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Le due anime dell’America #Presidenziali2020 @C_dellaCultura

Molto probabilmente Trump non sarà rieletto il 3 novembre. Quasi sicuramente otterrà molti meno voti di Biden. Già Hillary Clinton conquistò tre milioni di voti più di lui. Trump ha già annunciato che tenterà comunque di mettere in questione l’esito del voto senza curarsi delle gravi conseguenze che il suo tentativo potrà avere per la democrazia USA. Lo farà nella convinzione che, se dovesse essere chiamata in causa, la Corte Suprema troverà il modo di dargli ragione come nel dicembre del 2000 quando con 5 voti dei giudici nominati dai repubblicani a 4 consegnò la Presidenza a George Bush e non al democratico Al Gore. Quel voto cambiò la storia del mondo, a cominciare da quella dell’Iraq.

Per un insieme di circostanze e di convenienze la Corte Suprema è diventata una protagonista assoluta nella politica della Repubblica presidenziale USA. Nei suoi quattro anni alla Casa Bianca Trump ha goduto della opportunità inusitata di riuscire a nominare addirittura tre giudici e di vederli rapidamente confermati dalla maggioranza repubblicana al Senato. Anticipo il verdetto positivo su Amy Coney Barrett (nella speranza di essere smentito) con la cui probabile conferma la Corte sarà composta da sei giudici nominati dai repubblicani e tre dai progressisti. È interessante sottolineare che cinque di quei giudici sono stati sponsorizzati dalla potente associazione conservatrice “The Federalist Society” che sostiene un’interpretazione “letterale” della Costituzione come fu scritta senza nessun riguardo per tempi e luoghi notevolmente cambiati a fronte di coloro che rivendicano la necessità di tenere conto delle trasformazioni sociali, culturali, di sensibilità intervenute nei secoli.

   Poiché I giudici rimangono in carica a vita, Trump ha la garanzia che per i prossimi trent’annni la maggioranza non cambierà. Infatti, i giudici da lui nominati che hanno rispettivamente Gorsuch 53 anni, Kavanaugh 55 e Barrett 48 non lasceranno certamente la loro carica. Potranno procedere all’abolizione totale, imperiosa richiesta, finora frustrata, dei repubblicani, della riforma sanitaria di Obama. Potranno anche restringere ulteriormente i criteri per consentire l’interruzione della gravidanza. Sono entrambe tematiche importantissime sulle quali Coney Barrett è stata oltremodo elusiva nelle sue audizioni al Senato. Certamente, “i giudici di Trump” non si preoccuperanno in nessun modo di garantire il diritto al voto che la maggioranza delle 35 assemblee legislative degli Stati controllati dai repubblicani manipolano e fortemente limitano. I mass media USA scrivono addirittura di voter suppression. Sono trucchi e talvolta veri e propri brogli che qualsiasi Commissione elettorale dichiarerebbe illegali.

Insomma, quello che non ha potuto/saputo fare la politica (di Trump) la Corte Suprema riuscirebbe a conseguire anche in tempi relativamente brevi. Questa regressione culturale e sociale è molto temuta dai Democratici i quali sono del tutto consapevoli che al loro eventuale Presidente non spetterà nessuna nomina per molti anni. Pertanto, la Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi ha già reso pubblica l’intenzione di aumentare il numero dei giudici della Corte Suprema portandolo da 9 a 11. In questo modo, l’eventuale probabile presidente avrà la possibilità di nominare subito due giudici. I democratici vorrebbero anche ridurre la durata della carica a diciotto anni, Tutto questo è giuridicamente accettabile poiché numero dei giudici e la loro durata non sono inscritti nella Costituzione, ma si trovano in un legge approvata circa un secolo fa dal Congresso e che, quindi, dal Congresso può essere riformulata. Politicamente, però, i Democratici hanno assoluto bisogno di conquistare la maggioranza al Senato. Anche per questa ragione, le elezioni del 3 novembre, nelle quali si rinnoverà un terzo dei senatori (35) sono particolarmente importanti, sostanzialmente cruciali per la qualità della democrazia USA.

In maniera che qualcuno considera esagerata, si diffonde l’idea che in questa elezione presidenziale sia in palio l’anima dell’America: Da una parte i suprematisti bianchi, i Proud Boys con le loro armi e le loro propensioni razziste, coloro per i quali la grandezza dell’America sta nel suo contrapporsi alla Cina e al resto del Mondo; dall’altra coloro che vogliono ridurre le diseguaglianze (che Trump definisce spregiativamente “socialisti”), che accettano e esaltano (forse fin troppo) il multiculturalismo e che spesso cadono negli eccessi del politically correct. Il paradosso di questa contrapposizione è che i suoi rappresentanti sono entrambi uomini bianchi ultrasettantenni della Costa Atlantica. Credo che Obama non si avventurerebbe a dire che “the best is yet to come”. Purché non arrivi dopo avere toccato il fondo.

Presidenziali USA: se non ci sarà un “fatto nuovo” (come fu l’inchiesta sulle email private di Hillary Clinton) Trump perderà le elezioni

Tutti i sondaggi lo danno per perdente, Trump, non solo in termini di voti. Nel 2016 ebbe tre milioni di meno di Hillary Clinton. Oggi è in netto svantaggio nel collegio dei Grandi Elettori. Opportunamente, i sondaggisti hanno individuato tre differenti scenari in caso di errori. Senza un evento devastante e imprevedibile, il Trump innervosito si avvia alla fuoruscita dalla Casa Bianca (sì, incrocio le dita).

USA: Verso elezioni cruciali anche perché si rinnoverà un terzo dei senatori

Molto probabilmente Trump non sarà rieletto il 3 novembre. Quasi sicuramente otterrà molti meno voti di Biden. Già Hillary Clinton conquistò tre milioni di voti più di lui. Cercherà comunque di mettere in questione l’esito del voto con gravi conseguenze per la democrazia USA. Lo farà nella convinzione che, se dovesse essere chiamata in causa, la Corte Suprema troverà il modo di dargli ragione come nel dicembre del 2000 quando con 5 voti a 4 consegnò la Presidenza a George Bush.

Per un insieme di circostanze e di convenienze la Corte Suprema è diventata una protagonista assoluta nella Repubblica presidenziale USA. Trump ha goduto della opportunità inusitata di riuscire a nominare addirittura tre giudici nei suoi quattro anni alla Casa Bianca e, di vederli rapidamente confermati dalla maggioranza repubblicana al Senato. Anticipo il verdetto positivo su Amy Coney Barrett (nella speranza di essere smentito) con la cui conferma la Corte sarà composta da sei giudici nominati dai repubblicani e tre dai progressisti. È interessante sottolineare che cinque di quei giudici sono stati sponsorizzati dalla potente associazione conservatrice The Federalist Society che sostiene un’interpretazione “letterale” della Costituzione come fu scritta senza nessun riguardo per tempi e luoghi notevolmente cambiati.

Poiché I giudici rimangono in carica a vita, Trump ha la garanzia che per i prossimi trent’annni la maggioranza non cambierà. I giudici da lui nominati hanno rispettivamente Gorsuch 53 anni, Kavanaugh 55 e Barrett 48. Possono procedere all’abolizione totale, imperiosa richiesta, finora frustrata, dei repubblicani, della riforma sanitaria di Obama. Potranno anche restringere ulteriormente i criteri per consentire l’interruzione della gravidanza. Certamente, non si occuperanno di garantire il diritto al voto che la maggioranza delle 35 assemblee legislative degli Stati controllati dai repubblicani manipolano e fortemente limitano. Insomma, quello che non ha potuto/saputo fare la politica (di Trump) la Corte Suprema riuscirebbe a conseguire anche in tempi relativamente brevi.

Questa regressione culturale e sociale è molto temuta dai Democratici del tutto consapevoli che al loro eventuale Presidente non spetterà nessuna nomina per molti anni. Fin d’ora hanno pensato e reso pubblica la loro intenzione di aumentare il numero dei giudici portandolo a 11 di modo che potranno nominare due giudici. Vorrebbero anche ridurre la durata della carica a diciotto anni. Tutto questo è giuridicamente accettabile poiché numero dei giudici e loro durata non sono inscritti nella Costituzione, ma si trovano in una legge approvata un secolo fa dal Congresso. Politicamente, però, i Democratici hanno assoluto bisogno di conquistare la maggioranza al Senato. Anche per questa ragione, le elezioni del 3 novembre, nelle quali si rinnoverà un terzo dei senatori (35) sono particolarmente importanti, sostanzialmente cruciali per la qualità della democrazia USA.

Pubblicato AGL il 15 ottobre 2020

De America fabula narratur #Presidential2020

Nella più recente classifica dei Presidenti USA (Rottinghaus, Eady, and Vaughn, Presidential Greatness in a Polarized Era: Results from the Latest Presidential Greatness Survey, in “PS. Political Science & Politics”, vol. 53, July 2020, pp. 413-420) Donald Trump occupa l’ultima posizione con grande distacco dal penultimo. Eppure, nonostante il consistente vantaggio del candidato democratico Joe Biden registrato in tutti i sondaggi, anche negli Stati chiave, non è affatto sicuro che Trump sarà sconfitto il 3 novembre. Non è neppure sicuro che il 3 novembre conosceremo il nome del vincitore.

Nel frattempo a Trump si è presentata la grande occasione, per quel che so più unica che rara, di nominare un altro giudice alla Corte Suprema. Sarebbe il terzo che gli consentirebbe di lasciare un’eredità duratura. Ne ha subito approfittato scegliendo una donna relativamente giovane (48 anni), apertamente antiabortista, ruvidamente conservatrice. Poiché i giudici mantengono la carica a vita, per almeno trent’anni e più, la Corte Suprema avrà una solida maggioranza di giudici molto conservatori, alcuni reazionari, che, con le loro sentenze, incideranno non soltanto sulla società, per esempio, consentendo l’abolizione dell’Obamacare e rendendo quasi impossibili le interruzioni di gravidanza, ma anche sulla politica, per esempio, non intervenendo sui vari sotterfugi usati per “sopprimere il voto” (voter suppression). Non mi riferisco esclusivamente alla pratica, troppo spesso condonata, del gerrymandering (tracciare/disegnare i collegi elettorale per favorire/sfavorire determinati candidati), ma alle numerose modalità che riescono a rendere difficilissimo al limite dell’impossibile lo stesso esercizio del diritto di voto a cominciare dalla indispensabile registrazione nelle liste elettorali.

Nel frattempo, in almeno quattro stati USA gli elettori hanno già la possibilità di votare e lo stanno facendo per una pluralità di ragioni, compresa ovviamente quella di evitare eventuali assembramenti ai seggi ai tempi del Covid (che ha colpito duramente gli Stati Uniti). In altri stati si annuncia un massiccio ricorso al voto postale che Trump ha deciso di contrastare in tre modi: 1. dichiarando che si presta a frodi ordite dai democratici; 2. chiedendo che venga concesso soltanto a chi dimostra di non essere in condizioni fisiche che gli/le consentano di andare al seggio (negli Stati governati dai repubblicani il numero di seggi è stato considerevolmente ridotto: taglio non proprio “lineare”); 3. negando i fondi allo US Postal Service al cui vertice qualche tempo fa nominò un suo ricco finanziatore. Naturalmente, va subito sottolineato che, da un lato, in caso di ricorsi le eventuali frodi potrebbero giungere alla Corte Suprema, dall’altro, che addirittura l’esito complessivo del voto e quindi l’elezione del Presidente finirebbero proprio nelle mani della Corte come avvenne nel 2000 quando i cinque giudici nominati dai Repubblicani decisero che il repubblicano George W. Bush aveva sconfitto il democratico Al Gore a favore del quale si erano schierati i quattro giudici nominati dai democratici.

Tutti i mass media USA riportano quotidianamente non soltanto i dati dei sondaggi, ma i molti episodi che riguardano ostacoli frapposti agli elettori. Non mi spingo fino a dire che negli USA è in corso una crisi costituzionale e istituzionale senza precedenti. Prendo atto della acuta preoccupazione di molti commentatori, la maggioranza dei quali sono, comprensibilmente, democratici. Segnalo, però, che, da un lato la separazione dei poteri scricchiola e vacilla. Il Presidente repubblicano può imporre alla sua maggioranza di senatori repubblicani di confermare la donna giudice da lui prescelta portando ad una granitica maggioranza nelle sede più alta e decisiva del potere giudiziario. Dall’altro, prendo atto che persino il fondamento della democrazia, le elezioni, rischiano di non essere free and fair, ma di venire manipolate, sovvertite. Sullo sfondo stanno le proteste dei partecipanti al movimento “Black Lives Matter” contro il razzismo strisciante e il suprematismo bianco. Nessuno stupore che gli USA occupino il 23esimo posto nella classifica di Freedom House.

Pubblicato il 28 settembre 2020 su PARADOXAforum