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Triangolo virtuoso. Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica. Imparare e non dimenticare #CrisiDiGoverno
1 Non possiamo che rallegrarci che, finalmente, politici e commentatori abbiano scoperto che l’Italia è una Repubblica parlamentare (meglio, democrazia parlamentare). Che, però, pensino che tutto il potere stia nel Parlamento è sbagliato. In democrazia, mai nessuno ha “pieni poteri”. Quanto alle istituzioni, il potere sta nel triangolo virtuoso Parlamento-Governo-Presidenza della Repubblica, nella loro assunzione di responsabilità e nel loro controllo reciproco.
2 Nessun parlamento è onnipotente anche se lì si esprime principalmente la sovranità popolare, meglio se con una legge elettorale meno indecente della Legge Rosato. In Parlamento nascono, si trasformano, muoiono e si (ri)formano i governi. Però, un buon Parlamento fa molte altre cose. E’ luogo di rappresentanza e conciliazione di interessi (lascio il gergo riprovevole a chi comunque non conosce l’abc del parlamentarismo); è luogo di espressione delle opposizioni e di produzione delle decisioni. Soprattutto, è fonte insostituibile di informazioni e conoscenze per gli elettori che desiderino votare in maniera efficace, a ragion veduta.
3* Il problema non è mai, come hanno scritto opportunamente alcuni autorevoli scienziati della politica, se saremo governati, ma, sempre, come saremo governati. Detto che in Italia un governo esiste solo se ha ottenuto “la fiducia delle due Camere”, le aggettivazioni aggiuntive sono quasi tutte improprie. Governo di scopo, di decantazione, del Presidente, et al, addirittura di legislatura (obiettivo che tutti i governi dovrebbero sempre porsi) significano poco o nulla. Quello che conta, anche con riferimento alla situazione italiana attuale, è, non per quanto tempo, ma come il governo che nasce saprà governare(rci).
*A causa di un problema tecnico la registrazione si è interrotta bruscamente, un po’ come l’esperienza del governo giallo-verde. Noi rimedieremo. Loro, meglio di no.
In Parlamento si trasformano, muoiono e si (ri)formano i governi… ma succede molto altro
Nessun parlamento è onnipotente anche se lì si esprime principalmente la sovranità popolare, meglio se con una legge elettorale meno indecente della Legge Rosato. In Parlamento nascono, si trasformano, muoiono e si (ri)formano i governi. Però, un buon Parlamento fa molte altre cose. E’ luogo di rappresentanza e conciliazione di interessi (lascio il gergo riprovevole a chi comunque non conosce l’abc del parlamentarismo); è luogo di espressione delle opposizioni e di produzione delle decisioni. Soprattutto, è fonte insostituibile di informazioni e conoscenze per gli elettori che desiderino votare in maniera efficace, a ragion veduta.
Lo scambio nella sua interezza con Claudio Cerasa, direttore de @ilfoglio_it
In attesa della risposta del Direttore Cerasa, credo sia utile mettere a disposizione di voi, miei gentili followers, lo scambio nella sua interezza.
Caro Direttore,
La rappresentanza politica non è mai faccenda di soli numeri. Seicento rappresentanti eletti sono in grado di fare un lavoro anche migliore di novecentoquarantacinque parlamentari nominati da un ristrettissimo cerchio di dirigenti di partito. Detto che “tagliare i politici” (che stava nella propaganda referendaria renziana) per risparmiare soldi è populismo papale papale, quel che conta è come quei parlamentari saranno eletti e in che modo svolgeranno i loro compiti. Non importa se la Legge Rosato ha effetti più o meno (pochi) maggioritari. Il suo palese drammatico vizio sta nell’impossibilità per gli elettori di scegliere il loro rappresentante. Una misera triste crocetta ratificherà scelte fatte altrove. Una buona rappresentanza si ha quando i parlamentari, grazie all’assenza di vincolo di mandato, potranno, ogniqualvolta sia necessario, fare affidamento non soltanto sulla loro, per noi imperscrutabile, coscienza, ma sulla loro esplicita scienza spiegando agli elettori, se il sistema elettorale lo consente, il perché e richiedendone il sostegno. Già, perché anche il limite ai mandati è un ostacolo alla buona rappresentanza. Chi sa di potere essere rieletto, non ri-nominato poiché, allora, risponderà al suo mandante, si comporterà nella maniera più responsabile possibile, cercherà di capire le preferenze e anche gli umori e le emozioni degli elettori e, interloquendo con loro, persino di cambiarli. Il non rieleggibile potrà diventare una mina vagante nel suo ultimo mandato a disposizione di oscuri interessi e interessati. Quanto alto e quanto forte dobbiamo protestare adesso noi, uomini e donne del No (ma faccio sempre molta fatica e ho ritegno a parlare in nome di altri) che ci siamo opposti alle sconclusionate e inadeguate riforme di Renzi? Sicuramente, è nostro dovere criticare il (non ancora) fatto e quello che motivatamente riteniamo il malfatto. Continuerò a farlo in maniera “sistemica”. La rappresentanza politica è elettiva. Quindi, bisogna valutare le riforme che riguardano il Parlamento e il governo anche con esplicito riferimento alla legge elettorale. Nessuna delle proposte dei Cinque stelle dipende e discende dalla vittoria del No il 4 dicembre 2016. Era possibile anche un altro governo.
1 agosto 2019
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, Università di Bologna
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Caro Professore,
grazie della sua gentile lettera, che non condivido in molti passaggi, ma che mi dà la possibilità di introdurre un altro tema su cui forse varrebbe la pena ragionare. Resto convinto, come lo ero e lo eravamo nel 2016, che per combattere il populismo sia necessario, anche se non sufficiente, avere un sistema istituzionale efficiente, capace cioè di generare una competizione sana, vera, reale e genuina, capace dunque di costringere le persone a scegliere da che parte stare. Fino a quando ci sarà un pezzo d’Italia che penserà di combattere gli avversari politici ingessando sempre di più il sistema, e sfuggendo così a ogni tentazione maggioritaria, il populismo prospererà. Se il professor Pasquino volesse stare da questa parte, dalla parte della semplificazione, del maggioritario, della competizione, sa che qui sarebbe a casa. Grazie.
3 agosto 2019
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Caro Direttore,
la sua cortese risposta al mio intervento (2 agosto) contiene un invito al dialogo che accetto immediatamente. Il massimo della semplificazione da lei desiderata le è garantito dal populismo: un leader e il “suo” popolo, essendo, quelli che non la pensano come lui, i “nemici” del popolo. Tutto il resto va, populisticamente e conseguentemente, “rottamato” e “disintermediato”. Invece, la democrazia è complessità: diritti, istituzioni, il tempo per discutere, ragionare, creare il consenso necessario, decidere, valutare le conseguenze e tornare a riformare.
Non dobbiamo affatto, come scrive lei, “costringere le persone a scegliere da che parte stare”. Dobbiamo consentire ai cittadini di farsi le loro opinioni, meglio se informandosi, e poi scegliere, liberamente, cambiando di volta in volta, se lo desiderano, sapendo motivatamente premiare o punire coloro che hanno liberamente eletto. Certo, una legge elettorale maggioritaria, come il doppio turno francese, per il quale ho da tempo espresso e argomentato la mia preferenza, sarebbe ottima anche nel contesto italiano. Non ho visto grande sostegno dagli editorialisti dei quotidiani italiani e, per la verità, neppure da “Il Foglio”. Non ho neppure visto grandi battaglie combattute contro quel mostriciattolo della Legge Rosato.
Comunque, una democrazia maggioritaria richiede molto di più di una legge elettorale appropriata. Richiede freni e contrappesi, responsabilizzazione dei rappresentanti e dei governanti, mass media “liberi e forti”, una rigorosa legge sul conflitto di interessi (altro terreno sul quale non ho avuto, fui il firmatario del primo disegno di legge in materia, 15 maggio 1994, vigoroso sostegno). Di tutto questo ho variamente scritto, per esempio, in Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate (Università Bocconi Editore 2015). Vedrà che sono dalla parte del maggioritario e della competizione con regole, non, però, della imprecisata semplificazione e meno che mai della manipolazione, in parte voluta in parte esito di grande ignoranza in materia di funzionamento della democrazia e delle sue istituzioni.
Questa volta spero di trovare spazio in prima pagina, magari in un bel taglio basso!
Gianfranco Pasquino
Ho scritto questa lettera al Direttore del Foglio… @ilfoglio_it
La rappresentanza politica non è mai faccenda di soli numeri. Seicento rappresentanti eletti sono in grado di fare un lavoro anche migliore di novecento a quarantacinque parlamentari nominati da un ristrettissimo cerchio di dirigenti di partito. Detto che “tagliare i politici” (che stava nella propaganda referendaria renziana) per risparmiare soldi è populismo papale papale, quel che conta è come quei parlamentari saranno eletti e in che modo svolgeranno i loro compiti. Non importa se la Legge Rosato ha effetti più o meno (pochi) maggioritari. Il suo palese drammatico vizio sta nell’impossibilità per gli elettori di scegliere il loro rappresentante. Una misera triste crocetta ratificherà scelte fatte altrove. Una buona rappresentanza si ha quando i parlamentari, grazie all’assenza di vincolo di mandato, potranno, ogniqualvolta sia necessario, fare affidamento non soltanto sulla loro, per noi imperscrutabile, coscienza, ma sulla loro esplicita scienza spiegando agli elettori, se il sistema elettorale lo consente, il perché e richiedendone il sostegno. Già, perché anche il limite ai mandati è un ostacolo alla buona rappresentanza. Chi sa di potere essere rieletto, non ri-nominato poiché, allora, risponderà al suo mandante, si comporterà nella maniera più responsabile possibile, cercherà di capire le preferenze e anche gli umori e le emozioni degli elettori e, interloquendo con loro, persino di cambiarli. Il non rieleggibile potrà diventare una mina vagante nel suo ultimo mandato a disposizione di oscuri interessi e interessati. Quanto alto e quanto forte dobbiamo protestare adesso noi, uomini e donne del No (ma faccio sempre molta fatica e ho ritegno a parlare in nome di altri) che ci siamo opposti alle sconclusionate e inadeguate riforme di Renzi? Sicuramente, è nostro dovere criticare il (non ancora) fatto e quello che motivatamente riteniamo il malfatto. Continuerò a farlo in maniera “sistemica”. La rappresentanza politica è elettiva. Quindi, bisogna valutare le riforme che riguardano il Parlamento e il governo anche con esplicito riferimento alla legge elettorale. Nessuna delle proposte dei Cinque stelle dipende e discende dalla vittoria del No il 4 dicembre 2016. Era possibile anche un altro governo.
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, Università di Bologna
Cosa manca ai sistemi politici, alle istituzioni e ai leader #DeficitDemocratici #Modena 7febbraio @egeaonline
MEETING LIONS CLUB MODENA HOST
giovedì 7 febbraio 2019 ore 19:45
presso Ristorante Vinicio
via Emilia Est n. 126 – Modena
È gradito un cenno di conferma
tel. 3358291912
e-mai ferrai@gajasol.eu
dress code formale
Serata con il Prof. Gianfranco Pasquino
Cosa manca ai sistemi politici, ai leader, ai cittadini; leggi elettorali, rappresentanza e governo: perché gli italiani sbagliano?
presentazione del libro
DEFICIT DEMOCRATICI Cosa manca ai sistemi politici, alle istituzioni e ai leader
La democrazia è in crisi? #17novembre @BOOKCITYMILANO #BCM18
ISPI – Palazzo Clerici
Sala Corte
Via Clerici 5, Milano
17 novembre ore 16
La democrazia è in crisi?
Gianfranco Pasquino
Salvatore Veca
modera Massimo Rebotti
Che cosa si intende per democrazia e che cosa ne sappiamo realmente? Cosa sta dietro la tanto citata “crisi della democrazia”? Tutte le democrazie cercano un equilibrio fra la rappresentanza delle preferenze, delle identità, degli interessi dei cittadini e la capacità dei governi di prendere decisioni coerenti con tale rappresentanza. Nessuna è in grado di evitare momentanei deficit di rappresentanza e di decisionalità, ma tutte, anche quelle deficitarie, dispongono di possibilità di apprendimento e di (auto)correzione. Allo stesso modo, le elezioni sono intrinsecamente imperfette ma restano il modo meno sbagliato di scegliere i nostri governanti, poiché elaborano qualsiasi conflitto possa sorgere nella società in termini di libertà e di pace. Chi si astiene contribuisce al deficit democratico.
Presentazione di:
“Deficit Democratici. Cosa manca ai sistemi politici, alle istituzioni e ai leader”
Università Bocconi Editore









