
formiche 216 | Agosto – Settembre 2025
Sinistra, work in progress
QUEL CHE SO DELLE SINISTRE
Nel mondo la sinistra un po’ vince un po’ perde, come è giusto che sia nelle democrazie competitive. In Europa, anche nei momenti peggiori dei cicli elettorali, alcuni partiti di sinistra, laburisti in Gran Bretagna, socialdemocratici in Svezia e Germania, socialisti in Francia, Spagna, Portogallo, vincevano e ottenevano abbastanza seggi per governare soli oppure, più spesso, in coalizione. In Italia, no: nessuna vittoria limpida, poche presenze e poco caratterizzanti in governi di coalizione. In generale, la condizione delle sinistre non può, però, essere considerata né buona né soddisfacente, ma neppure catastrofica e irreversibile. I critici, più, ma spesso, meno costruttivi, danno per finiti troppi partiti di sinistra e persino, lo dirò con termine desueto, l’afflato di sinistra.
Quand’anche fosse così, alcune sinistre europee potrebbero, anzi, dovrebbero ricordare a tutti che hanno cambiato la storia non soltanto ciascuna nel suo paese, ma anche nel resto del mondo democratico. Qualche anno fa avrei aggiunto “in maniera irreversibile”. Oggi, sarei più cauto, ma non meno speranzoso. Per inquadrare il discorso anche in chiave comparata faccio riferimento a importanti binomi: da un lato, organizzazione e visione (che preferisco a ideologia); dall’altro, keynesismo e welfare. Forza e debolezza, successi e sconfitte, declino e rilancio sono tutti fenomeni che è possibile studiare, capire e modificare facendo riferimento ai due binomi sopra presentati.
Non era stato facile sindacalizzare e organizzare le classi operaie, che crescevano numericamente, ma aveva portato cospicui vantaggi elettorali. Già i lavoratori tecnici mostrarono irrequietezza organizzativa. Poi arrivarono figli e nipoti anche delle aristocrazie operaie a chiedere rappresentanza postmaterialista, nuovi stili di espressione e di vita. Il colpo definitivo sono stati i migranti la cui presenza è una sfida culturale e economica che ha diviso il mondo dei lavoratori. La visione di una società che, anche senza diventare socialista, offrisse istruzione, lavoro, eguaglianza di opportunità, non era più sostenibile. Gli operai nativi e sovranisti sono passati dall’altra parte.
Eppure, quelle sinistre di governo avevano saputo cogliere le occasioni governanti migliorando l’economia, facendo leva sul keynesismo, e la società costruendo il welfare. Dando per scontato il benessere acquisito anche attraverso questi strumenti, alcuni settori dei ceti medi e molti figli di operai divennero “individualisti”. Con il loro livello di istruzione, con la loro professionalità, grazie alla generosità del welfare pensa(ro)no di non avere più bisogno di rappresentanza politica come quella che i partiti di sinistra avevano garantito ai loro nonni e ai loro padri. Le differenziazioni politiche crebbero indebolendo in particolare i partiti classicamente socialdemocratici. In aggiunta, per quello che riguarda in particolare l’Europa, si manifestarono due seri problemi. Primo, le politiche keynesiane condotte nei singoli paesi non sfondarono a livello europeo (per fortuna, di recente, Mario Draghi le ha sommessamente riproposte). Anzi, politiche di austerità e di stabilità rendono impossibili alcune scelte di sinistra. Secondo, soprattutto, le difficoltà delle sinistre dipendono dal successo delle politiche del welfare. Cittadini più istruiti, e quindi, più esigenti, ma anche più convinti di farcela senza bisogno di politica, cittadini che, anche grazie alla qualità dei sistemi sanitari, vivono più a lungo (e più a lungo godono di pensioni generose) sono l’esito di quello che il grande sociologo tedesco Ralf Dahrendorf definì il secolo socialdemocratico.
I due binomi: “organizzazione/visione” e “keynesismo/welfare” sono diventati insostenibili e improponibili. Le classi operaie sono largamente minoritarie e hanno perduto, talora senza neppure averla avuta nel passato, qualsiasi coscienza di classe. Un po’ dappertutto quel che rimane delle organizzazioni di partito sente il fiato sul collo della personalizzazione della politica. Divertente, deprimente, esasperante, la personalizzazione fluttua e non costruisce nulla né di buono né di sinistra. Anzi, non poche volte è la premessa di slittamenti populisti. La sinistra non slitta, ma neppure riesce a contrapporre una nuova visione.
Probabilmente la Terza Via di Tony Blair e Anthony Giddens è stata l’ultima visione riconducibile alla sinistra, però travolta dal suo livore anti Old Labour e segnata da eccesso di ambizione di Blair. Rielaborare il keynesismo è importante; ristrutturare il sistema del welfare è indispensabile. Nessuna delle due operazioni avrà successo se non sarà condotta pazientemente e rigorosamente a livello dell’Unione Europea. A quel livello, l’europeismo può caratterizzarsi come visione lungimirante di società giusta. Nel frattempo, le sinistre continueranno a essere frammentate diversificate, conflittuali, plurali (è, dicono, una “ricchezza”), a perdere le elezioni, ma anche, più raramente, nel contesto italiano rarissimamente, a vincerle e a governare. Ça, forse, suffit.
Gianfranco Pasquino è professore emerito di Scienza politica.