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Se Roma piange Bruxelles non ride

La critica al governo Conte e allo stesso Presidente del Consiglio per i ritardi nella preparazione del Piano di Ripresa è, al momento, prematura. Infatti, la prima bozza di quel Piano è attesa dalla Commissione per metà febbraio. Poi, sulla base dei commenti, dei rilievi, dei suggerimenti che certamente ci saranno e saranno utili, il testo definitivo dovrà essere consegnato entro la fine di aprile. Sul merito, Conte ha accettato buona parte delle critiche e delle indicazioni di ItaliaViva la cui uscita dal governo adesso è un atto assolutamente pretestuoso, tecnicamente irresponsabile. Direi doppiamente irresponsabile. Renzi vuole avere la possibilità di continuare a sparare bordate contro il governo rifiutando qualsiasi responsabilità, ma la tempo stesso agisce in maniera irresponsabile rispetto agli impegni presi dal governo italiano con la Commissione Europea. La destabilizzazione di un governo, di qualsiasi governo, è sempre sgradita nell’ambito dell’Unione Europea poiché crea incertezza e incide sull’attività degli operatori economici. Non è un caso che tra ieri e oggi lo spread fra il valore dei titolo di Stato tedeschi e quelli italiani sia subito salito. Un conto, poi, sono le elezioni tenute alla loro scadenza naturale. Un conto molto diverso è una campagna elettorale improvvisa e improvvisata in un clima invelenito come è quello italiano attuale con un probabile cambio di maggioranza in vista. Se vincessero i sovranisti italiani, la Commissione sarebbe ancora più preoccupata non soltanto per il rispetto degli accordi raggiunti con Conte, ma per l’atteggiamento complessivo di Salvini e Meloni nei confronti delle politiche europee che richiedono cooperazione e solidarietà non recupero di sovranità nazionali.

   Agli occhi della Commissione, il governo Conte 2 ha (aveva?) molti pregi. Il Presidente del Consiglio aveva negoziato e lottato seriamente e tenacemente. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, già europarlamentare, è noto e apprezzato. Il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni costituisce il terzo pilastro grazie al quale la Commissione e gli altri governi dell’Unione Europea hanno ritenuto che l’Italia procedesse a un’efficace utilizzazione degli ingenti fondi che le sono stati attribuiti. Insomma, forse non per la prima volta, ma più che nel passato, l’Italia aveva acquisito notevole credibilità nell’Unione Europea anche agli occhi dei molto, talvolta troppo, sospettosi “paesi frugali”. Questo capitale, che vale molto più di qualche miliardo di Euro, rischia di disperdersi nel corso della crisi. Non andrà soltanto perduto del tempo per preparare al meglio i numerosi progetti italiani di investimenti e di modernizzazione, di rilancio. C’è il rischio che un nuovo governo di composizione politica diversa, da un lato, voglia o sia costretto a rinegoziare, dall’altro, si trovi obbligato a attuare progetti approvati e finanziati, ma non condivisi, perché non suoi. Senza il sostegno dell’Unione Europea l’Italia non va da nessuna parte, ma se l’Italia va male tutta l’Unione riceverà un contraccolpo. A Bruxelles si fibrilla.

Pubblicato AGL il 15 gennaio 2021

La soluzione alla possibile crisi di governo è ancora lontana #intervista @radiopopmilano

Giuseppe Conte cerca di uscire dall’angolo accettando alcune modifiche al Recovery Plan, ma la soluzione della crisi sembra essere ancora lontana. Matteo Renzi rilancia sul Mes. Chiede al Presidente del Consiglio di prendere i miliardi europei sulla sanità. Una condizione che Conte non può accettare perché il M5Stelle non vuole.

Nicola Zingaretti dice di non volere “una crisi dalle soluzioni imprevedibili”. Ma il rischio che le forti tensioni sfocino in una crisi dell’esecutivo è sempre più probabile.

Il politologo Gianfranco Pasquino non fa sconti a nessuno dei protagonisti in questa intervista a Radio Popolare

Realisticamente. Per salvare vite bisogna sempre pagare un prezzo #MazaraDelVallo

Fuori dall’ipocrisia generalizzata: in qualsiasi caso di rapimento e di sequestri di persona, nazionali e internazionali, gli Stati si trovano di fronte a scelte difficilissime. Per lo più, scelgono, opportunamente, di salvare la vita dei loro cittadini. Quindi, è giusto rallegrarsi che i pescatori di Mazara del Vallo siano tornati a casa dopo una evidente trattativa con il Gen. Haftar. Le pressioni diplomatiche con chi non è neppure un capo di Stato non sarebbero state sufficienti. Non sappiamo, ma mi pare abbastanza probabile, se Haftar ha ottenuto dal governo italiano denaro o altre risorse. Non lo troverei comunque politicamente riprovevole. È sicuro che ha voluto puntellare il suo traballante prestigio mostrandosi generoso, ma soprattutto ottenendo dal Presidente del Consiglio Conte e dal Ministro degli Esteri Di Maio un bene intangibile, ma per lui importantissimo: il riconoscimento di essere un interlocutore.

   Mi pare fuori luogo e fuori misura criticare il governo per questo riconoscimento. Chiunque voglia porre fine alla crisi e disintegrazione della Libia deve coinvolgere Haftar. Su un piano più generale, sono oramai molti i governi che hanno dovuto fare i conti con rapimenti e sequestri. Quasi tutti in quasi tutte le occasioni hanno deciso di trattare e di offrire qualcosa in cambio per la vita e la libertà dei loro cittadini. Pagare è spesso la scelta più semplice, ma deve essere effettuata nella maniera più riservata possibile. Se e quando i sequestratori, i pirati, i gruppi terroristi vengono a conoscenza della disponibilità di uno Stato a pagare si sentiranno incoraggiati ad agire di conseguenza. E, naturalmente, le autorità statali negheranno fino all’ultimo anche di fronte a prove irrefutabili delle quali neppure le varie comunità nazionali vogliono sentire parlare.

   Sono stati numerosissimi i veli di silenzio che hanno coperto trattative svolte e pagamenti effettuati. Alcuni, pochissimi Stati talvolta non pagano e cercano di liberare i loro cittadini con operazioni di intelligence e, in ultima istanza, militari. Da un lato, abbiamo gli Stati Uniti che, in quanto superpotenza, non vuole essere umiliata, ma che ha dovuto imparare dal fallimento disastroso della loro operazione a Teheran nell’aprile 1980 iraniano, ad essere molto più cauta. Dall’altro lato, c’è Israele, una piccola potenza, con un servizio segreto, il Mossad, di straordinaria competenza, e con forze armate di pronto intervento che sanno che debbono sempre lottare per la sopravvivenza del loro Stato che nessun negoziato può garantire. Di qui discendono frequenti e spettacolari operazioni di salvataggio e di rappresaglia.

   Non è e non può essere questa la strategia italiana. Non dobbiamo rammaricarci e neppure criticare i nostri governi perché trattano e negoziano. Forse dovremmo chiedere ai nostri concittadini, turisti e giornalisti, di non mettersi sconsideratamente nei guai. Non era questo il caso dei pescatori. Quindi, fine delle polemiche politicizzate e bentornati a casa.

Pubblicato AGL il 19 dicembre 2020

Investire trasparentemente con l’approvazione del Parlamento

Decidere come investire 209 miliardi di Euro in pochi anni su attività precisamente definite nell’ambito di settori chiaramente indicati dalla Commissione Europea: digitalizzazione e innovazione; economia verde; coesione sociale e parità di genere; istruzione e ricerca; e infrastrutture, è il problema. Per politici e burocrati italiani che non si sono mai distinti per la capacità di usare al meglio i fondi pubblici in tempi stretti, questa mole di investimenti necessari a fare ripartire il paese per dare un futuro alla prossima generazione di italiani (e di europei): Next GenerationEU è il nome del programma, è un problema enorme. Il Presidente del Consiglio Conte ha pensato di risolverlo attraverso una struttura complessa, la “cabina di regia fatta di sei manager e circa trecento collaboratori che rispondano ad alcuni pochi ministri, in particolare, quello dell’Economia, Roberto Gualtieri (PD) e dello Sviluppo Stefano Patuanelli (5 Stelle) e, naturalmente, a lui stesso, con il coordinamento del Ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola (PD). È stato sommerso di critiche e la definizione di chi saranno i partecipanti e di chi avrà il potere di decidere è tornata in alto mare.

   L’accusa rivolta a Conte di avere accentrato tutto/troppo nelle sue mani ha qualche fondamento. Deriva dalla sfiducia del Presidente del Consiglio (e non solo) nella burocrazia italiana, sfiducia largamente diffusa, ma, forse, non del tutto fondata. Comunque, i burocrati, in particolare, i dirigenti di livello medio-alto, non potranno essere totalmente esclusi dall’attuazione, quindi, meglio che siano coinvolti già nella fase di progettazione. Inoltre, questa potrebbe essere anche l’occasione sia di modernizzazione della burocrazia italiana sia di valutazione e valorizzazione delle competenze che, a mio parere, sono molte anche se disegualmente diffuse. L’altra accusa rivolta a Conte è di avere proceduto senza previe consultazioni.

   Si lamentano gli imprenditori. Protestano i sindacati. Rivendicano un ruolo gli enti locali e le regioni. Vi si è aggiunto anche il Sen. Renzi contraddicendo in maniera plateale la strategia della disintermediazione da lui praticata quando era a Palazzo Chigi. In verità, l’oggetto più corposo del contendere riguarda l’assegnazione dei fondi. I critici di Conte temono che il Presidente del Consiglio ne approfitti per ricompensare i vecchi amici e farsene di nuovi, utili per il prosieguo della sua carriera politica. Senza necessariamente sostenere Conte, alcuni obiettano che il coinvolgimento dei capi partito comporterebbe rischi di spartizione secondo criteri che non hanno nulla a che vedere con sane prassi di efficienza e di produttività. Conte ha già in parte accettato l’idea della presenza di qualche altro ministro. Per il resto, sia il controllo degli investimenti sia la valutazione degli esiti, debbono rispondere a due criteri: la trasparenza delle procedure e l’approvazione da parte del Parlamento. Auguri.

Pubblicato AGL 11 dicembre 2020

Fondi europei: danke, Frau Merkel

Sapere chiedere i fondi europei e saperli spendere: questo è il doppio problema al quale il governo italiano, a cominciare dal Presidente del Consiglio, deve trovare una soluzione rapida e convincente. Invece, la risposta di stampo “sovranista” data da Conte alla cancelliera Merkel, che in Italia i conti li fa lui, è vaga e evasiva. Quei conti, il Presidente del Consiglio italiano non riuscirà mai a farli tornare da solo. Avrà bisogno, e (quasi) tutti gli italiani con lui, dei molti miliardi di euro che le istituzioni europee, Commissione e Banca Centrale e poi Consiglio dei capi di governo, metteranno a disposizione dell’Italia. Dunque, la risposta giusta alla Cancelliera Merkel era: “danke, discutiamone e cerchiamo di farli arrivare presto”.

Il grande economista Keynes, che sta assistendo a un meritato rilancio delle sue ricette di sostegno dello Stato alle attività economiche e sociali, sapeva che il tempo conta e che nel lungo periodo saremo tutti morti. Il rischio è che, in assenza di sussidi e di prestiti, molti in Italia e in Europa, comincino a morire già nel breve periodo. Conte voleva sostanzialmente dire alla Merkel che non vuole, per ideologia sua? o forse perché i Cinque Stelle vi si oppongono?, fare ricorso ai 36-37 miliardi di Euro disponibili prestissimo attraverso il Meccanismo Economico di Stabilità (MES). Sono fondi da restituire a bassissimo tasso di interesse entro una decina d’anni, ma da utilizzare esclusivamente per spese sanitarie dirette e indirette. I critici italiani sostengono, senza prove, che quei fondi sarebbero una specie di cavallo di Troia attraverso il quale poi le istituzioni europee, nelle quali sarà opportuno ricordarlo, l’Italia è presente in ruoli non marginali: Presidenza del Parlamento Europeo, un Commissario proprio all’Economia, finirebbero per dettarci politiche economiche e sociali di lacrime e sangue. Credo che i critici sbaglino alla grande e rilevo che quei miliardi di euro non soltanto creerebbero molti posti di lavoro duraturi con assunzioni di personale sanitario, ma rilancerebbero l’economia attraverso la produzione e le esportazioni con investimenti mirati nel settore bio-medicale, nel quale l’Italia ha già più di una eccellenza.

C’è di più. Le parole della Merkel, non nota per essere particolarmente espansiva, vanno prese molto sul serio da due punti di vista. Il primo riguarda la possibilità che gli Stati cosiddetti frugali vedano la loro posizione contraria ai sussidi all’Italia rafforzata dal fatto che Conte non chiede i miliardi del MES. Allora, perché consentirgli di ottenere 175 miliardi di Euro come ha suggerito la Commissione? Il secondo punto di vista dal quale valutare quanto detto da Angela Merkel è che sarà proprio lei a guidare l’Unione nel semestre 1 luglio-31 dicembre. Poiché potrebbe essere il suo canto del cigno, Merkel vuole lasciare un segno molto positivo. Ha detto a Conte che se l’Italia fa quel che deve le sarà più facile aiutarla. La risposta di Conte è stata inadeguata.

Pubblicato AGL il 28 giugno 2020

Pasquino: «Non ci sarà sfiducia. Un Conte bis? perché no…» #intervista

 Intervista di Simona Musco al politologo Gianfranco Pasquino. Per il docente, Salvini «ha agito da giocatore di poker i voti ce li ha, ma non scommetterei su di lui. Si è dimostrato grande nelle sue campagne nelle spiagge, meno da governante»

«Non credo si arrivi alle elezioni subito. Il M5s e il Pd possono trovare dei punti di convergenza, ci sono già. Ma Mattarella, per non sciogliere le Camere, dovrà avere davanti un progetto serio. Se è solo per mantenere le poltrone allora dirà di no». Per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, il gioco di Matteo Salvini potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perché se fosse una mano di poker, assomiglierebbe ad un bluff.

Professore, si andrà a votare o arriveremo alla manovra finanziaria con un governo?

Intanto credo sia legittimo, da parte di Salvini, volere le elezioni il prima possibile. Se fosse stato coerente avrebbe dovuto dimettersi subito, assieme agli altri ministri e sottosegretari leghisti, aprendo la crisi. Invece ci ha messo un po’. Ma è pure legittimo cercare una soluzione alternativa, che però non deve durare qualche settimana. Non mi sento di gridare all’inciucio: se qualcuno vuole prolungare la vita del Parlamento fa bene a provarci. Detto ciò, credo prevarrà la seconda soluzione.

Con un accordo M5s- Pd? Nessuno ammette davvero di volerlo.

Il nodo si può sciogliere facendo chiarezza sulle priorità di ciascuno. Su alcune proposte dei 5 Stelle il Pd può convergere, come il salario minimo. La riduzione dei parlamentari la voleva anche Renzi, sarebbe grave se ora si contraddicesse. E poi va trovata una convergenza sull’Europa, ma di fatto c’è già stata con il voto dei 5 Stelle a Ursula von der Leyen.

Poi c’è la manovra economica.

Bisogna vedere cosa diranno gli esperti di entrambi i partiti. Io, al momento, posso solo ipotizzare cosa direbbe Pier Carlo Padoan al Pd e so già che sarei d’accordo con lui. Cioè di rispettare quello che l’Europa ci chiede, cosa che dovremmo fare comunque per mettere il bilancio al sicuro.

Ma è vero, secondo lei, che Salvini ha aperto la crisi per non affrontare la manovra economica?

Salvini non sa nulla di economia, non è questo. C’erano pressioni all’interno della Lega per il problema del rapporto con la Russia. Lui vuole evitare di affrontare questo argomento e anche la mozione di sfiducia. Ha compiuto un atto irrazionale, pensando di incassare subito quello che i sondaggi dicono avrebbe in termini di voti. Ed è tutto da vedere: gli italiani cambiano idea facilmente. Ha agito da giocatore di poker.

Troverà alleati?

Anche Berlusconi ha votato per la von der Leyen. In Europa Salvini sta con Orban, che ha votato allo stesso modo, e Le Pen, che invece ha votato diversamente. Che politica avranno? E poi Berlusconi non è mica finito, resiste e vorrà un numero non marginale di collegi sicuri.

Il Pd, invece? Riuscirà a spaccarsi ulteriormente?

Non so se fosse possibile farlo ma lo hanno fatto. Non hanno mai raggiunto un’unità vera. Renzi lo aveva unificato con la forza, Zingaretti sperava di farlo con una visione ecumenica. Ma non ha funzionato. Solo che l’uno non va da nessuna parte senza l’altro. Forse sarebbe anche il caso che facessero una direzione in cui ognuno dica liberamente come la pensa, individuare un punto di convergenza, fare un patto tra gentiluomini e rispettarlo. Così potrebbe contare qualcosa, altrimenti consegneranno il Paese alla destra.

Come esce il M5s da questo anno e mezzo di governo?

Ha dimostrato di avere un’inadeguatissima cultura politica istituzionale e di non avere una classe dirigente. Ma il vero problema è l’inadeguatezza completa di Di Maio. I voti li ha persi lui, non il M5s, con le cose che dice e come le dice. C’è un problema di leadership. Poi vanno riformulate le regole dicendo che finalmente hanno capito come funziona una democrazia parlamentare e come funziona la politica di un Paese. Grillo invece è una risorsa per il M5s, può essere molto motivante per una parte di elettorato.

E Conte?

In quanto professore, lo invidio, perché ha fatto una carriera strepitosa. Ma è inadeguato. Sapeva poco di politica e mi è parso anche poco di istituzioni. Per esempio, dire “sono l’avvocato del popolo” è stupido, devi essere una guida. Poi ha imparato lentamente. Negli ultimi mesi ha preso ottime posizioni e ha fatto bene a ricordare a Salvini i suoi scheletri nell’armadio. Può svolgere un ruolo, ma il potere politico è un’altra cosa.

Verrà sfiduciato?

Penso che la maggioranza dirà no. Ma anche se ci fosse, dipende da come viene motivata la sfiducia. A quel punto andrà da Mattarella e non escludo che possa esserci un Conte bis, con una nuova maggioranza. Ma non numerica, operativa.

A quel punto Salvini perderebbe tutto?

Non penso, tanto prima o poi si andrà a votare e i voti li avrà. Certo, se io oggi dovessi scommettere non scommetterei su di lui. Ha commesso molti errori. Credo meriti di perdere. Si è dimostrato grande nelle sue campagne nelle spiagge. Meno da governante.

Pubblicata il 14 agosto 2019 su ildubbio.news

Contratto addio per tre motivi

“Qualcosa si è rotto nel governo” dichiara il Vice-Presidente del Consiglio Matteo Salvini dopo avere riportato una nettissima vittoria parlamentare sul Movimento 5 Stelle che ratifica la possibilità di procedere alla TAV. Sconfitti, umiliati e adesso anche abbandonati da Salvini che ha deciso che “non si può andare avanti”, i pentastellati non sanno come replicare. La loro è oramai da parecchi mesi una crisi di consensi perduti in abbondanza tanto che i sondaggi danno loro meno della metà dei voti che ottennero il 4 marzo 2018. È anche, sempre più visibilmente, una crisi di leadership: a Di Maio manca proprio il “fisico del ruolo”, mentre il fisico di Salvini straborda da tutte le spiagge e da tutte le reti televisive.

Vengono date due spiegazioni della decisione di Salvini di “rompere” il contratto di governo. La prima è che Salvini ha sostanzialmente ceduto alla base e ai suoi collaboratori che ritengono giunto il momento di andare all’incasso dei voti che significherebbe più che raddoppiare i seggi del 2018 e essere in grado di governare indisturbati con la sola aggiunta di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni anche lei in crescita. La seconda è che qualcuno nella Lega ha fatto qualche conto giungendo a conclusioni sconfortanti: i soldi per la flat tax non ci sono (e Tria lo certifica), l’Iva “scatterà”, la Legge di Bilancio non potrà soddisfare i criteri della nuova Commissione Europea, mentre nel frattempo lo spread inizia a salire. Meglio chiedere il voto agli italiani prima di infliggere loro sacrifici inevitabili e pesanti. A queste due possibili e plausibili spiegazioni ne aggiungerei una terza, meno discussa, ma che sicuramente conta. Si prospettano due guai molto seri per Salvini, Ministro degli Interni e “capitano” della Lega: la mozione di sfiducia (al momento calendarizzata il 12 settembre) per i suoi comportamenti ministeriali e l’inchiesta, che procede, sui rapporti fra la Lega e la Russia di Putin.

Lo scioglimento del Parlamento procrastinerebbe tutto, forse solo per qualche tempo, ma meglio di niente. La crisi è aperta, ma deve essere formalizzata. In assoluto, la procedura più corretta è che il Presidente del Consiglio dichiari in Parlamento le ragioni per le quali la sua (prima) esperienza è giunta a termine. Informare i parlamentari, i media, l’opinione pubblica e i cittadini significa rendere un buon servizio alla democrazia italiana. Tutti i passi successivi sono nelle mani, immagino molto preoccupate, del Presidente della Repubblica. Rinviare Conte al Parlamento per un voto formale. Tentare la costruzione di un Conte-bis ricordando a tutti i protagonisti il costo economico e di credibilità di una crisi adesso. Dare l’incarico a una personalità autorevole con il solo compito di condurre alle urne sovrintendo a elezioni turbolente, ma eque. L’alleanza giallo-verde è stata molto nociva per il paese. Il suo superamento sarà molto aspro e gravoso.

Pubblicato AGL il 9 luglio 2019

Più decisionista: si fa spazio il nuovo Conte

A poco più di anno dal suo insediamento, l’inquilino di Palazzo Chigi, il professor Giuseppe Conte sembra avere preso definitivamente le misure al suo potere politico effettivo. La popolarità e il grado di prestigio, superiori a quello di entrambi i suoi vicepresidenti, ne danno testimonianza e conferma. Da garante del Contratto di Governo e, come disse lui stesso, con espressione non felicissima, avvocato del popolo, Conte si è chiaramente trasformato in qualcosa di più. Sta dimostrando che è un Presidente del Consiglio che decide e si assume la responsabilità delle decisioni. Non tutti i Presidenti del Consiglio della lunga prima fase della Repubblica italiana ebbero il potere di decidere e lo utilizzarono. La maggior parte dei commentatori politici italiani e anche chi scrive hanno sempre avuto riserve sull’effettiva possibilità che Conte guidasse il governo invece di seguire da vicino Salvini e DiMaio assecondandoli e, quando necessario, fungendo da loro parafulmine. Pochi reagirono a favore di Conte quando l’ex Primo ministro belga Guy Verhofstadt, leader degli europarlamentari liberali, lo accusò di essere un semplice “burattino” nelle mani di Salvini e Di Maio. Ebbene, la notizia è che, se lo è stato, certamente non lo è più. Da qualche settimana, Conto è disinvolto e sicuro di sé, in pieno controllo del suo ruolo e disposto a prendere decisioni anche se sgradite da Salvini e/o da Di Maio. Ha revocato un sottosegretario non proprio impeccabile della Lega senza curarsi delle obiezioni di Salvini e, fatto clamoroso, dopo mesi di tentennamenti, ha deciso che, anche per non rimetterci un sacco di euro, la TAV, osteggiatissima dai pentastellati, si farà. Non escludo che fra qualche giorno di fronte alle incertezze di Salvini, sarà proprio Conte a fare il nome del Commissario italiano per Bruxelles. Come spiegare questa notevole trasformazione che certo avrà ripercussioni e conseguenze? Anzitutto, per Conte è terminata in maniera positiva la fase di apprendimento. Ha capito non soltanto che la Presidenza del Consiglio gode di risorse politiche, la visibilità, e istituzionali, il potere di decidere, e ha deciso di sfruttarle. Lo può fare, questo è il punto più interessante, poiché, in maniera e per ragioni ovviamente diverse, i due vicepresidenti del Consiglio hanno perso smalto, ma soprattutto potere politico. Le Cinque Stelle di Di Maio, un tempo leader trionfante e esageratamente trionfalista, hanno perso più di un terzo del loro consenso e, se si votasse presto, andrebbero incontro a un vero tonfo. Per quanto continui a girare vorticosamente l’Italia e ad affermare che si occupa di vita reale, la faccenda russa, che i soldi siano arrivati o no, un sovranista non si mette mai in una situazione nella quale una potenza esterna potrebbe condizionarne la politica, Salvini appare molto appesantito. Conte ha guadagnato spazio perso da Di Maio e da Salvini e con lui, altrettanto positivamente ne ha guadagnato, se saprà intelligentemente approfittarne, il Parlamento. Finché dura.

Pubblicato AGL il 5 luglio 2019

Da Losanna a Bruxelles la strada non è breve

Ricordo di avere letto tempo fa una ricerca sul grado di fiducia che i cittadini degli Stati-membri dell’Unione Europea avevano gli uni negli altri. Non so quanti fra quei cittadini fossero stati lettori dell’Eneide e ricordassero la frase del troiano Laocoonte “timeo Danaos et dona ferentes” che voleva rifiutare il dono del famigerato cavallo, ma solo un terzo degli Europei dichiarò di avere fiducia nei greci che, infatti, ne stavano facendo di cotte e di crude con la loro finanza e i loro numeri. Gli italiani godevano della fiducia del 50 per cento degli Europei. Nonostante i loro stivali e i loro carri armati Panzer avessero schiacciato tutti gli Stati-membri, i tedeschi sono riusciti a (ri)conquistarsi la fiducia dell’80 per cento degli europei. Prevedibilmente ai livelli più elevati, sopra il 90 per cento stavano tutti i paesi scandinavi, nordici. La buona notizia è che, almeno nell’importante occasione dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali, molti dei delegati sportivi hanno creduto al progetto italiano, hanno valutato positivamente gli elementi tecnici, sportivi, logistici e con una notevole quantità di voti hanno assegnato le Olimpiadi a Milano e Cortina. La decisione è probabilmente stata influenzata in modo positivo anche dal segnale di unità e coesione che ha inviato la delegazione italiana e dal discorso del Presidente Mattarella che, com’è noto, riscuote notevole fiducia dei capi di governo e di Stato un po’ dappertutto. È giusto festeggiare anche perché, organizzate bene, come fece Torino nel 2006, le Olimpiadi promettono posti di lavoro, investimenti in infrastrutture, ritorni di immagine e di prestigio di cui l’Italia, mi viene da scrivere, “soprattutto in questa fase”, ha assoluta necessità. Sappiamo tutti, anche quelli che preferiscono chiudere gli occhi e le orecchie e accusano complotti, che la credibilità del governo Cinque Stelle-Lega, di alcuni ministri prominenti, dello stesso capo del governo (definito, in maniera sgradevole, un burattino da un pur autorevole esponente del raggruppamento liberaldemocratico europeo) è molto bassa a Bruxelles. Le promesse a vuoto e gli impegni disattesi, le giustificazioni basate su cifre e proiezioni che i Commissari ritengono come minimo fantasiose, il cambiar le carte in tavola (senza neppure sufficiente destrezza) hanno creato un clima non favorevole all’Italia. È auspicabile che, rallegrati dalla lusinghiera vittoria di Losanna, i governanti, a partire da Conte, si preparino al meglio per giocare una partita più importante che abbiamo iniziato e finora condotto davvero molto malamente. La porta della Commissione rimarrà pure sempre aperta all’Italia, come ha affermato il non-falco Pierre Moscovici, ma dietro quella porta stanno molti commissari, sicuramente la maggioranza, sospettosi delle mosse italiane e disposti non ad una ennesima apertura di credito, ma all’apertura della procedura di infrazione. Il passo da Losanna a Bruxelles non è breve.

Pubblicato AGL 25 giugno 2019

Conte, la trasparenza e le responsabilità di Salvini e Di Maio

La democrazia è anche trasparenza. Di motivazioni e di comportamenti. La buona conversazione democratica si svolge in pubblico, nella misura del possibile con l’opinione pubblica. Oggettivamente, la conferenza stampa di Conte ha prodotto informazioni utili e abbondanti. Ha evidenziato le responsabilità, nell’ordine, di Salvini e Di Maio. Non condivido per nulla i contenuti dell’azione di governo. Penso che la forma scelta da Conte per comunicare quei contenuti, le difficoltà, le tensioni e le loro possibili conseguenze sia da apprezzare.