No, non è una “storia italiana” quella di Sergio Marchionne, ma è la storia di un italiano. Non è “italiana” poiché non sta nella norma di quanto la maggioranza degli italiani sceglie di fare: accettare sfide, subire critiche, avere un insieme di obiettivi, perseguirli. È la storia di un italiano che, anche grazie ai suoi genitori, di non elevata condizione sociale, ha cercato, non “fortuna”, ma autorealizzazione, nel mondo. Anche questo è stato rimproverato a Marchionne: l’avere spostato parte della Fiat a Detroit e trasferito la sede legale a Amsterdam, in coerenza con le regole dell’UE, continuando a risiedere in Svizzera e colà pagando le tasse. È la storia di ricerca di opportunità e di capacità di sfruttarle, della convinzione che le opportunità possono essere qualche volta agevolate qualche volta create con lungimiranza e con perseveranza che sfocia in durezza. I politici, che oggi fluttuano tra lodi un po’ ipocrite e silenzio imbarazzato per critiche di parte a quanto Marchionne faceva, non sembra abbiano colto né il messaggio né il filo ispiratore dell’azione del grande manager. Lo si trova esplicitato nella spesso citata dichiarazione che “l’Italia è un paese che non si vuole bene”. Un paese che si vuole bene è severo con se stesso. Non accetta né il perdonismo, senza una riflessione sul perché degli errori, né i privilegi e le rendite di posizione. Non si concentra né solo sull’oggi (“domani è un altro giorno”, ma bisogna saperlo preparare) né solo su alcuni destini personali o di gruppo. Un tempo, forse, valeva la frase “quel che va bene per la Fiat va bene per il paese”. Senza rovesciarla del tutto (una grande fabbrica produce e ha, in effetti, nel corso del tempo prodotto grandi benefici per l’Italia), nei suoi comportamenti Marchionne ha ridefinito quella frase. La Fiat va meglio in un paese che va bene. Però, se il paese e la sua politica non riescono a migliorare, allora tocca alla grande impresa dimostrare che cosa si può fare con la disciplina, l’efficienza, l’innovazione. Questa non è una “storia italiana”, ma è certamente la storia che molti italiani in giro per il mondo hanno imparato, tradotto in azioni concrete, cercato di riportare in Italia, con fatica, spesso incontrando ostacoli insuperabili. Il bene comune, che non esiste in natura, è il prodotto sempre mutevole di comportamenti collettivi, spesso difficili, qualche volta dolorosi. Deriva dalla capacità di accettare sacrifici oggi per conquistare, non vantaggi, meno che mai personali, domani, ma ricompense per meriti dimostrati. C’era anche questo nella filosofia manageriale di Marchionne, qualcosa che soltanto una minoranza di italiani è disposta a sottoscrivere. Le gratificazioni differite richiedono l’esistenza di un paese che si vuole bene, crede nelle sue qualità, rinuncia all’oggi per fare stare meglio i suoi cittadini, domani. La storia di Marchionne non diventerà la storia degli italiani se non sarà compresa nella sua essenza. Come lui ha dimostrato è una storia possibile, ma non comune. Quanto probabile?
Pubblicato AGL 23 luglio 2018