Non avrei mai immaginato che Salvini fosse un attento lettore e estimatore del grande sociologo tedesco (forse “sovranista”) Max Weber. Invece, con la foto, fatta ampiamente circolare in rete, nella quale imbraccia il fucile, ha evidentemente voluto lanciare il messaggio che è lui, sì, insomma, in quanto rappresentante dello Stato, ad avere, proprio come sosteneva Weber, quel “monopolio dell’uso legittimo della forza” che caratterizza lo Stato moderno. Allorquando questo monopolio non c’è, ad esempio in Libia (dove attendono che il Presidente del Consiglio italiano ponga fine alla guerra civile), lo Stato praticamente non esiste più. Certamente, il Ministro degli Interni vuole farci sapere e vedere che sovrintende alla sicurezza di noi tutti (“prima gli italiani”). La foto è la naturale compagna della legge sulla legittima difesa che, per l’appunto, consente l’uso, legittimato, delle armi contro chi viola le nostre abitazioni (tutto il resto dovrà essere accertato dalla magistratura).
È probabile che il Ministro e i suoi collaboratori alla comunicazione volessero proprio mandare il messaggio che Salvini non esiterebbe a ricorrere alle armi per difendere la vita e le proprietà degli italiani, che è un duro che non cede nulla e che vuole che lo sappiano anche tutti coloro che intendessero delinquere. L’esibizione di Salvini è assolutamente inusitata. Non ricordo nessun ministro degli Interni europeo che si sia mai fatto fotografare armato. La mia mente non riesce neppure a scovare immagini dei pure numerosissimi candidati al Congresso USA abbondantemente finanziati dalla National Rifle Association che abbiano esposto una loro fotografia in armi. La domanda, quindi, è: la foto è stata un errore nel crescendo solipsistico del Ministro (sì, lo so: è in campagna elettorale permanente) oppure Salvini sta gongolando per lo spazio che si è guadagnato sui social e sugli altri mezzi di comunicazione di massa?
Dovremmo lasciar perdere occupandoci piuttosto, come a corrente alternata dicono i politici, naturalmente rivolgendo l’invito ai loro avversari, dei problemi reali della “gente”: lavoro, salari, istruzione? Salvini scommette, e finora gli è andata fatta bene, che fra quei problemi reali ai primi posti continuino a collocarsi l’immigrazione e la sicurezza . Allora, forse, la critica del fucile di Salvini andrebbe indirizzata contro la soluzione che quella foto sembra contenere/suggerire. Invece di creare le condizioni per ridurre, fino a impedirlo, l’uso delle armi, che dovrebbe essere davvero il compito primo e supremo di qualsiasi Ministro degli Interni, Salvini sembra suggerire che la sua politica non sarà la prevenzione, ma la repressione che non rifugge dalle armi. È un messaggio gravissimo. La smentita fattuale si trova nelle statistiche che rivelano che il tasso di criminalità è inferiore nei paesi dove la polizia e le forze dell’ordine fanno limitato o nullo ricorso alle armi. Il Salvini armato non solo diseduca, ma, semplicemente, sbaglia bersaglio.
Pubblicato AGL il 23 aprile 2019
Caro Prof., condivido la sua analisi sull’uso legittimo della forza cui sembra alludere il post con la foto del ministro che imbraccia un mitra. Devo tuttavia esprimere qualche dubbio in merito agli effetti del messaggio in questione sull’opinione pubblica. Il ministro dell’interno armato, é vero, é altamente diseducativo ma temo non sbagli bersaglio, se per bersaglio intendiamo il consolidamento, il rafforzamento, in una prospettiva tribale, del gruppo composto dai seguaci del capo carismatico, in questo momento attaccato da più parti. Non credo sia un caso che la foto sia stata postata dal responsabile della comunicazione del ministro subito dopo l’avvio dell’indagine sul sottosegretario siri, accusato di corruzione, e in un momento caratterizzato da continue tensioni con il partner di governo. A me pare insomma che, malgrado l’assenza di comportamenti analoghi da parte di esponenti politici di rilievo sia europei che u.s.a, il post con la foto del ministro in armi sia perfettamente in linea con la strategia comunicativa adottata negli ultimi anni dal medesimo. Una strategia volta ad alimentare, senza soluzione di continuità, quell’ “ossessione identitaria”, come la definirebbe l’antropologo Francesco Remotti, che ha in larga parte contribuito alla fortuna politica del ministro, giustamente definito da Saviano “ministro della paura”.