Stelle e la Lega, l’hanno, per richiamare un infausto detto di Bersani, ampiamente smacchiato. Sul territorio si riproducono quasi le stesse divisioni personalistiche del centro, con qualche eccezione di donne e uomini ambiziosi e manovrieri che hanno abbandonato lo schieramento renziano. Nessuno ha parlato di cultura politica che, oramai svelatasi totalmente fallita la contaminazione fra pallide e esangui culture riformiste del passato, dovrebbe scaturire, almeno in parte, dalle riflessioni di intellettuali sbeffeggiati dai renziani e certamente non ascoltati e meno che mai “corteggiati” dagli oppositori interni. Nessuno, infine, ha detto che una cultura politica può trovare modo di formarsi e di esprimersi proprio nel fuoco di una sana battaglia parlamentare di opposizione. È nel “respingimento” dei disegni di legge improntati a repressione, populismo, anti-politica, anti-parlamentarismo e, nient’affatto, per ultimo, da anti-europeismo, che un partito di sinistra deve cercare di ridefinire la sua cultura per sé, per i suoi quadri, i suoi dirigenti, i suoi parlamentari e, persino, ma qui sta la funzione nazionale di quel partito, per l’elettorato. Non sarebbe poco.

Pubblicato AGL 10 luglio 2018

Pasquino: «Critelli dovrebbe dimettersi» @InCronaca #Bologna

Intervista al politologo sul caos nel Pd bolognese e nazionale raccolta da Valerio Castrignano

Sono giorni complicati per il Pd bolognese. Il partito a livello locale sembra ostaggio di una battaglia interna. Dopo le elezioni sembrano essersi risvegliate le ferite lasciate sulla pelle del partito dal congresso più difficile e divisivo della storia. Diciannove segretari di circolo chiedono le dimissioni del segretario federale Francesco Critelli, la cui carica di parlamentare è incompatibile (secondo lo statuto) con quella di numero uno del Pd bolognese. Il presidente del Quartiere Navile Daniele Ara chiede si apra il dibattito su cosa fare per rilanciare i dem a Bologna. Intanto in consiglio comunale frizione tra le figure più vicine a Critelli e il resto della maggioranza che sostiene Virginio Merola. Tanta confusione dunque. Per fare chiarezza abbiamo deciso di intervistare il politologo bolognese Gianfranco Pasquino.

Professore, cosa ne pensa della polemica su Critelli?

«Prima di tutto, chi decide di andare in parlamento non deve presentare la sua candidatura a segretario. Dopo un congresso così lungo e difficile Critelli doveva rinunciare a una candidatura in parlamento. Poi c’è un problema statutario, che prevede l’incompatibilità tra le due cariche che sta ricoprendo. Quindi Critelli il giorno dopo l’elezione in parlamento doveva dimettersi almeno da segretario della federazione. Poi c’è il partito che è in una situazione disastrata».

La situazione giustifica un aggettivo tanto forte?

«Il partito non dialoga più con la città. Non sta facendo un discorso su cosa è oggi il Pd, cosa dovrebbe essere, perché sono stati persi voti nelle ultime elezioni. Il partito è staccato dal territorio».

Quindi le domande poste ieri da Daniele Ara: “siamo ancora un partito?”“abbiamo una guida?”“Che idea abbiamo della città?”, erano giuste?

«Se erano domande retoriche, sta dicendo che il partito non sta facendo quel che deve fare, cosa che io dico da anni. Ma oltre alla situazione attuale, bisogna riflettere sul peccato originale, su come è stato costruito questo partito, con un’amalgama non ben riuscita e forse neanche pensata, problema che aveva posto D’Alema».

Quindi ci vorrebbe una classe dirigente che si occupi più del territorio?

«Ci vorrebbe una classe dirigente sul territorio che faccia funzionare il partito. Questa invece sembra non avere nulla da dire. E la colpa non è solo dei dirigenti, la base e gli elettori si sono fatti andare bene di tutto in questi anni da Cofferati a Delbono. Quindi la responsabilità è anche loro».

Di Critelli fa discutere anche la nuova linea a cui ha aderito a Roma. Al congresso locale è stato il candidato meno renziano, oggi sposa invece la linea dell’ex segretario…

«Probabilmente sta pensando alla sua rielezione. Presto si tornerà a votare forse, Renzi sarà ancora l’uomo forte del partito e per farsi ricandidare bisogna sposare quella linea. Anche Andrea De Maria adesso è renziano, ma lui non la pensa come l’ex segretario. De Maria è su quella linea per ragioni di mero opportunismo. Lui era più vicino a Cuperlo che a Renzi. Le uniche che stanno dicendo le cose come stanno sono le ex onorevoli Sandra Zampa e Francesca Puglisi. Questo avvicinamento a Renzi è trasformismo politico. Ormai però fa parte del Partito Democratico di Bologna questo trasformismo, hanno candidato Casini… E vorrei sottolineare che l’oppositore di Critelli al Congresso, Luca Rizzo Nervo, non sta facendo opposizione all’attuale segretario sul territorio, anche lui è finito al parlamento. Nessuno si sta occupando del partito, pensano tutti alla carriera personale».

Merola ieri in direzione nazionale ha fatto un intervento molto forte contro Renzi…

«Ieri in direzione nazionale c’è stato un voto all’unanimità. Chi non la pensava come Renzi si è nascosto, perché aveva paura di perdere. Ma proprio dalle sconfitte spesso nasce il rinnovamento. Merola invece non riesco più a seguirlo, cambia troppo spesso idea».

Pensa che nel Pd si stia preparando un’altra scissione?

«Non conosco il futuro. Mi hanno deluso anche i primi scissionisti, quelli che hanno dato vita a “Mdp-articolo 1” e poi a “Liberi e Uguali”. Sono usciti dal partito malamente, sarebbero dovuti uscire su tematiche più importanti. Infatti hanno fatto una figura mediocre alle elezioni».

Chi potrebbe sostituirsi a Critelli oggi?

«Qualcuno che si alza e dice: “Io vorrei costruire un partito in questo modo”. Qualcuno che abbia il coraggio di dire cosa vuole fare e quali prospettive, quali orizzonti dovrebbe avere il Pd. Io non vedo nessuno in grado di fare questo».

Quale destino vede dunque per il Pd di Bologna?

«Se non si riforma, andrà incontro a qualche sconfitta. L’Emilia ormai è contendibile…»

Pubblicato il 4 maggio 2018 su InCronaca Testata del Master in Giornalismo MaGiBo

La spirale del Partito di Renzi

Dopo l’esito, qualunque sarà, del referendum, il compito principale degli schieramenti avversi consisterà nel riunificare il paese. Dovrà farlo soprattutto chi ha più potere politico. Non si dovrà, politicamente, per il bene dell’Italia, e neppure si potrà, tecnicamente, andare a elezioni subito poiché non c’è ancora la legge elettorale. L’accordo sulla revisione dell’Italicum (fino a poche settimane fa, “legge che”, secondo Renzi, “tutta l’Europa ci invidia”) solo “tatticamente” raggiunto nella Commissione apposita del PD, al quale Cuperlo, esponente della minoranza, ha dato un suo, non del tutto spiegabile, consenso, è noto esclusivamente nelle sue linee generali. Non è accertabile nei dettagli dove, di solito, sta il diavolo, ma si trovano anche oscurità, inconvenienti, pasticci dei più vari generi. Forse gli esponenti renziani in quella Commissione miravano a spaccare le minoranze del PD. Probabilmente, non ci sono riusciti poiché, in sostanza, la defezione di Cuperlo sembra del tutto personale.

Quello che è certo è che, alla Leopolda, incitati dai toni guerreschi di Matteo Renzi, una maggioranza dei presenti ha espresso la sua vociante preferenza: “Fuori, fuori”, e non è stata silenziata da Renzi. E’ un segnale bruttissimo del clima di intolleranza che si sta diffondendo nel PD nei confronti di coloro che non condividono la sostanza delle riforme costituzionali e neppure le modalità della campagna referendaria di tipo plebiscitario condotta da Renzi. Certamente, alle minoranze è giusto ricordare che quelle riforme costituzionali loro le hanno approvate. E’ ancora più giusto sottolineare la loro incoerenza e, persino, la dichiarata esplicita propensione a scambiare la riforma elettorale, una legge ordinaria, con il Si a riforme costituzionali, “leggi sopra le leggi”. Tuttavia, la disciplina di partito non dovrebbe mai essere invocata su nessuna legge di revisione costituzionale, da valutare nel merito, in scienza, ovvero sulla base delle conoscenze e conseguenze, e in coscienza. Tutto questo è stato travolto dalla brutta esibizione di iscritti al PD che esprimono la loro volontà di risolvere i conflitti e i dissensi interni, non con la discussione e con il compromesso, ma con l’espulsione dei dissenzienti.

Con parecchio ritardo, solo alcuni fra i commentatori, nient’affatto unanimemente, hanno affermato che il compito preminente di un leader di partito consiste soprattutto nel tenere unito il suo partito e, solo una volta conseguito questo obiettivo, nel cercare di ampliarlo. Renzi ha più volte detto che va alla ricerca dei voti di destra per vincere il referendum. Nel frattempo, in parlamento, non pochi parlamentari del centro-destra gli hanno già, ripetutamente, dato una mano, vale a dire, voti risultati decisivi. Logicamente, attendono di essere ricompensati. Questo slittamento parlamentare del PD configura e prefigura la nascita del Partito della Nazione, stabilmente collocato al centro, gonfiato dai seggi del premio di maggioranza, in grado di governare da solo? Quella che è l’aspirazione di non pochi renziani, ma è anche la preoccupazione di molti oppositori, interni e esterni, dipende non soltanto da un’eventuale, al momento improbabile, vittoria del sì al referendum, ma anche da come l’Italicum verrà riformato.

Alla fine della ballata referendaria, rimarrà aperto, forse addirittura esacerbato, il problema della gestione del Partito Democratico. Troppo spesso si ha la sensazione che il segretario del PD, più degli altri, non abbia consapevolezza delle conseguenze negative se il suo Partito, praticamente l’unico che può ancora definirsi tale, entrerà nella devastante spirale della scissione/espulsione.

Pubblicato AGL 9 novembre 2016